Numero 125, 15 aprile 2008

Bene, bene...

Intendiamoci: queste elezioni non hanno cambiato niente. Le decisioni della borghesia non vengono MAI prese per via parlamentare. Del resto basta un'oscillazione di mezzo punto su qualche indicatore dell'economia globalizzata per allineare agli ordini del Capitale tutti i borghesi del mondo. Da Cacciari a Cossiga, da Epifani a Fini si son tutti mostrati preoccupati per l'esclusione della sinistra dal parlamento: potrebbe ritornare alla piazza. Tranquilli! Per uno scranno governativo nel tempio della chiacchiera non c'è sinistro che non bombarderebbe di nuovo dieci Jugoslavie e venti Afghanistan. La piazza ideologica non ha mai disturbato l'andamento del profitto. E' BENE che si semplifichi un po' la giungla del nemico, specie quando questi si veste di rosso. La catastrofe elettorale dei sinistri sia di monito soprattutto ai giovani, perché un posto al parlamento è l'equivalente aggiornato del vecchio posto in paradiso: tu prega e spera, io faccio affari. Non è forse meglio partecipare a una "comunità umana" che abbia le proprie radici nella storia delle rivoluzioni e abbia - qui, subito - una concezione del mondo opposta a quella imperante?

1953: Il cadavere ancora cammina
1960: La concorde regia dell'infessimento elettorale

Il Tibet è cinese?

Il feudalesimo tibetano è stato sconfitto da una rivoluzione borghese. Che questa sia avvenuta per forze interne o esterne a noi poco importa. Importa invece e molto, agli Stati Uniti e alla classe pre-feudale tibetana che ad essi si appoggia. Importa ai tibetani cui è stata distribuita la terra dei feudi e dei monasteri e importa ovviamente ai monaci che dominavano su una popolazione letteralmente schiava. Infine importa alla Cina che, come paese asceso al rango imperialistico, come tale si comporta. Ma di chi è il Tibet? Ovviamente non se ne può fare una questione di "proprietà". Qualche nuda cifra aiuterà a porre correttamente la questione. Il Tibet è grande tre volte l'Italia ed ha attualmente sei milioni di abitanti. Un censimento del 1953 rivelò una popolazione di 1.250.000 abitanti. Il Dalai Lama e suo fratello ci dicono che l'invasione cinese del 1959 comportò l'uccisione di 1.200.000 tibetani. Sull'Atlante De Agostini 1961 la popolazione è ancora 1.274.000. I maoisti dicevano che prima dell'invasione cinese c'erano 6.000 monasteri. I seguaci del Dalai Lama confermano la cifra e lamentano la distruzione di un "enorme patrimonio culturale". Sul sito di Italia-Tibet (anticinese) c'è scritto che in quei monasteri c'erano 750.000 monaci: un monastero ogni 200 abitanti, un monaco ogni abitante e mezzo. Ci sembra del tutto normale che una possente rivoluzione borghese-contadina come quella maoista abbia avuto qualche effetto traumatico su tutto ciò.

1959: I fatti del Tibet, controprova del conformismo nazionalcomunista

Vicolo cieco

Sull'ultimo numero dell'Economist c'è un articolo intitolato "Riparare la finanza". Il sottotitolo recita: "Le crisi sono endemiche nei sistemi finanziari, ma il tentativo di regolamentarli può nuocere più di quanto possa far bene". La finanza sarebbe "il cervello dell'incontro fra capitale e lavoro" tramite un complesso rapporto sociale, non inquadrabile nelle regole che può escogitare uno Stato; tant'è vero che perseguire il traffico di titoli spazzatura ha comportato la nascita di rispettabili transazioni su debiti ad alto rischio. Questi fondamentalisti del liberismo hanno il pregio di parlar chiaro: sono gli uomini ad obbedire al Capitale e alla sua "mano invisibile", non viceversa. Comunque a capire che la crisi del capitale finanziario era endemica c'era già arrivato Engels 150 anni fa.

2000: Massimo di centralizzazione

La guerra del pane

Il capitalismo distrugge le sue stesse basi dilapidando in modo insensato le fonti energetiche. La sua sete di combustibili lo porta a ricavarne dal cibo, affamando il mondo intero. Perciò si stanno estendendo le "rivolte del pane": in Messico, Brasile, Marocco, Haiti, Indonesia, Egitto, Camerun, Burkina Faso, Tunisia, Costa d'avorio, Senegal, Etiopia, Madagascar, Filippine, Yemen. Tra il 2006 e il 2007 il prezzo medio dei cereali per le nazioni povere ha subito un'impennata del 37% e tra il 2007 e il 2008 addirittura del 56% . Questi aumenti, secondo le previsioni rese note dalla Banca Mondiale, creeranno 100 milioni di nuovi poveri. Una crescente colonizzazione dei terreni agricoli da parte dell'industria degli agrocarburanti non è un'eventualità, è una certezza. E infatti una enorme massa di capitali speculativi si sta dirigendo sui mercati delle materie prime alimentari, scommettendo al rialzo e quindi contribuendo a provocarlo. Le conseguenze sul proletariato mondiale sono facilmente immaginabili...

