Leggi d'invarianza

Nozioni oscure, legate esclusivamente all'intuizione, potrebbero non condurre a conclusioni assurde, ma non possono offrire soluzioni nuove e corrette; in ogni caso sono del tutto inutili.

Noam Chomsky

Quella delle leggi d'invarianza è una scoperta antica e, nello stesso tempo, una sistemazione teorica generale piuttosto recente. In fondo, la natura che ci circonda non sarebbe neppure conoscibile senza queste leggi, e quindi non vi sarebbe scienza. Ogni discorso sul comunismo sarebbe puro esercizio filosofico, ideologia neppure mascherata, se non si basasse su leggi dimostrate. Perciò le nozioni teoriche utili a comprendere la realtà sono indispensabili anche e soprattutto quando non siano intuitive, in quanto il solo approccio "naturale" ai problemi potrebbe ridursi facilmente in chiacchiera, quand'anche avesse senso compiuto dal punto di vista del linguaggio, come nota non solo Chomsky. Gregory Bateson, per esempio, ha dimostrato che nelle strutture della comunicazione umana vi sono terribili paradossi, la cui analisi permette facilmente di smascherare il vuoto di contenuti. Giuseppe Peano, ai congressi di matematica, era solito analizzare i discorsi tenuti dai grandi professori secondo la logica, dimostrando che è possibile parlare per ore senza dire nulla. Bertrand Russel, suo giovane contemporaneo, sottopose a sua volta i discorsi di Peano alla stessa analisi convenendo che il matematico riusciva con metodo ad essere il più lucido e conseguente di tutti.

Il concetto d'invarianza non è immediatamente intuitivo ma non è neppure difficile da comprendere. Tutti sanno che per calcolare l'area del triangolo si moltiplica la base per l'altezza dividendo per due, ma forse non tutti si sono chiesti come mai ciò valga per qualsiasi tipo di triangolo e si sia fatto della formuletta uno strumento universale per quel determinato problema. Se si disegna un cerchio con i suoi assi ortogonali su di un piano e poi lo si fotografa di sbieco, avremo come risultato una specie di ellisse: la figura originaria e quella ricavata saranno oggettivamente diverse, gli assi non saranno più ortogonali e il centro non sarà più equidistante da ogni punto della circonferenza; ma nello stesso tempo, in entrambe le figure, si saranno mantenute proprietà invarianti. Per esempio il centro continuerà a bisecare gli assi in semiassi uguali; oppure, se riprendessimo con una telecamera un punto in movimento costante sulla circonferenza, lo vedremmo percorrere le lunghezze originali e quelle prospettiche (diverse) in tempi identici.

Leonardo, Dürer, Paolo Uccello, Piero della Francesca e altri artisti rinascimentali, scoprendo le leggi della prospettiva scoprirono, senza saperlo, le leggi d'invarianza. Infatti, per proiettare la realtà a tre dimensioni su di una tela a due si applicano trasformazioni proiettive secondo quelle leggi. Un bambino di quattro anni tenta di farlo con la ricerca di interessanti espedienti, ma a otto anni è già in grado d'imparare perfettamente che cosa siano le leggi d'invarianza e di disegnare secondo criteri rigorosi oggetti tridimensionali su di un foglio bidimensionale.

Da otto anni in su chiunque è in grado di capire che Marx indagò sulla società umana applicando ad essa leggi d'invarianza che, pochi anni dopo, avrebbero trovato sistemazione anche in altre discipline scientifiche, prima fra tutte la matematica. Il lavoro, disse per esempio Marx, è una categoria invariante; essa esiste in tutte le società umane, ma dà luogo alla produzione secondo trasformazioni proiettive, questa volta non nello spazio ma nel tempo, e quest'ultimo inteso non come un continuo graduale ma come un succedersi di fasi sociali, di modi di produzione. Il lavoro del pitecantropo non è la stessa cosa di quello dell'operaio moderno. Non tanto perché le due attività sono dissimili, quanto perché appartengono a dimensioni affatto diverse, non più compatibili. Il lavoro distingue l'uomo dall'animale, ma l'uomo completerà sé stesso in quanto tale soltanto quando l'attività umana sarà finalizzata alle esigenze dell'intera specie, compreso il suo ambiente, e non a quelle di qualcuno, di qualche classe o del Capitale impersonale. Anche la categoria "denaro" ha una lunga storia ed è passata, invariante e nello stesso tempo trasformata, nei successivi modi di produzione: la leggendaria prima moneta aurea di Creso non è certamente Capitale, ma una fisica sterlina d'oro moderna è moneta di scambio allo stesso titolo.

