Newsletter numero 220, 6 agosto 2016

Guerra civile diffusa

Il fallito colpo di stato in Turchia ha sollevato molti interrogativi. Se all'inizio sembrava lecito pensare a un pronunciamento dell'ala kemalista dell'esercito, storicamente a favore di uno stato laico e repubblicano e quindi contraria all'islamizzazione dello stato da parte dell'attuale governo, è stato presto chiaro che di ciò non si trattava. Alcuni parlano di una farsa imbastita dal governo in carica per consolidare il proprio potere; altri, tra i quali Erdogan il capo del governo attuale, attribuiscono il tentativo ai servizi segreti americani, che avrebbero appoggiato un potente imam, a capo di una vasta rete di interessi, un tempo alleato di Erdogan, adesso nemico e residente negli Stati Uniti. Ora, è vero che gli americani non possono permettersi di perdere influenza nell’area; è vero che non guardano con simpatia all’islamizzazione crescente della società turca; è vero che nei rapporti con la popolazione curda, che appoggiano, sono avversari del governo turco, che li massacra. Tutto questo però non è sufficiente a spiegare l'ipotetico appoggio a un fallito colpo di stato che, se vincente, non avrebbe comunque cambiato di molto i rapporti geopolitici e strategici dell'area. Nell'articolo L'Europa virtuale e i nuovi attrattori d'Eurasia: la Turchia come fulcro dinamico (n+1 n. 23), abbiamo sottolineato l'importanza di questo paese negli equilibri medio-orientali prendendone in considerazione anche la proiezione verso le zone turcofone in Asia, dove s'è venuto a formare un potenziale asse strategico che potremmo definire "sub-imperialistico" e che arriva fino al Xinjiang in Cina.

Dopo il putsch il governo ha operato una stretta sempre più dura intorno ai presunti collaboratori dell'imam emigrato negli Stati Uniti. Cinquantamila dipendenti dello stato e ventisettemila comuni cittadini sono stati arrestati. Poliziotti, militari, magistrati, insegnanti, giornalisti, ecc. sono stati oggetto di un'epurazione gigantesca. Il secondo esercito della NATO per numero di soldati e armamenti dopo quello americano è stato umiliato con violenze sui prigionieri. È chiaro che il governo turco si è mosso con sicurezza e, secondo lo slogan del salvataggio della democrazia, presto diventato un luogo comune, sarebbe riuscito ad evitare la guerra civile.

A parte il fatto che in Turchia la guerra civile nelle zone abitate dai curdi c'è da decenni, non si vede come possa essere definito altrimenti un tentato colpo di stato con morti e feriti, seguito da un contro-colpo che decapita l'apparato statale e la rete di interessi attribuita ad un ipotetico nemico interno. La borghesia di Ankara vive una pesante contraddizione: da un lato sta assecondando il sistema costruito da Erdogan che fa leva sull'Islam, dall'altro conta sulle forze armate per difendere una moderna civiltà capitalistica. Per questa parte della borghesia l'esercito è sempre stato guardiano dell'unità nazionale e dell'integrità costituzionale, ed è difficile immaginare che, nonostante le precedenti epurazioni e l'attuale decapitazione dello stato maggiore, possa accettare senza reagire uno stravolgimento storico di questa portata. È persino possibile che il governo attuale abbia proceduto a una repressione così radicale per la paura di un colpo di stato condotto non dalla rete dell'imam bensì dalla struttura militare propriamente detta. Paradossalmente, proprio l'epurazione di questa rete potrebbe spianare la strada a una soluzione militare radicale.

Il tentativo recente non può comunque essere valutato con criteri esclusivamente interni. Esso affonda le radici in una situazione di instabilità generale che si è determinata nell'area dalla Primavera araba in poi ed è allo stesso tempo prodotto e fattore di quello che abbiamo chiamato Marasma sociale e guerra (n+1 n. 29). Quando la totalità delle guerre in corso, insieme a molte di quelle avvenute negli ultimi anni, si svolgono fra bande di civili variamente foraggiate da stati (proxy wars), "terroristi" ed eserciti più o meno regolari, si verificano gli assunti teoretici dai quali distilliamo la natura della guerra in questa fase del capitalismo senescente (Teoria e prassi della nuova politiguerra americana, n+1 n. 11). Il fenomeno è diffuso, persistente e mondiale, perciò è impossibile negarlo; ma è altrettanto impossibile costruire uno scenario che veda la guerra civile scoppiare in questo o quel paese. Semmai si può dire che una guerra civile endemica si estende ora a questo, ora a quel paese.

