Il recente dibattito russo su arte e letteratura

Sullo sfondo dell'urto "ideologico" russo-cinese

Sviluppo sicuro del nostro organico e tenace lavoro sulla tradizione esclusiva della storica Sinistra comunista per la teoria, il programma e l'azione del solo partito di classe

Il riferire sulle recenti discussioni, tuttora in corso, intorno all'arte e la letteratura, in Russia e per ripercussione nei paesi in cui operano partiti cremlineschi, non mira a stendere un filo diretto, pur sempre polemico, tra il nostro Partito e la controrivoluzione di Mosca; ma a definire ulteriormente nella continuità storica e di battaglia del movimento la natura sconciamente opportunista delle diverse posizioni emergenti dalle tappe successive del trasformismo politico ed ideologico russo.

Rotto il "dialogo" sulle questioni fondamentali riguardanti tutto il programma rivoluzionario di classe, nel senso inequivoco dei due Dialogati (Dialogato con Stalin; Dialogato con i Morti) non è neanche lontanamente pensabile il ristabilimento di un contatto polemico sui temi minori dell'arte e della letteratura in genere. La restaurazione integrale della teoria rivoluzionaria del proletariato, della dottrina comunista sui suoi fondamenti originari (sempre più rinsaldati dalle lezioni delle sconfitte e delle ricorrenti ondate controrivoluzionarie, distruttrici di falangi intere di generosi combattenti) postula non solo la recisa proclamazione del carattere capitalistico della struttura economico-produttiva russa, ma anche lo smascheramento risoluto della natura controrivoluzionaria di quell'apparato statale, la bollatura a fuoco della sua funzione di baluardo internazionale del capitale, del suo ruolo di forza antiproletaria ed anticomunista per eccellenza.

Si rende quindi utile, prima di passare all'identificazione, della "sbevazzata marxista" del trasformismo russo ai calici dell'arte e della letteratura, premettere, per quanto schematicamente, i tratti essenziali della teoria comunista dell'arte: enunciare, cioè, in forma sintetica i corollari inerenti all'argomento che scaturiscono dalla concezione materialistica della storia (i cosiddetti principii di estetica marxista, così come si desumono dalla letteratura di Partito e dagli abbondanti riferimenti e spunti contenuti nelle opere di Marx, Engels, Lenin, ecc.

I. Produzione e arte

Secondo la concezione materialistica della storia (e quindi per i comunisti, è il modo di produzione della vita materiale che determina il processo di tutta la vita sociale; è il modo di esistenza sociale dell'essere che determina la sua coscienza. Sono le forme sociali della produzione dei mezzi di sussistenza la base materiale a cui le forme sociali della coscienza corrispondono.

Il complesso delle ideologie che si stabilisce in un determinato stadio di sviluppo dell'organizzarsi sociale degli aggregati umani non è alla fine che la coscienza sociale generale dei corrispondenti rapporti di produzione e di scambio. Gli uomini producono le loro idee, non in quanto tali, cioè in quanto uomini "astratti", ma in quanto operanti ed agenti così come sono condizionati dallo sviluppo storico delle forze produttive e delle relazioni corrispondenti. Sviluppando la loro produzione materiale, riproducendo in tal modo sé stessi e le condizioni della loro vita, essi sviluppano contemporaneamente il loro pensiero e, di conseguenza, i prodotti di questo.

Ne discende che l'arte, in tutte le sue forme storiche, non può essere considerata che in stretto legame con la produzione della vita materiale. E' essa stessa un aspetto specifico ed inseparabile della produzione della vita materiale. Un'arte concepita come autonoma, avulsa dal processo di produzione della vita materiale, che abbia per così dire una propria storia, non esiste. Il pensarlo è un ideologismo, un'astrazione. Si può ben dire invece che tutta la storia dell'arte non rappresenta che una manifestazione (caratteristica e peculiare) nel modo di vivere delle società umane, dipendente dal grado di sviluppo storicamente raggiunto dalle forze produttive. Tanto più essa dev'essere considerata una manifestazione, un aspetto, quanto più si avverte che la storia dei rapporti sociali, relativi a un dato grado di sviluppo delle forze produttive, è una storia unitaria, integrale. Gli uomini fanno una storia sola, unica, non delle storie particolari, separate; come, per esempio, una storia delle religioni, una delle varie forme artistiche, della politica, dell'economia, ecc.

Se si vuole, pertanto, cominciare la costruzione di una teoria estetica (la parola viene dal verbo greco "aistanomai", ed etimologicamente significa: "sentire". Estetica è, quindi, la dottrina dei fatti sensibili, impiegata correttamente nel senso di teoria delle emozioni nascenti dalla bellezza, e infine di dottrina dell'arte), o meglio di una teoria dell'arte, altro fondamento su cui poggiarla non esiste al di fuori della tecnica produttiva e dei rapporti sociali corrispondenti.

Il succedersi dei vari modi sociali di produzione costituisce, dunque, la radice materiale da cui germogliano le diverse forme d'arte; il terreno sul quale prosperano e appassiscono. In breve: la fonte di origine e il letto di morte. E questo in generale; tanto quindi in relazione al contenuto della produzione artistica, quanto in relazione alla forma che essa riveste.

Tesi inerti

Da quanto sopra risulta priva di base reale la presentazione di una dottrina dell'arte fatta poggiare sull'ambiente naturale o su condizioni climatiche; su fattori di razza e nazione; o, peggio, su qualità e attitudini dell'individuo, sul "genio". Una costruzione che prenda le mosse da tali presupposti non può venire a capo di nulla. E, se si illude di approdare a qualcosa di nominabile, questo non può essere (nel migliore dei casi) che un pasticcio artificioso, senza base reale.

Tutte le ipotesi e le tesi congeneri rimangono impotenti a risalire all'effettiva dinamica del fenomeno; e come tali vanno totalmente respinte.

La mano e l'arte

L'animale uomo si svolge dal mondo dell'animalità, e ne esce gradatamente proprio in forza e tramite il processo lavorativo.

"Si possono distinguere gli uomini dagli animali – dice Marx – per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale".

L'organo essenziale di questo trapasso è costituito dalla mano, capace di afferrare e tenere le cose, gli oggetti. Mercé quest'organo il trapasso ad uno stadio superiore della vita si rende possibile. Grazie a questo l'animale uomo è in grado di venir fuori, attraverso processi di fasi lunghissime, dal regno dell'animalità autentica, e organizzarsi nelle primordiali forme della vita umana.

"... Le operazioni alle quali i nostri antenati impararono ad abituare la loro mano – descrive Engels (Dialettica della natura) a poco a poco, nel corso di molti millenni, non possono essere state all'inizio se non molto semplici. I selvaggi più arretrati, anche quelli nei quali c'è da supporre una ricaduta nello stadio più propriamente animale con contemporanea involuzione dell'organismo, sono sempre ad un livello molto superiore a quello di quegli esseri di transizione. Perché si arrivasse al momento in cui il primo ciottolo fu lavorato dalla mano dell'uomo fino ad essere trasformato in coltello, possono essere trascorse epoche di lunghezza tale che al confronto l'epoca storica a noi nota può apparire insignificante. Ma il passo decisivo era compiuto: la mano era diventata autonoma e poteva ora acquistare una crescente destrezza: la maggiore scioltezza così acquistata si trasmise e si accrebbe di generazione in generazione.

La mano non è quindi soltanto l'organo del lavoro: è anche il suo prodotto. La mano dell'uomo ha raggiunto quell'alto grado di perfezione, sulla base del quale ha potuto compiere i miracoli dei dipinti di Raffaello, delle statue di Thorwaldsen, della musica di Paganini, solo attraverso il lavoro: attraverso l'abitudine a sempre nuove operazioni, attraverso la trasmissione ereditaria del particolare sviluppo dei muscoli, dei tendini, e, a più lungo andare, anche delle articolazioni, per questa via acquisito: attraverso la sempre rinnovata elaborazione dei perfezionamenti così ereditati per mezzo di nuove, e sempre più complicate, operazioni".

Ma la mano non è un organo isolato; essa fa parte di un organismo unitario, altamente organizzato nella scala del mondo animale. Perciò quanto è acquisito dalla mano è, al contempo, acquisito per il corpo tutto, e per quella parte di esso che presiede a tutte le funzioni della cosiddetta coscienza, cioè il cervello.

E la mano non è solo l'organo del lavoro, ma ne è anche il prodotto. Dunque, è il lavoro il presupposto fondamentale di tutta la evoluzione "umana" e sociale dell'animale-uomo: anzi un fattore così importante, che si può senz'altro affermare che il lavoro ha creato lo stesso uomo.

Utensile e arte

Il lavoro, il processo lavorativo, comincia con la preparazione di mezzi di lavoro, di strumenti. La preparazione dell'utensile costituisce la prima produzione, rozzamente ma propriamente umana. Giustamente Marx approva e sottolinea, sotto tale aspetto, la scultorea formulazione di Franklin, il quale definisce l'uomo "un animale che fabbrica strumenti". Ma l'attività che l'uomo svolge e che estrinseca nel processo lavorativo non è un'attività "individuale", bensì un'attività "sociale"; genuinamente sociale. Non solo, ma nel produrre lo strumento l'uomo realizza questo e nel contempo produce anche il linguaggio. Quest'ultimo quindi non è una facoltà "umana" in senso astratto, ma il prodotto di tutta una evoluzione fisico-sociale dell'uomo. Le bestie non hanno nulla da dirsi, non perché manchino di mezzi espressivi, ma perché sono impotenti ad esplicare e non esplicano il processo lavorativo.

E' proprio l'attività produttiva dell'utensile che produce nuovi mezzi di espressione, nuove forme di intesa; che forma e arricchisce col suo sviluppo crescente il linguaggio, facendolo progredire dai primitivi spunti inarticolati fino alla forma più evoluta, all'astrazione. Così lo stesso processo di formazione e arricchimento storico del linguaggio (mezzo indispensabile per qualsiasi forma d'arte, se inteso nella più lata accezione) non è alla fine che un risultato del processo di sviluppo della tecnica produttiva umana. Si rileva, incidentalmente, come sia profondamente fuori strada la tesi che, scartando il fattore del processo lavorativo, fonda l'evoluzione del linguaggio (dai primi gesti e sibili inarticolati alla parola articolata e distinta) su sensazioni, impulsi, stati d'animo, come la fame, il bisogno sessuale, il dolore, la gioia, la collera, ecc. Tutte queste cose, senza il processo lavorativo, non hanno assolutamente bisogno di mezzi di espressione e di comunicazione elaborati. Gli animali non recitano poesie come gli uomini, non perché non sanno comporre versi, ma perché essi sono completamente estranei ai bisogni della loro vita, del loro dinamismo animale.

Ripasso al caposaldo

Ricollegato tutto il successivo processo di sviluppo sociale dell'uomo al punto di partenza, al processo lavorativo, torna automatica la deduzione che la storia dell'utensile (e in generale della tecnica produttiva) diviene il compendio generale unico di tutta la storia della specie. Appare inoltre ribadita la necessità che ogni indagine che miri alla ricerca dell'apparire, dell'evolversi e dello scomparire di determinate forme della vita sociale, della "coscienza" sociale, deve immancabilmente partire dalla sua base materiale: dal grado di sviluppo storico raggiunto dalle forze produttive.

Corrispondentemente, e di conseguenza, ogni manifestazione artistica, ogni produzione di oggetti artistici (compresi in un certo periodo storico), debbono essere indagate e spiegate attraverso l'anatomia sociale del periodo dato.

Società e arte

Quanto detto chiarisce sufficientemente il tema del carattere di tutte le opere artistiche, del rapporto tra società ed arte. Il carattere di tutte le opere artistiche, in riferimento sia alla forma che al contenuto, è organicamente legato al modo sociale di vivere delle collettività umane, così come questo dipende dalla organizzazione delle risorse produttive. Tanto ogni forma d'arte, quanto ogni prodotto artistico, è un prodotto del suo tempo. Questo vale in generale per tutte le varie forme d'arte: le forme primitive (danza, tatuaggio, ecc.), la pittura, la poesia, la architettura, la musica, ecc., e ancor più per quelle forme d'arte, come per esempio la poesia oppure la musica, che, a differenza di altre, come l'architettura, sembrano distaccarsi da una determinata base materiale per vivere l'apparenza di una specie di vita autonoma. La differenza fra la poesia di Omero, Virgilio, Dante, Goethe, ecc., non è che la differenza fra le epoche nelle quali essi vissero.

La correlazione tra società ed arte e la premessa (che qui solo si enuncia) della natura sociale (e impersonale) della conoscenza umana, unicamente legata allo sviluppo delle forze produttive, impongono inoltre che l'indagine escluda l'intervento di azioni prodigiose di singoli uomini, di genii, di creatori di capolavori, assunto come fattore dell'arte. Il ricorso a tale ritrovato è di fatto tipico della ideologia borghese, che in definitiva pone la coscienza dell'uomo a motore della storia.

