Mai la merce sfamerà l'uomo (15) (CXXXIV)

XV. Codificato così il marxismo agrario

Ultima tappa

La serie di puntate dei Fili del tempo sulla "Questione Agraria" ha preso le mosse col terz'ultimo numero di questo quindicinale uscito nell'annata '53 svolgendosi poi per i primi 12 numeri del 1954, quest'ultimo compreso. Serie di quindici capitoli, adunque, e se vi pare più vivace, Giro di quindici tappe.

Non si tratta però che di una sosta; non abbiamo finito ancora. Di tutto un settore della materia cui abbiamo fatto frequenti accenni, daremo in altra futura serie lo svolgimento; è, per dirla in breve, il settore Lenin-Rivoluzione russa. Anche in questo campo non si aspetti alcuna luce di originalità, alcuna pratica da passare all'ufficio brevetti e privative, il più caratteristico di questa società che superschifiamo, ove al lavoro del muscolo cervello, lavoro che come ogni altro non è personale ma sociale, si pone il più imbecille dei timbri borghesi. Una definizione della società comunista, facile facile? Quella in cui non si timbrerà un amato canchero.

Ed infatti, stabiliti qui i cardini della visione marxista sui problemi della terra, si tratterà solo di mostrare come nell'opera colossale di Lenin, sotto il profilo dottrinale, sia seguita al mille per mille la linea generale della scuola, e quindi come le questioni della rivoluzione russa siano state poste e risolte dalla storia in tutta conformità allo stabilitissimo schema. La storia insegna, la storia disvela, la storia sfascia gli schemi e così via. Ma quando e quali? Qui sta il punto! La storia non impugna il moccolo per far luce ad ogni Pinco Pallino che apre al caffè il giornale favorito.

Se nel seguire la costruzione marxista della questione agraria non abbiamo fatto (finché l'arteriosclerosi lo consenta, mai lo faremo) alcuna innovazione e apportata alcuna variante, teniamo tuttavia a ripetere che non abbiamo inteso svolgere una "materia" scolastica, entro i limiti di un programma che la isoli dalle altre, come nei compartimenti stagni della cultura ufficiale borghese, la cultura più scialba tra tutte le civiltà storiche.

In verità ci sentiamo solidali un poco col dottore peripatetico sfottuto dal borghese (avanti lettera) Molière, il quale, andato fuori dai gangheri per un contraddittore che gli propinava un sillogismo "in balordo", ovverossia fuori dagli schemi classici della logica del Maestro, gli rovescia sul cranio la lista delle scienze in cui è ferrato e che ci guarderemo dal riportare, dalla cosmometria alla geomanzia, dalla metafisica alla musica, dalla retorica alla teologia, dalla matematica all'astrologia, dall'alchimia alla fisica.

Preferiamo un ciarlatano, che osi discutere su tutto, al moderno esperto e specialista che si chiude nel suo stupido campo di competenza e giura di essere digiuno di ogni nozione di quello del sòzio vicino, avendo passato con lui il solito patto: non lasciamo scoprire a nessun terzo quanto siamo gonfi di vuoto tutti e due.

L'importanza data al settore agrario e alla sua teoria, curata in Marx fino alla totale sistemazione, sta nel fatto che essa racchiude tutto il sistema, se di settori e di sistemi, per speditezza di linguaggio, vogliamo parlare; talché per fare intendere la soluzione della questione agraria occorre pervenire alla chiarificazione di tutti i capisaldi generali e centrali, raggiungere la spiegazione di tutto il meccanismo dell'attuale società, dare le equazioni della sua dinamica sicuramente "estrapolate" come nel passato, così nel futuro.

L'evento della Russia, dal 1917, lungi dall'avere posto il tutto su nuove basi, sta a dimostrare che Marx e Lenin - all'atto del teorizzare - avevano potuto "estrapolare" con sicurezza le trovate leggi di sviluppo.

Per sapere che cosa è estrapolare non occorre la geomanzia del vecchio dottore. Se viaggio da Piacenza a Modena e leggo le ore al mio orologio e quindi enuncio l'ora di arrivo a Roma e di partenza da Milano, ho estrapolato avanti e indietro: se ho imbroccato possedevo la giusta formula del moto. Abbiamo dunque ridotta la storia ad un orario ferroviario? Arruffatevi pure, o filistei del pensiero borghese. Solo dopo arrivati appenderemo l'orario - e voi - a chiodi di opportuna portata, come Bartali farà colla bicicletta.

Il giro di Russia

La nostra esposizione fin qui, sebbene complessa, non ha affettato un ordine sistematico da trattato ed appunto ha deviato non solo verso il centro dei principi del marxismo, ma perfino e spesso verso la periferia dell'attualità.

Alle imprese di questa diva del tempo moderno non chiudiamo noi deliberatamente gli occhi, ma la seguiamo indulgenti, sapendo, se vogliamo restare (a fine di mortificato barbassorismo) nel lieve paragone ciclistico, che non ci può sorprendere con i suoi scatti. Dimenerà pure le natiche sul sellino con stile più o meno gradevole, ma è condannata a girare coi suoi piedi e i suoi pedali in un raggio fisso nell'acciaio del determinismo: tutte lì le sue novità.

Quelli dunque che sono visti dal comune fessame come guizzi imprevedibili, si riducono con breve dimostrazione a sdruccioloni su piste ben prefissate.

Questi continui ed anche ripetuti richiami a tratti ben noti della dimostrazione generale e queste divagazioni su episodi contemporanei per ritrovarvi conferme delle leggi impostate da gran tempo, possono anche avere alterato l'ordine della trattazione, ma stanno a provare quanto il nostro metodo sia lontano dallo stupido dilemma: fare solo presentazione dottrinale, o stare nel vivo della azione. Conducetemi un solo individuo da tutto il mondo, Alto Battilocchio della notorietà universale, o incognito fesso, che per un solo momento abbia disposto di una tale scelta, ed io mi cospargerò di cenere il capo e rinnegherò di un colpo solo fino all'ultima sillaba proferita o battuta per ripeter marxismo.