Le leggi di cui stiamo parlando hanno applicazione "reversibile", cioè si può disegnare in prospettiva copiando un armadio vero, ma si può anche costruire un armadio copiando da un disegno prospettico sulla carta. Perciò possiamo dire che questa società capitalistica contiene il disegno di quella futura, così come quella futura influisce sul disegno. Naturalmente il processo sociale è più complesso, e il capitalismo non è comunismo cui manchi una dimensione, mentre il comunismo non è semplicemente capitalismo con una dimensione in più, è qualcos'altro. Ma entro certi limiti anche l'armadio di legno è qualcos'altro rispetto alle righe sulla carta. Qualcosa del disegno è nell'armadio vero, così come l'armadio non ancora costruito influisce già sul movimento della mano che lo disegna sulla carta senza che il progettista pensi troppo alle leggi soggiacenti. Egli è portato dalla teoria a farsi guidare dal risultato nella realizzazione dello stesso. La scienza ha questo di bello: l'uomo scopre-inventa strumenti teorici che ad un certo punto incominciano a funzionare per conto loro come vere e proprie macchine automatiche della conoscenza. Il comunismo ha questo di bello: che marcia lo stesso, anche se gli uomini in certi momenti non si accorgono di essere suoi strumenti, come non avvertono di usare tutti i giorni i frutti della scienza. Essi saranno chiamati da questo movimento a dare il colpo finale alle ultime barriere capitalistiche, organizzati nell'unico partito adatto allo scopo.

Tornando alla nostra società futura, qualcuno potrebbe obiettare che non sarebbe un gran risultato ottenere una proiezione trasformata di quella presente, visto che tale trasformazione potrebbe essere intrapresa come rifacimento della forma attuale, quindi come ri-forma. Ma proprio la rivoluzione apportata dalla conoscenza degli invarianti ci dice che non esiste un solo tipo di trasformazione; vi sono in realtà diversi gruppi o classi di trasformazioni: non è inverosimile che si passi da un capitalismo più o meno liberista e caotico ad uno più razionale, riformista, di tipo avanzato, cioè fascista, e questo sarebbe un gruppo di trasformazione di un certo tipo, chiamiamola deformazione; ma sappiamo che fra i gruppi ve ne sono alcuni con caratteristiche a prima vista del tutto sorprendenti: in essi le proprietà delle forme si mantengono come invarianti anche se diventano qualitativamente tutt'altra cosa. Al limite, fino a rendere completamente arbitrario ogni paragone con le caratteristiche originarie quando non sia rigorosamente spiegata la legge che ci permette di farlo. Oppure, il che è lo stesso, trasformazioni del tutto arbitrarie sulla forma non permettono di distruggere la loro invarianza. Una sfera e una ciambella non sono superfici che si possono trasformare l'una nell'altra secondo deformazione; soltanto se si spaccano in qualche loro punto si possono ricondurre a forme equivalenti; con procedimento inverso, saldando una quasi-ciambella o una sfera spaccata (bucata) si ottiene una superficie trasformata qualitativamente. Perciò le stesse leggi di una trasformazione qualitativa sperimentata, già vista, come nel passaggio dal feudalesimo al capitalismo, ci offrono la certezza che è possibile una ulteriore trasformazione. Non c'è solo la deformazione riformistica nella storia, ci sono soprattutto le rivoluzioni che spaccano e saldano.