Posta la coscienza come un ingranaggio che mille spinte esterne e forze oggettive contribuiscono a mettere in moto e come il riflesso di una data epoca storica (modo sociale di produzione), ne viene che la coscienza del cosiddetto genio o superuomo non è che il prodotto di un dato sviluppo storico delle società umane, poggiante su una data tecnica produttiva. Perciò, rovesciando i termini dell'espressione corrente, si può affermare che non è che ogni periodo storico trovi espressione in uomini illustri o sia rappresentato da uomini-tappa (storia crestomantica); ma, al contrario, ogni periodo storico produce uomini "illustri", dotati più o meno di talento (storia umana).

Ineguale sviluppo

Le sviluppo storico dell'arte, in tutte le sue forme, è contrassegnato non da un progressivo andare avanti, da un'ascesa continua sull'analogia del succedersi dei modi di produzione collegati ad una migliore organizzazione delle risorse tecniche, bensì da un andamento irregolare e disuguale. Vi sono periodi storici che presentano una fioritura artistica e letteraria mentre i sottostanti rapporti di produzione mostrano un limitato sviluppo e un modesto potenziale. Generi letterari come l'epopea greca, sorti sulla base di una struttura economico-produttiva relativamente sviluppata (in rapporto specialmente alle epoche successive), sono difficilmente riproducibili nella loro forma classica. L'idea di progresso non ha quindi nulla a che vedere con lo sviluppo dell'arte.

E questa ineguaglianza di sviluppo vale non solo nel rapporto interno fra le varie forme d'arte, ma anche nel rapporto totale dell'arte con lo sviluppo generale della società. (Su questo punto, cfr. Marx nell'Introduzione alla Critica dell'economia politica).

Capitalismo, vivisezione dell'uomo

Lo sviluppo della società di classi culmina nel modo di produzione capitalista. Questo costituisce, dal punto di vista economico (produttività del lavoro), la più altamente sviluppata delle forme sociali antagoniste. Come tale, tuttavia, non può dirsi altrettanto favorevole alla fioritura dell'arte e della letteratura. Nella società del capitale accade che tutte le relazioni fra gli uomini e fra questi e la natura si presentino in maniera capovolta, come rapporti fra cose, merci. Le stesse relazioni umane diventano molteplici e mobilissime. L'unità della coscienza e la generalità del sapere (anteriormente dominanti) si frantumano: l'individuo si particolarizza al massimo. Più il prodotto domina i produttori, più aumenta l'alienazione dell'uomo.

Così, mentre all'inizio del suo ingresso storico il modo di produzione capitalistico si esprime per bocca e ad opera di uomini che tutto sono fuorché dei borghesi "limitati nel senso borghese", in seguito la intensificazione della divisione sociale del lavoro, la specializzazione spinta agli estremi, la sua continua esasperazione, il particolarismo della vita quotidiana, producono il rimpicciolimento dell'angolo visuale dell'uomo e l'ottundimento delle sue stesse capacità di cogliere e rappresentare la realtà oggettiva.

D'altro canto la borghesia (in ciò non diversamente dalle altre classi egemoniche) assoggetta a sé tutti gli artisti, i poeti, gli scienziati, ecc.: ne fa dei suoi salariati. Li lega col vincolo spietato del denaro. L'arte e la letteratura diventano una merce (in conformità a tutto il processo generale della società borghese), e come merci essi vivono la loro esistenza borghese.

Le specie d'arte

Lo spunto sull'irregolare sviluppo dell'arte e della letteratura riporta il discorso alle loro origini al fine di precisare il significato che a questa espressione è attribuito nell'uso corrente. La parola "Arte" proviene dal vocabolo latino ars. Originariamente, significava opera dell'uomo, in quanto contrapposta, distinta e diversa dall'"operare" della natura. L'arte rappresenta l'attività umana di fronte e contro ai processi ignoti e indominati della natura. Così, arte è produrre; arte è mestiere; arte è cucinare; ecc. L'insieme delle arti equivale a ciò che "modernamente" si designa con le espressioni di civiltà o storia. Anche la parola greca tecnè (tecnica) ha press'a poco lo stesso significato, cioè esprime una certa attività umana, ed anche un certo metodo; una certa abilità; un modo di produrre qualche cosa secondo un metodo. E, nel significato più evoluto ed "astratto": abilità ed esperienza assimilate in teoria.

L'evoluzione successiva del significato dei due termini è caratterizzata dal progresso continuo della distinzione dell'arte dalla tecnica produttiva, dalla separazione dell'arte dal processo produttivo materiale. Al suo pieno sviluppo questa evoluzione rappresenterà l'arte come cosa diversa e distinta dalla tecnica produttiva; come realtà a sé stante

Detta separazione, già risultato di una distinzione operatasi nella realtà, costituirà a sua volta la matrice di ulteriori distinzioni e sottodistinzioni, riflettenti lo smembramento del mondo organico della produzione e delle relazioni umane. Così, nell'epoca moderna, l'espressione "arte" serve ad indicare le manifestazioni dell'attività umana "nel campo del sentimento e della immaginazione". Arte indica allora, in pratica, le cinque arti: la poesia, la musica 1'architettura, la scultura e la pittura. La pratica stessa tuttavia è venuta sempre più a contrapporre il concetto di arte a quello di letteratura. La letteratura in tal modo viene separata dall'arte sulla base del criterio discriminante che forme d'arte sono quelle che constatano mediante la vista (architettura, scultura, pittura e loro derivati), forme di letteratura sono quelle che si concretano nella scrittura (poesia, romanzo). Le prime sono dette arti plastiche o figurative; le seconde "belle lettere". Appare evidente, però, che il significato così preso dalle due espressioni lascia fuori altre forme (per esempio la musica), né giova alla classificazione delle varie forme d'arte. Ciò riguarda soprattutto il cinema, che tutti ritengono una forma d'arte.

L'utensile è arte

La produzione dei primi strumenti può essere considerata come la prima produzione "artistica". L'uomo primitivo mette in atto un processo di elaborazione e adattamento che sfocia in un prodotto, in un oggetto. Nel far ciò, egli agisce sulla materia circostante e tenta di adattarla nelle forme grezze che gli sono consentite, e renderla idonea ai propri bisogni. E, ciò facendo, è "artista".

Arte è la produzione dello strumento dell'"oggetto artistico", arte è l'operare produttivo dell'uomo; "oggetto artistico", il risultato di questa attività. Arte è l'abile trasformazione del mondo circostante, l'arma della collettività nella sua lotta per l'esistenza. Nella produzione dell'utensile, nell'estrinsecazione di questa attività lavorativa necessaria e a un tempo unitaria, non è rintracciabile alcuna idea "del bello" anteposta o posposta all'operare dell'uomo.

Così, tanto il movimento ritmico della comunità quanto limitazione, originariamente rappresentavano il tentativo di assimilare la natura, "il piano" per dominare il mondo esterno, che nella magia assurge a tentativo di incanto della natura. (Lo stregone che esorcizza esprime lo sforzo della collettività primitiva di incantare la natura, di soggiogarne le forze "misteriose").

Così intesa, l'arte è espressione organica della produzione, e nelle varie forme (linguaggio, danza, canto ritmico, tatuaggio, rito magico, ecc.) costituisce un aspetto e un fattore della produttività del lavoro sociale: quindi un fattore di elevamento dei gruppi umani (collettività) sul restante regno animale e sulla natura in generale.

Sia detto di passaggio, quanto esposto confuta ogni teoria che derivi 1'arte sia dall'istinto dell'ornamento sia dall'istinto del giuoco, e così via. Perfino la concezione dell'arte come giuoco, inteso quest'ultimo quale preludio al lavoro, enunciata da Plekhanov, deve essere respinta. Nel suo saggio sul Cernicevsky, Plekhanov, dopo aver demolito le estetiche di Kant e Schiller (secondo i quali l'arte è un giuoco, un divertimento estetico) e riportato l'arte alla sua fonte, il lavoro, sostiene tuttavia che 1'arte proviene dal giuoco inteso come preparazione dei giovani ai compiti sociali futuri.

Arte, industria dell'uomo nella natura

All'origine, quindi, nelle comunità primitive, esiste completa unità di arte e industria nel senso generale di attività produttiva umana e unità piena di mano e cervello. La mano insegna alla testa; questa, a sua volta, alla mano.

Dato però il basso livello della tecnica, la capacità e possibilità dell'uomo di trasformare e appropriarsi la natura non sono tuttora che insignificanti. Perché acquistino significato e potenza, occorrerà tutto un lungo processo storico, in cui stanno allineate in senso necessario ed avanzante tutte le forme sociali antagonistiche, fino all'ultima: il capitalismo.

Il comunismo porterà al massimo quelle capacità e possibilità. La specie umana, finalmente signora delle leggi che governano lo sviluppo sociale, sarà in grado di dominare realmente la natura. L'arte allora si confonderà con 1'industria, cioè con la produzione sociale: non sarà altro che l'industria dell'uomo nella natura.

Evoluzione, sociale ed arte

Già il passaggio dalle tribù di cacciatori alle tribù dedite all'agricoltura, che comporta un progresso notevole nel grado di organizzazione delle forze produttive sociali, segna un cambiamento nella cosiddetta arte ornamentale di questi gruppi umani. Le tribù di cacciatori usano un'arte ornamentale ispirata al regno animale e alla caccia. Quelle dedite all'agricoltura, per contro, presentano un'arte ornamentale legata al regno vegetale, e alla coltivazione.

Tuttavia occorrerà un lungo percorso perché l'arte si distacchi dal processo produttivo, e acquisti una configurazione distinta e particolare. Sarà necessario che la testa si dissoci dalla mano, perché possa contemplare in modo "astratto"; perché il pensiero si senta autonomo dai processi di lavoro. Occorrerà in altri termini la divisione sociale del lavoro: la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. E' spianata in tal modo la via all'inizio dello stadio umano delle formazioni sociali classiste.

"La divisione del lavoro – dice Marx – diventa una divisione reale solo dal momento in cui interviene una divisione fra il lavoro manuale e il lavoro mentale. Da questo momento in poi la coscienza può realmente figurarsi di essere qualche cosa di diverso dalla coscienza della prassi esistente, concepire realmente qualche cosa senza concepire alcunché di reale: da questo memento la coscienza è in grado di emanciparsi dal mondo e di passare a formare la 'pura' teoria, teologia, filosofia, morale, ecc.".

La dissoluzione della società gentilizia e delle forme comunitarie con l'avvento della società divisa in classi, modifica il rapporto tra produzione intellettuale e produzione materiale, fra arte e processo lavorativo. Quest'ultimo, che dapprima era svolto dalla collettività e per la collettività, si frantuma. Una parte della società è costretta a produrre tutto ciò di cui abbisognano gli strati che si sono staccati dal processo lavorativo, e questi possono disporre di abbondanti prodotti del lavoro, senza doverne effettuare. Le classi sociali mediano, in tal modo, il potere dell'uomo sulla natura.

Mutevole idea del bello

Nascono i primi insegnamenti estetici e l'idea stessa del "bello". Questo non è né una categoria soggettiva., né una categoria oggettiva, una qualità intima delle cose, ma al contrario può rappresentarsi come il risultato di un lungo processo di sviluppo della attività produttiva; inseparabile, d'altronde, dalla continua evoluzione e dalla stessa diversità di concezione nascenti dalla divisione in classi della società. Così, per Socrate, bello è ciò che è conforme allo scopo; per Platone, bello è la sostanza, l'idea; ed è una cosa successivamente diversa per Aristotele, Plotino, Kant, Hegel e così via.

Il lavoro artistico si sviluppa con la divisione sociale del lavoro e si intensifica con l'intensificarsi di quella. Dapprima (come in Egitto, Grecia, e nella stessa Roma), esso non ha migliore considerazione di quello dei liberi artigiani, anzi è reputato vile. Poi viene sempre più apprezzato, in relazione alle esigenze e ai bisogni delle classi dominanti.

Con la rivoluzione borghese e la creazione del mercato mondiale, gli stessi limiti ambientali e geografici nazionali tendono a modificarsi e l'arte e la letteratura perdono sempre più il loro carattere isolato e strettamente locale.

Ma è sulla base di questa società – che spinge al massimo la separazione della produzione spirituale da quella materiale – che si produce l'isolamento dell'artista. Così Marx esprime la cosa nell'Ideologia Tedesca: "La concentrazione esclusiva del talento artistico in alcuni individui e il suo soffocamento nella grande massa, che ad essa è connesso, è conseguenza della divisione del lavoro. Anche se in certe condizioni sociali ognuno fosse un pittore eccellente, ciò non escluderebbe affatto la possibilità che ognuno fosse anche un pittore originale, cosicché anche la distinzione tra lavoro umano e lavoro unico si risolve in una pura assurdità.

In una organizzazione comunistica della società in ogni caso cessa l'assoggettamento dell'artista alla ristrettezza locale e nazionale, che deriva unicamente dalla divisione del lavoro, e l'assoggettamento dell'individuo ad una arte determinata, per cui egli è esclusivamente un pittore, uno scultore, ecc.: nomi che già esprimono a sufficienza la limitatezza del suo sviluppo professionale e la sua dipendenza dalla divisione del lavoro.

In una società comunista non esistono pittori; ma tutt'al più uomini che tra l'altro dipingono".

Libero artista, dominatore il mercato

Mentre, tanto nell'antichità classica, quanto nel medioevo, la produzione artistica si svolge in stretta combinazione con la stessa vita statale in generale, nel capitalismo il letterato, l'artista sono proclamati liberi, indipendenti da qualunque classe sociale che eserciti il potere politico.

