Essere digitali - Quando le cose iniziano a pensare

Essere digitali di Nicholas Negroponte, Sperling & Kupfer, 1995, pagg. 267 lire 32.000

Quando le cose iniziano a pensare, di Neil Gershenfeld, Garzanti, 2000, pagg. 203 lire 35.000.

Due libri che possiamo definire, nonostante l'evidente scopo divulgativo e propagandistico, un catalogo di esempi per coloro che sono attenti agli sviluppi della forza produttiva sociale come fattore rivoluzionario. Qualcuno potrebbe chiedersi se nel sollecitare spesso l'attenzione su questo fattore non vi sia per caso da parte nostra una involontaria apologia del capitalismo. Risponderemmo di sì, l'apologia della funzione rivoluzionaria di certi risultati fa parte del bagaglio comunista, perciò non ha nulla di involontario. Il binomio scienza-produzione fu posto da Marx come uno dei gradini della rivoluzione e normalmente si è fin troppo abituati a guardare alla produzione del passato piuttosto che a quella del futuro. Non si capisce perché i comunisti debbano fare studi sul macchinismo e sull'automa globale descritti nel Capitale e debbano invece sorvolare sull'informatica.

Può darsi che la sostituzione degli atomi con i bit sia un'utopia, può darsi che una scarpa che produce energia e ricarica un computer integrato nella trama di un vestito mentre si cammina sia una sciocchezza, ma certamente una macchina sofisticata, un robot che libera l'uomo da operazioni pericolose o semplicemente spiacevoli, non lo è. Il telaio automatico Jacquard fu inventato per fare "inutili" ricami di lusso ma ebbe conseguenze rivoluzionarie per l'industria. La nostra non è altro che attenzione verso lo sviluppo del comunismo, di cui il capitalismo è la crisalide prima della metamorfosi, e riteniamo indispensabile tener d'occhio ogni processo che, appunto, possa avere conseguenze rivoluzionarie.

Siccome l'attuale modo di produzione non si sviluppa più, mentre ciò che si sviluppa è la forza della società futura, indipendentemente dall'uso che il capitalismo ne fa, le conseguenze sono rivoluzionarie, favorevoli all'avvento della nuova forma sociale. Tutto ciò prepara una rivoluzione che non ha nulla a che fare con quelle che l'hanno preceduta, essa non sostituirà una classe al potere con un'altra, ma eliminerà tutte le classi. Stiamo dunque andando verso una catastrofe sistemica di proporzioni difficili da immaginare, già preceduta però da molte avvisaglie. Questo è un assioma, e soltanto una variabile è incognita: il tempo.

Negroponte e Gershenfeld sono due dei responsabili della ricerca al MIT, il centro reso mitico non solo dalla sua stessa propaganda ma anche dai risultati concreti ottenuti, che per noi sono altrettante escursioni nel mondo della forza produttiva sociale della società futura. In sé l'Istituto del Massachusetts per le Tecnologie non è diverso da altri centri analoghi presenti soprattutto negli Stati Uniti, ma è più famoso per via di un'attenta politica di marketing. Si tratta di un centro mondiale di ricerca a pagamento, dato che i vari rami sono sponsorizzati da migliaia di industrie: di qui un materiale collegamento col mondo della produzione. Anche i responsabili del dipartimento che si occupa di nuove tecnologie dell'informazione (il Media Lab), pur essendo la materia trattata più sfuggente, per esempio, della meccanica o della fisica tradizionali, sono a diretto contatto con i problemi del mercato, della concorrenza e dei metodi di produzione per farvi fronte e ricevono finanziamenti da 150 industrie internazionali del ramo. Nell'epoca del capitalismo ultramaturo la produzione diventa succuba del mercato e la scienza deve trovare ogni espediente per mettere le merci in grado di soddisfare sempre nuovi e più artificiosi bisogni. Quello che a noi però interessa non è tanto il prodotto in sé quanto ciò che gli sta intorno, cioè l'apparato produttivo che sta a monte della sua immissione sul mercato. Dovrebbe essere chiaro che, per esempio, l'automobile è una merce assolutamente antiquata, con la struttura di una vecchia carrozza e con un motore endotermico dal rendimento ridicolo, mentre il modo di costruirla è modernissimo, automatizzato, del tutto in linea con il massimo sviluppo della forza produttiva sociale.

