Bordiga Amadeo

La formazione di Bordiga fu di carattere scientifico. A differenza della quasi totalità dei politici moderni, egli sottopose fin da ragazzo la teoria politica a una visione scientifica piuttosto che il contrario (nelle sue opere della maturità sostenne che la scienza moderna è marcatamente influenzata dall'ideologia). Il padre Oreste, piemontese, fu uno stimato studioso di scienze agrarie, la cui autorevolezza era riconosciuta specialmente a proposito dei secolari problemi agrari del Mezzogiorno italiano. Lo zio paterno, Giovanni, fu matematico, esperto di geometria proiettiva, insegnante all'università di Padova, militante del radicalismo tardo risorgimentale (appassionato d'arte, fondò tra l'altro la Biennale di Venezia).

La madre, Zaira degli Amadei, discendeva da una antica famiglia fiorentina e il nonno materno fu cospiratore nelle lotte risorgimentali. L'ambiente familiare fu dunque fondamentale nella formazione del giovane rivoluzionario, che seppe fondere la scienza con l'arte, come ebbe a dire nel 1960 a proposito dell'intero movimento rivoluzionario. Con queste premesse, Bordiga si laureò in ingegneria al Politecnico di Napoli nel 1912. Aveva già conosciuto il movimento socialista al liceo, tramite il suo professore di fisica (Calvi) e nel 1910 aveva aderito al Partito Socialista Italiano.

Dal "Circolo Carlo Marx" alla fondazione del PCd'I

L'opposizione dei socialisti radicali alla Guerra di Libia lo vide in prima linea nelle assemblee e in piazza, come registrano i rapporti di polizia. Nell'aprile del 1912 fondò con alcuni giovani compagni il Circolo Carlo Marx, gruppo che uscì dalla sezione napoletana del PSI ma non dal partito, rientrandovi quando terminò il tentativo delle manovre bloccarde con i massoni. Sotto la sua influenza, la sezione napoletana del partito divenne il nucleo di una combattiva corrente che poco a poco si fece strada nei convegni locali della gioventù socialista e nei congressi nazionali del partito. Nello stesso tempo cresceva l'esperienza di lotta, vissuta in una delle aree industriali, quella ad est di Napoli, che allora era tra le più sviluppate d'Italia.

Il suo rifiuto dell'approccio pedagogico alla politica divenne in quegli anni uno dei suoi cavalli di battaglia. Fu fin dall'inizio profondamente ostile alla democrazia rappresentativa, che considerava strettamente legata all'elettoralismo borghese: "Se esiste una totale negazione dell'azione democratica, essa va ricercata nel socialismo" (In Il Socialista, 1914). Fu contrario alla libertà di azione concessa ai parlamentari socialisti, che invece egli voleva porre sotto il diretto controllo della direzione del partito. Similmente alla maggior parte dei socialisti nei paesi mediterranei, fu avversario severo della massoneria.

Allo scoppio della guerra, nel 1914, si distinse per la sua campagna rigorosamente antimilitarista. Nel 1915 fu chiamato alle armi e dovette sospendere l'attività aperta contro la guerra. Esonerato dal servizio attivo per grave miopia, riprese l'attività politica presentando nel partito, nel 1917, una mozione contro la formula ambigua e fuorviante di "né aderire né sabotare". Destò grande sorpresa fra i dirigenti del partito il risultato della votazione: 14.000 voti per la mozione della Sinistra e 17.000 per quella degli altri raggruppamenti. Nell'agosto del 1917 Bordiga fu l'animatore della "Frazione Intrasigente Rivoluzionaria", della quale scrisse le tesi politiche, fatte accettare quasi all'unanimità al seguente congresso della Federazione Giovanile.

Allo scoppio della Rivoluzione russa nell'ottobre del 1917, aderì al movimento comunista internazionale e formò la "Frazione Comunista Astensionista" all'interno del PSI. La frazione si diceva astensionista in quanto si opponeva alla partecipazione alle elezioni borghesi e fu questa corrente, alla quale si affiancò quella torinese dell'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, a uscire dal PSI a Livorno nel gennaio 1921 per formare il Partito Comunista d'Italia (Pcd'I). Era l'epilogo di una lunga divisione interna ai socialisti, che fin dal 1919 si erano trovati nel dilemma se accettare o meno interamente le condizioni poste da Lenin per entrare nella Terza Internazionale.