Abbiamo sempre parlato del modo di essere della guerra ai nostri tempi e questo modo di essere non è più quello dello scontro diretto fra nazioni schierate su fronti contrapposti bensì quello appena tratteggiato: esso comporta lo scontro armato all'interno di una nazione fra i suoi cittadini, operazioni di polizia con mezzi da guerra, strutture di sicurezza fuori controllo, colonizzazione interna di strati sociali da parte di altri strati sociali. La guerra civile è nella natura del capitalismo nella misura in cui le due classi principali vivono un rapporto di sfruttamento dell'una sull'altra. Persino economisti borghesi stanno osservando come l'aumento del divario fra le classi stia conducendo a una situazione pericolosamente polarizzata, nella quale la subordinazione economica raggiunge punte estreme, prefigurando una specie di schiavitù politica, dove si fa normale l'uso delle armi e delle leggi contro i devianti (negli anni '50 la corrente a cui facciamo riferimento diceva: "Nell'ultimo colonialismo, i bianchi colonizzano i bianchi", dove ovviamente il colore denota uno stato sociale e non un pigmento).

Si tratta di un fenomeno che si diffonde come un'epidemia. È innegabile lo scontro armato fra civili in paesi come la Siria, l'Iraq, il Libano, l'Egitto, la Turchia, la Libia, il Mali, il Niger, la Nigeria, la Somalia, l'Ucraina, l'India, la Cina, il Brasile, il Messico, ecc. La definizione di "guerra civile" non richiede necessariamente la presenza di eserciti contrapposti, reclutanti soldati di una stessa nazione, su di una più o meno grande estensione di territorio/popolazione; è sufficiente che vi siano contrapposte frazioni della società, organizzate in modo più o meno formale, che si combattono con le armi o con l'esercizio particolare del potere. Le ultime forme classiche di guerra civile in Europa sono state la guerra di Spagna e, in forma già "moderna", le partigianerie della II Guerra Mondiale, ma oggi intendiamo con "guerra civile" qualcosa di più complesso, uno stato di fatto permanente che può manifestarsi in ragione del collasso degli stati e/o dello scontro di interessi interni ed esteri.

Pensiamo agli Stati Uniti, dove oggettivamente una parte della società priva un'altra di ogni possibilità di accesso alla ricchezza prodotta, generando il corollario soggettivo delle ricorrenti sparatorie; pensiamo alla Francia, paese non tanto "sull'orlo della guerra civile" (espressione giornalistica che dà l'idea di una situazione a venire) quanto preda della generale diffusione della esistente guerra civile nel mondo.

L’insopportabilità della vita nelle metropoli del cosiddetto terzo mondo spinge masse di uomini a fuggire in condizioni disumane rischiando la vita stessa, e i sistemi di controllo alle frontiere insieme con i respingimenti sono anch'essi fenomeni di quella che abbiamo chiamato Quarta Guerra Mondiale (la Terza fu la cosiddetta Guerra Fredda). Ed è una guerra micidiale, che produce milioni di morti, feriti e profughi, per cui è normale anche l'estendersi della truppa combattente, costretta ad arruolarsi da situazioni senza uscita. E si organizza. Il "terrorismo" infatti evolve e dagli attentati suicidi sta passando a vere e proprie azioni di guerra progettate e coordinate attraverso la Rete. È indifferente il luogo da cui vengono impartiti gli ordini di attacco dato che la diffusione di Internet ha contratto spazi e tempi. Il conflitto in corso su scala globale ha trovato una sua simmetria, e tra governi e forze armate non statali è scattato un meccanismo di rincorsa del tipo corazza-proiettile o, se vogliamo, predatore-preda in ambiente darwiniano.

Stiamo raggiungendo un effetto soglia superato il quale i governi occidentali saranno costretti a intervenire con forza. Ma contro chi? E come? La guerra di tutti contro tutti è diventata sistema.

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