L'andata al potere

Quando in tutto il movimento mondiale proletario, per riflesso delle grandi notizie di Russia, vennero messe in evidenza le tesi fondamentali del pensiero marxista rivoluzionario - con le quali mai, giova insistervi spesso, era stato perduto il contatto, almeno teoricamente, dalla sinistra antirevisionista della seconda Internazionale - dovunque si pose il problema: accettare o no la conquista violenta del potere, la dittatura proletaria, la distruzione del meccanismo parlamentare, per sostituirlo col sistema dei consigli operai. In un primo tempo, se pensiamo all'Italia, le adesioni a questi criteri furono addirittura valanga. Ma, in seguito all'agire di una serie di cause sociali e storiche, subentrarono i dubbi e le esitazioni, le interpretazioni personali e tendenziose dei cardini del metodo della Internazionale risorgente. Quel primo incendio di entusiasmi si è ormai rivelato tutt'altro che utile nelle sue conseguenze; mentre si andava costruendo, con maggior lavoro ma anche con maggior efficacia, una vera coscienza del metodo comunista nei gruppi oggi organati nel nostro partito.

Si tratta ora di vedere con serietà che cosa deve intendersi per accettazione del metodo comunista, e questo è stato il problema centrale presentatosi in Italia e risolto a Livorno, mentre però la soluzione nel campo della organizzazione di partito non esclude la necessità della chiarificazione in confronto a tutta la campagna anticomunista consistente nelle quotidiane dichiarazioni di fede comunista da parte di quelli che sono ormai al di fuori del comunismo, come milizia e come dottrina, e suffragata dalle abili svalutazioni da parte di quegli elementi che rimasero alla destra anche nel periodo della ubriacatura, e che tentano di sfruttare la liquidazione di questa come la sconfitta della teoria e della pratica della Terza Internazionale.

Anzitutto, non può considerarsi come una adesione al metodo comunista la approvazione di esso... in quanto è stato applicato in Russia, cosa che si fece senza alcun bisogno del permesso degli odierni comunisti forse che si forse che no; la dichiarazione di riconoscimento del diritto del proletariato russo a darsi il regime soviettista, diritto alla cui protezione egregiamente provvedono i fucili e i cannoni dell'esercito rosso.

Neppure è comunista chi ammette la violenza, la dittatura, i soviet, come forme ed aspetti possibili dello sviluppo rivoluzionario, chi si degna di rinunziare a condannarli senz'altro come degenerazioni anti-socialiste, e si arrischia a non escludere che possano essere in certi casi e in certi paesi una necessità, per lui deplorevole.

Il valore e il vigore di quelle tesi marxiste sta nella loro generalità, nella esclusività con la quale vengono formulate, quando si afferma, come negli scritti teorici di Marx e di Engels e nelle tesi della Terza Internazionale, che l'unica via per la quale può realizzarsi la emancipazione del proletariato, l'unica che può condurre dal potere della borghesia al potere effettivo del proletariato, è quella appunto della lotta violenta, e della dittatura. Dogmatismo? Schema? Ignoranza dei molteplici aspetti che nel tempo e nello spazio possono assumere, secondo mille cause speciali, gli sviluppi della storia? No, ma conclusione di un esame vastissimo e formidabile, che sulla base di innumerevoli elementi di dottrina e di esperienza nell'azione, ad opera non di un uomo ma di una classe e del suo movimento di critica e di battaglia, giunge a stabilire che esistono delle fondamentali uniformità nel volgere della storia, che ad una classe internazionalmente lottante per un problema che la storia sempre più universalmente pone - la fine del regime capitalistico - consentono di acquisire a base della sua coscienza e a guida della sua azione. Che se poi a quelle uniformità non sì crede, neppure comprendendo come nella generalità delle loro linee esse non escludono lo studio di ogni problema di dettaglio nelle più svariate sue presentazioni, e la risoluzione di ogni situazione di fatto con mezzi adeguati e molteplici, ma senza mai contraddire al quadro generale della critica e della tattica: se ciò si nega, altro non resta che passare nelle file dell'eclettismo scettico della borghesia decadente, cosa che prima nel loro pensiero, e poi nel loro contegno, vanno appunto facendo i contraddittori di quanto il comunismo sostiene.