Ciò è pienamente conforme agli interessi di classe della borghesia, che rovesciando il sistema degli ordini feudali, viene a poggiare il potere dello stato non più sulla corona del monarca, bensì sulla volontà popolare (il potere dello stato risiede nel popolo, composto di individui, liberi ed eguali). Ma in realtà, nella società borghese tale libertà per l'artista, il letterato equivale né più né meno alla libertà di dipingere, di scrivere, ecc. per il mercato. I prodotti artistici di questi personaggi, pur non possedendo la caratteristica della esitabilità propria delle derrate alimentari, sono tuttavia merci al pari di queste ultime; e come tali condizionate e dipendenti, in tutto e per tutto, dalle leggi che governano il mercato.

Non sono quindi che pura ipocrisia le omelie che l'individualismo borghese tesse sulla libertà assoluta dell'artista, sull'indipendenza del letterato. Questi dipendono tanto dall'editore, quanto dal commerciante d'arte; in altri termini, da tutte le forze del mercato e della speculazione. E' dunque pura assurdità parlare di letteratura "libera", di arte "libera", in una società dove tutto è merce e tutto dipende dal denaro (forma tangibile dell'alienazione umana).

S'intende che la sottomissione dell'artista borghese a queste forze nasce non tanto dalla venalità in cui egli cade, quanto dalle condizioni oggettive del regime politico borghese.

Utile arte, serva del proletariato

Di fronte all'arte sedicente libera, in realtà legata indissolubilmente e necessariamente al sistema di vita borghese, e posta al suo servizio, è evidente la necessità di svolgere, in contrapposizione radicale ad essa, un'arte e una letteratura al servizio del proletariato rivoluzionario. I letterati, gli artisti, debbono mettersi al servizio della classe che lotta per la sua emancipazione; e, in quanto emancipazione del proletariato, ultima classe storica, per la emancipazione di tutta l'umanità.

La prima libertà dello scrittore – dice Marx – consiste nel non essere più lo scrivere un mestiere.

Quando nel 1852 fu sciolta la Lega dei Comunisti, Freiligrath si allontanò dal partito. Otto anni dopo (il 28 febbraio 1860) scriveva a Marx, per comunicargli le dimissioni ufficiali: "...Alla mia natura, come a quella di ogni poeta, è necessaria la libertà... Il partito è come una gabbia, e i canti, anche per il partito, è meglio cantarli fuori dalla gabbia... Sono stato un poeta del proletariato e della rivoluzione, prima di essere stato membro della Lega... Voglio continuare dunque a volare con le mie proprie ali, non voglio appartenere che a me stesso, e voglio disporre interamente di me!".

Nella sua risposta, Marx sottopone a una critica sferzante la "concezione" che Freiligrath ha della libertà, e infine gli ribatte che, lasciando il partito del proletariato, il poeta non va a cantare i suoi versi fuori dalla gabbia, ma al contrario, non fa altro che legarsi al partito borghese delle persone rispettabili.

Dieci anni dopo, nel 1870, prima ancora della Comune di Parigi. Freiligrath diventerà poeta della patria: cantore del nazionalismo prussiano.

Forma e contenuto

Mentre il pensiero borghese si dibatte nel dilemma di forma e contenuto, di apparenza e realtà, di coscienza ed essere, senza poterne venire a capo; la dialettica materialista ne raggiunge la comprensione integrale, e ne dà la soluzione, intendendo i due aspetti come momenti della realtà oggettiva, come prodotto della realtà. Il modo di presentarsi della realtà è organicamente inseparabile dall'essenza della realtà stessa, dalla sua struttura fisica.

Come nella natura, nel mondo reale, ogni movimento e processo materiale si svolge entro forme date, riflettenti la disposizione molecolare e 1'aggregazione atomica degli elementi componenti e delle loro proprietà fisico-chimiche, ecc.; così nel campo specifico dell'arte e della letteratura la forma riflette il contenuto; è legata dialetticamente ad esso; ne è inseparabile.

L'astrazione idealistica secondo cui la forma è un principio ordinatore, resta una astrazione, una pura idea.

Gli stessi processi naturali, e analogamente i processi sociali, si sviluppano entro forme che a un certo punto rappresentano lo stabilizzarsi di gradi di aggregazione della materia, o, analogamente, del grado di sviluppo delle forze produttive: le forme corrispondenti a questi processi si stabilizzano, diventano l'elemento conservatore entro i cui involucri rientrano gli ulteriori sviluppi.

Nel ristretto campo artistico, le forme esistenti (stabili) costituiscono, dapprima, e fino ad un certo punto, gli schemi entro i quali vengono sussunti contenuti nuovi. Esse si tramandano anche di generazione in generazione, come risultato di una lunga esperienza sociale e umana. Sotto questo aspetto, si può considerare la forma, in quanto strettamente dipendente dalla natura e proprietà della materia da cui si modella, come una esperienza sociale stabilizzatasi.

Valore storico-conoscitivo dell'arte

In quanto riflettenti un modo di vivere materiale determinato, 1'arte e la letteratura acquistano il valore di una forma specifica di conoscenza. Per mezzo loro il mondo oggettivo può essere "conoscibile" e anche lumeggiabile, rappresentazione per immagini (che avviene nella elaborazione artistica), racchiude e può racchiudere aspetti oggettivi della realtà materiale esistente al di fuori ed indipendentemente dalla coscienza dell'uomo.

Criterio di artisticità

La rappresentazione della realtà, quanto più è veridica e profonda, quanto più penetra l'essenziale, il tipico nei fenomeni e nei fatti, tanto più conferisce ai prodotti artistici il valore e il significato di "opere d'arte".

Il criterio di artisticità delle realizzazioni artistiche risiede nella loro idoneità a rispecchiare in modo profondo e veritiero la realtà nel suo processo di sviluppo, nel suo divenire storico.

Resta al di sotto di un tale realismo ogni naturalismo che si basi su una fotografia "obiettiva" della realtà; come pure ogni tendenza ad autonomizzare le forme in una sfera a sé stante, in un giuoco di linee, colori, note, parole, ecc., astratte (formalismo). Già a base della concezione estetica della Grecia schiavista, era posto il principio che 1'arte consiste nell'imitazione della viva realtà. Tanto per Platone quanto per Aristotele, l'arte è mimesi, rispecchiamento della realtà.

Ma, per stabilire in che modo questa riflette la vita reale, è necessario comprendere il meccanismo di sviluppo di questa vita stessa, il processo storico reale. Così, nelle società divise in classi, la lotta delle classi rappresenta il motore di questo meccanismo; la base su cui nascono e si sviluppano le idee stesse. L'epopea (società schiavista), la chanson de geste (società feudale), il romanzo (società borghese), sono le forme letterarie che meglio corrispondono ai bisogni delle rispettive classi dominanti.

Engels e il realismo

Nella lettera ad Harkness (aprile 1888) Engels così si esprime in merito al realismo: "A mio parere s'intende per realismo, accanto alla verità dei particolari, la fedele riproduzione di caratteri tipici in situazioni tipiche". Dopo aver lodato il lavoro di questa, nel criticarne gli aspetti deboli, Engels nota che mentre i personaggi sono abbastanza tipici, non lo sono altrettanto le circostanze che li circondano e li spingono ad agire. "La classe operaia – spiega Engels – vi è rappresentata in maniera passiva, senza che abbia la capacità di aiutarsi da sé ".

E nella lettera a Minna Kautsky (novembre 1885): "Trovo la solita netta individuazione dei caratteri. Ognuno è un tipo, ma anche nello stesso tempo un determinato uomo singolo, un "questo" come si esprime il vecchio Hegel, e così deve essere". Egli allude al romanzo I vecchi e i nuovi della Minna; e nel corso della lettera affronta altri aspetti dell'opera, soffermandosi anche sulla cosiddetta "arte a tesi" o di tendenza: "Io non sono affatto nemico della poesia a tesi... ma ritengo che la tesi deve scaturire dalla situazione e dalla azione, senza che vi si faccia cenno espressamente, e il poeta non è tenuto a mettere nelle mani del lettore la soluzione storica futura dei conflitti sociali, che egli rappresenta".

Il realismo, quindi, postula la conoscenza profonda della realtà, la riproduzione dell'essenziale, la rifrazione del tipico, del particolare che afferma il generale, della tendenza di sviluppo del processo storico.

Uomo e natura

L'uomo è una parte della natura. La sua vita materiale e spirituale è inseparabile dal mondo esterno, che ne costituisce il "corpo inorganico". Il processo lavorativo (industria) è il rapporto storico reale dell'uomo con la natura. Attraverso la conoscenza del mondo esterno, corpo inorganico dell'uomo, l'uomo impara a conoscere se stesso, la natura, nella sua totalità.

"L'uomo si impadronisce del suo essere universale afferma Marx , in quanto uomo totale. Ciascuno dei suoi rapporti umani con il mondo: vedere, udire, odorare, gustare, toccare, pensare, guardare, sentire, volere, agire, amare, in breve tutti gli organi della sua individualità, che sono immediati nella loro forma in quanto organi comuni, sono, nel loro rapporto obiettivo o nel loro comportamento davanti all'oggetto, 1'appropriazione di questo oggetto. L'appropriazione della realtà umana, il modo in cui essi si comportano di fronte all'oggetto, è la manifestazione della realtà umana".

Ma la conoscenza della natura umana, legata al grado di sviluppo storico dell'industria umana, raggiungerà (anzi potrà raggiungere) la sua forma generale e universale proprio (e solo) quando sarà superata la divisione tra produzione materiale e produzione intellettuale; la differenza tra lavoro manuale e lavoro mentale; tra attività produttiva materiale e attività artistica, letteraria, ecc. Allora 1'uomo si riapproprierà tutta la sua natura umana, e ristabilirà il collegamento oggettivo con la natura, suo corpo inorganico; in quanto ogni limitazione, a cui la sua condizione di operaio, di contadino, di proprietario di mezzi di produzione, di redditiero, di artista, poeta, letterato, ecc. lo sottomette, sarà scomparsa.

"Con la presa di possesso da parte della società dei mezzi di produzione scrive Engels è eliminata la produzione di merci e con ciò il dominio del prodotto sui produttori. E l'anarchia insita oggi nella produzione sociale è rimpiazzata da un'organizzazione cosciente e rispondente ad un piano determinato... La lotta individuale per l'esistenza finisce. Con ciò l'uomo per la prima volta si separa, in un certo senso, definitivamente dal regno animale, e passa da condizioni animalesche a condizioni di esistenza umane".

La testa si riunirà alla mano, la coscienza sociale non si rappresenterà che l'essere sociale in tutta la sua totalità, la prassi sociale sarà sintesi di vita e scienza sociale. Per la prima volta nella storia, il più grande sviluppo delle capacità materiali e intellettuali racchiuse nell'uomo sarà possibile. E con ciò il primo sviluppo della prima cultura veramente umana.

Ma il cammino necessario (e unico) che a tanto condurrà è tutto racchiuso nella vittoriosa rivoluzione proletaria; nell'erezione della dittatura di classe, nel suo esercizio ad opera esclusiva del Partito Comunista.

II. Lenin e la partiticità dell'arte

In organica continuità storica con la dottrina comunista, sistemata nella poderosa intelaiatura da Marx e da Engels durante tutto il ciclo di lotte iniziali del proletariato a fianco e contro la borghesia, Lenin sottolineerà punto per punto la visuale tracciata; e, in rapporto all'evolvere storico della battaglia di classe fra proletariato e borghesia sull'arena internazionale, sposterà 1'accento (relativamente alla questione in esame) sui compiti ai quali vanno chiamate e subordinate la letteratura e 1'arte. Nello scritto Organizzazione di partito e letteratura di partito, del novembre 1905, Lenin così definisce questi compiti: "La letteratura deve diventare di partito. In antitesi alle consuetudini borghesi, in antitesi all'arrivismo letterario e all'individualismo borghese, all' 'anarchia da signori' e alla corsa al profitto, il proletariato socialista deve proclamare il principio della letteratura di partito, sviluppare questo principio e attuarlo praticamente nella forma più compiuta ed organica".

L'arte e la letteratura, come ogni altra manifestazione ideologica, riflettono interessi particolari di determinate classi sociali, e di conseguenza riguardano direttamente il partito politico in quanto questo è emanazione e organizzazione della avanguardia cosciente della classe. Il cianciare borghese sulla libertà di creazione dell'artista costituisce una colossale menzogna impiegata a tutto danno del proletariato. Alla "reale" partiticità borghese dell'arte e della letteratura, più o meno velata da una tinta di "oggettivismo", coltivata nella serra calda dell'"Io" e del superuomo o misticamente appartata nel limbo dell'arte per l'arte, ecc., deve essere contrapposta frontalmente la partiticità proletaria; alla difesa e conservazione degli interessi della borghesia, l'aperta rivendicazione degli interessi generali e storici della classe operaia.