Con vari accenni abbiamo già infatti mostrato le linee dorsali sia dell'attuale economia sovietica nella produzione agraria, sia delle lotte politiche in cui storicamente proletariato e strati diversi della popolazione rurale sono stati in movimento e in contatto.

L'errore che si tratta di dissipare, facilitato dall'entusiasmo generoso che sollevò la vittoria di Ottobre, è quello che prima di tali fasi storiche di prima grandezza non fosse del tutto definito il problema dell'influenza delle classi rurali in due trapassi: la rivoluzione borghese che rovescia il sistema della feudale servitù - la rivoluzione socialista condotta dai lavoratori salariati, dell'industria come della terra, in paesi in cui sono presenti strati rilevanti di altri ceti rurali, come i piccoli coloni e proprietari.

Questi rapporti sono già definiti alla chiusura delle tappe di questa prima scorsa storica e la soluzione dei quesiti è già contenuta nei "classici", e vi è contenuta così come Lenin la rivendicò e così come nella lotta sociale in Russia si presentò: una simile tesi l'abbiamo del resto già premessa nel nostro iniziale "Prospetto introduttivo" che qualche lettore ricorderà.

Dopo quindi un certo intervallo sarà organizzata ed annunziata la nuova serie, che come è ovvio ancora una volta non conterrà dati nuovi e non toccherà argomenti vergini e per necessità avrà altri attacchi con questioni di più vasto campo, come i rapporti tra la rivoluzione russa e la rivoluzione mondiale e come il corso del grande ciclo di opportunismo in cui la classe lavoratrice mondiale si trova, nell'epoca in cui sembra essere diretta con le insegne della politica leninista e della rivoluzione di Russia; epoca che non si può chiudere se non in condizioni tali da rendere inutilizzabile l'arma della identificazione tra anticapitalismo e società russa e perirussa presente. Il che non è oggi ancora vicino.

Tra nemici ed alleati

E' col nascere della teoria che spiega le lotte tra gruppi umani non con la differenza di ideologie e nemmeno colla diretta cupidigia di potenza, ma secondo i materiali interessi e la posizione sociale nella produzione, che col problema dell'inimicizia di classe si pone quello delle alleanze di classe.

Teoria della lotta di classe (cerchiamo ancora una volta di essere elementari) non vuol dire divisione della società in due classi: vi sono sempre più classi e la nostra affermazione è che si va verso la società senza classi, non che si debba prima passare per la società biclassista.

Il lungo rimasticare le tesi agrarie sarà valso a scrivere a lettere di scatola quel teorema fondamentale che è dato nelle prime battute della Critica dell'economia politica: la moderna società capitalista tipo si compone di tre classi: proletari, capitalisti e proprietari fondiari. In un conflitto fra tre partecipanti vi sono tre schieramenti possibili di uno contro due, anche non contando il quarto in cui ognuno è contro gli altri due.

Nelle epoche incandescenti della storia uno dei gruppi di classe prende la posizione di assalto contro tutti, ed echeggia allora la terribile parola del capo rivoluzionario Gesù di Nazareth: chi non è con me, è contro di me.

Non appena la classe proletaria si riconosce nella storia e vede contro di sé il "fabbricante" capitalista, essa non manca però di accorgersi dell'esistenza di varie altre classi, che anche prima che esistessero fabbricanti e salariati si muovevano in seno alla vecchia società medioevale.

Con la constatazione della esistenza di tutti questi raggruppamenti, per quanto imperfetta, immediatamente sorge il quesito dell'alleanza con alcuni di essi e sorge nella più varia maniera.

Devesi ancora una volta ricordare che i primi scrittori socialisti che intuirono i caratteri oppressivi dell'economia aziendale borghese abbozzarono i piani di una alleanza tra proletari delle fabbriche e signori feudali? E' il socialismo feudale e conservatore contro il quale un secolo fa si doveva ancora lottare. Devesi ancora dire che con posizione pienamente ammessa dal marxismo per il dato campo storico - e per strettamente collegati campi geografici - si pose ed impose la esigenza della alleanza armata e combattente in guerra civile e nazionale tra i salariati e i loro padroni borghesi?

E già il Manifesto dei Comunisti prospetta i rapporti tra il proletariato e le altre diverse classi all'indomani della completa vittoria borghese sul regime feudale.

Ricorriamo addirittura all'abbicì e ancora una volta riscriviamo come la cosa si trova messa nel Manifesto.

"Tutte le classi che finora si impossessarono del potere [verbigrazia la borghesia] cercarono di assicurarsi la posizione raggiunta assoggettando tutta la società alle condizioni del loro guadagno". Ma: "i proletari, invece [a differenza di ogni altra classe storica] possono impossessarsi delle forze produttive sociali soltanto abolendo il loro modo di appropriazione attuale e con esso l'intero attuale modo di appropriazione".

E, come è noto, ciò perché

"i proletari non hanno nulla di proprio da salvaguardare; essi hanno soltanto [dicemmo l'ultima volta] da distruggere tutte le sicurezze private e le guarentigie private finora esistite".

Tale condizione è del solo proletariato e non di alcun'altra classe: ed i passi precedenti hanno provato che solo la classe salariata non è agganciata alle famose forme: famiglia, eredità, patria. Egli è per questo che, se è verissimo che altre classi, anche povere, vi sono, fu fin da allora proclamato (e mai rimangiato) che:

"Di tutte le classi che oggi stanno di fronte alla borghesia, solo il proletariato è una classe veramente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e periscono con la grande industria, mentre il proletariato ne è il prodotto più genuino".

E quindi:

"Il proletariato, che è lo strato più basso della società attuale, non può innalzarsi, senza che tutta la sovrastruttura degli strati che costituiscono la società ufficiale vada in frantumi".