In entrambi i libri di produzione si parla poco. Nel senso che semmai si parla di morte della produzione, almeno di quella di un certo tipo. La chiave di lettura dei due testi si trova a pagina 189 del secondo, quasi alla fine, localizzazione che mette in luce l'incertezza dello scienziato nell'affrontare lo stesso argomento che lo muove a scrivere. Nella pagina citata Gershenfeld riporta, da un quotidiano, un episodio realmente accaduto: un impiegato spara cinque colpi di revolver contro il computer sul quale sta lavorando; la polizia lo arresta e lo porta dallo psichiatra (tempo fa circolava su Internet una analoga scenetta di neo-luddismo ripresa dalla telecamera fissa di una banca). Ed egli sostiene che sarebbe stato meglio indagare sul comportamento irrazionale e antisociale del computer, ovvero di chi l'ha costruito, invece di attuare un provvedimento poliziesco nei confronti dell'utilizzatore incolpevole. Questa tesi, che coerenza avrebbe voluto all'inizio del libro, giustifica le ricerche di entrambi gli autori: infatti essi affermano che finora la macchina ha asservito l'uomo, mentre le nuove tecnologie possono già permettere di invertire i ruoli, cioè possono liberare l'uomo dalla schiavitù del lavoro, diventare user friendly cioè amichevoli per l'utilizzatore e non indurlo a sparatorie. L'uomo non deve perdere il suo tempo con macchine molto complesse ma stupide, deve trasmettere la sua intelligenza ad esse per essere libero.

Detto in maniera meno idealistica, e con il nostro linguaggio, non "le macchine", ma il sistema che esse costituiscono, libereranno l'uomo dalla necessità, anzi, lo stanno liberando, perché le determinazioni dello sviluppo hanno già portato tale sistema alla soglia di un cambiamento qualitativo visibilmente e ampiamente incompatibile con le caratteristiche della società attuale.

Marx non sottovalutò affatto l'introduzione del nuovo telaio automatico, anzi, gli dedicò pagine brucianti. Noi non abbiamo nessuna fiducia nella scienza capitalistica, né dell'uso che se ne fa, ma l'unione tra scienza e produzione permette ogni tanto salti qualitativi che sarebbe stupido sottovalutare. Per esempio, fra una tipografia di trent'anni fa e una stamperia del '500 non vi era differenza sostanziale, così come non vi è oggi differenza sostanziale fra una offset moderna e un torchio litografico antico, mentre fra un processo tipo-litografico e un processo elettronico di riproduzione dei testi il salto è qualitativo. La carta e il libro elettronici eliminano più cicli di produzione e sono altra cosa.

Le tecnologia delle fibre ottiche, su cui si sofferma Negroponte, è già in grado di trasportare tutto ciò che è trasformabile in bit, quindi anche in questo caso si è già compiuto il salto qualitativo rispetto alla radio, la televisione e i supporti fisici di musica e letteratura, saggistica ecc.: si potrebbe già accedere ad una grande memoria come si accederebbe ad una biblio-disco-filmoteca, quindi non più consultare i programmi televisivi fissati dall'emittente ma scegliere ciò che interessa e "scaricarlo" su di un visualizzatore qualsiasi. Tra l'altro è già disponibile anche un lettore di libri elettronici simile alla carta, che non stanca la vista come gli schermi attuali.

Alla produzione, dicevamo, nei due volumi è dedicato poco spazio, ma quel poco che c'è è trattato con argomenti significativi. Tutti conoscono, almeno di nome, i robot, ma sfugge di solito l'integrazione totale tra questi strumenti e le tecniche di pianificazione che fanno della fabbrica un unico automa, estensione moderna di quello descritto da Marx e ormai universale, slegato dalla fonte centrale di movimento. Sfugge anche il fatto che non solo le operazioni tradizionali sono eseguite da automi, ma anche quelle di fabbricazione vera e propria: chi ha osservato una stampante tridimensionale mentre lavora non può che condividere l'impressione inquietante descritta da Gershenfeld: la nostra sensibilità è abituata da millenni alla lavorazione della materia, l'ha vista tornire, fresare, rettificare, togliere dei trucioli da essa, plasmarla; non siamo abituati ad assistere ad un processo che mette insieme molecola per molecola a partire da un modello matematico astratto. Fra il progetto e il prodotto vi è sempre stato l'operaio col suo lavoro, mentre sempre più spesso ora il progetto include il comando per far svolgere il lavoro direttamente alla macchina. E la stampante appena descritta non è altro che una periferica di computer, funzionante secondo lo stesso principio delle stampanti da pochi soldi. Ma non stampa fogli, costruisce pezzi, ed è indicata proprio per quelli particolarmente complessi che con altri sistemi sarebbe difficile e troppo costoso costruire.

Alcune realizzazioni rendono già obsolete speculazioni al limite del filosofico ancora in auge pochi anni fa: Kasparov, il campione mondiale di scacchi, predisse nel 1996 che sarebbe occorso ancora molto tempo perché un computer battesse un campione umano, ma dieci mesi dopo egli stesso fu sconfitto. Il famoso test di Turing (1950) aveva stabilito che si sarebbe potuto parlare di intelligenza artificiale quando un operatore umano di fronte ad un terminale non fosse più riuscito a capire se era collegato con un altro essere umano o con un computer. Oggi su Internet – leggiamo al capitolo "Credenze bit" – la guerra tra i siti, i motori di ricerca e i loro rispettivi programmatori, scoppiata per selezionare l'informazione, si manifesta con un test di Turing invertito: adesso sono le macchine che cercano di capire se dall'altra parte c'è un umano o no, e spesso ci riescono.

