Newsletter numero 232, 12 febbraio 2019

Per qualche dollaro in meno

La Confindustria inglese ha calcolato che la Brexit costerà 100 miliardi di sterline. Porti, aeroporti e dogane non avranno più regole certe per il movimento merci. Migliaia di accordi parziali diventeranno nulli. Le modalità presentate da Theresa May per far uscire la Gran Bretagna dall'Unione Europea sono state bocciate con una schiacciante maggioranza. Nessuno sa che cosa potrà succedere quando entrerà in vigore il risultato del referendum. Come abbiamo rilevato più volte, la Gran Bretagna, avendo mantenuto la Sterlina, non faceva realmente parte dell'Unione Europea. Ciò le permetteva libere manovre sui mercati internazionali, ad esempio fluttuazioni (libere o guidate) a favore del proprio commercio con gli altri paesi; ma la costringeva anche a siglare quelle migliaia di accordi bilaterali per armonizzare la propria presenza nell'Unione in mancanza della disciplina imposta dalla moneta unica. Così adesso, in vista della data stabilita per la separazione, nessuno è in grado di prevedere l'impatto reale della nuova situazione. C'è chi affronterebbe il problema a muso duro, senza accordi, e c'è chi ritornerebbe alle urne nella speranza di un ripensamento da parte dell'elettorato. Per la paura di perdere sovranità, la Gran Bretagna aveva mantenuto la propria moneta, a costo di subire una svalutazione nei confronti del dollaro e dell'euro. Normalmente una svalutazione rende competitive le merci sul mercato mondiale, ma, a parte il petrolio, la GB è un paese de-industrializzato, importatore netto, compra con sterlina svalutata, quindi ci rimette, anche perché le riserve monetarie si riversano sul dollaro aumentandone il corso, facendo aumentare di conseguenza il prezzo relativo delle merci quotate in dollari (quasi tutte).

2002: L'Europa disunita e la moneta dei suoi Stati
2012: Lo Stato nell'era della globalizzazione

La lunga notte della sonda cinese

Dopo una notte durata 14 giorni terrestri, superata una temperatura imprevista di 190° sotto lo zero, la sonda lunare cinese "Coniglio di giada" è stata risvegliata e resa operativa. Naturalmente gli organi d'informazione danno la precedenza non tanto al valore scientifico degli esperimenti, quasi nullo, quanto al fatto che la Cina è il primo paese a far allunare una macchina a cinquant'anni giusti dal primo allunaggio umano. In confronto alle spettacolari missioni su Marte la povera sonda cinese sfigura, ma anche i primi prodotti made in China non erano gran che. Che ci fanno i cinesi sulla Luna? Finita la competizione USA-URSS, non ha più senso una "conquista dello spazio" alla vecchia maniera: l'unico motivo per andare sulla Luna è restarci costruendo una base stabile, trampolino di lancio per missioni su Marte. Sulla Luna c'è una mini-gravità e, se non ci raccontano frottole, acqua e rocce da cui si possono ricavare ossigeno e carburante. Se Pechino costruisce una base lunare, Washington non può andare su Marte senza costruirne una a sua volta, non si lascia mai alle spalle un avamposto nemico. Ciò significa nuova "competizione spaziale". Solo che, banalmente, non ci sono i soldi per alimentarla.

1957 - 1967: "La cosiddetta conquista dello spazio"
2017: Assalto al Pianeta rosso

Le nuove armi di Pechino

L'avventura della scienza borghese con i suoi eclatanti risultati non è così luminosa come si dice. Prima di tutto perché, ovviamente, si nutre sempre di troppa ideologia; in secondo luogo, perché c'è ancora l'abitudine di premiare degli individui quando da sempre ogni risultato scientifico è raggiunto da una collettività dove ognuno porta il suo contributo; in terzo luogo, la scienza è talmente legata all'industria che è perfettamente integrata nel ciclo di valorizzazione del capitale. "Risorse umane" e capitale sono così interdipendenti che negli indici economici compare la voce "ricerca" allo stesso titolo di "credito", "mercato", "brevetto". Citiamo appositamente quest'ultima voce perché la proprietà intellettuale rappresenta gran parte delle esportazioni americane. E la citiamo anche perché tale aspetto del capitalismo si sta trasformando in un'arma micidiale. Una ricerca congiunta Nikkei-Elsevier ha mostrato che in 23 dei 30 campi d'avanguardia della scienza, le pubblicazioni cinesi detenevano il record (17 milioni di articoli vagliati dal 2013 al 2018). Dal punto di vista della qualità, la ricerca americana è ancora superiore a quella cinese ma, dato l'andamento attuale, ci sarà a breve il sorpasso anche qualitativo. Tutto ciò, sommato al fatto che la Cina è completamente sorda di fronte alle proteste per la copiatura di brevetti a scala industriale, dà l'idea del perché l'amministrazione americana sia tanto sensibile al problema da avviare anacronistiche campagne protezioniste.