Queste affermazioni che per un secolo sono entrate nella carne e nel sangue di milioni di lavoratori delle generazioni successive, non tolgono che quegli altri strati, destinati a fratturarsi come formazioni geologiche di materiali cedevoli e incoerenti sotto il sollevamento della fiammeggiante roccia abissale o a stritolarsi tra le pieghe dei suoi corrugamenti, siano stati debitamente messi al loro posto, e non soltanto condannati a sparire.

"I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo negoziante, l'artigiano, il contadino, tutti costoro combattono la borghesia per salvare dalla rovina l'esistenza loro di ceti medi. Non sono dunque rivoluzionari, ma conservatori. Ancora più, essi sono reazionari, essi tentano di fare girare all'indietro la ruota della storia. Se sono rivoluzionari, lo sono in vista del loro imminente passaggio al proletariato; cioè non difendono i loro interessi presenti, ma i loro interessi futuri, abbandonano il proprio modo di vedere per adottare quello del proletariato".

Quindi come la classe operaia, forza di prima linea della rivoluzione sociale, ha nemici, essa ha alleati. Avviene in dati tempi che lotta

"(...) contro i nemici dei suoi nemici, gli avanzi della monarchia assoluta, i proprietari fondiari, i borghesi non industriali, i piccoli borghesi".

e avverrà altra volta che lascerà scendere al suo fianco nelle rivolte quei ceti minori che "si mettono dal punto di vista dell'avvenire", pur non affidando ad essi - sempre pronti a seguire il più forte - le posizioni centrali.

Marx e la Francia

Nelle Lotte di classe in Francia, scritte nel 1850, lavoro da Engels considerato come classico esempio dell'applicazione del metodo materialista alla storia, Marx a proposito della sollevazione contadina contro l'imposta sul vino voluta anche da Luigi Bonaparte, allora semplice presidente, ha sulla classe contadina francese alcune pagine notevoli.

"La popolazione della campagna, cioè più di due terzi dell'intiera popolazione francese, è composta in massima parte di cosiddetti liberi proprietari fondiari".

Ecco che noi vediamo come, oltre mezzo secolo dopo l'ascesa prima della borghesia al potere, se non due terzi certo molto più della metà della popolazione si compone di strati sociali diversi dai proletari salariati e dai capitalisti e non sono dunque queste sole due classi i personaggi del dramma.

Da allora è passato un intero secolo e tuttavia l'economia francese si suole descrivere come prevalentemente agraria: impegna il lavoro di oltre metà della popolazione, fornisce prodotto alimentare per tutta la popolazione senza che se ne debba importare, mentre esporta fortemente e specie il vino (primato nel mondo).

Torniamo ai proprietari liberi.

"La prima generazione liberata gratuitamente dai pesi feudali dalla Rivoluzione del 1789 non aveva pagato prezzo alcuno per la terra".

Qui tutto il segreto delle rivoluzioni antifeudali, che non ha nulla a che vedere colla "spartizione delle terre", né in Francia 1789 né in Russia 1917 (salvo i casi di parcellamento di demani collettivi e civici, abbandonati alla cupidigia non dei lavoratori della gleba ma di occhiuti usurpatori grandi e piccini). I campi sono già suddivisi in piccole aziende autonome tecnicamente, ma su tutta una rete di essi grava la cappa comune del diritto dei signori feudali (o delle istituzioni religiose). Sollevata la cappa, la terra è "libera" ma non si sono avute, di norma, né conquista per invasione né tracciamento di nuovi confini tra i lotti. Esistevano due misere forme: la servitù e la coltura minima. La prima è stata dispersa, la seconda è purtroppo rimasta. Atto primo. "Non si era pagato prezzo alcuno".

"Ma le generazioni successive pagarono sotto forma di prezzo del terreno ciò che i loro antenati semiservi avevano pagato sotto forma di rendita, di decime, di prestazioni personali, ecc. Quanto più cresceva la popolazione, e d'altra parte aumentava la divisione della terra, tanto più rincarava il prezzo dell'appezzamento, perché diventando esso più piccolo ne aumentava la domanda. Ma nella proporzione in cui si elevò il prezzo pagato dal contadino per l'appezzamento, sia comperandolo direttamente, sia facendoselo contare come capitale dai suoi coeredi, nella stessa proporzione si elevò necessariamente l'indebitamento del contadino, cioè l'ipoteca. Il titolo di credito sulla terra si chiama infatti ipoteca, cedola di pegno sul terreno. Come sui poderi medioevali si accumulavano i privilegi, così sui moderni appezzamenti le ipoteche. D'altro canto nel sistema particellare la terra è per i suoi proprietari un semplice strumento di produzione. Ora, nella stessa misura in cui il terreno viene suddiviso, ne diminuisce la fertilità. L'applicazione delle macchine alla terra, la divisione del lavoro, i grandi lavori di bonifica del terreno, quali l'impiego di canali di scarico e d'irrigazione e simili, diventano sempre più impossibili, mentre le spese morte di coltura crescono in proporzione della divisione dello strumento stesso di produzione. Tutto questo, prescindendo dal fatto che il possessore dell'appezzamento possegga o non possegga capitale. Ma quanto più cresce la divisione, tanto più il podere forma, con le sue misere scorte, l'unico capitale del contadino particellare, tanto più viene a ridursi il capitale investito nel terreno, tanto più vengono a mancare al contadino terra, denaro e cultura per applicare i progressi dell'agronomia, e tanto più la coltivazione delle terre va deperendo".

"Così è avvenuto che il contadino francese, sotto forma di interessi per le ipoteche vincolanti la terra, sotto forma di interessi per anticipazioni dell'usuraio non garantite da ipoteca, cede al capitalista non solo la rendita fondiaria, non solo il profitto industriale, non solo, in una parola, tutto il guadagno netto, ma persino una parte del salario del lavoro, e così precipita al livello del fittavolo irlandese: e tutto ciò sotto il pretesto di essere proprietario privato".