Nel corso delle dispute su queste condizioni, Bordiga, partecipando al Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista nel 1920, fece aggiungere 2 condizioni alle 19 già fissate da Lenin. Nonostante l'appoggio di Lenin ai comunisti italiani contro i riformisti del PSI, le posizioni astensioniste di Bordiga furono criticate dallo stesso Lenin in "L'estremismo: una malattia infantile del comunismo" (cui Bordiga rispose negli anni Sessanta con un saggio contro i falsificatori di Lenin).

Dalla guida del PCd'I all'emarginazione

Sotto la guida carismatica di Bordiga il Partito Comunista d'Italia si avviò ad essere un organismo assai dissimile dagli altri partiti che avevano aderito all'Internazionale. La composizione prettamente operaia non aveva prodotto la solita gerarchia interna piramidale con al vertice gli intellettuali. D'altra parte, la pur rigorosa disciplina interna non si fondava tanto su disposizioni statutarie quanto sul programma e su quello che proprio in quel periodo si stava configurando come "centralismo organico". Questo particolare assetto "naturale" fu spiegato e rivendicato già dal 1921 come elemento distintivo della Sinistra Comunista "italiana". In un articolo dello stesso anno, Bordiga chiarisce che il partito rivoluzionario si caratterizza per il fatto di essere già il progetto, la base fondante della società futura e da questa deriva la sua specifica natura e struttura, mentre rigetta ogni meccanismo interno mutuato dalla società presente.

Bordiga fu eletto nel Comitato Centrale del Pcd'I e vi rimase fino al suo arresto nel 1923. Nel giugno egli e gli altri dirigenti arrestati vennero sostituiti alla direzione del partito per ordini di Mosca. Assolto al processo, rifiutò di entrare nel comitato esecutivo. Nel 1926 partecipò al Congresso clandestino di Lione, dove la Sinistra fu messa in minoranza dai centristi allineati a Mosca (Gramsci, Togliatti, Terracini, tra gli altri, si erano schierati con il campo che si stava delineando come stalinista) con vari espedienti, nonostante disponesse ancora della stragrande maggioranza dei voti congressuali.

Subito dopo il Congresso di Lione, in cui furono presentate le ultime tesi che la Sinistra Comunista poté scrivere in difesa dell'Internazionale, Bordiga partecipò al VI Esecutivo allargato dell'IC, dove tentò per l'ultima volta di intervenire in difesa dei principii fondanti di quello che doveva essere il partito mondiale. Nello stesso anno fu arrestato e inviato al confino sull'isola di Ustica, dove con Gramsci contribuì a organizzare la vita dei prigionieri. Al rilascio fu sempre più emarginato dall'attività politica finché il 20 marzo 1930 venne espulso per aver difeso Leone Trockij nonostante le divergenze con lui. Per diversi anni non poté più svolgere politica attiva, controllato notte e giorno dalla polizia fascista.

Il rapporto con Gramsci

Bordiga aveva un rapporto quasi paterno e protettivo nei confronti del giovane Gramsci, fisicamente poco adatto alla dura lotta politica del tempo, in ambiente di guerra civile. Cercava di assecondare come poteva "il suo lento evolvere dall'idealismo filosofico al marxismo". Non gli importava nulla che fosse stato interventista di guerra e gli fu amico anche nei momenti di dura polemica. Lo sarebbe stato anche se avesse conosciuto la sua corrispondenza segreta con Togliatti e gli altri centristi di minoranza alleati a Mosca che lavoravano alla liquidazione della Sinistra: essendo completamente estraneo alle manovre politiche sia concretamente che come mentalità, badava alla salvaguardia del partito rivoluzionario indipendentemente dalle sue componenti interne e dai numeri di iscritti che esse coinvolgevano.

Quando il gruppo gramsciano si avvicinò alla Sinistra, reputò "leale" il titolo della sua rivista, che non parlava di Classe, Stato e Società come facevano i comunisti, ma genericamente di "Ordine Nuovo". Bordiga scherzava sulla concezione antideterministica di Gramsci, che ancora nel 1919 interpretava la Rivoluzione d'Ottobre come una specie di "miracolo della volontà umana", contro ogni determinismo delle reali condizioni economiche e politiche della Russia: "Solo a rilento Gramsci accettò le direttive marxiste sulla dittatura del partito e sulla stessa incidenza del sistema marxista, fuori dell'economia di fabbrica, in una visione radicale di tutti i rapporti di fatti nel mondo umano e naturale". Quando poi conobbe Lenin, racconta ancora Bordiga, "la cosa non restò senza effetto; maestro ed allievo non erano da dozzina".

