La dimora dell'uomo (3)

La dimora di domani

Ora che abbiamo compiuto una rapida escursione attraverso i problemi reali già posti dalla dinamica del divenire, non è difficile tratteggiare le conseguenze della transizione rivoluzionaria alla società futura dopo la caduta del mondo borghese. Dalla materia trattata fin qui abbiamo visto scaturire diverse contraddizioni entro le categorie dello stesso mondo borghese e fra queste e la società futura. Ma abbiamo visto anche operare la dialettica unione degli opposti: l'anarchia della società capitalistica e la sua capacità di autoregolazione, riflessa anche nelle opere urbanistiche ed architettoniche. Capacità conservatrice nel rimettere ordine nel caos e perpetuare l'esistente, ma nello stesso tempo generatrice di forme nuove, in grado di spezzare i vecchi rapporti e indurre nuova urbanistica e nuova edilizia. In fondo è l'antica contraddizione fra "stabilità strutturale e morfogenesi", che contraddistingue la vita pulsante nella biosfera. Se la metropoli tentacolare ha coperto la campagna, fenomeni di regressione sono già in atto e gli esempi che abbiamo riportato (fusione fra verticalismo e orizzontalismo) indicano una lunga fase di incertezza che sta già per essere lasciata alle spalle. Una più marcata disgregazione delle forme e una più radicale compenetrazione degli spazi sarà probabilmente il terreno di prova dell'architettura borghese nei prossimi anni. Perciò ci attendiamo di vedere presto uscire dal magma schizofrenico dell'architettura moderna, oscillante fra conservazione e anticipazione, qualche progetto che piazzi le prime cariche di dinamite sotto la più reazionaria delle "barriere architettoniche", quella rappresentata dalla consumistica abitazione per famiglia.

Se nella società futura dovrà dissolversi definitivamente la separazione fra la natura del lavoro agricolo e di quello industriale, dovrà esserci movimento di persone fra la casa e il luogo di produzione, terra o fabbrica, senza che questo significhi divisione sociale del lavoro e abitazione specializzata, rurale, urbana, suburbana, ecc. Una volta scomparsa la divisione sociale del lavoro e resa razionale la distribuzione delle città sul territorio (lasciando "selvaggia" quella parte del pianeta utile al metabolismo con le altre specie animali e vegetali), l'uomo non abiterà più "in città" o "in campagna", ma seguirà la sua spontanea tendenza storica alla vita comune, pienamente urbana, nel rispetto non solo della legge di Liebig da Bebel ricordata ma di un più completo e armonioso rapporto con il ricambio naturale.

Se dovrà dissolversi la famiglia patriarcale monogamica molecolare, per essere sostituita da rapporti liberi e non coatti fra i sessi, dovrà essere sconvolto lo spazio che essa oggi utilizza. Nasceranno certamente comunità diversificate, sulla base della consapevole e liberissima ricerca di forme di convivenza fra persone che non dovranno più uniformarsi al cubicolo standard. Quest'ultimo, più o meno esteso, smaschera l'architetto razionalista, funzionalista, purista, ultramoderno, che è in grado di modificare l'estetica ma non la sostanza, lascia cioè intatta la natura borghese della casa. Ammesso e non concesso che egli riesca a dire qualcosa di nuovo anche solo con l'estetica, dato che – come abbiamo già visto – proprio secondo il funzionalismo l'estetica deriva dalla funzione. L'estetica della casa razionalista non era disegnata da chi ci abitava ma dalla fabbrica. Qui sono caduti tutti, ma proprio tutti, persino gli "organicisti" come Wright, Aalto e Sharoun o gli eclettici nemici della linea retta come Hundertwasser. Essi hanno dovuto accontentarsi di vegetare in un limbo dai confini proibiti: indietro non potevano più tornare, avanti non potevano ancora andare. Goebbels disse di una casa razionalista progettata da Scharoun per un borghese dell'epoca: "Se uno si costruisce una casa così, vuol dire che la pensa così, e ciò è inammissibile". Eppure era il nazismo che costruiva fabbriche così. Evidentemente ciò che andava bene per una fabbrica non andava bene per contenere una sana famiglia borghese tedesca. I moderni non potevano costruire nello stile nazi-stalinista-rooseveltiano e neppure tornare all'Heimat Style della casetta di Heidi; ma non potevano, nazisti o no, neppure costruire case nuove. È interessante il fatto che proprio Scharoun, dal 1939 al 1945, abbia espresso la sua estetica più significativa in disegni fantastici di un ciclo che aveva chiamato "case del popolo", dove non c'è alcun riferimento al cubicolo famigliare, ma solo spazi astratti, volute di acciaio, vetro e cemento, con lo sguardo forse al costruttivismo russo e a Bruno Taut detto il "rosso", sbeffeggiato dai bauhäusler perché aveva osato usare i colori sulle facciate (fig. 20). Oggi prevalgono strascichi novecenteschi, ma domani nessuno si sognerà di chiamare "razionalismo purista" il parallelepipedo a tetto piatto, senza spiovente e senza gronda, che è una caratteristica mediterranea e non teutonica. Weimar, Berlino, Amsterdam, Mosca, il Canada e la Siberia, tutti i luoghi dov'è esplosa l'arte architettonica lineare e la "poesia dell'angolo retto", sono sullo stesso parallelo, in posti dove piove e nevica, dove la facciata liscia e bianca o più tardi cementosa si stria di sbavature mandando a ramengo il funzionalismo e l'estetica. Oggi il materiale e la funzione si stanno avvicinando e forse è anche questa una delle componenti che a Corviale fa mancare l'odio viscerale verso la propria casa ed evita che s'invochi la dinamite.