Lenin si sofferma inoltre a spiegare in che cosa consiste il principio della letteratura di partito: "... non soltanto nel fatto che per il proletariato socialista l'attività letteraria non può essere un mezzo di arricchimento, di singoli o di gruppi, ma anche nel fatto che essa non può essere in genere una attività individuale, avulsa dalla causa generale del proletariato. Abbasso i letterati senza partito! Abbasso i letterati superuomini! L'attività letteraria deve diventare una parte dell'azione generale del proletariato; una rotella e una vite dell'unico e grande meccanismo socialdemocratico [leggasi comunista], messo in moto da tutta 1'avanguardia cosciente di tutta la classe operaia. L'attività letteraria deve diventare parte integrante dell'azione organizzata, pianificata, unitaria del partito socialdemocratico".

Il Partito quindi si batte affinché la letteratura diventi un settore della causa generale del proletariato; un mezzo di lotta contro la borghesia al servizio del raggiungimento della finalità storica del proletariato, il comunismo.

Sul filo della corrente storica

Questa battaglia è ininterrotta, e come un filo conduttore unisce tutte le tappe e fasi del cammino rivoluzionario del Partito prima e dopo la rivoluzione d'Ottobre. Quando la Proletkult (letteralmente: cultura proletaria), organismo sorto nel 1917, diverrà nella Russia socialista la tribuna dalla quale specialisti della cosiddetta cultura proletaria metteranno in circolazione le loro idee piccolo-borghesi, presentandole o come novità o come prodotti di marca "proletaria", Lenin e il Partito non risparmieranno nei loro secchi interventi questo circolo dal nome pretenzioso, ma in realtà agente nel modo tipico della piccola borghesia intellettualeggiante.

Al primo congresso della Proletkult (8 ottobre 1920), dopo il discorso di apertura pronunziato da Lunaciarski (vecchio bolscevico, ma non poco succube delle "suggestioni dell'arte") il quale non si era uniformato alle istruzioni ricevute, Lenin interverrà per richiamare tutti i presenti ai capisaldi della dottrina comunista, alle necessità della battaglia in atto nella prospettiva internazionale del comunismo, e presenterà per farle approvare le seguenti memorabili tesi:

"1) Nella repubblica sovietica operaia e contadina, tutta la organizzazione dell'insegnamento, tanto nel campo dell'istruzione politica in generale, quanto e più in particolare in quello dell'arte, deve essere imbevuta dello spirito della lotta di classe del proletariato per la realizzazione vittoriosa dei fini della sua dittatura, cioè per l'abbattimento della borghesia, la soppressione delle classi e l'abolizione di ogni sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

2) Ecco perché il proletariato, rappresentato dalla sua avanguardia, il partito comunista, come dall'insieme delle diverse organizzazioni proletarie in genere, deve prendere la parte più attiva ed importante nell'opera dell'istruzione pubblica.

3) L'intera esperienza della storia contemporanea, e più particolarmente di oltre mezzo secolo di lotta rivoluzionaria del proletariato di tutti i paesi dopo la pubblicazione del Manifesto dei Comunisti, ha provato in modo inconfutabile che la concezione marxista è la sola espressione giusta degli interessi, dell'atteggiamento e della cultura del proletariato rivoluzionario.

4) II marxismo ha assunto una importanza storica mondiale in quanto dottrina del proletariato rivoluzionario per il fatto che, lungi dal rigettare le conquiste più significative dell'epoca borghese, ha assimilato, trasformandolo, tutto ciò che vi era di utile nello sviluppo più che bimillenario del pensiero e della cultura umana. Solo il lavoro ulteriore su questa base e in questo senso, animato dalla esperienza pratica della dittatura del proletariato, lotta finale contro ogni sfruttamento, può essere riconosciuto come costituente lo sviluppo di una cultura realmente proletaria.

5) Attenendosi incrollabilmente a questi principii, il congresso pan-russo della Proletkult respinge risolutamente come teoricamente erroneo e praticamente nocivo ogni tentativo di inventare una cultura sua propria e particolare, di chiudersi nelle proprie e particolari organizzazioni, di delimitare i campi di azione del commissariato del popolo alla istruzione pubblica e della Proletkult ecc.; o di consacrare l'autonomia della Proletkult entro le istituzioni del Commissariato all'istruzione pubblica e altrove.

Al contrario, il Congresso fa obbligo assoluto a tutte le organizzazioni della Proletkult di considerarsi interamente come organismi ausiliari della rete di istituti del Commissariato del popolo all'istruzione pubblica e di assolvere i loro compiti, parte integrante dei compiti della dittatura del proletariato, sotto la direzione generale del potere dei Soviet (e più specificamente del Commissariato all'istruzione pubblica) e del Partito Comunista di Russia".

Nella prospettiva comunista

Già l'anno prima, durante l'infuriare della guerra di classe sui fronti interni della repubblica sovietica, il partito, nonostante le difficoltà enormi insite nella situazione, non aveva mancato di mettere a nudo le idee di tutti gli intellettuali che, intrufolatisi nelle organizzazioni operaie (o rimasti al di fuori delle stesse) vi contrabbandavano, sotto il pretesto dell'arte proletaria, i pregiudizi della piccola borghesia.

Al primo congresso pan-russo dell'educazione extrascolastica (dopo aver messo in evidenza gli infiniti legami, "di corda e di ferro", mediante i quali il vecchio sistema di cose tiene avvinta la Dittatura del Proletariato) Lenin denunzia come un primo ostacolo al percorso rivoluzionario in Russia l'influenza che sulle moltitudini esercitano gli intellettuali borghesi e piccolo-borghesi: "Questi considerano le istituzioni educative degli operai e dei contadini come il campo di azione più propizio alle loro invenzioni personali nel campo della filosofia o in quello della cultura; le smorfie più assurde vi sono spesso rappresentate come qualcosa di nuovo, e, sotto il pretesto di un'arte puramente proletaria, e di una cultura proletaria, si è presentato qualcosa di inimmaginabile e di assurdo".

Di fronte a tutto ciò si impone che il Partito eserciti severamente il suo potere di controllo e di intervento, pur senza perdere per un attimo di vista che la possibilità di superare le difficoltà generali della situazione (il bassissimo livello storico della cultura degli operai e dei contadini) dipendono dalle vicende e dal corso della rivoluzione in Europa, dalla indispensabile vittoria del proletariato nei maggiori paesi capitalistici e in particolare in Germania.

L'analfabetismo della maggioranza della popolazione russa ha la sua radice nel basso livello delle forze produttive. Queste sono il risultato di tutta la storia economico-politica del paese, della base "infima" da cui la rivoluzione socialista deve partire nel condurre a termine le trasformazioni economiche. Le distruzioni e le rovine della guerra aggravano questo stato di cose; mentre lo sviluppo lento e tortuoso della rivoluzione anticapitalistica in Europa complica ancor più la difficile situazione interna. Di conseguenza i compiti non possono essere che elementari, e i passi realizzabili in campo economico assai ridotti. Perciò, facendo il punto sul bassissimo livello culturale delle masse nel gennaio 1923 in rapporto ai bisogni dello sviluppo economico e della ricostruzione generale, di fronte a coloro (artisti e letterati) che parlano di cultura proletaria, Lenin ripete: "Mentre noi ciarliamo sulla cultura proletaria e sui suoi rapporti con la cultura borghese, i fatti ci portano cifre che mostrano che, anche per la cultura borghese, la situazione non è affatto brillante da noi. Come bisognava attendersi, siamo ancora molto in ritardo nella liquidazione dell'analfabetismo e anche il nostro progresso in rapporto al periodo zarista (1897) è troppo lento. Ciò è un monito severo all'indirizzo di coloro i quali navigavano e navigano nell'empireo della 'cultura proletaria'. Ciò mostra quali compiti ostinati ed elementari ci attendono ancora per raggiungere il livello di un comune stato civile dell'Europa occidentale. Ciò mostra inoltre quanto lavoro ci attende affinché, sulla base delle nostre conquiste proletarie, raggiungiamo realmente un certo livello culturale".

La rivoluzione ha dissolto tutti i rapporti politici e sociali del vecchio regime; ha trasferito il potere politico al proletariato, il quale esercita la sua dittatura di classe per mezzo del Partito Comunista; ma l'insieme delle forme economiche e produttive ereditate dal passato è tale che i compiti da assolvere sono ancora primordiali. Un'ultima citazione di Lenin serve bene a cogliere la caratteristica storica del trapasso: dopo avere sottolineato l'esigenza di base che i maestri vengano posti su un livello sufficiente (senza di che non potrà parlarsi di cultura in genere e tanto meno di cultura borghese o proletaria) Lenin rischiara la situazione presente alla luce di tutto il processo storico russo: "Si tratta – egli spiega – di quella deficienza della cultura semi-asiatica, da cui finora non siamo usciti, e da cui non possiamo uscire senza sforzi seri, pur avendo le possibilità di uscirne... La classe operaia che detiene il potere politico comprende molto bene nella sua maggioranza che non solo manca di cultura, ma che ha bisogno prima di tutto di imparare a leggere e a scrivere... ".

Sulla stessa rotta

A queste direttrici di marcia rimane legato Trotsky, che per tutta la fase delle lotte intestine nel PCR rappresenta il continuatore della stessa battaglia e, durante tutto questo scorcio, batte la pista classica dell'avanguardia comunista rivoluzionaria.

Nell'introduzione a Letteratura e rivoluzione (scritto nel 1923) egli ribadisce la lezione di Lenin nei confronti della "cultura proletaria" e dell'"arte proletaria". Anzi, polemizzando con le già dette correnti, non si limita ad una confutazione che stia sul piano esclusivo delle condizioni storiche di allora e metta a nuda e stigmatizzi in rapporto ad esse le pretese assurde dei fautori della proletkult, che non vedono o fingono di non vedere le stato di profonda ignoranza in cui vive la maggioranza della popolazione russa; ma spinge la messa a punto sul piano dell'analisi storica "comparata" e della prospettiva dottrinale:

"E' fondamentalmente falso contrapporre all'arte borghese e alla cultura borghese la cultura proletaria e 1'arte proletaria. Quest'ultima in generale non ci sarà, perché il regime proletario è un regime transitorio. La vittoria storica e la grandezza morale della rivoluzione proletaria consistono nel fatto di porre le fondamenta di una cultura non classista, di una cultura per la prima volta veramente umana".

La critica e l'attacco alle pretese letterarie della proletkult divengono in tal modo completi. Ma non lo sono meno la critica e 1'attacco al futurismo e a Majakowski. Questi respira ancora 1'aria di circolo propria degli intellettuali e, "dedicandosi" al futuro, non vede come questo esiga (essenzialmente ed immancabilmente) 1'acquisizione da parte delle masse analfabete dell'istruzione elementare, l'elevazione del livello culturale in cui la vita semi-barbara delle masse contadine s'è svolta. Trotsky ribadisce quindi che l'arte e la cultura non possono che desumersi da questo processo materiale e per nessun motivo dalle opinioni di artisti e letterati che la rivoluzione "ha sconvolto più che trascinato".

Partito - Stato - Artisti

La polemica contro la proletkult e il futurismo (non le sole né le peggiori fra le correnti artistiche operanti allora in Russia) introduce già il tema dei rapporti tra Partito-Stato e artisti-letterati. Questi vengono così formulati da Trotsky: "La nostra politica culturale può e deve tendere nel periodo di transizione a dare la possibilità a tutti i raggruppamenti e le correnti artistiche che si sono posti sul terreno della rivoluzione di comprendere il vero significato storico del nostro tempo, e a porre categoricamente dinanzi a tutti questi raggruppamenti il criterio: per la rivoluzione o contro la rivoluzione; e così sul piano della autodecisione artistica sarà lasciata loro piena libertà ".

Ma tale criterio sarà ancor meglio precisato nella polemica coi formalisti. Questi ultimi per bocca di Sklovski agitavano il loro credo artistico (secondo il formalismo, l'arte consiste in pure forme; la sua essenza è la forma. Per esempio: la poesia non è che una combinazione di vocali e lettere; la pittura un giuoco di colori; ecc.) compendiandolo nello s1ogan: "L'arte è sempre stata libera dalla vita e il suo colore non ha mai riflettuto il colore della bandiera che sventolava sulla fortezza della città". Contro i formalisti, Trotsky deve osservare prima dì tutto che le dispute tra arte pura e arte di tendenza non riguardano la dialettica materialista, ma il campo specifico di polemica tra liberali e populisti (e fra questi ultimi il pure avanzatissimo Cernicevsky). "Da un punto di vista di un processo storico oggettivo – Trotsky spiega – l'arte è sempre socialmente serva e storicamente utilitaria": ne consegue che ogni classe sociale (intesa in senso storico) ha e svolge una propria politica artistica. Dopo questa necessaria premessa, egli sviluppa il concetto della politica artistica, come è e deve essere esercitata dallo stato del proletariato: "La concezione marxista della dipendenza e utilità sociale oggettiva dell'arte tradotta nel linguaggio della politica non significa affatto desiderio di dominare per mezzo di decreti e di ordini. Non è vero che noi consideriamo nuova e rivoluzionaria solo quell'arte che parla dell'operaio, ed è un controsenso affermare che pretendiamo che i poeti descrivano immancabilmente le ciminiere di una fabbrica o la rivolta contro il capitale! Indubbiamente la nuova arte non può che porre la lotta del proletariato al centro della sua attenzione". Il criterio dunque a cui si ispira la politica artistica dello stato proletario può così enunciarsi: il Partito Comunista che dirige la dittatura del proletariato tollererà solo l'attività artistica e letteraria che sì ponga a servizio degli interessi generali della rivoluzione, e stia in rapporto di conformità col comunismo.