Così, come il lavoro del pitecantropo non ha nulla a che fare con quello del salariato moderno (il passaggio è evidente a chiunque), il lavoro dell'uomo liberato dalla necessità del salario non avrà nulla a che fare con l'ombra del suo passato (passaggio che invece è un po' più difficile da digerire, ma solo per ragioni sociali). Ciò vale per l'intera società umana.

Dovrebbe essere evidente, a questo punto, che il comunismo non è un'utopia, cioè non prevede "creazione" mistica di società nuove dal nulla: esso descrive la trasformazione di materia esistente nel suo divenire a livelli sempre più alti di ordine armonico. Si sa che Marx ed Engels dedicarono la loro vita a demolire senza sosta tutte le concezioni improntate a tale mistica, dovute al peso dell'ideologia dominante; è meno conosciuto il fatto che buona parte di questa lotta consistette nel verificare il contemporaneo sviluppo di tale demolizione in tutti gli altri rami della conoscenza. Eppure lo scrissero a chiare lettere, adoperandosi per utilizzare fino in fondo il fenomeno, chiamando comunismo proprio il processo complessivo di demolizione che, partendo dalla vita reale, giungeva a far saltare millenni di consolidate credenze.

Il grande quadro di riferimento le cui fondamenta furono gettate da Marx, Engels e migliaia di altri uomini dediti all'immane lavoro di demolizione del vecchio in ogni campo, è dunque basato su leggi d'invarianza, le stesse leggi senza le quali, come abbiamo visto, non si potrebbe neppure parlare di scienza. Allora deve essere possibile trovare delle leggi che accomunano la teoria del comunismo e le altre discipline scientifiche oggi arbitrariamente separate, quell'invarianza che ci permette di trattare con criteri universali fenomeni di natura apparentemente diversa nella complessità del mondo. Sappiamo che, per esempio, le formalizzazioni poste alla base della teoria termodinamica sono praticamente le stesse su cui si fonda la teoria dell'informazione anche se la termodinamica è classificata nella "fisica" e la teoria dell'informazione nella "matematica".

Deve anche essere possibile, secondo gli stessi criteri, dimostrare non solo che il comunismo non è un'ideologia, ma che non è neppure una scienza "vecchia": deve funzionare benissimo anche oggi per tutti quei casi contemplati nello schema originario. I critici devono semmai sobbarcarsi l'onere, ammesso e non concesso che ci riescano, di dimostrare che lo schema originario non corrisponde più al capitalismo di oggi. In fisica nessuno si sognerebbe di affermare che lo schema di Galileo e Newton è "vecchio": la relatività galileiana è tanto indistruttibile che ha fornito la base per quella di Einstein, e la meccanica newtoniana è alla base di tutto quel che succede nel mondo macroscopico al di sotto della velocità della luce, il che ci sembra ancora parecchio.

Una quindicina d'anni fa, durante una discussione sulla dinamica della formazione del partito, dei saputelli ci fecero sapere che una nostra presunta teoria delle materiali forze in lotta era vecchio meccanicismo newtoniano. Recentemente altri "profondi" pensatori ci hanno detto che il nostro modo di parlare di scienza a proposito del marxismo non tiene conto di "profondissimi" significati presenti nel Marx più "profondo", quello del Capitale, non quello dell'Ideologia tedesca (vecchia solfa). Più recentemente ancora siamo stati criticati per la nostra maniera "meccanica" e "concretista" di affrontare i problemi (e tralasciamo le critiche opposte per non andare fuori tema).

Se questa brava gente sapesse anche solo immaginare la complessità della "meccanica newtoniana" di una banale bicicletta in movimento con i suoi molti gradi di libertà, affronterebbe anche il problema delle molecole sociali, quindi quello di sistemi complessi e difficili da formalizzare, in maniera meno immediatista, nel senso di movimento immediato della lingua che in genere avviene senza badare troppo alla connessione col cervello.