2009: Accumulazione e serie storica
2016: Donald Trump e l'isolazionismo americano

Shutdown

Nessun paese importante ha mai "bloccato" il proprio governo per inadempienza economica. Negli Stati Uniti sembra che questa pratica stia diventando usuale (siamo al terzo shutdown da quando Trump è presidente). Il paese non è in crisi come invece accade ad altri, non ci sono tensioni sociali diverse da quelle croniche, non ci sono insomma ragioni per scatenare questa situazione se non nel comportamento politico del governo americano. Quest'ultimo chiude uffici e servizi lasciando milioni di impiegati senza stipendio perché l'esecutivo repubblicano è in contrasto con la maggioranza democratica del Congresso sulla questione di 700.000 immigrati legali da riconoscere in cambio del finanziamento per il muro sul confine con il Messico. Il fatto è che Trump aveva dichiarato che avrebbe liquidato anche la posizione degli immigrati legali e, dice, non vuole rimangiarsi la parola. Come al solito, questi litigi di piccolo cabotaggio sono la punta dell'iceberg: la parte sommersa è l'intero rapporto degli Stati Uniti con il resto del mondo. Non fa bene alla salute politica americana lo scivolare sempre più verso una posizione difensiva contro gli attacchi di troppi paesi con interessi non più affini come un tempo. E i contrasti interni sono un riflesso pericoloso: è già in corso il tentativo di proiettarli all'esterno. La legge permetterebbe a Trump di risolvere la diatriba dichiarando il muro e l'immigrazione "un problema militare".

2001: La guerra planetaria degli Stati Uniti d'America
2016: Donald Trump e la politica estera di un ex colosso imperialista

Venezuela

Da paese ricco a paese con la popolazione alla fame: cosa è successo in Venezuela? Chavez e Maduro non possono essere ritenuti gli unici responsabili della catastrofe venezuelana, e non nel senso che ve ne sarebbero altri meno visibili. I capi di governo e gli stessi governi hanno contribuito, è ovvio, ma la situazione non dipende certo esclusivamente dai fantocci che l'economia politica eleva a governanti che sembrano incapaci di governare. E anche il tanto strombazzato tradimento della democrazia non può essere ritenuto colpevole dato che un cambio della guardia non riuscirebbe a variare la condizione di milioni di persone in coda per il cibo. Gli stessi sondaggi che osannavano Chavez ora condannano Maduro che ne è l'erede (80% contro). Il calo del prezzo del petrolio ha doppiamente penalizzato il Venezuela: da una parte perché l'abbondanza delle riserve aveva orientato l'economia sulla rendita petrolifera, dall'altra perché il petrolio venezuelano è abbondante ma di qualità scadente. La crisi innescata dal mercato petrolifero è stata aggravata dall'embargo imposto dagli Stati Uniti, specialmente sulle tecniche di estrazione e sulle operazioni finanziarie, per cui un debito tutto sommato basso in percentuale del PIL è diventato quasi ingestibile, con tassi d'interesse vicini al 40%. La decisione americana di pagare la rendita petrolifera al governo ombra di Guaidò ha ripercussioni internazionali, che vanno dalla solidarietà di paesi latino-americani agli interessi della Russia, grande produttore di petrolio. Siamo nell'epoca della globalizzazione, ma sembra che i globalizzati non sappiano comportarsi conseguentemente.