I contadini e la politica

Questo quadro da un lato conferma la sistemazione teorica della economia della piccola gestione agraria "autonoma" che già ci è nota, dall'altro introduce, in un esempio storico completo, alla questione di "tattica".

"Si comprende quale fu la situazione dei contadini francesi, quando la repubblica ebbe aggiunto loro ancora nuovi pesi oltre gli antichi. Si vede che il loro sfruttamento differisce dallo sfruttamento del proletariato industriale ormai soltanto per la forma".

"Così - Marx dice - parlavano i socialisti in opuscoli, in almanacchi, in calendari, in pubblicazioni d'ogni genere".

"Lo sfruttatore è il medesimo: il capitale. I singoli capitalisti sfruttano i contadini singoli coll'ipoteca e coll'usura, la classe capitalista sfrutta la classe dei contadini coll'imposta di Stato. Il titolo di proprietà del contadino è il talismano con cui il capitale ha potuto finora affascinarlo, il pretesto col quale finora lo ha aizzato contro il proletariato industriale. Solo la caduta del capitale può far rialzare il contadino; solo un governo anticapitalista, proletario, può spezzare la sua miseria economica, il suo degradamento sociale. La repubblica costituzionale non è che la dittatura dei suoi sfruttatori riuniti; la repubblica socialdemocratica, la repubblica rossa è la dittatura dei suoi alleati. E la bilancia sale o scende in proporzione ai voti che il contadino getta nell'urna elettorale".

Il leninismo, se consiste nel dire ai contadini che la dittatura degli operai è quella dei loro alleati (mai nel dire agli operai che la dittatura dei contadini - classe non capace di dittare - è quella dei loro alleati), era già dunque scritto nel 1850. Ma era anche scritto che la repubblica costituzionale è la dittatura di tutti i loro sfruttatori e Lenin ribadì anche questo.

E, badate! non era che il linguaggio di modesti socialisti premarxisti e democratici, che altro non chiedevano in fondo ai contadini che di votare con loro. Era quel socialismo mezzo utopista, mezzo dottrinario, a detta di Marx in queste pagine stesse, che

"(...) subordina il movimento complessivo a uno solo dei suoi momenti (...)", che "(...) in fondo non fa che idealizzare la società attuale)", che "(...) viene abbandonato dal proletariato alla piccola borghesia (...)" mentre - è qui che è detto! - "(...) il proletariato va sempre più raggruppandosi intorno al socialismo rivoluzionario, al comunismo, pel quale la borghesia stessa ha inventato il nome di Blanqui [conquista del potere armata mano]. Questo socialismo è la dichiarazione della rivoluzione in permanenza, la dittatura di classe del proletariato"!

Ma il dire, nel 1950, al contadino che la salvezza della costituzione repubblicana è il suo ideale, che gli garantirà la proprietà privata della terra, che cosa è dunque? Marxismo, leninismo, socialismo democratico e piccolo borghese? Non è il caso di scegliere tra definizioni pulite: è una pisciata.

Tra Bonaparte e la Comune

Nelle formidabili pagine del Diciotto Brumaio il contadino di Francia ritorna sulla scena. E' oggetto di una classifica tremenda.

"Come i Borboni furono la dinastia della grande proprietà fondiaria, come gli Orléans furono la dinastia del denaro, così i Bonaparte sono la dinastia dei contadini, cioè della massa del popolo francese. E l'eletto dei contadini non è il Bonaparte che si sottomette al parlamento borghese, ma il Bonaparte che dà lo sfratto a questo parlamento".

"La tradizione storica ha fatto sorgere nei contadini francesi la credenza miracolistica che un uomo chiamato Napoleone renderà loro tutto il loro splendore".

Marx teme qui di essere stato troppo feroce.

"Intendiamoci. La dinastia dei Bonaparte non rappresenta il contadino rivoluzionario, ma il contadino conservatore; non il contadino che vuole liberarsi dalle sue condizioni di esistenza sociale, dal suo piccolo appezzamento di terreno, ma quello che vuole consolidarli".

Questi stalinisti italici, che lottano pel consolidamento del contadino entro un recinto reticolato tracciato intorno a tre zolle, sono forse dunque a loro volta napoleonidi, o solo e come dianzi, vespasianidi?

Nel terzo lavoro di Carlo Marx sulla storia di Francia - vero orario ferroviario dell'espresso della rivoluzione, annunziato in ritardo, ma che passerà tanto più strepitoso - il rapporto tra proletariato e classi medie o contadine sarà ancora trattato. In Parigi lo stesso partito dei borghesi minori che aveva nel giugno 1848 collaborato alla repressione delle rivolte operaie, dove inchinarsi davanti all'altezza della Comune, dopo che i traditori dell'alta borghesia furono gettati fuori della capitale. E

"la Comune aveva perfettamente ragione di dire ai contadini che 'la sua vittoria era la sola loro speranza' ".

Marx insorge contro la menzogna che l'assemblea nazionale di Versailles rappresentasse il contadiname francese; essa rappresentava i grossi fondiari, i peggiori nemici del contadino francese. Fatto davvero "signore" da Napoleone primo, dopo la restaurazione egli aveva dovuto pagare a questi ritornanti, nel 1815, un miliardo di indennità. Agli occhi del contadino

"(...) la sola esistenza di un grande proprietario fondiario è di per se stessa una violazione delle sue conquiste del 1789. I borghesi, nel 1848, avevano imposto al suo piccolo pezzo di terra l'imposta addizionale di 45 centesimi per franco; ma allora lo avevano fatto in nome della rivoluzione, mentre ora [nel 1871] avevano fomentato una guerra civile contro la rivoluzione [La Comune], per far cadere sulle spalle dei contadini il peso principale dei cinque miliardi di indennità da pagarsi ai prussiani. La Comune, d'altra parte, dichiarò in uno dei suoi primi proclami che le spese della guerra dovevano essere pagate da quelli che ne erano stati i veri autori. La Comune avrebbe liberato il contadino dall'imposta del sangue; gli avrebbe dato un governo a buon mercato; avrebbe trasformato le sue odierne sanguisughe, il notaio, l'avvocato, l'usciere e gli altri vampiri giudiziari, in agenti comunali salariati eletti da lui e davanti a lui responsabili; lo avrebbe liberato dalla tirannide della garde champétre, del gendarme e del prefetto (...). Questi erano i grandi benefici immediati che il governo della Comune - ed esso solo - offriva ai contadini francesi".