Case popolari a BerlinoFig. 20. Bruno Taut, Case popolari a Berlino.

Se dovrà dissolversi l'uso dell'antiquato mezzo di trasporto individuale, dovrà essere anche cancellata la cementificazione indotta e lo spreco di spazio ad esso collegato. Si risparmierà (risparmio in unità di energia, non di valore, finalmente) almeno il 30% di volumetria e assai di più in orizzontale, recuperando all'uomo lo spazio dei parcheggi ufficiali e di fatto (ogni città è oggi un gran parcheggio all'aperto e anche rimanere incastrati nel traffico è un po' come essere parcheggiati, tant'è vero che i londinesi chiamano il loro mega-raccordo anulare "the greatest parking in the world", il più grande parcheggio del mondo). Come diceva giustamente Le Corbusier, copiato dai progettisti di Cumbernauld di Pruitt-Igoe e di Corviale, occorre tenere separate le vie di traffico. Ebbene, la società nuova separerà più drasticamente ancora eliminando quello automobilistico privato, compenetrando gli spazi aperti e chiusi, lasciandoli attraversare dai flussi pedonali, collegati al trasporto collettivo. Con l'energia sociale che si eviterà di dissipare, sarà possibile escogitare mezzi di trasporto differenziati, adatti per ogni tipo di movimento, dai tappeti e rampe mobili ai treni, metropolitane o anche automobili pubbliche per muoversi nelle aree non attrezzate. Attentato alla individualità? Già oggi le classi abbienti rinunciano sempre più spesso alla proprietà e al possesso di molte categorie di oggetti, preferendo le forme di noleggio.

Se dovrà dissolversi la produzione per la produzione, la mercificazione degli oggetti, degli uomini e della vita intera, nessuno avrà più il bisogno di accumulare merci e ognuno, non possedendo nulla, avrà accesso a tutto, concetto caro ai primi cristiani, legati spesso in comunità comunistiche. Nelle nuove comunità, sparita l'abitazione privata, sarà facile l'accesso alla dimora, tenendo conto dell'immensa volumetria che, tolta al Capitale, sarà ristrutturata e consegnata agli uomini. La casa potrà non essere più un elemento fondamentale dell'esistenza, un assillo della vita o addirittura un incubo per il proletario che deve sborsare metà del suo salario al padrone o alla banca. Sarà invece un accessorio facilmente fruibile e sostituibile secondo le esigenze degli individui, siano questi raggruppati secondo interessi comuni o accoppiati secondo esigenze biologiche.

Se dovrà dissolversi la mercificazione della vita, non vi sarà più ragione di avere una suddivisione tra le sue fasi, tra tempo di lavoro e il resto, tra attività economica e ludica, tra tempo per gli altri e tempo per sé. Nell'ambito di un piano razionale di produzione e distribuzione, il cinema, il teatro, la musica, la lettura, il bricolage, ecc. non saranno attività associate ad un biglietto da pagare e neppure a ritmi o spazi particolari, dato che già la borghesia, se pure in modo triviale, ci mostra come si attrezzano spazi polifunzionali nei suoi "palazzi" di lusso d'uso collettivo. L'abitazione graviterà intorno a spazi comuni, facilmente raggiungibili e disponibili. Allora, come nelle comunità comunistiche primitive, sarà ridistribuito lo spazio e sarà data importanza alla funzione da cui sorgerà la nuova estetica.