1999: 40. Globalizzazione
2004: Petrolio
2012: Numero speciale sull'energia

La valle della morte

25 gennaio: 170 morti, 410 dispersi e un numero imprecisato di feriti per la frana di una diga nella regione del Minas Gerais, in Brasile, in una miniera di proprietà della Vale, il maggior produttore di ferro del mondo. Nonostante le assicurazioni sulla sicurezza, la diga crollata, alta 86 metri, costruita con materiale sterile per contenere fanghi residui della lavorazione del ferro, era stata realizzata, insieme a molte altre (sono migliaia in tutto il mondo) a monte delle miniere e degli edifici. L'inchiesta ha rivelato che in tutte le miniere di questo genere le dighe di roccia sterile sono costruite a monte non per ragioni tecniche o di sicurezza ma perché costa meno. In tutte le aree minerarie del mondo il prezzo di una vita umana è inversamente proporzionale al costo di estrazione del minerale. Più è vecchia la miniera più costa l'estrazione; più aumentano questi parametri, meno vale la vita di un uomo. È quella che definimmo "morte differenziale", dato che in quelle condizioni si muore a causa del conflitto fra rendita assoluta e rendita differenziale: il "campo" che determina il prezzo di riferimento del minerale (o del vegetale da cibo o da industria) è sempre il peggiore. Se rendesse ancora meno verrebbe abbandonato. Per non abbandonarlo si investe capitale, ma ciò abbassa il saggio di profitto quando non sia possibile risparmiare su altre voci, come il salario o la sicurezza. Il governo brasiliano chiederà i danni per l'alluvione di fango, infliggerà multe e obbligherà l'azienda a prendere misure per la sicurezza. Sono spese che si sommano alla perdita in borsa di venti miliardi di dollari, perciò l'azienda pensa di chiudere nel Minas Gerais e incrementare la produzione in miniere più moderne situate nella foresta amazzonica. Lo stato obbliga l'industria a rispettare criteri di sicurezza, ma non può nello stesso tempo impedire che venga colonizzata la foresta; emana leggi che regolamentano il capitale, ma non può eliminare la legge economica della rendita. Dal canto loro, i minatori, dato che le miniere diventano sempre più pericolose, lottano per preservare la propria forza lavoro. Le contraddizioni sono insanabili, a meno che capitalisti e lavoratori, secondo il liberale The Economist, non si accordino per chiudere le miniere pericolose e gestire le altre in modo "societario". C'è qualcosa che non va: il corporativismo non è esattamente un atteggiamento liberale.

1951: Omicidio dei morti (LXXXIV)
1956: Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale
2002: Chiudete agli uomini quelle dannate miniere!

Italia

Il sistema produttivo italiano è ancora al di sotto dei valori di dieci anni fa, quando scoppiò la crisi dei mutui americani. I dati ufficiali mostrano che il secondo semestre del 2018 è andato in recessione tecnica. Le ragioni di queste cifre sono in parte legate alla situazione tedesca: Italia e Germania hanno produzioni complementari, cioè producono parti differenti di uno stesso prodotto finito. Ciò è deleterio per l'intera Europa, dato che la produzione tedesca è un indicatore della complessiva produzione europea. Il governo italiano prevede per il PIL una crescita dell'1%, ma il FMI ha corretto la stima allo 0,6%. La stima sfavorevole va ad aggiungersi a quella del debito, che potrebbe superare l'attuale 132% del PIL, e quella del deficit di bilancio, che potrebbe superare il 2% concordato con l'Europa. L'instabilità del governo ha un effetto depressivo su di un'economia così fragile, soprattutto a causa della palese incapacità di affrontare i problemi con un minimo di professionalità. Lo dimostra palesemente la questione del cosiddetto reddito di cittadinanza, un mostro di rattoppo che è assai peggio del buco e che sembra fatto apposta per generare ogni tipo di trucco per aggirare le regole della sua concessione.

1947: Il ciclo storico del dominio politico della borghesia
2011: La classe dominante italiana a 150 anni dalla formazione del suo stato nazionale

Gilet gialli

Sembra che una ipnoterapista che abita nella provincia francese, Jacline Mouraud, costretta a muoversi in auto per lavoro, abbia accolto male l'aumento del prezzo della benzina per cui, spedito un video via Facebook e You Tube, avrebbe combinato tutta quella confusione dei Gilet gialli. Sarebbe come dire che la Rivoluzione francese è scoppiata per la famosa frase di Maria Antonietta sulle brioches. Più realisticamente, è da molti anni ormai che, a causa di una scintilla qualsiasi scoppiano moti di piazza un po' dovunque. Nel 2005 s'incendiarono le banlieue francesi, negli stessi anni in cui le rivolte in Cina si contavano a decine di migliaia. Nel 2011 scoppiarono le rivolte della Primavera araba, seguite da quelle di Spagna, Stati Uniti e Turchia. Vi furono rivolte di nuovo in Cina, poi in Bulgaria e Romania, dove per mesi i manifestanti chiesero le dimissioni dei governi. Ora, un'altra signora francese, Ingrid Levavasseur, forse non bene informata su questi movimenti leaderless, a-politici, non rivendicativi, sembra che abbia tentato di fondare un partito a nome del movimento. La signora Mouraud ha forse pensato di avere il diritto di prelazione, perché si è affrettata anche lei a fondare un partito. Di solito questi movimenti anti-stato sono più razionali di chi tenta di cavalcarli in senso politico tradizionale. Probabilmente siamo di fronte a un carattere acquisito nell'evoluzione delle forme e, rispetto a quelle del passato, indietro non si potrà più tornare. Comunque, per quanto riguarda le classi in piazza, le rivoluzioni sono sempre state spurie, una questione di forza, non di forma.

1953: Fiorite primavere del Capitale (CIX)
2006: La banlieue è il mondo

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