Anche nel mondo dell'arte le "cose pensanti" introducono variazioni qualitative: collegando la fisica dei suoni a metodi di riproduzione degli stessi tramite computer, è possibile tenere concerti tradizionali con esecutori che fanno a meno degli strumenti tradizionali. Significa che si potrà rendere accessibile a tutti il suono di strumenti inarrivabili ai più, come gli Stradivari, perché la sua vibrazione non è un problema di sentimento ma di fisica dello stato solido. Per converso si possono creare suoni nuovi sintetizzando musica con del software senza minimamente far riferimento ai vecchi strumenti, spartiti ed esecutori; con ciò salta un mondo "artistico" che sembrava consolidato per sempre.

A questo punto a noi non importa molto se, lungo tante pagine, gli autori parlano spesso di argomenti dai risvolti puramente commerciali o scelti per meravigliare il lettore: nonostante il riferimento esplicito alla necessità di trovare nuovi sbocchi alla valorizzazione del capitale, mediante la creazione di nuovi valori d'uso (non importa se originati da bisogno fisico o dalla fantasia, dice Marx), Gershenfeld ammette che "sta succedendo qualcosa d'importante; l'economia sembra avere divorziato dalle leggi della fisica, creando ed eliminando grandi ricchezze con scarsissimi collegamenti apparenti al mondo materiale". Sappiamo che non è vero, che c'è sempre la necessità di riferirsi alla valorizzazione attraverso l'estorsione di plusvalore nel processo produzione-mercato, ma questo autore trae dalla sua considerazione un capitoletto assai interessante sul denaro. Facendo l'esempio dei cosiddetti derivati (titoli il cui prezzo è definito in base al comportamento di varie attività finanziarie nel tempo), egli ipotizza una dematerializzazione completa anche del denaro corrente: quindi non solo la fine del Gold Standard (un tempo il valore del denaro aveva un riferimento a quello dell'oro), ma anche quella dell'Atom Standard, cioè del residuo di valore fisso derivante dal fatto che il denaro è l'equivalente universale di tutte le merci (nel senso che un dollaro di patate ha lo stesso valore di un dollaro di petrolio e i due valori si concretizzano in un pezzo di carta che tutti riconoscono come "denaro"). Come i derivati, "i bit che rappresentano il denaro dovrebbero essere accompagnati da bit che rappresentino gli algoritmi necessari a stabilirne il valore" a seconda del tipo di transazione; perciò un denaro immateriale con incorporato un codice attraverso il quale esercitare un controllo su di esso. Come dire un controllo di tutto il denaro, quindi sul Capitale complessivo da parte della società (un dollaro usato in un certo modo non avrebbe più il valore di un altro dollaro usato in modo diverso).

La questione è interessante, perché l'ipotesi avanzata, perfettamente realizzabile, è esattamente il contrario di ciò che succede adesso al denaro e al Capitale. Infatti gli Stati non sono altro che apparati al servizio di quest'ultimo e non è proprio possibile che spezzino la legge del valore in modo generalizzato al punto di governare i prezzi e alla fine il valore. Né si può fare del denaro un qualcosa di diverso dall'equivalente generale, che a sua volta ha un prezzo stabilito dal mercato. Se il prezzo fosse stabilito da un comando centrale secondo un progetto economico generale non saremmo più di fronte a capitalismo. Siamo sul terreno di frontiera che vede già presenti categorie non capitalistiche: il denaro "normale", fatto di atomi (oro, carta) o di bit (informazione), varia di valore, essendo una merce equivalente generale delle altre merci, e va bene; ma varia di valore tutto insieme, in massa, a seconda delle oscillazioni dell'intera economia. Un denaro che invece cambiasse di valore autonomamente a seconda dell'operazione in cui è utilizzato in un dato momento, mediante un codice che gli permettesse di auto-organizzarsi in base ai programmi di un'autorità centrale, non sarebbe più denaro e la sua massa, con tutto ciò che gli si poteva contrapporre nella sua veste di equivalente generale, perderebbe la sua qualità di Capitale.

Sono fantasie, certo; ma c'insegna Marx che l'umanità può immaginare i problemi solo quando la loro soluzione è già preparata dalla storia: di quel non-denaro l'umanità stessa potrà aver bisogno in una fase di transizione, quando sarà già chiaro che la persistenza dello Stato e degli scambi sarà una questione di tempo prima della loro definitiva estinzione.

Rivista n. 2