Marx prevede che tre mesi di relazioni tra Parigi comunarda e la campagna di Francia avrebbero provocata una sollevazione di contadini: gli Junker francesi lo sapevano, e

"di qui la loro preoccupazione di stabilire attorno a Parigi un cordone poliziesco".

e di soffocare nel sangue il primo governo del proletariato.

Engels e la Germania

Il lavoro di Engels, scritto nel 1850, sulla guerra dei contadini in Germania, ha maggiori relazioni con una situazione storica paragonabile a quella della Russia zarista del novecento, essendo, come l'autore dice, scritto sotto la impressione della controrivoluzione, ossia del tentativo fallito di rivoluzione in permanenza, di una salita al potere della borghesia capitalista tedesca e di una successiva lotta del proletariato per il potere.

Nel domandarsi i motivi della neghittosità rivoluzionaria della borghesia in Germania, della assenza storica di una vera rivoluzione nazionale, Engels ricorda che una grande lotta antifeudale vi fu, con la rivolta dei contadini di Tommaso Münzer nel 1525 che la storia corrente tratta come una guerra di religione, non avendone ravvisata la base sociale.

La rivoluzione contadina contro i poteri feudali venne schiacciata soprattutto non avendo trovato un appoggio effettivo nella borghesia delle città e la Germania fu condannata a quel particolarismo di staterelli e piccoli principati, contro il quale specialmente Engels si scaglia nelle sue vigorose apostrofi e nel suo deciso schieramento per la formazione, sia pure tardiva ed in pieno ottocento, di uno Stato unitario centrale: altra volta spiegammo con larghezza come in tal senso sia giusto vedere in lui un precursore dell'Anschluss, riuscita solo in pieno novecento e rimandata, indietro oggi da una convergente aspirazione di tutti i poteri controrivoluzionari mondiali.

Ricordammo pure la conclusione di Engels: chi approfittò della rivoluzione del 1525, tra le forze in lotta: contadini servi, signori feudali, principi dei piccoli staterelli? I contadini furono battuti e ribadite le catene del servaggio feudale. Ma i nobili di campagna perdettero molta della loro ricchezza ed autonomia a favore del piccolo principato: fu comunque un colpo allo sparpagliamento feudale. Dunque approfittarono i piccoli principi. E chi nel 1848, quando operai, contadini e borghesi delle città a loro volta furono battuti? I grandi principi, Engels rispose. Ma dietro i piccoli principi stavano allora, nelle loro modeste capitali, i piccoli borghesi; dietro i grandi principi del 1848 a Berlino, a Vienna, a Monaco, stavano ormai i grandi borghesi e dietro questi i proletari. Anche la controrivoluzione è in questo senso unitario un passo storico innanzi: si ricorderà anche la valutazione di Sadowa: fu bene che Vienna fosse stata sottomessa da Berlino; come sarebbe stato bene che Berlino fosse stata sottomessa da Vienna. E fu bene Sedan e la formazione dell'impero, perché altro passo verso la centralizzazione tedesca, attuata da Bismarck con ben trecentocinquanta anni di ritardo su Münzer!

Una grande questione storica si chiude così e si apre quella dell'internazionale rossa in Europa, della dittatura del proletariato senza nazione.

Non avesse il contadino altra inferiorità, ha questa: il massimo livello storico che può attingere, anche insorgendo, è nazionale.

Nella prefazione che Engels detta nel 1874 le linee di questo quadro storico steso su secoli e su grandi Stati sono ricalcate con evidenza mirabile.

Ma vi troviamo altro: la rassegna, nella situazione succeduta alla guerra franco-prussiana e alla Comune, del gioco delle famose classi medie, ed agrarie, di cui ci siamo occupati e l'affare delle alleanze.

I borghesi erano ormai passati alla alleanza con tutte le forze reazionarie: nobiltà, monarchia, esercito, burocrazia.

"I nostri grandi borghesi continuano ad agire nel 1870 proprio come agirono i borghesi medi del 1525. Quanto ai piccoli borghesi artigiani e mercanti, essi resteranno sempre gli stessi. Sperano di arrampicarsi all'alta borghesia, temono di precipitare nel proletariato. E così tra la speranza e il timore, durante la lotta salveranno la loro preziosa pelle, e dopo la lotta, si accoderanno al vincitore. E' la loro natura".

Nel 1870 abbiamo, Engels dice, la nuova classe, il proletariato. Ma esso è ancora lontano dal formare la maggioranza. Deve dunque (quanto si è lavorato con questo dunque!) ricorrere ad alleanze, non può cercarle che

"(...) tra i piccoli borghesi, nel sottoproletariato delle città, tra i piccoli agricoltori e salariati agricoli".

Alleati a concorso

La rassegna di queste forze sociali è interessante.

"Dei piccoli borghesi abbiamo già parlato. Di loro non ci si può assolutamente fidare, tranne che quando si è vinto. Allora se ne vanno per le birrerie gridando in modo da assordare. Tuttavia tra loro ci sono degli elementi molto buoni, i quali si uniscono spontaneamente agli operai".

(Altro paio di maniche questo e che riguarda l'organizzazione del partito, assolutamente a nostro avviso non legata alla formula laburista). Siamo a posto: il vecchio Engels era troppo buon bevitore per dire: coi piccoli borghesi facciamoci la birra.