Gramsci ammetteva di non accettare tutto del marxismo e di maturare lentamente, tanto che rispose a tono: "Preferiremo sempre quelli che imparano lentamente capitoli del marxismo a quelli che li dimenticano". Ma ancora nel 1926, in margine al Congresso di Lione, quando ormai la Sinistra era liquidata, a una precisa affermazione di Bordiga, che ormai considerava un avversario da rimuovere, rispose: "Do atto alla sinistra di avere finalmente acquisita e condivisa la sua tesi, che l'aderire al comunismo non comporta solo aderire ad una dottrina economica e storica e ad una azione politica, ma una visione ben definita, e distinta da tutte le altre, dell'intero sistema dell'universo anche materiale".

Al confino insieme per qualche tempo a Ustica alla fine del 1926, Bordiga e Gramsci organizzarono una "scuola di partito" per prigionieri dove nessuna "materia" era esclusa. Di comune accordo, tenevano a turno "lezioni" in cui l'uno esponeva la materia secondo le tesi dell'altro, scherzando alla fine sul confronto delle eventuali manchevolezze di ognuno (Le citazioni in corsivo sono memorie di Bordiga).

Il secondo dopoguerra

In seguito allo sbarco alleato e allo spostamento al Nord del fronte di guerra nel 1944, intorno a Bordiga si raccolsero i vecchi compagni del 1921. Con la guerra ancora in corso, furono presi contatti clandestini con i compagni del Nord. Nell'immediato dopoguerra vi furono le prime riunioni congiunte, ma Bordiga rifiutò di far parte del partito se fosse rinato nuovamente sulle basi della vecchia Internazionale degenerata. Iniziò quindi a collaborare al periodico "Battaglia Comunista" (1945), organo del neo-costituito Partito Comunista Internazionalista.

All'uscita della rivista "Prometeo" (1946), organo teorico dello stesso partito, scrisse sul primo numero un "Tracciato d'impostazione" che doveva servire da riferimento programmatico. Nel 1949 iniziò a scrivere la serie di 136 articoli "Sul filo del tempo", tesa a dimostrare la necessaria continuità fra le origini del movimento comunista e i compiti attuali. Sulla base di tale impostazione teorica scrisse una gran mole di articoli e saggi tendenti a dimostrare che l'URSS era da considerarsi un paese capitalista impegnato in un "industrialismo di stato". Questa posizione lo poneva in irriducibile contrasto con lo stalinismo ed il togliattismo, che sostenevano invece l'idea che in Russia si stesse "costruendo il socialismo in un paese solo".

Dal 1945 partecipò alquanto dall'esterno alla organizzazione del Partito Comunista Internazionalista. Affermò di non voler essere presente ad alcun convegno o congresso per non influenzare con il suo carisma ancora integro lo schieramento dei militanti (disse di non aver problemi a "militare", come stava facendo, ma non voleva assolutamente "generalare"). Alcuni articoli come "Bussole impazzite" furono scritti contro la confusione che regnava nel giovane partito, come anche l'abbozzo di tesi "Natura funzione e tattica del partito rivoluzionario". Nel 1951 preparò con un certo numero di compagni di partito le "Tesi caratteristiche" sulle quali si consumò la scissione che diede vita ad un nuovo "Partito Comunista Internazionalista" ("Internazionale" dal 1964).

Il nuovo organismo si basava sul "centralismo organico" già rivendicato negli anni Venti, e ora più significativo che mai nel senso di un rifiuto del modello organizzativo della III Internazionale ("centralismo democratico") a favore di una compagine di lavoro che avesse finalmente la possibilità di realizzarsi. Continuava comunque a denunciare "da sinistra" l'URSS, rimanendo fedele al marxismo e a Lenin, criticando e denunciando lo stalinismo come corollario orientale degli Stati Uniti nella controrivoluzione mondiale.

Nel 1964-1966 fissò in ulteriori tesi quelle che avrebbero dovuto essere le basi storiche e organizzative del partito rivoluzionario, coadiuvate dall'intenso lavoro di "difesa del programma" e di "restaurazione teorica" iniziato nell'immediato dopoguerra. Nel 1969 fu colpito da una paresi che lo rese semiparalizzato. Ciò non gli impedì di rilasciare una lunga intervista, nel giugno 1970, un mese prima di morire, quasi un testamento politico.

Morì il 23 luglio del 1970.

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