Gramsci a Terracini

Vienna, 19 aprile 1924

Caro Urbani,

voglio spiegare meglio ciò che ho inteso dire a proposito della azione sindacale che noi dobbiamo svolgere, perché non sorgano malintesi ed equivoci dannosi. Data la mia assenza dall'Italia per tanto tempo e la mancanza di impressioni concrete e minute che in queste questioni sono indispensabili, io mi guarderò sempre bene dal suggerire determinate forme di organizzazione specialmente illegale. Io pongo solo alla discussione dei compagni questo preciso problema: in Italia oggi non esiste più neppure un minimo di azione sindacale centralizzata. La CGL e tutte le sue organizzazioni sono cadute in letargia, applicando in pieno la tattica della passività, del dar tempo al tempo ecc. Noi per principio e per tutta una serie di considerazioni pratiche che oggi sostengono il principio, non vogliamo creare una nuova centrale sindacale. Ma pure qualcosa bisogna fare: le masse operaie sono relativamente tranquille: scioperi isolati si verificano continuamente. Se noi poniamo in esecuzione, in tutta la loro estensione, le norme per l'organizzazione delle cellule d'officina, se noi, come anche tu sei d'accordo, convochiamo la conferenza di operai di fabbrica, a un certo punto, anche se non lo vogliamo, ci troviamo dinanzi alla necessità di svolgere una vera e propria azione sindacale. Se creiamo nella fabbrica una forza politica, non potremo evitare che essa, automaticamente, diventi il centro, la rappresentanza di tutta la fabbrica, che da essa gli operai si attendano consigli e direttive. Questa azione sarà vera e propria azione sindacale, dovrà porsi i medesimi e identici problemi che si ponevano nel passato i consigli di leghe. Noi, data l'assenza degli organismi ufficiali, dovremo soddisfare tutte le esigenze delle masse. Che fare dunque? Rinunciare anche all'organizzazione e all'agitazione, perché da esse, in un certo punto del loro sviluppo, scaturisce la necessità di una vera e propria azione? Certamente no. Dunque bisogna risolvere il problema e trovare una forma che contenga questa sostanza nelle condizioni date dell'Italia. Ecco il terreno della discussione che io ho posto, nei suoi termini più generici. Poiché non vogliamo creare una nuova centrale sindacale, L'Organizzazione deve essere illegale, è evidente; praticamente poi noi avremo un vero e proprio sindacalismo illegale. È pericoloso? Indubbiamente. Ma in generale non può essere evitato, se vogliamo lavorare. Credi che le grandi masse si interessino molto dello scambio di lettere dei comitati sindacali dei vari partiti? Ciò serve per i comitati stessi e per una ristretta cerchia di operai simpatizzanti, che in tempi meno aspri sarebbero nel partito: non servono per nulla a influenzare le grandi masse. Queste possono solo risentire l'efficacia di un'azione pratica, che può essere svolta solo da un'organizzazione diffusa nel seno della grande massa stessa. Quale è la debolezza principale della classe operaia italiana? L'isolamento, la dispersione: noi dobbiamo lottare contro questo stato di cose. Ma faccio un esempio: se noi avessimo già una diffusa organizzazione nelle fabbriche, è certo che attraverso una metodica, sistematica campagna, si riuscirebbe ad ottenere per il primo maggio una buona affermazione. Come si crea fra gli operai la convinzione che esiste già una centralizzazione, che in tutte le fabbriche si fa un uguale lavoro, che si può tentare un movimento senza che ogni fabbrica tema di rimanere isolata e quindi schiacciata? Attraverso mezzi molteplici, che nel loro complesso danno la sensazione voluta. Bisogna, secondo me, far votare ai nostri gruppi mozioni sugli avvenimenti in corso, a nome dell'intiera maestranza della fabbrica A,B,C, ecc.; i giornali nostri pubblicheranno, gli operai leggeranno e sapranno. E così via. Io penso che tutta una tecnica nuova deve essere trovata di agitazione e propaganda e anche di organizzazione. Bisogna ottenere che una grande parte della massa si abitui all'azione illegale, a mantenere il segreto ecc.; penso che in questo campo gli operai italiani abbiano fatto molti passi in avanti, per la dura esperienza. Tanto che, secondo me, si dovrebbe addirittura porre il problema: a Torino, a Milano, in qualche altra grande città, organizzare una manifestazione pubblica. Esagerato, tu dirai. Parlo senza voglia di scherzare. Penso che se a Torino ed a Milano si riuscisse a concentrare, con una organizzazione ben disposta, in un dato punto della città, 50.000 operai, non succederebbe una catastrofe e la cosa avrebbe una enorme ripercussione. Certo, pensare oggi a fare qualcosa di simile sarebbe pazzesco, ma dico che dobbiamo, nello svolgere l'attività che ho sopra accennato, porci il problema di arrivare ad ottenere un risultato di tal genere. Credo di essermi spiegato abbastanza. In ogni modo tieni presente che io propongo queste considerazioni alla discussione dei compagni e nient'altro. Penso che non siano assolutamente utopistiche. Bisogna pure uscire dalla morta gora. Bisogna pure uscire dalla situazione attuale che poi si conclude in scambi di lettere ed in sedute di comitati. Certo occorre molto riflettere, ponderare, trovare le forme migliori di organizzazione, abituare i compagni al lavoro concreto ecc. ecc.

Ma, insomma, bisogna pure incominciare, e almeno incominciare a discutere tra noi, per avere idee chiare e direttive precise. In ciò almeno credo che tu sia d'accordo.

Fraternamente

Sardi

Arch. Felt.

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