Ora il tentativo stesso (insito nell'atteggiamento dei formalisti, dei fautori dell'arte pura, ecc.) di "rendere" 1'arte indipendente dalla vita, dal processo sociale, di "autonomizzarla" dai bisogni materiali della società, costituisce un indice evidente di declino e di degenerazione intellettuali. Davanti a questi "fenomeni" patologici, inseparabili dal sistema della divisione della società in classi (pur restando chiarissimo per i comunisti che il Partito è la guida del proletariato e non del processo storico), il Partito non esiterà a prendere una posizione ben precisa e autoritaria. Trotsky è quindi esplicito nell'avvertire che: "Se la rivoluzione ha il diritto di distruggere ponti e monumenti artistici quando è necessario (anche se ciò desti 1'orrore ' sacro' di un compagno Lunaciarski) tanto meno esiterà ad attaccare una qualsiasi tendenza artistica, che, a prescindere dai suoi risultati sul piano della forma, minacciasse di apportare degli elementi di decomposizione nel1' ambiente rivoluzionario, o di spingere l'una contro 1'altra le forze interne della rivoluzione... Il nostro è un criterio espressamente politico, imperioso ed intollerante ".

La conclusione finale di Trotsky, su tutti gli aspetti generali che caratterizzano la situazione post-rivoluzionaria, e i bisogni da essa nascenti, è sempre quella, la stessa di Lenin. La Russia, nel campo della cultura generale (livello culturale medio), ha davanti a sé compiti di natura basilare. Il proletariato rivoluzionario non può far piani arieggianti una pretesa cultura proletaria cui mancano persino le fondamenta, ma deve assimilare prima di tutto, in modo pianificato e critico, gli elementi indispensabili della cultura esistente per elevare le masse analfabete dallo stato di semi-barbarie in cui hanno vissuto. Imparare a leggere e a scrivere è dunque il primo passo da compiere: un passo elementare, certo, ma essenziale e necessario allo sviluppo della rivoluzione, al raggiungimento della prospettiva reale di una cultura veramente umana, che solo nel comunismo la specie potrà conoscere e possedere.

Abbasso i piagnistei sulla cultura

A chiusura del rapido cenno sull'opera e la battaglia degli artefici della Rivoluzione d'Ottobre, riportiamo un passo di Trotsky (ripreso dallo scritto Lenin del settembre 1924) premettendogli solo il titoletto in epigrafe in cui si accomunano tutti i piagnistei (oggi di partiti interi) di ieri, di oggi e di domani.

"... Durante le critiche giornate della fine del 1917 e del principio del 1918, quando a Mosca si tirava sul Cremlino, quando i marinai (il fatto è accaduto, ma non così spesso come la calunnia borghese ha preteso) spegnevano le loro sigarette schiacciandole sugli arazzi, quando i soldati si diceva si facevano delle mutande molto comode e poco pratiche con le tele di Rembrandt (erano questi i motivi di piagnisteo che riferivano a Gorki i rappresentanti in lacrime di un' 'alta intellettualità' durante quel periodo, Gorki fu completamente disorientato e cantò il requiem disperato della nostra civiltà. Orrore e barbarie! I bolscevichi rompevano tutti i vasi storici, vasi da fiori, vasi da cucina, vasi da notte... E Lenin rispondeva: ne sfasceremo finché ce ne sarà bisogno e se ne sfasceremo troppi la colpa sarà degli intellettuali che seguitano a difendere delle posizioni insostenibili.

... Mi viene ora in mente un proletario di Pietroburgo, un certo Voronzof, che nei primi tempi dopo Ottobre si trovò vicino alla persona di Lenin, come guardia e collaboratore. Quando ci preparavamo a lasciare Pietroburgo, Voronzof mi disse con voce cupa: 'Se per disgrazia prendessero la città, ci troverebbero molte cose. Bisognerebbe far saltare tutta Pietroburgo con la dinamite'. 'E non rimpiangereste Pietroburgo, compagno Voronzof?' chiesi io, ammirando l'audacia di quel proletario. 'Perché? Quando ritorneremo ricostruiremo qualcosa di meglio'.

... Ebbene, ecco la maniera migliore di considerare la cultura. Non c'è traccia di piagnisteo, non di un requiem. La cultura è opera di braccia umane. E non risiede affatto nei vasi istoriati che la storia ha conservato, ma in una buona organizzazione del lavoro delle teste e delle braccia. Se sulla via di questa buona organizzazione si trovano degli ostacoli, bisogna eliminarli. E se si è costretti a distruggere alcuni valori del passato, bisogna distruggerli senza esitare, senza piangere lacrime sentimentali".

III. Rivoluzione e controrivoluzione

La Rivoluzione d'Ottobre, il più grande avvenimento della nostra epoca, non era tuttavia che l'inizio della rivoluzione internazionale del proletariato. La sua vita e il suo sviluppo erario indissolubilmente legati alle sorti della rivoluzione nel resto del mondo. Questa era la chiara prospettiva di tutti i rivoluzionari comunisti, e costituiva il nodo centrale di tutti i loro sforzi e di tutte le loro speranze. Ma la sconfitta della rivoluzione proletaria nell'Occidente europeo, e il suo strozzato svolgimento nell'Oriente asiatico (Cina) – durante un ciclo (1923-1927) il cui primo tremendo sussulto è segnato dalla disfatta rovinosa del proletariato tedesco (ottobre 1923) e l'ultimo dal massacro degli operai di Canton (1927) –, aprono il periodo di ripresa delle forze antiproletarie ed anticomuniste.

Dopo la sconfitta del proletariato tedesco il processo interno della controrivoluzione in Russia comincia rapidamente a svilupparsi; e, alimentandosi alla crescente pressione del prevalente elemento piccolo-borghese, assume proporzioni sempre maggiori fino a prendere un corso di irreversibile inesorabilità. Sotto le mentite spoglie della "continuità bolscevico-leninista" viene attuata la falsificazione più impudente della dottrina comunista; e la reazione teorica e politica si spinge fino alla distruzione fisica dell'avanguardia rivoluzionaria. Abbandonata la prospettiva internazionale della rivoluzione socialista, vi si sostituisce la bolsa, ed antirivoluzionaria per eccellenza, "teoria" dell'edificazione isolata del socialismo. Ogni legame è così rotto col principio del carattere internazionale della rivoluzione e del socialismo; con la stessa àncora di salvezza della Rivoluzione di Ottobre.

Un'opera di revisione generale del programma di classe rivoluzionario viene imbastita dai rappresentanti della "nuova teoria", dagli edificatori del socialismo in un solo paese (o dai nazional-socialisti). Le questioni fondamentali di dottrina vengono radicalmente distorte e contraffatte, e tutto ciò contrabbandato come "sviluppo originale" del marxismo-leninismo. La rivoluzione socialista d'Ottobre, rimasta isolata, è persa: il proletariato russo e mondiale sono sconfitti. La controrivoluzione interna (stalinismo) deforma la teoria e uccide i comunisti: la Russia si avvia inesorabilmente al capitalismo (avvenimento tuttavia positivo ed avanzato nell'area geografica in cui si svolge).

Stalin e il "realismo socialista"

Datisi a costruire il socialismo, e in pieno clima di euforia edificazionista, i "pianificatori staliniani" lanceranno il metodo del cosiddetto "realismo socialista".

Esso verrà adottato ufficialmente dagli scrittori russi nel 1934. Sarà Gorki ad illustrarlo al I Congresso degli scrittori sovietici (agosto 1934), riassumendolo in queste parole: "II realismo socialista afferma l'esistenza come azione, come creazione, stabilisce che il suo scopo è l'incessante sviluppo delle più preziose attitudini individuali per la vittoria dell'uomo sulle forze della natura, per la sua salute, per la sua grande felicità di vivere su una terra che 1'uomo, in base all'incessante aumento delle sue esigenze, vuole lavorare a trasformare in una splendida abitazione dell'umanità unita in una sola famiglia".

Ma 1'essenza del metodo e i suoi caratteri sono meglio precisati in un paragrafo inserito nello statuto dell'unione degli scrittori, in cui si legge che: "Il realismo socialista essendo il metodo fondamentale della letteratura sovietica e della critica letteraria, richiede all'artista una rappresentazione veritiera, storica, concreta della realtà nel suo sviluppo rivoluzionario. La veridicità e la concretezza storica della rappresentazione artistica della realtà debbono associarsi al compito di trasformare ideologicamente ed educare i lavoratori nello spirito del socialismo".

Una specificazione ulteriore del metodo, e una definizione ancor più generale, si ritrovano nell'intervento di Zdanov al congresso sopraddetto là dove egli tenta di darne una formulazione completa, inclusiva dei suoi due momenti intrinseci, realismo e romanticismo: "Noi diciamo che il realismo socialista è il metodo fondamentale della letteratura sovietica e della critica letteraria, e questo presuppone che il romanticismo rivoluzionario deve entrare nella creazione letteraria come una parte integrante, poiché tutta la vita del nostro partito, tutta la vita della classe operaia, e la sua lotta, consistono nell'unione del lavoro pratico, più lucido e rigoroso con il più grande eroismo e le più grandiose prospettive. Il nostro partito è sempre stato forte perché ha unito e unisce la più intensa operosità e il praticismo con un'ampia prospettiva, con una costante aspirazione ad andare avanti, con la lotta per la costruzione della società comunista".

Con queste premesse, "nell'epoca ormai di vittoriosa edificazione del socialismo" e di raccolto di pingui messi in tutti i campi della vita economico-sociale, l'arte e la letteratura russe saranno battezzate con una formula tipica: nel paese del socialismo, l'arte e la letteratura "hanno contenuto socialista, ma sono nazionali nella forma". Con questi "stupefacenti ritrovati", ogni cosa sembra star bene al suo posto, in barba alla stessa vivente storia.

Tuttavia, nel 1950 Fadeev deve impegnare una vasta polemica contro le decadenti correnti letterarie, fra le quali "spicca" soprattutto quella "dell'erotismo mistico" (da aristocrazia di salotto) della Achmatova. E' caratteristico che, nel corso della polemica, Fadeev si richiami "all'importante decisione", presa nell'agosto del 1946 dal PCB, in cui è proclamato, per la prima volta (!!!), il principio della partiticità della letteratura.

Unica parola controrivoluzionaria

Questo brevissimo cenno al periodo di costruzione economico-nazionale della Russia (I Piano quinquennale e successivi) e di sviluppo quantitativo della produzione, che con terminologia corrente si denomina "stalinismo", fa da anello di congiunzione al periodo più recente del "post-stalinismo", il cui inizio risale al XX Congresso del PCUS.

Si tratta evidentemente non di due stadi diversi e contrapposti, ma di due tappe successive del medesimo processo economico e politico. Dai "romantici" costruttori del socialismo ai "romantici" costruttori del comunismo la linea, infatti, è unica e continua. E' la traiettoria della controrivoluzione che, dalla rottura della prospettiva internazionale del comunismo si snoda per fasi successive di trasformismo involutivo: è il nefasto corso controrivoluzionario che la rivoluzione mondiale del proletariato immancabilmente spezzerà.

IV. Russia artistica 1963

Quanto si è esposto sin qua (in uno schizzo sintetico, contenente a mo' di traccia generale le linee di abbozzo della visione comunista dell'arte e della letteratura, e alcuni riferimenti storici sulla posizione del Partito riguardo ad esse) serve da premessa all'abbordo del cosiddetto dibattito russo sull'arte e la letteratura. Si può quindi ormai passare ad esso, e riferire già come abbia avuto a protagonisti, da una parte, i massimi dirigenti del partito e dello Stato, dall'altra parte i rappresentanti del mondo artistico e letterario.

E' opportuno tuttavia non tacere che quanto si è detto, mentre rende più agevole l'assaggio della recente discussione permettendo al lettore proletario un immediato raffronto, dall'altro rappresenta, per i comunisti autentici, un mezzo per ribadire consolidate posizioni programmatiche e ripetere che tutto ciò che avviene nel mondo della sovrastruttura russa costituisce in fondo il riprodursi in copia di aspetti tipici del modello capitalistico di Occidente, solo anteriore ad esso in età di sviluppo. La Russia sovietica si evolve, grosso modo, ricalcando le orme della borghesia di Occidente, malgrado la variante storica che questo processo di sviluppo capitalistico viene identificato col socialismo prima, col comunismo poi. Anzi, quanto più esso muove verso il dilagare di forme borghesi, decadenti e degeneri, tanto maggiore vi appare la invocazione formale di Marx e Lenin, e la dichiarazione di fedeltà al programma da essi stabilito e difeso in tutta la loro vita. Ma in realtà la controrivoluzione russa segna un percorso continuo ed unico, che dai romantici "costruttori del socialismo" (periodo staliniano) ai più romantici "costruttori del comunismo" (periodo post-staliniano), si svolge in direzione peggiorativa (senza tuttavia essere privo di frizioni e urti interni) fino a raggiungere il fondo del suo procedere: dall'uccisione della rivoluzione al sostegno dell'imperialismo e alla repressione operaia nel mondo.

