La nostra riunione generale del 6-7 settembre, Parigi 1969 (3)

(contin. dal numero scorso)

1958-1968
Ripresa delle lotte rivendicative

Nel 1958, in corrispondenza con la recessione americana, si ha anche in Italia un leggero rallentamento nei ritmi d'incremento produttivi, che si trasforma subito in un giro di vite alla condizione degli operai; alcune aziende chiudono i battenti o modernizzano i loro impianti; molti salariati vengono licenziati e vanno ad ingrossare l'esercito di riserva. Ma, fin dal 1959, si annuncia un boom produttivo di grande portata. Dal 1959 al 1963 la produzione industriale segna incrementi mai visti; gli operai alla produzione aumentano notevolmente; diminuisce di 500-600 mila unità l'esercito di riserva. In queste condizioni riprendono le lotte rivendicative; tra la fine del 1959 e il 1960, tutte le più importanti categorie dell'industria e dei trasporti entrano in lotta per rinnovare i contratti di lavoro. Nel 1960 lo Stato interviene contro i lavoratori, e nel luglio, in seguito a manifestazioni indette dai partiti opportunisti contro il governo (che avrebbe minacciato addirittura di sciogliere il parlamento), la polizia spara sui dimostranti a Modena e Reggio Emilia, arresta, bastona e terrorizza in tutta Italia.

La CGIL non riesce che ad organizzare uno sciopero generale di protesta di 15 minuti; i partiti opportunisti rinnovano il loro atto di fede nella democrazia, e tutto finisce con un cambio di governo; ma non finiscono le lotte rivendicative legate oggettivamente alla situazione degli operai. La CGIL le contiene come può; soprattutto ne impedisce qualsiasi sbocco politico servendosi del boom produttivo per propagandare le bellezze del "progresso sociale" nella pace e nella democrazia.

I cardini dell'azione rivendicativa della CGIL sono in questo periodo: 1) salari legati alla produttività del lavoro; 2) aumenti non sul salario base, ma sugli incentivi (cottimi, straordinari, premi di produzione ecc.); 3) difesa delle aristocrazie operaie attraverso gli aumenti percentuali dei salari e creazione addirittura di qualifiche speciali; 4) lotta articolata a livello aziendale col pretesto di strappare profitti alle aziende più favorite dal boom; 5) riduzione limitata dell'orario di lavoro, comunque recuperabile attraverso gli straordinari.

E' chiaro che una politica simile, unita a forme di lotta prive di vera forza (scioperi a singhiozzo, scioperi aziendali, preavvisati, non organizzati ecc.), favorisce obiettivamente il padronato e riduce al minimo i risultati delle lotte da un punto di vista immediato. Ma c'è un risultato non immediato che discende dalla ripresa delle lotte: i partiti opportunisti cominciano a mostrare le prime lievi crepe, le direzioni sindacali cominciano ad essere criticate dai proletari più combattivi.

Quando, nel 1963, il boom finisce e cominciano la crisi, i licenziamenti, la intensificazione dello sfruttamento accanto al blocco reale dei salari ed anzi alla caduta del loro potere di acquisto, le lotte rivendicative si intensificano e appare sempre più in chiara luce la natura antioperaia dei duci sindacali e politici del proletariato.

Gli operai subiscono ormai la direzione degli opportunisti, ma con sempre minor convinzione; nel momento della lotta sfuggono molto spesso alle loro mani e comunque la rottura si fa evidente. Il tessuto monolitico dei vecchi partiti si disgrega: sorgono ali sinistre che tentano di salvare il salvabile e impedire il collegamento fra le masse e il Partito: cosi il PSIUP, i filocinesi e tutti i gruppetti spontaneisti.

La situazione attuale:
Conclusioni

Questo processo di disgregazione è in atto; esso continuerà e si aggraverà perché coincide con una situazione internazionale in cui il capitalismo si avvicina inesorabilmente alla crisi mondiale di sovraproduzione. Gli operai saranno costretti a condurre lotte sempre più dure, che li metteranno sempre più in contrasto diretto con l'apparato statale borghese; in queste lotte ritroveranno sempre più una predisposizione rivoluzionaria; su questa strada scuoteranno il giogo dei partiti opportunisti e l'impasse dello spontaneismo, e si indirizzeranno verso il Partito di classe che da sempre svolge il suo lavoro a contatto delle masse e tende all'organizzazione rivoluzionaria della classe proletaria lavorando nei sindacati e intervenendo con il suo indirizzo politico nelle lotte immediate. Sopravvalutare la profondità di questo processo può essere altrettanto dannoso quanto sottovalutarla; sosteniamo però che il movimento va in questo senso e la storia delle lotte sociali in Italia lo indica: riassumendo, abbiamo infatti le seguenti tappe, che danno in maniera visiva il quadro della situazione attuale:

1919 - Culmine delle lotte sociali del primo dopoguerra - occupazione delle fabbriche e sciopero generale - tentativo, spezzato dai socialdemocratici, di arrivare alla soluzione politica rivoluzionaria.

1919-1924 - Offensiva fascista; difesa proletaria diretta esclusivamente dal partito comunista; la lotta è immediatamente politica anche se si presenta sotto la forma della difesa immediata della condizione operaia.

1926-1945 - Dittatura fascista; distruzione fisica delle organizzazioni proletarie. Lo stalinismo annienta ogni indirizzo rivoluzionario e precipita nella guerra e nella resistenza.

1945-1949 - La classe lavoratrice è sotto il dominio dell'opportunismo e si ubriaca di democrazia. Gli operai industriali non si muovono neanche sul piano rivendicativo: solo gli agricoli danno vita a movimenti e rivolte dettati dalla disperazione e dalla fame. Il sistema va verso- la ripresa produttiva, e questo permette agli opportunisti di parlare della possibilità di "progresso nella pace e nella democrazia".

1949-1959 - La classe operaia è completamente ferma. La produzione industriale marcia a pieno vapore.

1959-1943 - Riprendono, in corrispondenza con il boom economico, le lotte rivendicative, che vedono completamente impegnati gli operai industriali e agricoli.

1963-1969 - La crisi non segna la fine delle lotte; anzi, esse si intensificano. Si aprono le prime crepe nell'edificio dei partiti opportunisti. Sorgono ali e gruppetti dissidenti. Il sistema va verso la crisi alla scala mondiale.

Dopo un vuoto di più di 30 anni, la classe operaia è di nuovo in lotta. I limiti di questa ripresa sono evidenti, ma resta pur sempre una ripresa. Il Partito deve approfittarne per legarsi sempre di più alla classe operaia per poterla realmente dirigere in un futuro più o meno lontano sulla via della rivoluzione.

(continua)

Da "il programma comunista" n. 19, 31 ottobre 1969

Indice de Il programma Comunista - 1969