2006: La legge della miseria crescente
2007: Perché gli agrocarburanti affameranno il mondo

Un paese-galera

Nel paese che ha fatto della libertà la propria bandiera, tanto da esportarla nel mondo a suon di cannonate, il numero degli abitanti imprigionati nelle carceri federali ammonta a 1,6 milioni di individui. A questi se ne devono aggiungere 0,7 milioni rinchiusi nelle carceri locali, per un totale quindi di 2,3 milioni, 1 ogni 100 abitanti adulti. Nessun altro paese raggiunge queste cifre, nemmeno quelli trattati con arroganza e disprezzo per la violazione dei "diritti umani" (la Cina ha 1,5 milioni di carcerati, ma con una popolazione di 1,3 miliardi di abitanti: 0,15 ogni 100). Il modo di vita americano deve produrre un gran tasso di felicità se porta in galera tanta gente. Ad ogni modo produce un fiorente settore industriale delle prigioni private, che sta accumulando enormi profitti.

1949: Inflazione dello Stato

L'Italia raschia il fondo del barile

L'attuale sistema economico e sociale, basato sullo sfruttamento della forza-lavoro, segue il suo percorso catastrofico e nulla può "migliorarlo": ogni intervento che gli dà ossigeno peggiora le condizioni di vita del proletariato. Il PIL italiano crescerà quest'anno solo dello 0,3% e si manterrà debole anche nel 2009. Lo afferma il Fondo Monetario Internazionale nel World Economic Outlook. Confindustria risponde allarmata: "Aspettiamo da mesi un accordo tra i sindacati, ma se questo non avvenisse è nostro dovere andare avanti con chi è disponibile". Luca Cordero di Montezemolo, parlando della riforma dei contratti: "Non possiamo permetterci altri quattro anni di immobilismo". Bisogna controllare la tendenza dei salari nazionali a crescere, potenziare la contrattazione aziendale, legando ancor di più i salari alla produttività e all'efficienza delle aziende. L'ennesimo invito borghese a sposare la causa patriottica del "sostegno al sistema produttivo". Verrà accettato anche questa volta?

1993: Come un logaritmo giallo

Il sindacato come appendice del ministero del lavoro

Esce un libro, ustionante come acido solforico, sul mega business della Triplice. S'intitola "L'altra casta. Privilegi. Carriere. Stipendi. Fatturati da Multinazionale. L'inchiesta sul sindacato" (ed. Bompiani, 2008) ed è scritto da un giornalista dell'Espresso. L'inglobamento del sindacato nell'orbita istituzionale corrisponde al tentativo di disciplinare, vista la sua ineliminabilità, il conflitto capitale-lavoro, ed esprime un'esigenza precisa del capitalismo senile. "La sola CGIL ha un giro d'affari valutato in un miliardo di euro. I delegati delle tre centrali sindacali sono 700 mila, sei volte più dei carabinieri. I loro permessi equivalgono a un milione di giornate lavorative al mese. E costano al sistema-paese un miliardo e 854 milioni di euro l'anno". Dal punto di vista strutturale, il riconoscimento del ruolo istituzionale del sindacato si traduce in finanziamenti da parte dello Stato. Essi hanno permesso lo sviluppo di un enorme apparato burocratico intrecciato con le istituzioni, come fosse una specie di appendice di vari ministeri. E così lo percepiscono i lavoratori, consapevoli di non aver più un organismo per la difesa dei propri interessi.

1951: Partito rivoluzionario e azione economica
1985: Sempre più al servizio dello Stato
2005: Per la saldatura di lotta e organizzazione fra precari e non

Nelle terre estreme del capitale

Into the wild, diretto da Sean Penn, è tratto da una storia vera raccontata nel libro Nelle terre estreme di John Krakauer. Il protagonista è Christopher McCandless, un ragazzo della middle class, che intraprende un viaggio negli spazi inesplorati degli Usa, popolati da hippies o agricoltori. Chris dà i primi segni di insofferenza verso il conformismo rifiutando l'auto nuova che i genitori gli regalano per la laurea. Man mano che scopre le falsità su cui si regge la sua famiglia, paradigma della società borghese, cresce in lui il seme della ribellione. Si ribattezza Alex Supertramp, abbandona tutto ciò che possiede, dal denaro alla carta d'identità, e parte per un percorso underground di "fusione" solitaria con la natura. La sua aspirazione all'autosufficienza si scontra inevitabilmente con la durezza delle condizioni materiali che deve affrontare. Morirà di inedia e di freddo, dopo essere giunto alla conclusione che "la felicità ha senso solo quando è condivisa".

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