Si deve aggiungere (anticipando su ciò che segue) che non è un fatto "nuovo", né straordinario, né capitale, che i massimi esponenti del partito e dello stato di Russia scaglino fulmini e minaccino anatemi ad artisti traviati e astratteggianti (peste della società di classi) come è nell'opinare destato dal prurito di uomini di cultura, intellettuali, di liberi "pensatori" di tutte le tinte. Ripetiamo che si tratta solo del riprodursi di fatti e processi inseparabili dal decorso capitalistico dell'economia e della sua genuina sovrastruttura politica, che acquistano tuttavia un significato ideologico importante e indiscutibile perché provano inconfutabilmente che la Russia sovietica è sede di questo modo di produzione a marcio dispetto del "raggiunto socialismo" e del costruendo "comunismo" strombazzati davanti al mondo intero, e testimoniano che ci troviamo di fronte ad una pedestre società borghese, nella quale non solo l'arte, la scienza, ecc., sono borghesi, ma hanno anche lo stile borghese. L'immaginazione non può andare oltre ciò che la realtà consente; e, sotto mille aspetti, tanti prodotti "originali" russi sono riedizioni di vecchie forme europeo-americane.

Accostiamoci dunque al dibattito, per vedere da vicino che cosa è avvenuto. E, immaginando di essere in platea, pensiamo che si stia aprendo il sipario e che entrino in scena i personaggi.

Prologo

L'antefatto prende corpo il 17 dicembre 1962, data che segna "un avvenimento importante" nella vita artistica e letteraria russa perché vi si svolge un "incontro" fra i dirigenti del partito e dello stato e gli esponenti del mondo artistico e letterario.

Iliciov (segretario del CC del PCUS) vi svolge una lunga relazione. Premette che il partito e il popolo sovietico si sono ormai accinti alla costruzione del comunismo e che perciò sono "incommensurabilmente cresciute" le responsabilità degli artisti per lo sviluppo ideologico e spirituale della società sovietica. Riferisce come Krusciov, dopo la visita alla recente mostra dei pittori moscoviti, abbia pronunziato aspre censure: "...Questa 'arte' è estranea al nostro popolo, il quale la respinge. Chi si ritiene un artista e poi crea quadri di questo genere, incomprensibili, in cui una mano umana si può confondere con la coda di un asino, dovrebbe riflettere, comprendere il proprio errore e mettersi a lavorare per il popolo".

Sottolineate queste parole, Iliciov riafferma il principio della partiticità della letteratura e dell'arte tuonando con voce grossa: "Alla base della politica del nostro partito nel campo dello sviluppo della cultura socialista sono sempre stati e saranno i principi leninisti della partiticità e del carattere popolare dell'arte". Passando a parlare dei pittori, che spacciano le loro tele come l'ultima parola in fatto di "introspezione artistica" li accusava di essere in contrasto irriducibile col programma del partito esattamente come tutti gli astrattisti e i formalisti. Questi sono seguaci delle mode borghesi e perciò vanno aspramente condannati. Iliciov osserva poi che le tendenze formalistiche e le correnti astrattiste non si ritrovano solo nelle arti figurative, ma si diffondono nella letteratura, nel campo musicale, nella cinematografia, ecc.

Iliciov censore di turno

Continuando su questo tono, l'oratore, che senza volerlo ha esposto un caratteristico quadro della vita artistica russa, passa al campo delle ammonizioni, delle regole da osservare, dei criteri che debbono guidare gli artisti: "Noi dobbiamo ricordare come verità indiscutibile che l'arte ha sempre un indirizzo politico-ideologico, perché esprime e difende in un modo o nell'altro gli interessi di determinate classi e ceti... Se si guarda alla sostanza dell'arte astratta si può concludere soltanto che essa non è al servizio degli interessi del popolo e non esprime gli stati d'animo dei lavoratori, ma mira a soddisfare gusti decadenti di gente satolla".

Ad una lettera che un gruppo assortito di pittori aveva inviato a Krusciov con la richiesta di una "coesistenza pacifica di tutte le tendenze dell'arte", Iliciov risponde che una tale rivendicazione rappresenta in sostanza un appello alla coesistenza pacifica nel campo ideologico, cosa assolutamente inammissibile in quanto l'idea della coesistenza pacifica nel campo ideologico non è che un tradimento del marxismo-leninismo e degli interessi del socialismo.

Tirando le conclusioni, Iliciov condanna le tendenze artistiche che invocano la libertà di creazione; riafferma la direzione partitica del1' arte e della letteratura; ribadisce che la linea di sviluppo principale di queste è determinata dal programma del partito, e consiste "nel rafforzamento dei legami con la vita del popolo, in una raffigurazione veridica e profondamente artistica della ricchezza e della varietà della realtà socialista, in una riproduzione vivida ed ispirata di ciò che c'è di nuovo e di autenticamente comunista e nello smascheramento di tutto ciò che ostacola 1'avanzata della società".

Entra in scena Krusciov

Dall'antefatto al fatto. Alcuni mesi dopo, nel marzo 1963, viene organizzato un altro "incontro", molto più solenne del primo, fra i dirigenti del partito e del governo e i rappresentanti delle organizzazioni artistiche e letterarie. Qui il ruolo di censore sputa-fuoco è svolto direttamente da Krusciov. Egli, ripetuto che il popolo sovietico costruisce sotto la guida del partito la società comunista (la quale si edifica mediante lo sforzo concentrato del popolo sovietico: operai, colcosiani, ingegneri, insegnanti, medici, ecc., lavoratori di tutti i settori della cultura, e altro simile pulviscolo) denunzia le gravi deficienze riscontrate nel campo dell'arte e della letteratura: "L'altra volta abbiamo visto la robaccia stomachevole del pittore E. Neisvestnij, il quale ripaga il popolo con tanta nera ingratitudine". Lo stesso vale per il film L'avamposto Ilic del regista Kutsiev: "Non sono ancora scomparsi i letterati che preferiscono raccogliere il materiale per le loro opere nei depositi delle immondizie".

Krusciov sale di giri. Reclama un'arte rivoluzionaria e combattiva che rappresenti "con immagini luminose 1'epoca grandiosa ed eroica della costruzione del comunismo". Condanna l'astrattismo e il formalismo come forme della ideologia borghese, sebbene il poeta Evtuscenko si sia levato in loro difesa. Peggio ha fatto il pittore Jutoscki col suo autoritratto: "Come fa a non vergognarsi un uomo che spreca le proprie forze per una porcheria simile? Eppure si tratta di un uomo che ha terminato la scuola media sovietica, l'istituto, un uomo per il quale sono stati spesi denari del popolo... Fa schifo a guardare questa lurida impiastricciatura e fa schifo ascoltare coloro che la difendono".

Epilogo

Un serrato attacco critico viene indirizzato a diversi altri rappresentanti del mondo delle arti e delle lettere. Quanto al romanzo di Ehrenburg Il disgelo, si rileva che 1'autore vi fornisce una versione unilaterale "dei fenomeni connessi al culto della personalità". Se dopo il XX Congresso del PCUS si è entrati in un clima nuovo – dice Krusciov – ciò non significa che, una volta condannato il culto della personalità, si siano allentate le redini del governo e ognuno possa agire secondo i suoi capricci.

Il premier giura e rigiura che il partito seguirà nel campo artistico e letterario il suo corso "leninista". Minaccia lotta recisa agli artisti e letterati traviati e guerra all'astrattismo e al formalismo. Mette all'ostracismo i fautori di queste correnti. Ne addita i rappresentanti al "disonore generale". E conclude: "Nell'arte noi siamo su posizioni classiste e siamo decisamente contrari alla pacifica coesistenza dell'ideologia socialista con quella borghese". "L'arte appartiene alla sfera ideologica. Chi pensa che nell'arte sovietica possano convivere pacificamente il realismo socialista e le correnti formalistiche, astrattiste, scivola inevitabilmente nelle posizioni a noi estranee della pacifica coesistenza nel campo ideologico".

A noi le armi

Con questa finale "bomba" di Krusciov cala il sipario; e noi passiamo ad impugnare le armi dottrinali per muovere addosso ai sofistici e falsi critici. Lasciando da parte per un momento l'atteggiamento di apparente ortodossia manifestato da costoro, sulla scorta del materiale raccolto premettiamo una considerazione riguardante tutto lo sviluppo del corso controrivoluzionario russo. Nello snodarsi di tutte le sue tappe questo, mentre è contrassegnato da una involuzione progressiva sul terreno politico, si presenta alla superficie come una formale accostata ai principii comunisti, o meglio alla proclamazione di fedeltà ad essi. I rinnegati di Mosca più tradiscono, più invocano Marx e Lenin. E, in un certo senso, fanno tutto ciò in un rapporto di senso inverso: mentre il periodo della controrivoluzione staliniana si esprime in un inno potente al "marxismo creativo" e al socialismo, ma per converso e parallelamente massacra la avanguardia comunista e smantella principio su principio il programma teorico di classe, il periodo della controrivoluzione post-staliniana si presenta come un osanna più esteso ai principii del comunismo nell'atto stesso in cui si accentua il processo di incarognimento controrivoluzionario e di affossamento delle ultime briciole di teoria della rivoluzione proletaria.

Ma torniamo ai dirigenti russi. Questi autentici uomini di affari, che hanno fatto di tutto per seppellire i pochi cocci dottrinali sopravvissuti alla distruzione del passato aprendo le porte alle forme classiche delle ideologie liberali, avrebbero d'un tratto ventilato un seppur lieve cambiamento di rotta? Dato un colpo di barra, manovrando su questioni che, sebbene secondarie, poggiano tuttavia sui presupposti intorno ai quali rotea la giustificazione della loro politica internazionale (coesistenza politica sì, coesistenza ideologica no)? Come vedremo, nessuna rettifica di tiro è dato rintracciare. Anzi, sotto 1'apparente fraseologia rivoluzionaria, emergono i teoremi più lerci dell'opportunismo.

Falsa fedeltà

Ovviamente a questi commercialisti non contestiamo l'invocazione formalmente corretta del principio di partiticità della letteratura e del ruolo accessorio dell'arte. Sentire anzi affermare detto principio contro astrattisti e formalisti, e in genere tutta la canaglia piccolo-borghese, può costituire un piccolo motivo di soddisfazione. Questa accozzaglia viscida e parassita, scoperta al mondo nelle pieghe della polemica, non solo "imbratta tele e raccatta immondizie", ma esprime tutto il fondo melmoso della controrivoluzione e il legame inscindibile che la unisce alla putrescente borghesia occidentale, cui lasciamo non solo il piacere di constatare la partecipazione entusiastica degli artisti e letterati russi ai loro conviti "culturali", ma la profonda dolcezza di potersi finalmente rispecchiare nei confratelli di un paese che si vanta di "costruire una società comunista". Un confronto impagabile, che, se si vuole, trova il suo saldo negli attivi e passivi della bilancia degli affari commerciali. I "valori" si universalizzano e nello scambio generale trovano il loro rapporto di identità; così avviene per tutte le merci ivi compresi i cosiddetti prodotti della "cultura". Le crociate della cultura occidentale a favore di Pasternak, o le civetterie amorose di Evtuscenko per l'Occidente, convergono nella causa unica del commercio e mercimonio universale, che come uno spiritello impregna la sostanza della loro arte decadente.

Ma possono mai incantarci coloro che, contro quella peste, riaffermano la necessità di tirare diritto e meglio servire lo stato padrone, smettendo di civettare con la réclame organizzata di Occidente? No certo, perché la loro è tutta una finzione, una messa in scena, per salvare le apparenze e celare la sostanza. La fedeltà ostentata dai russi è solo di comodo. Il gioco all'ortodossia non mira alla salvaguardia di principii, da decenni calpestati; tende solo a placare il malumore e le critiche persistenti, a cui i loro compagni di strada, i cinesi, li hanno negli ultimi tempi sottoposti. La polemica inscenata in campo artistico e letterario è stata un pretesto per ribattere il chiodo su cui si incardina la politica internazionale russa della coesistenza pacifica. Pur senza escludere possibili contrasti interni, ricollegando 1' "impennata" dei dirigenti del PCUS all'urto ideologico russo-cinese, noi qualifichiamo di massima sostanza controrivoluzionari i presupposti da cui parte la loro apparente difesa di tesi comuniste. Lo spaccio di brandelli delle proposizioni marxiste è l'espediente classico usato dall'opportunismo, che tanto più vi ricorre quanto più nella prassi se ne allontana. Vediamo dunque le implicazioni di quest'urto, e poi la radice marcia a cui si innesta la presunta fedeltà del partito russo alle questioni di "ideologia".

Percorso "sfasato" ma uguale

Nel corso dell'urto ideologico (leggasi contrasto economico e statale), che tende ad aprirsi sempre più, fra russi e cinesi, i secondi nel formulare aperte critiche alla svuotata cultura russa non si sono concentrati a denunziare l'astrattismo e il formalismo degli artisti e letterati sovietici: hanno mosso un nutrito attacco contro l'umanitarismo e il pacifismo dei primi e stigmatizzato il meschino riecheggio che gli artisti russi fanno dei sospiri umanitari a sfondo individualista e benesserista, caratteristica distintiva della decrepita intellettualità dei paesi capitalistici di occidente. Muovendo queste critiche i cinesi si sono mantenuti fermi al punto di partenza, alla loro interpretazione della teoria della coesistenza pacifica (fra sistemi sociali differenti), che diverge da quella ormai dominante in Russia. La questione e la divergenza relativa sono di grande importanza toccando gli interessi reali dei due paesi. Si tratta della politica internazionale fra gli stati; della pace o della guerra; del dilemma cui tutta l'umanità è interessata.