Gli spazi "esterni" e quelli "interni" saranno intersecati nella realtà generale e non solo in qualche disegno o prototipo. Morirà finalmente la proliferazione insensata del triviale parallelepipedo, cui si sono inchinati per un secolo gli architetti. Sta già succedendo. La forma si sta decostruendo e nuove superfici e spazi prendono piede, per ora solo in edifici celebrativi della potenza del Capitale, teatri, sale da concerti, sedi prestigiose di uffici, musei (fig. 21). Ma sono sintomi della supremazia del nuovo sul vecchio e si fa più stridente ancora il contrasto fra l'involucro e il contenuto: mentre l'architettura d'avanguardia degli anni '20 non era accettata, quella attualissima che rompe con essa piace a tutti. Non è che il popolo "intellettualmente sottosviluppato" dei Gropius e dei Corbu sia stato nel frattempo "educato" da qualcuno, è che la funzione ha il sopravvento e nell'aria c'è del nuovo che preme. Dal punto di vista funzionale, basterebbe un niente ormai per far sbocciare l'architettura di domani. Anche il più imbranato studente di architettura si accorge che consuetudini e leggi ammazzano i volumi e gli spazi, li costringono entro schemi non più accettabili da un'umanità che ha fatto esplodere le sue metropoli e adesso deve ridisegnarle. Oggi lo studente ha a disposizione la città-vassoio di Le Corbusier, un piano su cui si appoggiano bottiglie verticali e stoviglie orizzontali lasciando gli spazi permessi dall'investimento, una unità complessa quanto si vuole, ma senza relazione con quello che gli sta attorno. Lo spazio ormai pretende una dialettica totale fra il pieno e il vuoto, la stratificazione è un risultato acquisito anche nei "palazzi" minoici, ma non può essere mortificata da volgari esemplificazioni piene di pilotis, parkway e grattacieli. Lo scavo e l'innalzamento permettono l'intersecazione di spazi verticali e orizzontali, veri giardini terrazzati e abitati, tetti percorribili (l'erba costa meno delle tegole ed ha un volano termico maggiore), volumi che non separano l'abitazione dal resto. Prendiamo gli esempi oggi interpretati trivialmente come "opera d'arte" individuale (di Rem Koolhas, Peter Eisenman, Ralph Erskine, Jo Coenen, Tadao Andao, Steven Holl, Alessandro Anselmi, Frank Gehry, Zaha Hadid, ecc.), e immaginiamoli distribuiti a comporre un'intera città, soprattutto immaginiamo una integrazione totale fra la dimora dell'uomo e il resto delle costruzioni: il capitalismo è marcio, ma c'è un futuro che esso prepara.

Bilbao Guggenheim museumFig. 21. Bilbao, il Guggenheim museum, particolare.

Ovviamente resta un abisso da superare dal punto di vista della resistenza politica dell'attuale società. La resistenza è quindi anche quella del parallelepipedo d'abitazione, dell'attitudine all'inscatolamento delle famigliole, dell'indistruttibile ed eterno trio d'appartamento o villetta: "camera-cucina-soggiorno". Di tutto ciò non ha "colpa" l'architetto, nonostante la sua naturale propensione a lavorare per lo status quo che produce parcelle. Non hanno colpa l'acciaio, il cemento armato, il vetro. Tolte le catene, eliminato l'involucro, il contenuto sarà in armonia con la funzione. Spariti il tornaconto speculativo, la famiglia, il calcolo sull'anticipo di capitale, sul cantiere e sulle spese di esercizio, la casa diventerà davvero un'opera d'arte, cioè progetto, contrapposizione alla casualità della natura, non utopia ma anticipazione di un oggetto reale che si vuole così e che si può volere.