Quanto al Lumpenproletariat, o malavita delle città, ci sarebbe da fare un appunto come quello di Lenin che rilevò sembrare Marx più statalista di Engels. In questo caso Marx arriccia il naso molto meno di Engels, secondo il quale "chi si serve di questi miserabili tradisce la causa".

"I piccoli contadini - infatti i grandi fanno parte della borghesia - sono di specie diversa. O sono contadini feudali e in questo caso sono ancora tenuti alle corvées per i loro graziosi signori. Dopo che la borghesia, venendo meno a quello che era il proprio compito, ha omesso di affrancare costoro dal servaggio feudale, non sarà difficile convincerli che solo dalla classe operaia essi devono aspettare la propria redenzione.

"O sono fittavoli. In questo caso si presenta quasi sempre una situazione uguale a quella che esiste in Irlanda. Il fitto è talmente salato, che il contadino con la sua famiglia può a stento tirare avanti la vita quando il raccolto è normale e, quando il raccolto è cattivo, è ridotto quasi alla fame, non può pagare il fitto e, per questo, cade completamente alla mercé della buona grazia del padrone. Da chi possono dunque sperare salvezza se non dagli operai?

"Restano i contadini che coltivano il loro piccolo appezzamento. (...) Meno di tutti possono aspettarsi qualcosa dalla borghesia poiché sono spremuti proprio dai borghesi, dai capitalisti usurai. Ma essi sono enormemente attaccati alla loro proprietà, per quanto, in realtà, essa appartenga all'usuraio e non a loro. Tuttavia, bisogna portarli a capire che potranno svincolarsi dall'usuraio (...) ma questo può imporlo solo la classe operaia".

Infine Engels tratta dei salariati agrari, a cui forse troppo tardi si dette dai socialdemocratici tedeschi il peso dovuto, rilevando la loro perfetta analogia sociale cogli operai urbani.

"Dal giorno in cui la massa dei salariati agricoli avrà compreso quali sono i suoi interessi autentici, da quel giorno in Germania non sarà più possibile un governo reazionario, feudale, burocratico o borghese".

Engels alla data 1874 doveva ancora deplorare che in questa classe, come gli eserciti dei principi, si reclutavano gli elettori degli Junker e dei borghesi, dei nazional-liberali e del centro cattolico.

Forse, come spesso notammo, si era in Italia più avanti, perché se preti e liberali mietevano seguito nelle campagne, ove però prevaleva il bracciantato già dalla fine dell'ottocento era forte il movimento politico socialista.

Al salariato agricolo non si chiede se è alleato; egli è un fratello nella milizia della rivoluzione, che cento volte ha tenuto la prima fila.

Catastrofe tra le cozzanti tesi

1. NATURA E LAVORO

Controtesi 1. La natura pone a disposizione della società umana una massa periodica di ricchezza. Chi controlla una zona di terreno gode dell'uso di una adeguata parte di tale frutto.

Tesi 1. Tutto il complesso di beni di uso di cui la società dispone viene da umano lavoro. Dispone di beni senza corrispondente erogazione di lavoro ogni gruppo sociale che controlli: a) le persone dei produttori: dunque i prodotti; b) il diritto di accedere alla terra dei produttori: dunque i prodotti; c) gli strumenti di lavoro indispensabili ai produttori: dunque i prodotti.

2. RICCHEZZA E SOPRALAVORO

Controtesi 2. Terra, attrezzi di lavoro e denaro, sono accumulazioni di ricchezza, venga essa da natura o lavoro, che senza esaurirsi generano una quota periodica godibile (rendita, profitto, interesse).

Tesi 2. Ogni entrata di classi non adibite alla produzione deriva da sopralavoro di altre classi, che le istituzioni politiche costringono a prelevare sul prodotto quella sola parte minore, che basta a conservare e far riprodurre la classe attiva.

Rendita, interesse, profitto non sono che parti di questa eccedenza o sovraprodotto attribuite a diversi strati sociali in forza dei poteri dell'ordine vigente.

3. PARTIZIONE DEL PRODOTTO

Controtesi 3 (formula trinitaria). Il prodotto si forma con tre fattori della produzione: lavoro; proprietà; capitale; e quindi va ripartito in tre parti: il salario remunera il lavoro, la rendita la proprietà, il profitto (ed interesse) il capitale.

Tesi 3. Anzitutto il prodotto contiene un quarto elemento ossia il quantum di materie prime e di logorìo attrezzi e impianti, che va ripristinato a ciclo finito e che i marxisti chiamano capitale costante. Dunque è falsa la equazione dell'economia classica borghese: prodotto uguale salario più profitto più rendita. Devesi dunque ripartire il "valore aggiunto al prodotto" nel dato ciclo produttivo. Tale valore deriva tutto dal lavoro impiegato.

Nella forma capitalista moderna sono presenti tre classi. Tutto il valore formato nella produzione sorge dal lavoro del proletariato e su di esso si fanno tre prelievi: salario per gli operai (separati dagli strumenti e dalla terra); profitto per gli imprenditori capitalisti (che dispongono di capitale ma non di terra); rendita per i proprietari fondiari.

4. PATRIMONIO E CAPITALE

Controtesi 4. La rendita fondiaria equivale al frutto che colui che possedeva un capitale pecuniario ritrae, avendolo investito nell'acquisto di terra, come ne avrebbe avuto investendolo nell'acquisto di impianti produttivi o dandolo a frutto. Nei tre casi il valore patrimoniale si deduce dal frutto capitalizzandolo secondo lo stesso saggio annuo di interesse.

Tesi 4. Il profitto delle varie imprese capitalistiche tende a livellarsi ad un saggio medio, finché non interviene rendita. In questo caso il prodotto assume sul mercato il valore di scambio che corrisponde a quello che il marxismo chiama prezzo di produzione: capitale costante, più capitale salario, più profitto.

L'economia borghese chiama la spesa anticipata per capitale costante e capitale salari, costo di produzione o prezzo di costo.