La borghesia è una classe storicamente moribonda ed è perciò inevitabile la sua continua caduta ideologica nelle vecchie dicotomie, bene-male, universale-particolare, mondo-submondo, fisica-filosofia, proprio mentre la sua stessa scienza dimostra che esse sono ormai superate. È tragico che sedicenti comunisti adottino così bene quel modo di pensare, soprattutto di fronte al fatto straordinario che la borghesia stessa è costretta, per ragioni pratiche, dovute alle necessità della produzione, a capitolare ideologicamente di fronte al marxismo. Se perciò prescindiamo dalle necessità politiche della borghesia nella sua opera di conservazione sociale, per cui i politici e gli economisti in questo campo continuano a dire fesserie, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio paradosso mortale: coloro che dovrebbero essere il riflesso del domani sull'oggi si rivelano troppo spesso come uno stanco riflesso di ciò che la borghesia era e non è nemmeno più. Dove le è utile la borghesia stessa ha ormai spazzato da tempo certo modo di filosofare.

La nostra corrente ha messo definitivamente in pensione la filosofia a partire da Hegel, col quale Marx dovette ancora fare i conti. Dopo di allora, e non lo diciamo noi adesso, vi è una sola scienza ed appartiene già al futuro.

Leggiamo spesso frasi roboanti e molto rivoluzionarie che scuotono il mondo. Ogni tanto qualcuno si accorge che occorre lottare contro la frase e propone di fare qualcosa di "pratico". Riuscendo però a fare soltanto quel che fanno tutti, applica il criterio agli altri e assolve sé stesso. Questa prassi incrociata rende il milieu "comunista" assai omogeneo e purtroppo sarà così ancora per molto tempo. L'appello continuo alla "liberazione" del proletariato e alla "costruzione" del partito dimostra che si è completamente dimenticato qualcosa di molto importante: la "liberazione" è un processo storico e non un atto ideale. Dipende dallo stato dell'industria, da quello dei traffici mondiali, dall'agricoltura, dall'azione del Capitale globale, dalle relazioni tra gli uomini e soprattutto tra le classi, dove lo sviluppo del partito dipende da una dinamica tipica che è quella dei sistemi complessi.

Parafrasiamo da un testo classico quest'ultimo paragrafo. Quando si abbia una concezione miserabile dello sviluppo storico reale, prendono il sopravvento gli sviluppi ideali, queste miserie trasfigurate e oziose che rimediano alla mancata aderenza al mondo effettivo con delle fissazioni di importanza soggettiva. Al contrario, per il materialista pratico [così nell'originale, in contrapposizione al materialista volgare e metafisico], cioè per il comunista, si tratta di aderire a ciò che rivoluziona il mondo esistente, di metter mano allo stato di cose che incontra, non ai suoi propri pensieri. E questo stato di cose è già molto più universale di qualsiasi pensiero universale. Si tratta insomma di capire che il capitalismo va trattato, nel suo divenire, in base ai dati effettivi, non in base al "concetto del capitalismo" come solevano dire gli idealisti tedeschi. La forma della comunicazione, da questo punto di vista, è importante e rivelatrice, perché il linguaggio, non il pensiero, è la coscienza reale e pratica dell'umanità che deve esprimersi, l'unica coscienza che esiste per l'individuo e nello stesso tempo per gli altri uomini. Con la separazione dei processi mentali da quelli reali la coscienza politica individuale può realmente figurarsi di essere qualcosa di diverso dalla prassi, può realmente concepire qualcosa senza concepire alcunché di reale. In tal modo la coscienza politica individuale vola nell'empireo, si stacca dal mondo e si illude di poter dettare ad esso le sue parole d'ordine. Al contrario, i comunisti vedono nel generale sviluppo della forza produttiva sociale il presupposto empirico dell'esistenza della società nuova.

Testi consigliati

  • Karl Marx, "Introduzione del 1857" a Per la critica dell'economia politica, Editori Riuniti (al paragrafo sul metodo una dissertazione sugli invarianti nella storia dei successivi modi di produzione).
  • Richard Courant e Herbert Robbins, Che cos'è la matematica? Boringhieri (al capitolo IV vi è una spiegazione chiara e accessibile del concetto matematico di invarianza con rimandi al capitolo sulla topologia).
  • Claudio Procesi, Invariante, articolo dell'Enciclopedia Einaudi, vol. 7 (testo di difficile lettura ma con un inizio assai esplicativo).

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