I materiali dell'industria, che fecero nascere prima le fabbriche moderne e poi lo stesso stile nelle case, asseconderanno ogni necessità e quindi funzione e quindi estetica. Il cemento armato, oggi criminalizzato come se fosse il responsabile della speculazione e dello scempio, non è per forza legato a fabbricazione di moduli standardizzati; essendo di uso flessibilissimo, farà "scaturire strutture e membrature movimentate, curve, slanciate, a sezioni mutevoli, in una fecondità senza limiti… Gli aggetti, gli sbalzi, fioriranno facili e nuovissimi dai fianchi delle costruzioni, archi audaci e sottili diverranno possibili, nuove sagome come per incanto sorgeranno. La rigorosa verticalità deriva dall'uso tradizionale… Il conglomerato innervato dai tondi di acciaio, potendo resistere a sforzi di ogni direzione, svincola le costruzioni dalla schiavitù dell'estetica prismatica, ogni volta che ciò sia necessario ed utile". Non è l'apologia del venditore di un cementificio, ma, in un testo della nostra corrente, una potente escursione nella società futura che libera la materia da costruzione dai ceppi del profitto (cfr. Spazio contro cemento). Prendiamo allora il "palazzo" minoico, il "campo" di Qumran, la "città" di Chan Chan ecc. e fondiamoli in un organismo architettonico unico che ne conservi gli aspetti invarianti. Sbizzarriamoci con antichi e nuovi materiali utilizzati con nuove tecnologie: pietra, laterizi, legno, cemento, acciaio, vetro, strutture portanti, pannelli solari, scambiatori di calore. Aumentiamone le dimensioni e facciamone il modulo di complessi più grandi. Non costruiremo più città fatte di case separate, ma case-città o città-casa, organismi che saranno dimora per altri organismi. Com'è esplosa la produzione sociale e con essa la città, com'è superato il cervello individuale a favore del cervello sociale (cfr. n+1 n. zero), così esploderà la "casa". Superata la costruzione a compartimenti stagni, vincerà quella aperta, dove l'espressione "camera-soggiorno-cucina" sarà sostituita con "quartiere d'abitazione, quartiere delle attività sociali e quartiere delle attività domestiche". Dove l'espressione inglese living room non vorrà più dire "soggiorno", come adesso, ma, alla lettera, "spazio di vita". Avremo così unito dialetticamente la distribuzione razionale della specie sul territorio, l'eliminazione della storica contraddizione città-campagna e il mantenimento della vita urbana (Figg. 22-23-24).

Adolf Loos studio per un grande albergoFig. 22. Adolf Loos, studio per un grande albergo, 1923.
Henry Sauvage studio per abitazioni a ParigiFig. 23. Henry Sauvage, studio per abitazioni a Parigi, 1928.
Zaha Hadid composizione decostruttivistaFig. 24. Zaha Hadid, composizione decostruttivista al computer (da un edificio realizzato a Cincinnati).

Letture consigliate

  • Partito Comunista Internazionale: Spazio contro cemento, ora in Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale, ed. Quaderni Internazionalisti; Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, tutto il capitolo "Collegamento", ediz. Il programma comunista, 1976; La Russia nella grande rivoluzione e nella società contemporanea, stesso volume. Struttura economica e corso storico dell'economia capitalistica, Il programma comunista n. 3 del 1957 (riunione di Ravenna, "Colcosianismo industriale"). Tesi di Napoli, 1965, ora in In difesa della continuità del programma comunista, Ed. Il programma comunista, 1970.
  • Karl Marx, Il Capitale, Libro I, Capitolo Sesto Inedito, La Nuova Italia, 1972 (il titolo del capitolo citato nel testo non è nell'originale ma è stato aggiunto dal curatore).
  • Friedrich Engels, Descrizione delle colonie comunistiche sorte negli ultimi tempi e ancora esistenti, Opere Complete di Marx ed Engels, vol. IV, Editori Riuniti, 1972.
  • August Bebel, La donna e il socialismo, Savelli, 1971.
  • Wilhelm Reich, Psicologia di massa del fascismo, Mondadori, 1974; La rivoluzione sessuale, Feltrinelli, 1969.
  • Lev Trotsky, Rivoluzione e vita quotidiana, Savelli, 1977.
  • Nikolaj Cernycevskij, Che fare?, Garzanti, 1974.
  • Le Corbusier, Maniera di pensare l'urbanistica, Laterza, 2001.
  • Gert Kähler, Wohnung und moderne. Die Massenwohnung in den zwanziger Jahren, http://www.theo.tu-cottbus.de/wolke/deu/Themen/971/Kaehler/kaehler_t.html.
  • Alexander von Hoffman Why They Built Pruitt-Igoe, testo distribuito dall'autore su Internet all'indirizzo http://www.ksg.harvard.edu/taubmancenter/public.htm
  • Cumbernauld, The city on the hill, http://www.open2.net/modernity/3_10.htm.
  • Nicoletta Campanella, Nuovo Corviale - Miti, utopie, valutazioni; ed. Bulzoni, 1995.
  • D'Arcy W. Thompson, Crescita e forma, Bollati Boringhieri, 1992.
  • Tom Wolfe, Maledetti architetti, Bompiani, 1982.
  • Leonardo Benevolo, La città nella storia d'Europa, Laterza, 2001.
  • Gillo Dorfles, L'architettura moderna, Garzanti, 1989.
  • George Modelski, Cities of the ancient world - An inventory, Department of Political Science, University of Washington, 1997.
  • Shemaryahu Talmon, Gli aderenti al Nuovo Patto di Qumran, Le Scienze n. 42, 1972.
  • Oscar Newman, Creating Defensible Space, U.S. Department of Housing and Urban Development, Office of Policy Development and Research.

FINE

Rivista n. 9