L'economia marxista chiama saggio del profitto il rapporto del profitto a tale spesa, chiama poi saggio del plusvalore il rapporto del profitto stesso al solo capitale variabile o spesa salario.

Né l'una né l'altra grandezza corrispondono al tasso di utile o dividendo, in genere molto più basso, che l'economia comune mette in rapporto all'atto patrimoniale della ditta, dato da valore degli impianti, più capitale monetario di gestione, più immobili se ve ne sono.

Terra, il capitale monetario, e anche valore di stima dei mezzi di lavoro, considerati come beni da mercato e non come fattori legati alla produzione, e che restano integri dopo il ciclo che ha realizzato il prodotto netto, non sono investimenti di capitale produttivo ma solo titoli sociali a fare prelievi sul profitto (e dunque sul sopralavoro) e sul sovraprofitto quando esiste. Essi non entrano nel calcolo di ripartizione del prodotto totale smerciato (per i borghesi "fatturato") che per i marxisti si ripartisce tra capitale anticipato totale e profitto.

5. RENDITA DIFFERENZIALE

Controtesi 5. La rendita della terra è tanto più alta quanto più lo è il valore di mercato della terra e ciò risulta dal diritto del tempo moderno che lascia libera la compera della terra o la vendita per investire il prezzo altrove, secondo convenienza.

Tesi 5. Mentre l'interesse è una parte del normale profitto (il resto è benefizio d'impresa) che l'imprenditore cede a un anticipatore quando non dispone egli stesso del numerario per acquisto di materie prime e il pagamento di salari, prima del ricupero nel prodotto finale, la rendita sorge solo quando vi sia un extra profitto rispetto al saggio medio sociale del profitto stesso.

Un'azienda agraria dà extra profitto rispetto ad un'altra quando la fertilità della terra è tale che con lo stesso lavoro e lo stesso anticipo di capitale si raccolga una maggiore quantità di derrata che il mercato assorbe allo stesso prezzo generale. Questa differenza, rimborsate le spese e il profitto normale del capitalista fittavolo, viene versata al proprietario e forma la rendita differenziale.

6. LEGGE DEL PEGGIOR TERRENO

Controtesi 6. Come per i prodotti manufatti, il prezzo dipende dalla offerta e dalla domanda, è alto quando vi è maggiore richiesta di consumo, basso quando vi è maggiore capacità di produzione.

Tesi 6. Le famose oscillazioni concorrentistiche non hanno altro peso che di piccole "modulazioni di altezza" sull'onda portante di altezza stabile: esse si compensano tra loro e non producono trapassi di ricchezza da una classe sociale all'altra, ma solo utili e perdite episodiche di singole ditte. Per i prodotti manufatti della moderna industria il prezzo tende a stabilirsi intorno al loro valore di scambio, identico in tal caso al prezzo di produzione includente profitto in ragione del saggio medio.

Per i prodotti agrari il prezzo di mercato si stabilisce sul prezzo di produzione singolo del terreno meno fertile, che arriva a compensare il solo profitto medio, oltre le spese. Dato il rapporto tra crescente popolazione e limitata terra agraria, tutto il prodotto è collocato allo stesso prezzo e dove esso a pari spesa è di quantità maggiore e dunque di prezzo di produzione singolo minore, si forma il sovraprofitto che diviene rendita.

7. RENDITA ASSOLUTA

Controtesi 7. Dato che si ha la rendita per il proprietario solo dal momento che il prodotto remunera, a prezzo di mercato, qualcosa in più del profitto capitalista normale, sul terreno peggiore regolatore di mercato non vi ha rendita: esso sarebbe coltivato solo dallo stesso proprietario in quanto capitalista imprenditore (Ricardo).

Tesi 7. Oltre ai successivi scatti di maggiore rendita che seguono dalla migliore qualità del terreno, si ha alla base una rendita assoluta propria del caso più sfavorevole. E ciò in quanto per le derrate alimentari (frumento = alimento base) il prezzo di mercato è superiore anche al valore, ossia al prezzo di produzione nelle peggiori condizioni e ciò da quando la terra è tutta occupata e tutta gestita nella forma di impresa capitalistica (da quando quindi è superato il diretto consumo della derrata da parte del coltivatore e tutto entra come merce nel circolo mercantile).

Il modo storico capitalistico di produzione, diffondendosi, fa scemare il prezzo dei manufatti, salire quello degli alimenti.

8. INDUSTRIA E AGRICOLTURA

Controtesi 8. Col progresso della tecnica e l'investimento di capitali maggiori nell'agricoltura potrà aumentarsi la massa dei prodotti alimentari fino a farne scemare il costo...; sottocontrotesi a): a condizione di liberalizzare gli scambi e gli investimenti di capitale...; sottocontrotesi b): a condizione che una direzione economica centrale calcoli opportunamente i volumi di capitale da destinare ai vari settori e regoli le quotazioni di mercato.

Tesi 8. E' impossibile nell'economia capitalistica ogni compensazione tra i prezzi industriali ed agrari, come in genere tra le soddisfazioni dei bisogni giusta una utilità sociale - così come è impossibile nella distribuzione della ricchezza, dei capitali e dell'entrata.

La tendenza, sempre più divergente dall'equilibrio, di tale economia è legata non alla semplice appropriazione di sopralavoro, ma al fatto che la ripartizione del prodotto fra le entrate delle varie classi dipende dalla esistenza di un prezzo corrente di mercato uguale per le merci prodotte nelle più diverse condizioni, rapporto di forze e risultati. Alla legge del valore ovvero della equivalenza negli scambi. Alla distribuzione mercantile.

La composizione organica sempre migliore del capitale industriale (alto grado tecnologico: molte materie trasformate per sempre minor numero di operai e di ore lavorative) determina la generale discesa storica del saggio del profitto (mentre la massa sociale ne cresce enormemente col crescere del capitale globale) anche a pari tasso di plusvalore (pari prelievo di sopralavoro).

