Newsletter numero 173, 11 maggio 2011

Un sistema (dis)integrato

In ormai troppi paesi i conti pubblici sono al collasso. I PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) sono sempre in prima fila, ma la black list si allunga. Ad esempio l'agenzia Standard & Poor's ha abbassato il "voto" sulle prospettive economiche degli Stati Uniti portandolo da "stabile" a "negativo". Il Giappone, pur disponendo di un surplus che gli permette di acquistare buona parte del debito americano, è in coma da quindici anni e adesso è anche colpito da una crisi aggiuntiva dovuta a cause "innaturali". Il terremoto sociale che ha investito il Nordafrica e il Medio Oriente ha origine nell'impossibilità generale di assicurare una vita decente, o anche solo una vita, alle popolazioni. Sono in pericolo filiere produttive globalizzate che vanno dall'energia alla componentistica, dagli alimenti ai servizi. La malattia è globale e viene trattata con espedienti locali. Il Capitale non può fare diversamente, ma ciò non può funzionare.

2008: Non è una crisi congiunturale

Saggezza antica e odierna hybris urbanistica

Molte evidenze archeologiche mostrano che antiche forme sociali, anche urbane, complesse ed estese, hanno mantenuto caratteri comunistici organici. Ma pur senza arrivare a tanto, società meno antiche mantenevano comunque un rapporto organico, quindi umano, con la natura. Dopo il disastroso terremoto-tsunami i giapponesi si sono ricordati che un po' ovunque sul territorio costiero sono eretti centinaia di cippi in pietra, alcuni risalenti a più di 600 anni fa, con scritte monitorie di antica saggezza. L'ultimo tsunami si è fermato a 100 metri da quello della fotografia. La scritta incisa ammonisce: "Le case in alto sono pace ed armonia per noi e i nostri figli. Ricordate la calamità dei grandi tsunami. Non costruite al di sotto di questo punto".

1951: Omicidio dei morti

Morto un papa se ne fa un altro

La società dello spettacolo ci comunica che Osama bin Laden è stato frettolosamente ammazzato e buttato in mare. Avevano fatto pensare a caverne in montagna e salta fuori un castello - pardon, compound - vicino a una base militare. La distinzione tra "vero" e "falso" si fa sempre più aleatoria, come del resto prevede la guerra dell'informazione e della disinformazione, ma non si può fare a meno di pensare a storici processi di fine guerra, a cominciare da quello di Norimberga. Se il processo non c'è, vuol dire che la guerra deve continuare. Non importa se con al Zawahiri, con il mullah Omar o con qualche più giovane combattente meglio adatto ai tempi che corrono. La "guerra infinita" non è una teoria borghese, è una necessità di classe.

1953: Il battilocchio nella storia
2003: L'invasione degli ultracorpi

Giustizia è fatta

Giubilo generale, dalla CGIL al ministro del Lavoro, per la "condanna esemplare" dei dirigenti della ThyssenKrupp. Intanto, in attesa degli scontati ricorsi giudiziari, gli industriali riuniti a Bergamo applaudono a lungo uno dei dirigenti condannati dell'acciaieria. In segno di solidarietà? No, gli industriali si fanno concorrenza, quel termine non lo conoscono. Ma conoscono bene l'odio di classe, è la loro ragione di vita, come lo è l'estrazione di plusvalore. Su sette poveri morti bruciati si sono dunque accesi per un momento i riflettori, ma con l'applauso liberatorio gli industriali sottolineavano il fatto che i loro profitti non sono in pericolo, non ci sarà processo borghese e per ora nemmeno nemesi proletaria per i due milioni di morti che ogni anno insanguinano i posti di lavoro nel mondo.

1993: Il capitalismo è marcio!

La Libia dalla rivolta alla guerra partigiana

In alcune città della Libia la rivolta e l'inevitabile repressione si sono trasformate velocemente in guerra civile. Non essendo in grado di contrastare i soldati e i mercenari gheddafiani, gli insorti hanno dovuto invocare l'intervento esterno, che ovviamente ha un prezzo. Come insegna Pontecorvo nel bellissimo film Queimada, il partigiano è cercato dall'imperialista, il quale lo usa e lo getta quando non gli serve più. Gli americani sono soliti applicare questo giochetto dal 1898, quando usarono la guerriglia antispagnola per prendersi le Filippine. Solo che i guerriglieri borghesi rivoluzionari erano ben altra cosa rispetto alle pavide e vendibili frazioni odierne in lotta fra loro.