Senza aprire una digressione che ci porterebbe troppo lontano, si osserva che su questo vitale problema (la cui soluzione può solo trovarsi riconducendola al suo presupposto originario, la falsa teoria dell'edificazione isolata del socialismo, da cui la "teoria della coesistenza pacifica" discende) la posizione dei cinesi rimarrebbe al periodo "staliniano": coesistenza sì, ma non evitabilità della guerra (non solo fra paesi capitalistici e "socialisti", ma anche fra paesi capitalistici), non pacifismo perpetuo fra gli stati. Essi dimostrano, con ciò, di non aver percorso interamente la tappa vergognosa dei confratelli russi, che occupano ormai una posizione piattamente borghese e socialpacifista, restando indietro di una tappa, cioè attestandosi sul XIX Congresso del PCUS, anziché sul XX.

La formula tipica di Mosca è che la coesistenza pacifica rappresenta… la forma mondiale della lotta di disse. La coesistenza per i russi è commercio e buoni affari commerciali: partecipazione alla spartizione del plusvalore spremuto al proletariato internazionale; prelievo di una quota di profitto che il capitale realizza sul sangue dei supersfruttati popoli di colore. Coesistenza pacifica significa godere stabilmente dei vantaggi di potenza imperialistica a danno di tutti i paesi deboli e poco sviluppati.

Gli interessi nazionali della Cina sono in stridente contrasto con questa posizione. L'accettazione della coesistenza pacifica nel senso di Mosca equivale per essa a sottostare all'imperio delle grandi potenze, interdirsi qualsiasi prospettiva di sviluppo indipendente, diventare l'area di influenza dei grandi colossi. Questo stato di fatto, lo sviluppo ancora iniziale de]l'impianto di una industria, la necessità di raggiungere una certa base produttiva, sono le ragioni vitali che spingono i cinesi a tenere accesa la fiaccola della forza e della violenza nella sistemazione dei rapporti fra gli stati.

L'evoluzione dei due apparati statali (russo e cinese) è tuttavia la stessa. La differenza sta solo nel grado di sviluppo. Questo trova la Cina ancora arretrata di tutta una fase storica. Ciò spiega i rimproveri di revisionismo e pacifismo lanciati da Pechino a Mosca, il senso delle accuse dei cinesi, la radice dei loro "propositi" di lotta, che si esauriscono nella minaccia piccolo-borghese della lotta antimperialista e che sono lontani mille miglia dall'unica prospettiva rivoluzionaria e socialista della lotta e della rivoluzione anticapitaliste. Quando la Cina riuscirà a trovare sbocchi commerciali e a stabilire relazioni economiche consistenti con il mercato mondiale, salendo dal basso livello economico di oggi a uno più elevato, parlerà immancabilmente lo stesso linguaggio dell'odierna Russia.

Russia-Cina uguale controrivoluzione

Russia e Cina sono due baluardi della controrivoluzione, anche se la seconda, per il suo limitato sviluppo economico, è costretta a svolgere un'agitazione antimperialista. La camorra ideologica, che queste hanno ingaggiato, e che, sorgendo da un contrasto di fondo fra interessi nazionali, si traveste come contesa per la rappresentanza del marxismo in campo internazionale, è dunque rivolta a specifici interessi di stato. Dall'una e dall'altra banda si lavora per lo stesso fine, il mantenimento del dominio del capitale sul vivente lavoro. La polemica fra i due "blocchi" è alimentata da interessi opposti a quelli del proletariato internazionale: è un conflitto interno della controrivoluzione.

Come abbiamo visto, criticando l'astrattismo e il formalismo degli artisti e letterati russi, i dirigenti del PCUS hanno menato gran clamore della negazione della coesistenza pacifica nel campo ideologico. Essi hanno ripetutamente affermato che, essendo l'arte e la letteratura forme dell'ideologia, è assolutamente inammissibile la persistenza di correnti artistiche a sfondo borghese, quali l'astrattismo e il formalismo, e hanno addirittura stabilito un loro criterio discriminante fra comunisti e borghesi, sorseggiando l'ultima (in ordine di tempo) droga beota, che cioè la "coesistenza pacifica ideologica" rappresenti un tradimento del marxismo-leninismo, della causa degli operai e dei contadini (due formule di conio staliniano). Ora tutto ciò è abbastanza puerile, equivalendo alla bolsa tautologia che un marxista cessa di esser tale quando è un borghese, ma serve a rivelare le vere cause che spingono il partito russo a battere questo tasto. Ingolfato nella coesistenza pacifica, altra scappatoia esso non ha potuto trovare che di trincerarsi dietro una sozza distinzione tra coesistenza in campo politico e coesistenza in campo ideologico, la prima lecita, la seconda traditrice.

Questa bestemmia, che può essere girata dai russi allo spaccio cinese di articoli di marca coesistenzialista, sarà esaminata in seguito trattando del rapporto fra politica e ideologia, prassi e teoria. Conviene per ora dare un cenno dal "teorema" dal quale tutti questi "corollari" discendono: la teoria del socialismo nazionale e peggio ancora del comunismo nazionale.

Non solo socialisti nazionali ma nazionalcomunisti

Come si sa, è col XXI Congresso che i russi hanno "decretato" la costruzione del comunismo, annunziando al mondo intero che iniziavano il passaggio dal socialismo già pienamente costruito al comunismo integrale, alla società senza classi e senza stato. La controrivoluzione russa procede senza arresti: partita con l'affermazione della possibilità dell'edificazione isolata del socialismo e passata alla proclamazione del raggiunto socialismo pieno, tutto falsificando e tutto tradendo è giunta a dare per iniziata la tappa della costruzione del "comunismo nazionale". All'opportunismo forcaiolo del PCUS non vi è limite. Tutto ad esso è possibile: non solo il socialismo nazionale, ma anche il comunismo nazionale! Se non suonasse crudele ironia per il proletariato, potremmo per un attimo raffigurare questo partito come un demiurgo che plasma la realtà e la storia a piacere suo e più disinvoltamente di quanto possa fare la moderna pittura astratta con le sue smorfie decomposte, e proclamarlo il... più grande "artista astratto a del secolo".

Avrebbero mai potuto credere i proletari che il movimento politico lanciato nel nome di Marx e di Lenin e armato della dottrina comunista giungesse, precipitando, alla squallida trovata di una possibile "costruzione del comunismo in un paese solo"? Senza la terza ondata dell'opportunismo un simile gioco di prestigio non sarebbe stato assolutamente possibile. Un socialismo nazionale, a maggior ragione un comunismo nazionale, rappresentano dei filosofemi che si possono solo rintracciare nelle ceneri spente del socialismo piccolo-borghese presocialista e premarxista. Dal Manifesto del '48 i comunisti hanno infatti sempre messo in evidenza l'essenza internazionale del socialismo: il socialismo è internazionale o non è. Ciò dipende da tutto lo sviluppo storico del processo produttivo. L'economia mondiale, nel capitalismo, costituisce un tutto unico che opera come un complesso integrale, non come un mosaico di parti autonome. Le forze produttive del capitalismo hanno da oltre mezzo secolo superato le frontiere nazionali e invaso l'intero pianeta. Dato il loro sviluppo storico, fantasticare un socialismo isolato ed (infamia maggiore) un comunismo nazionale, significa avere una visione storica dell'economia sociale di gran lunga inferiore a quella raggiunta e superata dal modo di produzione capitalista. Siamo dunque al livello di una concezione storica piccolo-borghese, della quale degno maestro fu quel Proudhon che 126 anni fa Carlo Marx bollò come "utopista" reazionario. Eppure 126 anni dopo sono ancora le ubbie reazionarie di Proudhon a rivivere per opera dell'opportunismo sicofante e filisteo, il quale, partito per arricchire il marxismo, dopo le esperienze di quasi mezzo secolo lo ha ridotto a qualcosa di peggio del vaniloquio proudhoniano!

Politica e ideologia

Possiamo ora pesare tutta la portata della bestemmia enorme, tutta la gravità del corollario (la distinzione tra coesistenza pacifica politica e coesistenza pacifica ideologica) che discende dalla teoria madre: il socialismo nazionale. Tutta la prassi politica della controrivoluzione, dell'opportunismo russo e cinese, poggia sulla reazionaria pretesa del socialismo nazionale (i cinesi usano l'espressione: "costruire l'economia contando sulle proprie forze"), a cui appartiene la teoria derivata della coesistenza pacifica. Quest'ultima non ha niente a che vedere con il comunismo, con il programma rivoluzionario della classe operaia: rientra tutt'intera nelle "originali teorizzazioni" della controrivoluzione, e se si vuol trovarne l'autore bisogna risalire a Stalin. Ma i suoi epigoni sono andati oltre, dilatando al massimo l'abiura. Tutte le critiche russe all'astrattismo e al formalismo, artistici e letterari, hanno per presupposto la distinzione tra coesistenza politica e coesistenza ideologica. I dirigenti del PCUS gridano contro la coesistenza pacifica ideologica e, affermandone l'inconciliabilità col marxismo, ma sottolineando quella distinzione, dimostrano solo di non avere alcun legame con la teoria che pretendono di rappresentare. Sta infatti nella distinzione di cui sopra il rinnegamento dei postulati marxisti sul rapporto fra teoria e prassi, fra politica ed ideologia: sta in essa il ripudio del materialismo comunista, e, a voler essere rigorosi, anche di quello premarxista e predialettico.

Scindere la lotta teorica da quella politica, separare la prassi dalla dottrina, la politica dall'ideologia, dirigere la forza dello stato in senso opposto a quello del programma di classe, equivale al rinnegamento più completo dei socialismo, degli interessi storici della classe operaia e, in sede dottrinale, a un rinculo al di qua delle posizioni di materialismo borghese conseguente, ricoperte in passato dai partiti della borghesia. I dirigenti dei PCUS, volendo salvare la faccia, si sono in realtà dimostrati quello che sono: volgari eclettici, miserabili formalisti (fraseologia apparentemente rivoluzionaria, sostanza controrivoluzionaria). La vera filosofia che domina a Mosca è il commercio. Più si commercia e più "si coesiste", è il contenuto di questa filosofia forcaiola. Il commercio è pace; ecco l'aspetto centrale di questa "filosofia". Ma più il commercio dilaga (quando vedremo cadere l'ultimo pilone rimasto in piedi – il monopolio del commercio estero – che una rivoluzione immensa aveva costruito a riparo dell'oceano dell'economia mercantile esterna?), più la pace traballa, più l'ondata che sommoverà dalle fondamenta la inumana società del capitale ingrandisce. Il commercio è sì vita, ma anche causa di morte. La concorrenza reciproca lavorerà, insuperabilmente, alla preparazione di quella catastrofe che con essa si vorrebbe evitare.

Vele ai commessi viaggiatori

Il commesso viaggiatore Agiubei vola da un capo all'altro del mondo (l'emisfero settentrionale segna la primavera 1963) e, dopo di aver toccato tutte le rive, non può mancare all'ultimo approdo: la visita a sua santità il pontefice della chiesa di Roma. L'eco degli sviluppi distensivi fra chiesa romana e stato russo si spande per il mondo. Gli occhi attoniti dei proletari registrano un ennesimo raggio pestifero, mentre Togliatti "bacia" post festum la mano di papa Giovanni per il successo elettorale.

Senza fissaggio preventivo di cavi d'intesa alle due estremità, ma per fatto molecolare della sotto-struttura, tra le forze sociali si dipana sommesso e profondo il dialogo. Matura l'enciclica papale. Il compromesso fra le classi e gli stati rivela il suo fondo ignoto nelle sovrastrutture, nelle teorie, nelle formule politiche, che quanto più "innovano" tanto più ne tradiscono la natura. Così, pur nella sostanziale conservazione e nel rispetto formale della millenaria dottrina della chiesa, il suo monarca vivente esprimerà propositi di libera adesione alla coesistenza di movimenti e forze politiche mosse da diverse ed opposte ideologie. La prassi costringe la coscienza, e il pensiero si annacqua. Nella palude della controrivoluzione le dottrine si ibridano.

Ma, per la chiesa e per la parassitica borghesia da essa servita, la distinzione tra prassi e coscienza, politica ed ideologia, è ossigeno e vita. Non solo, ma ne risulta pienamente rispettata e conservata la concezione generale poggiante sul dualismo di materia e spirito, di corpo ed anima, e sulla proclamazione della superiorità e indipendenza dello spirito, pur quando la materia si accozza ed il "cattivo" si accompagna al "buono". L'opposto è per la classe operaia. Per essa, la separazione fra politica e ideologia è sinonimo di rinuncia all'indispensabile arma di battaglia della dottrina comunista. Il che, tradotto in termini di rapporti sociali e di classe, significa conservazione del sistema borghese, ossigenazione dei suoi tessuti decrepiti, possibilità rinnovata di tenere inchiodata al capitale gli schiavi salariati.