Questo processo, che rese ineluttabile il sorgere della produzione capitalistica, è nell'agricoltura bloccato non solo dal monopolio privato della terra ma principalmente dalla livellazione mercantile di tutta la massa prodotta recata allo scambio e dalla relazione sfavorevole popolazione-terra.

Il passaggio, proposto fin dagli inizi dell'industrialismo, di tutte le rendite fondiarie allo Stato, non eliminerebbe affatto le cause di questo fatto essenziale, ridistribuendo il sovraprofitto che andava ai fondiari tra i capitalisti borghesi, cui secondo la vecchia tesi di Ricardo lo Stato non chiederebbe più imposte sugli utili.

9. COMUNISMO E ANTIMERCANTILISMO

Controtesi 9. La compensazione generale e la discesa del tempo di lavoro medio sociale, con alto livello generale dei consumi, si può raggiungere, oltre che statizzando ogni rendita: a) passando allo Stato tutto il profitto delle imprese aziendali ed agrarie; b) lasciando lo stesso alle associazioni autonome di tutti i lavoratori di ciascuna azienda.

Tesi 9. Queste misure non escono dal quadro mercantile e quindi capitalistico, dato che lo scambio mercantile regolerebbe i rapporti tra azienda e azienda, o azienda e Stato, tra azienda e consumatore o consumatore e Stato, nonché tra azienda e lavoratore. Si avrebbe ugualmente enorme lavoro sociale globale con scarso consumo sociale globale e nessuna compensazione tra apporti di lavoro e godimenti di consumo.

Il superamento del dispotismo aziendale, o prigionia per un esagerato tempo di lavoro (che tecnologicamente dovrebbe oggi essere una piccola frazione di quello dei tempi precapitalistici e del massimo fisiologico) e della anarchia della produzione (o sperpero di una grande parte del prodotto sociale senza che sia trasformato in utile consumo) costituiscono il programma comunista della rivoluzione del proletariato e comportano i seguenti caratteri.

A. Abolizione della amministrazione della produzione per esercizi di aziende.

B. Abolizione della distribuzione col mezzo dello scambio mercantile e monetario, sia per i prodotti-merci che per la forza umana di lavoro.

C. Piano sociale unitario, misurato da quantità fisiche e non da equivalenti economici, della assegnazione delle forze di lavoro, materie prime, strumenti, ai vari settori produttivi e della assegnazione dei prodotti nei settori di consumo.

Formule volgarmente errate sono quelle che sia socialismo la soppressione del plusvalore e la restituzione dell'intero frutto ad ogni produttore.

Socialismo è la abolizione di ogni valore mercantile e di ogni lavoro costretto e pagato, col dono del sopralavoro di ciascun singolo alla società, non ad altri né a se stesso.

10. PARCELLAZIONE E MISERIA

Controtesi 10. Un rimedio alle gravi disparità di distribuzione della ricchezza, da tutti ammesse, si trova nella parcellazione della terra tra piccoli esercizi familiari condotti da fittavoli, coloni, contadini proprietari liberi.

Tesi 10. Gli strati della popolazione agraria lavoratrice diversi dai salariati, di cui mai la società capitalista sarà epurata, sono sopravvivenza di passate forme sociali. Il prodotto di una tale frammentaria produzione si mantiene a prezzo più basso di quello che si genera nella piena agricoltura capitalistica, solo perché quei lavoratori imprenditori e persino proprietari fondiari in minimi esercizi, a causa delle difficoltà naturali e sociali e della deteriore tecnica, abbandonano parte della rendita e del profitto e spesso dello stesso salario equivalente a quello del nullatenente, parte alla classe capitalistica e allo Stato, parte ai consumatori (caso in cui il prezzo è sotto, non sopra il valore).

Tali strati formano una classe, quasi una casta di oppressi, arretrata rispetto al mondo moderno, incapace - per quanto le loro rivolte per fame possano disturbare il potere borghese - di impersonare nuove forme sociali rivoluzionarie.

La rivoluzione è compito della classe dei proletari salariati della industria e della terra; e storica funzione di essa sola è la dittatura rivoluzionaria.

11. MONOPOLIO E CONCORRENZA

Controtesi 11. La teoria marxista dell'economia moderna, basata sulle leggi della produzione come determinazione del valore del prodotto e del plusvalore, non ha potuto rendere esatto conto dei recenti fenomeni del monopolio e dell'imperialismo, in quanto le sue deduzioni contenevano l'ipotesi del vigere della piena concorrenza.

Tesi 11. La teoria basata sul calcolo della grandezza del valore e delle sue parti nella produzione capitalistica, si contrappose fin dal suo sorgere a quella borghese della concorrenza, la negò e ne segnò la condanna, svelando fin da allora il carattere di monopolio di classe di essa economia. I fenomeni recenti hanno confermato la dottrina e le sue previsioni tutte, e la loro presentazione teorica e matematica anche nei settori industriali, si compie senza alcuna difficoltà mediante i rigorosi teoremi sulla rendita: essi furono fin dalla enunciazione applicati non alla sola agricoltura, ma a tutte le forze naturali; valgono quindi anche per la economia della macchina a carbone o benzina; di quella idroelettrica e della futura motrice nucleare, tutte attuali e prossime basi di sovraprofitti e monopoli e di parassitismi redditieri, che aggravano la scompensazione della forma sociale capitalistica.

12. LA NEMICA SCIENZA

Controtesi 12. Le dottrine basate sulla introduzione di grandezze misurabili nella produzione, sui passaggi di valore da classe a classe, con le loro previsioni sulle tendenze di storico sviluppo, sono ideologie arbitrarie, non essendo possibili scientifiche previsioni nel campo economico; sola scienza possibile è quella che si basa sulla registrazione dei prezzi concreti e ne segue le vicende estremamente complesse. Alle teorie del prezzo si attengono ormai i moderni economisti, assai ulteriori a Marx, i più noti autori, i docenti più seguiti ed illustri.

Tesi 12. Les professeurs à la Lanterne!

FINE

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