Elezioni al tempo della statistica

L'economia politica non è avanzata di un passo rispetto ai tempi in cui riceveva la critica di Marx. Perciò gli economisti, per cercare di scoprire un ordine qualsiasi nella massa dei dati empirici, si sono buttati sulla matematica, e specie sulla statistica, sperando di ricavarne qualche legge utile ad orientarsi. E' ovvio che, come dimostrò Marx nel 1859, sono stati costretti a ciò per difetto di teoria, non è certo colpa della statistica se le previsioni economiche non vengono azzeccate lo stesso.

La statistica è resa possibile dalla miriade di singole determinazioni che conducono agli effetti poi osservati; per questo essa ha un grande successo nella previsione di fatti soggiacenti a determinazioni conosciute. Per esempio le assicurazioni hanno la certezza di non rimetterci mai quando determinano i "premi" per le varie categorie di sinistri, i gestori delle lotterie non falliscono mai e le società di sondaggio azzeccano sempre i risultati delle elezioni con buona approssimazione.

Anche sul piano economico classico la statistica funziona benissimo. Solo che non garantisce previsioni a causa del suo utilizzo autoreferente: gli operatori che contano vi ricorrono tutti insieme allo stesso modo, influenzando così i risultati che appaiono come casuali. Modelli che utilizzano sofisticatissimi algoritmi in grado di far meritare il premio Nobel ai loro autori sono stati ridicolizzatio da questo semplice meccanismo. Per questo stesso motivo i sondaggi elettorali sono vietati un certo tempo prima delle elezioni: essi sono certamente in grado di influenzare il voto con la pubblicazione dei risultati, se non fosse che sono proprio i sondaggi a plasmare i partiti, i quali si adeguano al fine di arraffare più voti e non viceversa.

Nel 1936, il signor Gallupp con sole 1.500 indicazioni di voto anticipate previde il risultato complessivo di milioni di schede con lo scarto dell'1%. Ma i risultati elettorali continuarono a variare parecchio da candidato a candidato. Perché allora proprio oggi negli Stati Uniti e altrove abbiamo questa straordinaria "coincidenza" nel numero di voti tra i candidati? In statistica non vi sono coincidenze: l'indeterminazione e il caso sono banditi; se è successo c'è un motivo preciso. Ed è in questo motivo che vediamo la dimostrazione matematica della vacuità del principio democratico. I matematici lo sanno da tempo, ma non ci risulta che siano ascoltati.

Esiste un modo spiccio per dare risultati più affidabili e scientifici rispetto alle elezioni. Sarebbe esente da pasticci, che richiedono conte ambigue (meccaniche o manuali) e stuoli di avvocati a 700 dollari l'ora, e comporterebbe grande risparmio di energia e di denaro. Il sondaggio d'opinione ha risolto il problema della democrazia rappresentativa una volta per tutte, specialmente negli Stati Uniti, dove ogni elezione presidenziale dura un paio di anni e costa centinaia di miliardi di dollari. Potrebbe essere una soluzione.

Il sondaggio d'opinione dimostra che l'opinione non esiste né nell'elettore né nel candidato. Se esistesse la loro opinione, non potrebbe esserci l'indagine statistica sulla sua variazione, cioè appunto il motivo principe del sondaggio elettorale. "I nostri dati sono manipolazioni anzi sono falsi, ma sono esatti. I dati parziali che fornisce il Ministero degli Interni sono invece veri ma sbagliati", affermò il direttore della Doxa a proposito degli exit poll. La gente dice bugie o non risponde, ma la statistica, sorprendentemente, anticipa i risultati lo stesso, perché la "libera" opinione viene in realtà determinata e gli statistici lo sanno, per quello campionano con precisione gli elettori e riescono a cavarne profitto. Se proprio vogliamo essere precisi, dimostrano di avere opinione coloro che non si prestano al gioco e non vanno a votare, stabilendo per qualsiasi motivo che è inutile e assurdo.

Nelle ultime elezioni americane, i sondaggi hanno scandagliato campioni di cittadini per mesi e mesi, mentre gli organi d'informazione, per tutto il periodo, comunicavano le proiezioni. In tal modo i candidati hanno avuto tutto il tempo per diventare come il sondaggio sondava, finché son salite le reciproche percentuali, a loro volta rilevate dai sondaggi, in un circolo autoreferente che ha finito per rivelare candidati identici ai cittadini e cittadini identici ai candidati. Il risultato è stato un insieme perfettamente omologato all'ideologia dominante, senza l'ipocrisia di presunte differenze tra uomini, un candidato virtuale, anche se diviso su due individui, che ha raccolto il 100% dei voti, con lo scarto di 9 voti su cento milioni (poi confutato dai giudici che hanno bloccato la conta ad un'ora ufficiale quando la differenza era di 500 voti). Per questo risultato non era il caso di mobilitare folle e miliardi. Tra l'altro, nessun controllo avvocatesco potrà mai stabilire quale sia il vincitore: per principio bisognerebbe contare tutte le schede in tutti gli stati per cui l'incertezza rimane di tipo statistico, cioè talmente circoscritta che rientra nella probabilità di errore di qualsiasi criterio di conta. A questo non vi è modo di rimediare, perché qualunque verifica reiterata darà qualche centinaio di voti in più o in meno.

La statistica ci dice che fra tre partiti, con le campagne elettorali moderne, vince matematicamente il "centro", se s'intende con il termine la media delle cosiddette opinioni. Ma proprio per tale motivo i partiti, sulla base dei sondaggi, corrono verso il centro, col risultato di assomigliarsi più di quanto già non si somiglino. A questo punto la statistica aggiunge che è inevitabile una disposizione dei voti di metà e metà, qualunque sia il numero dei partiti. Infatti, in caso di coalizioni, esse nascono prima delle elezioni, ma funzionano dopo, quando si riesce a stabilire quali passaggi di campo rappresentano l'ago della bilancia.

In realtà le cose per la democrazia stanno peggio di quanto sembri analizzando semplicemente le sciocchezze elettorali. Anche se esistesse "l'opinione", cioè il voto libero e consapevole, è stato dimostrato matematicamente (dall'economista K. Arrow che ricevette il Nobel nel '72 anche per questo) che quando si stabiliscono delle condizioni che è necessario soddisfare per avere sistemi di aggregazione sociale eticamente accettabili e non arbitrari, non esiste alcun metodo non dittatoriale che soddisfi tutte le suddette condizioni.

Senza neppure mettere in campo l'artiglieria marxista contro la democrazia, vediamo che la semplice logica suggerirebbe di ritenere fasullo, fallito, intrinsecamente idiota l'intero sistema democratico e di abbandonarlo per forme di gestione normale, come ce ne sono tante, nell'industria, per esempio. Invece esso viene mantenuto per ragioni di classe, e anche la più grande potenza del mondo si abbandona al cretinismo, che non è più solo parlamentare ma qualcosa di più, dato che investe un sistema sociale che non ha più risorse propagandistiche per dimostrarsi necessario. Non per nulla nello stesso campo borghese ci si incomincia a chiedere se per caso la democrazia abbia fatto il suo tempo.

Rivista n. 2