La maschera dell'opportunismo

Ma che senso ha dunque quella furfantesca divisione, quale importanza acquista nella dinamica e nello sviluppo storico della lotta delle classi, quale grado di degenerazione opportunista rappresenta?

Tutto il processo di degenerazione progressiva del partito e dello stato in Russia, tutto il cammino controrivoluzionario percorso all'insegna di una chiassosa proclamazione di fedeltà al marxismo-leninismo ha un solo senso, storico e sociale; fare della dottrina comunista – arma della rivoluzione socialista mondiale – lo strumento della controrivoluzione. L'opportunismo si tinge dei rossi colori della teoria rivoluzionaria per meglio scongiurare la lotta del proletariato internazionale e sostenere con ciò il dominio del lavoro morto sul lavoro vivo.

La confessione della natura capitalistica della struttura economica russa è continua. Quella della funzione di potenza imperialistica ed antiproletaria dell'URSS non lo è meno. Ma la sussunzione del suo svolgimento entro gli "schemi" formali del marxismo-leninismo corrisponde alle necessità di esistenza della controrivoluzione.

Questa ha superato tutti i limiti raggiunti dalle precedenti ondate opportunistiche. Di fronte ad esso il revisionismo e il riformismo tradizionale possono impallidire. Il dilemma politico è dunque di forza, non di principio. La vittoria teorica del comunismo sulle ideologie della borghesia e della piccola borghesia risale a più di un secolo addietro. Il comunismo ha fatto il suo primo grandioso passo storico con la Comune di Parigi. Ha riempito in maniera definitiva la storia del principio e della pratica politica della dittatura del proletariato con la Rivoluzione di Ottobre, anche se i suoi risultati (stato di classe ed Internazionale) sono andati travolti nella terza ondata opportunistica. E' penetrato profondamente in tutto il corso dello sviluppo economico e sociale del XX secolo, fin dai suoi primi decenni, alla scala mondiale. E, da allora, rappresenta la vera forza, il nuovo immancabile piano di vita della specie, contro cui tendono tutti i loro sforzi e contro cui rabbiosamente lottano con tutte le armi le potenze riunite del capitale, tutti gli strati sociali borghesi, piccolo-borghesi, radical-progressisti, social-comunisti, dì ogni tendenza e sfumatura. Il comunismo è la vera "realtà" vivente contro la quale, da quasi cinquant'anni, in tutto lì mondo, combattono la loro finale battaglia le forze legate alla servitù salariale del lavoro, al profitto e ai privilegi di classe, al dominio dal capitale; la vera forza "reale" di tutta la storia mondiale contemporanea, il contenuto essenziale della lotta delle classi, il terrore e lo sterminio dell'opportunismo nel prossimo domani.

Togliatti, eccezione lubrica

Non vogliamo abbordare una rassegna degli atteggiamenti assunti dai vari partiti legati a Mosca di fronte al dibattito russo sull'arte e la letteratura e delle ripercussioni che esso ha avute, ma solo accennare relativamente alla posizione presa dal PCI. Questo partitone, che si è sempre distinto nello smercio di tutti gli scampoli provenienti dalla fabbrica della controrivoluzione russa, di fronte ai temi dell'arte e della letteratura ha preferito allontanarsi dai fratelli maggiori schierandosi per la difesa imbelle della libertà di creazione dell'artista, per la forcaiola "autonomia" della cultura. Divergenze serie in vista? Sorprese scabrose? Niente di tutto ciò. Se infatti il giuoco all'ortodossia orchestrato dai dirigenti del PCUS trae origine dalla polemica russo-cinese, la mossa lubrica del partito di Togliatti scaturisce dalla turpe bisogna della manovra elettorale. L'adulazione degli intellettuali, dei letterati, degli artisti, la difesa della loro "indipendenza", l'elogio "dei produttori della cultura", di tutta la canaglia piccolo-borghese, affondano le loro radici nell'elettoralismo per la pelle delle Botteghe Oscure.

Così, mentre Krusciov affetta di prendere in mano "la pompa del DDT" per spruzzarne "quegli insetti pervicaci", Togliatti dal canto suo li invita a festino e li cosparge di miele. Può quindi (vigendo il sistema dei "liberi centri" di elaborazione dottrinale) far dire su Rinascita che "il momento essenziale della vita culturale è la compresenza di tendenze diverse", e che addirittura "l'unico modo per combattere i fenomeni di sudiceria intellettuale (quali la ciarlataneria, l'arrivismo, la camorra) è la democrazia della vita culturale; un'organizzazione aperta ed autonoma della cultura".

Nella relazione di apertura al X Congresso del PCI, Togliatti, dopo avere sottolineato la necessità di un confronto tra il marxismo e le altre correnti di pensiero, propone un dibattito di "contenuto" tendente a mettere in luce "quegli sviluppi di pensiero che aderiscono alle nuove realtà umane sociali" onde integrare il marxismo con "gli elementi positivi e nuovi" delle altre correnti. Per questi botoli non sembra esserci limite alle infamie. Sensazionale: il marxismo una corrente di pensiero, quasi un movimento letterario!!!

Il funambolismo dei piccisti è tale da giungere non solo alla libertà della cultura, alla autonomia dell'arte e della letteratura, alla indifferenza del partito nei loro confronti, ma –superando la revisionista per eccellenza posizione del "marxismo creativo" (del marxismo che si arricchisce giorno per giorno di contenuti nuovi, assimilandoli dalle esperienze delle lotte quotidiane) – alla tesi che il marxismo debba confrontarsi con le altre teorie per assorbirne gli aspetti "nuovi" e "positivi", col risultato fina le che lo snaturamento lo ritrovi – a processo compiuto di integrazione – mezzo ateo e mezzo cristiano, popolarista, nazionale, interclassista.

Il ruolo del PCI, che a galoppo sfrenato asservisce gli interessi della classe operaia a quelli dei corteggiatissimi strati piccolo-borghesi e ceti medi, è quello di un partito mostruosamente retrogrado, di una trama di interessi spuri, che con mille e mille ibridi fili offusca la visuale di classe del proletariato, paralizzandone l'energia rivoluzionaria.

Se dunque la bandiera dottrinale che sventola sul Cremlino è quella di un volgare e raffazzonato eclettismo, la teoria e la prassi del PCI sono un modello di positivismo liberale. L'arricchimento ha dato i suoi frutti: due ruderi che la stessa borghesia, in altri tempi, teneva in dispregio.

L'inabissata controrivoluzionaria è tale che di fronte ad essa un solo rapporto è possibile: lotta senza quartiere, guerra di annientamento.

Individuo, persona: feticci dell'infamia sociale borghese

Espulso "l'individuo" dai campi dell'economia e della storia, non resta che prenderlo a pedate nel sedere e sloggiarlo dal campo ristretto e secondario dell'arte e della letteratura, terreno sul quale sembra meglio stare in piedi e sul quale maggiore appare la suggestione del suo effimero effetto. Nelle Teorie sul Plusvalore, Marx, dopo aver notato come la polemica sulla definizione del lavoro produttivo data da Smith era rimasta circoscritta ad economisti di rango minore (o, come egli dice, "dii minorum gentium"), chiarisce le circostanze che le hanno dato origine: "Alla grande massa dei cosiddetti lavoratori 'superiori' (come i funzionari statali, i militari, gli artisti, i medici, i preti, i magistrati, gli avvocati ecc.), alcuni dei quali non solo non sono produttivi, ma sono sostanzialmente distruttivi, però sanno come appropriarsi di una grandissima parte della ricchezza 'materiale', un po' vendendo le loro merci 'immateriali', un po' imponendole con la forza, a costoro non andava affatto di essere relegati, dal punto di vista economico, nella stessa classe dei buffoni (buffons) e dei domestici (medial servants), e di apparire rispetto ai produttori veri e propri (o piuttosto agenti della produzione), come semplici consumatori, come parassiti. Ciò era una singolare profanazione proprio di quelle funzioni che erano state fino ad allora circondate da un'aureola e avevano goduto di una venerazione superstiziosa".

La gazzarra che quella specie di lavoratori "superiori" faceva era tanto più stridula, quanto maggiore appariva sul terreno economico la sua funzione servile, parassitaria e distruttiva. Gli artisti e i letterati in particolar modo, immaginando la storia come un prodotto delle loro opere "immortali", e il cammino della "civiltà" come un frutto del loro "spirito creativo", toccavano l'apice di questo processo, in ciò favoriti dalla "superstiziosa venerazione" che circonda le categorie in parola, e che, frutto delle dominazioni e dei rapporti di classe, è tuttavia capace di abbagliare i militanti della stessa classe operaia.

La dottrina comunista, nel mandare in frantumi gli ideologismi di queste categorie inoperose ma voraci, dimostra altresì e ristabilisce la natura sociale, impersonale, anticreativa, anticosciente (nel senso di acreativa e acosciente) della conoscenza umana. Questa scaturisce dai reali rapporti produttivi come condensato di esperienze pratiche e sociali ed esclude ogni pretesa di derivarla dalla coscienza di individui particolarmente dotati; da intelletti sommi, da "Ii" eccezionali (che in fondo rappresentano l'altra faccia della detronizzazione illuminista e razionalista di Dio).La dottrina comunista smantella le pretese "truculente" del superuomo, dell'eroe, dell'io, presunti motori della storia e forze sovrastanti alle masse che, con un lavoro oscuro quanto elementare e necessario, quotidianamente riproducono il processo materiale della vita; e indaga le leggi oggettive dello sviluppo storico e sociale, da esse attendendo l'immancabile arrivo della rivoluzione comunista e la fine altrettanto immancabile dei rigurgiti della società di classe che sono l'individualità, la coscienza generale, lo Spirito assoluto.

Il frastuono sulla libera cultura (mille volte peggiore se gracidato in nome di una pretesa funzione elevatrice del proletariato incolto), sull'indipendenza dell'artista creatore, sull'autonomia dell'arte, ecc., riproduce l'essenza dei filosofemi inneggianti all'io, alla persona, al genio come fattori di storia e fonte di conoscenza. E' vero che la categoria "individuo", la categoria "personalità", non è originaria ed esclusiva della società e del modo di produzione capitalistici. Ma era necessario l'avvento del dominio di classe borghese, perché l'individualismo raggiungesse la sua massima dilatazione storica e "l'individuo" rivelasse tutta la sua natura monadistica ed autiumana. L'individualismo borghese tocca la profondità massima dell'alienazione umana. Solo esso si rappresenta nella sua forma pura come punto di partenza e punto di arrivo della storia. "La storia sono io", dice il borghese: "Al di fuori di me non è nulla", prosegue. "La mia esistenza è la storia", conclude.

La maledizione di Stalin

Gli spergiuri di Mosca, con la loro unanime demolizione "del culto della personalità", hanno coperto di nuovo fango la dottrina comunista. Essi hanno fatto un'apologia senza pari del fantasma borghese della personalità motrice della storia. Stalin, proclamato criminale in un processo dopo morte, prende per loro bocca la statura di un genio malefico, di un tiranno artefice di tutto un corso storico, dominatore incontrastato dello stato, del partito, e di loro, leccapiedi prima, sputacchianti poi. La mitologia di quell'uomo "efferato" ed affossato è la forma di venerazione dell' "individuo" più superstiziosa e più ributtante, che si possa immaginare. Ogni traccia di interpretazione materialistica della storia ne è assente e sostituita da una piatta e borghese interpretazione "individualista" e "personalista". La maledizione a Stalin diviene "in realtà" la maledizione di Stalin, la controprova implicita del feticismo borghese dell'uomo, di cui i destalinizzatori hanno dimostrato di essere infetti fino alle midolla. "Il genio maligno" di Stalin si vendica dunque post mortem dei suoi schiaffeggiatori vivi, lasciando sulla loro guancia l'impronta indelebile di sacerdoti degli idoli borghesi: individuo, persona! Ma che altro è, Mosca, se non l'eco del rancidume di Occidente?

Non indugeremo oltre sul punto e, ricordato che il processo storico reale dipende dallo sviluppo della tecnica produttiva e dei rapporti sociali corrispondenti, per cui va deriso l'anteporvi personalità eccezionali in veste di protagoniste, (come l'affarista borghese non sa concepire attività economica senza profitto individuale e ditta) riduciamo i due volti dell'individuo borghese, prendendoli dal capo dei rapporti politici, a queste due forme: 1) libertà della persona, 2) diritto individuale alla scelta.

Gli artisti e i letterati vivono nella società borghese, ma pretendono di esserne liberi e svincolati. Attingendo al loro "spirito creativo" e alla loro "coscienza individuale", fantasticano una libertà intangibile e illimitata. Ma questa libertà, nella società borghese, non è che la dipendenza mascherata dal "sacco dell'oro". Malgrado ogni fumoso ideologismo, la realtà è che questi "individualisti" per eccellenza formano il servidorame scelto della società borghese, alle cui viscere attingono il nutrimento; in cambio ne indorano il lezzo.

La teoria comunista, dal suo primo sorgere, ha smascherato e disonorato l'individualismo borghese in tutte le sue manifestazioni. La rivoluzione socialista lo inchioderà alla colonna infame dei tipi sociali forcaioli.

Da "Il programma comunista" n. 5, 6, 7 e 8 del 1964

Archivio storico 1952 - 1970