Esiste un'antitesi alla posizione dei comunisti, e si potrebbe chiamarla la posizione socialdemocratica pura. Non vogliamo neppur parlare di una scuola che affermi, malgrado la constatazione della situazione che la guerra ha lasciato, che il capitalismo deve ancora vivere in uno sviluppo graduale delle sue forme, che la classe borghese deve ancora restare alla direzione della società, conservando nelle sue mani il potere. Nemmeno vogliamo parlare di quelli che oggi ancora accetterebbero la partecipazione di rappresentanti di partiti proletari nei ministeri borghesi. Adottando l'espressione di scuola social-democratica pura intendiamo riferirci a quelli che sostengono che il proletariato deve - ed anche soltanto che può - accedere al potere senza una lotta violenta, senza spezzare il sistema parlamentare e la macchina esecutiva statale borghese, ed esercitare il potere per la soppressione del capitalismo senza dittatura, senza il regime dei consigli operai.

Alcuni sostengono che il proletariato deve evitare tutto ciò, e che la via sostenuta dai comunisti è in contraddizione col… socialismo. Non occorrono molte parole per mostrare come quelli che vedono una contraddizione tra il loro socialismo e la violenza, la dittatura, ecc. seguono un socialismo che col marxismo non ha nulla di comune, e lo hanno ereditato in qualche setta evangelica e nei congressi per la pace. Passino dunque costoro al bailamme del pensiero borghese.

Ma anche la semplice illusione che possa, in certe date condizioni, esser possibile che la storia risolva il problema del trasferimento del potere al proletariato senza quelle condizioni rivoluzionarie, non è una innocente modificazione tendenziale del marxismo, ma presuppone la sua negazione in principio. Perché un simile processo fosse ammissibile dovrebbe esser possibile adattare la struttura legislativa ed esecutiva dello Stato come oggi è congegnato alle necessità dell'opera di espropriazione capitalistica. Ora, quest'opera implica la distruzione della costituzione legale dello Stato borghese. La rappresentanza elettiva parlamentare non ha teoricamente una tale facoltà. Questa non è una questione astratta, perché tradotta in pratica vuol dire ciò: un ministero eletto parlamentarmente può contare sulle forze esecutive per attuare il suo programma, fino a che questo non esorbita dalla legalità borghese, ossia dalla conservazione del privilegio capitalistico.

Il giorno che il Governo esca da questi limiti, l'esercito, la polizia, la burocrazia non lo seguiranno, e probabilmente lo rovesceranno se insisterà. E lo faranno non perché giuridicamente abbiano ragione di fronte alla loro posizione, al loro giuramento di funzionari dello Stato borghese di rispettarne e farne rispettare la costituzione, ma perché nella realtà materiale la loro gerarchia costituisce l'ingranaggio di una macchina costruita pel capitalismo, lubrificata e guidata dalla classe borghese, e non abbandonerà questa prima di aver gettato sulla bilancia il peso della sua forza armata organizzata Questa via socialdemocratica pura non è dunque impossibile, ma è affatto impossibile che essa conduca ad un esercizio del potere da parte del proletariato, per la soppressione del capitalismo. Ad un certo momento la necessità di spezzare violentemente la macchina statale, il che non può farsi senza violenza materiale, armata, organizzata, si presenterà implacabile. Vedremo le conseguenze di una tale situazione di impreveduta necessità di lotta violenta, e come essa si risolva nella alleanza tra socialdemocratici e borghesi. Resti per ora stabilito che questa concezione socialdemocratica racchiude una incomprensione della funzione dello Stato quale appare nella dottrina comunista marxista, e quindi anche quando agita la formula dell'andata al potere del proletariato, resta fuori e contro il marxismo, separata da noi dall'abisso; e deve spiegarsi come una filiazione teorica della mentalità borghese, in quanto abbandona il tracciato marxista sopraffatta dai pregiudizi borghesi democratici, la cui demolizione è nel sistema marxista materia assodata.

Stabilito che questo socialdemocratismo puro è teoricamente pura scuola borghese, il che suffraga la previsione che praticamente i suoi rappresentanti lavoreranno per la borghesia, esamineremo i tentativi di costruire, tra il metodo comunista e questa sua antitesi, altre soluzioni intermedie, ma più ancora equivoche ed insidiose.

Fonte Il Comunista, n. 6 del 17 novembre 1921
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