2007: Dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio

L'incognita siriana

In Siria stiamo assistendo ad un vero e proprio bagno di sangue: carri armati nelle strade, cecchini sui tetti, rastrellamenti e torture. Che faranno i paladini occidentali delle "guerre umanitarie"? In Iraq, Afghanistan e Libia l'ossimoro maledetto sta già mostrando troppi limiti, mentre l'ondata di ribellione sociale sta già globalizzando i conflitti, che si tramutano assai velocemente in nuovi impegni militari. Gli esportatori di democrazia stanno a guardare minacciando blande sanzioni. La capacità repressiva di Damasco deve però fare i conti con la situazione interna: il governo è sostenuto da una minoranza etnica che controlla solo la polizia, l'esercito di leva non è affidabile, il ricorso all'abituale estrema violenza non può essere una soluzione in un contesto generale come quello di oggi.

2003: Teoria e prassi della nuova politiguerra americana

Scioperi in Iran

Ci eravamo chiesti, in relazione alle manifestazioni "verdi" in Iran, quale fosse l'atteggiamento del proletariato. Secondo il regime pretesco esso era rimasto a fianco del governo e dell'autorità religiosa, mentre i manifestanti non erano che dei venduti all'Occidente. Da tale presupposto vari sinistri nostrani avevano tratto conclusioni alquanto sballate sulla natura della rivolta. Notizie dirette, rintracciabili anche sul Web, dimostrano che il proletariato in Iran non ha mai smesso di lottare da quando spazzò via la satrapia dei Pahlevi. Alla vigilia del Primo Maggio l'unione di 7 associazioni di lavoratori iraniani ha annunciato la partecipazione alla giornata internazionale di lotta, con rivendicazioni proprie in tema di salario e libertà di organizzazione. Come in Egitto, in conseguenza di centinaia di scioperi, il governo iraniano ha scatenato la repressione. Ma sui giornali borghesi appaiono soltanto notizie sulla ribellione della piccola borghesia riformista. Come sempre, quando la collera proletaria sta per esplodere la borghesia reprime ed esorcizza.

2009: Iran

La rivolta operaia di Jirau

Il Brasile si è trasformato in un grande cantiere. Il "Programa di Aceleraciòn del Crecimiento" (PAC) è il più esteso piano di costruzioni da quando Brasilia fu fatta sorgere dal nulla. Esso comprende grandi opere per il campionato mondiale di calcio (2014), per le Olimpiadi (2016), per strade, ferrovie, dighe, centrali e impianti petroliferi. Per un piano così vasto, alla cinese, le grandi imprese internazionali che appaltano i lavori adottano metodi di sfruttamento conseguenti, appunto alla cinese, per centinaia di migliaia di lavoratori. Così uno sciopero scoppiato nei cantieri per la centrale di Belo Monte a Jirau si è presto trasformato in rivolta, la quale si è estesa ad altri cantieri fino a coinvolgere 80.000 proletari. Le distruzioni, gli incendi, le scorrerie e soprattutto l'assenza di rivendicazioni specifiche di un movimento violentissimo quanto anonimo hanno preso alla sprovvista sia il governo che i sindacati ufficiali.

1953: Fantasime carlailiane

Ancora sui brontolii interni del sindacalismo

Eh sì, come abbiamo già segnalato, la crisi morde sempre più forte, producendo effetti persino in quel sub-ministero-del-lavoro che è la CGIL. Difficile per adesso dire se sono gli ultimi rantolii del moribondo oppure un risveglio dal coma da parte della cosiddetta sinistra sindacale. Comunque, è inevitabile che incominci qualche fermento in prossimità e dentro al sindacato anche contro gli scioperi puramente dimostrativi come quello del 6 maggio. Non ci interessa la "gara di credibilità" fra sindacati, sindacatini e correnti che alla fin fine sono l'uno fotocopia dell'altro, meri uffici per pratiche amministrative o legali: la difesa degli interessi proletari e delle condizioni di lavoro e di vita non è una questione di forme ma di forza.

1921: Ai lavoratori organizzati nei sindacati per l'unità proletaria

Società mortifera

Un altro lavoratore della compagnia telefonica francese s'è tolta la vita. Sono finora 60 i lavoratori del gruppo "suicidati" dal 2008 a oggi (fonte: Cfe-Cgc). France Telecom, in cui lo Stato detiene la maggioranza, conta quasi 200.000 lavoratori in diversi paesi. Dal 2004 la direzione ha lanciato un piano per ridurre i dipendenti di 22.000 unità e lo ha sostenuto con pressioni selvagge fatte passare per flessibilità. I sindacati accusano il management, ma non sono più nemmeno in grado di capire che per almeno un secolo e mezzo i proletari, piuttosto di ammazzare sé stessi, avrebbero ammazzato i padroni. Lottavano durissimamente e orgogliosamente non per il lavoro ma per una riduzione del tempo di lavoro, come si dovrebbe ricordare ogni Primo Maggio, giornata internazionale di lotta per quell'obiettivo.

1921: Per il Primo Maggio

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