Perché siamo intransigenti

La prossima campagna elettorale si svolgerà, come tutti sanno, colle nuove liste del suffragio allargato. Non ci facciamo soverchia illusione che questo tanto decantato suffragio universale, o meglio semi-quasi-universale, valga a trasformare radicalmente la vita politica dei nostri paesi e sia un mezzo per combattere le camarille locali, e i gruppetti personali oggi onnipotenti nei piccoli e grandi centri del Mezzogiorno, come sperano o mostrano di sperare molti ottimisti più o meno sinceri.

In realtà ci vorrà ben altro per rialzare il tono delle lotte politiche che si svolgono tra noi, e chi conosce bene le condizioni attuali e lo sfondo nel quale si inquadrano le guerriglie di partiti e partitucci, dalle quali esula ogni contrasto non solo di idealità, ma anche di interessi collettivi coscientemente sentiti e difesi, non può dubitare che le clientele attuali non faranno altro che allargare la propria sfera d'influenza alle nuove masse di elettori, conservando la suprema direttiva dei movimenti e degli intrighi agli attuali politicanti e mestatori che sempre li hanno maneggiati. Questo deplorevole stato di cose è così ben noto che non occorre insistervi. Tutti sanno le gesta di quelle reti di intrighi politici che si stendono nelle provincie meridionali, collegando in una vera amenità corruttrice deputati, amministratori comunali, rappresentanti del potere politico, e facendo capo al sommo Giolitti. Così governa la borghesia, così amministrano le classi dirigenti delle nostre regioni.

Per far passare tutte queste manovre è buona l'etichetta di qualsiasi partito. Non è notissimo che Giolitti è largo di appoggi ai più disparati colori politici, dal clericale al repubblicano, purché si tratti di gente disposta a stare ai suoi cenni in Parlamento o fuori?

Ma come noi diffidiamo di quella parte della classe dirigente che ha in mano la cosa politica, così estendiamo tale diffidenza a quei gruppi non meno equivoci dei primi, che, battuti nella corsa all'aureo pomo del potere, prendono atteggiamento di opposizione, e mostrano in mano la fede di scandalizzarsi dei metodi corruttori degli avversari e si atteggiano a moralisti o a difensori di una maniera più elevata di intendere le lotte politiche, solo per trovare seguito tra gli scontenti e poter soppiantare coloro che sono al potere per andare a compiere al loro posto le stesse, o maggiori, porcherie.

Queste opposizioni, politiche o amministrative, sono assai pericolose per le coscienze del popolo, perché in generale si atteggiano a popolari e tentano di farsi credere animate da una vera coscienza politica e sociale per acquistare credito e seguito fra le masse lavoratrici. Sono queste opposizioni scolorite, meschine, pettegole, che formano l'unica base reale della cosiddetta democrazia meridionale, che è costituita da gente che cambia colore appena ha raggiunto lo scopo di arrivare al potere.

Ecco perché noi diffidiamo tanto della grande maggioranza conservatrice e clericale della borghesia nostrana, quanto della minoranza che si dice democratica, radicale, ecc., ma che ha al suo passivo le stessissime colpe di incoscienza politica e di inettitudine amministrativa. E speriamo una resurrezione ed una elevazione da questo pantano politico solo dalle forze vive che si devono sprigionare dalla classe operaia quando questa imparerà ad affermare più energicamente i suoi interessi e le conquiste economiche e sociali che deve conseguire. Il nostro partito, nello sviluppo ancora limitato che ha disgraziatamente in questi paesi, avendo la missione di suscitare le tendenze a quelle conquiste economiche e di sviluppare una parallela coscienza politica nei lavoratori, non può non avversare accanitamente tutto il sistema e i metodi su cui si poggiano le competizioni di tutti gli altri partiti, e deve quindi insegnare al proletariato a lottare contro di essi senza distinzione.

Bisogna diffondere la convinzione che i lavoratori non hanno alcun interesse al trionfo di nessun partito di opposizione, sia pure quando il partito che è al potere sgoverna e tiranneggia nel modo più esasperante, perché tutti i gruppi che sono emanazione della classe padronale devono logicamente fare gli interessi propri, e sfruttare le masse quando sono giunti al potere, mentre quando ancora devono conquistarlo, dovendo in un modo o nell'altro farsi una maggioranza tra il popolo, si atteggiano ad amici di questo.

Il proletariato deve dunque imparare a fare la politica sempre direttamente e non oscillare come una mandria di pecore tra un partito e l'altro, accumulando solo tradimenti e disillusioni. Ecco perché noi esortiamo i lavoratori a combattere questa battaglia politica senza accordarsi con nessuno per opportunità di calcolo elettorale. Bisogna lottare fino al punto che potremo vincere con le nostre sole basi, e non cercare o concedere appoggi ad altri che con il socialismo e con l'interesse degli operai nulla hanno a vedere, siano essi cattolici o sedicenti anticlericali, usciti dalle sacristie o anche repubblicani di Sua Maestà. Perciò invitiamo i lavoratori stabiesi ad una lotta intransigente, senza preoccuparsi di quello che può succedere nel campo borghese… se il partito di Tizio corre il rischio di essere soverchiato da quello di Sempronio, perché a noi è indifferentissima la riuscita dell'uno o dell'altro. Li conosciamo troppo bene!

Da "La Voce" del 6 luglio 1913. Firmato: AMBO (Amadeo Bordiga)

Archivio storico 1911-1920