La Fiat di Melfi e i proletari indomabili

Dieci anni fa la FIAT dovette adeguarsi al modello mondiale della produzione snella, senza magazzino, con fornitori esterni connessi da una rete logistica rigorosamente programmata. È un modello pericoloso, perché tutto dipende dal funzionamento perfetto del sistema, che non sopporta inceppamenti e tantomeno scioperi. Perciò non era possibile ristrutturare gli stabilimenti di Torino o Arese, dove gli operai avevano sempre scioperato fino a bloccare completamente la fabbrica, e dove l'esperienza aveva dimostrato l'inutilità della repressione.

Il nuovo sistema doveva essere calato in una realtà non operaia, dove non vi fossero tradizioni di lotta e dove si potesse attingere la forza-lavoro con criteri selettivi assolutamente sicuri. Con una politica detta del "prato verde" la Fiat aveva scelto i lavoratori minuziosamente, con informazioni approfondite su ognuno, compresa la psicologia individuale. 80.000 persone "provate" per 7.000 assunti.

Melfi, in Basilicata, fra gli uliveti, le vigne e la poca industria alimentare, sembrava il posto adatto. I venti giorni dello sciopero di maggio hanno dimostrato che i piani capitalistici saltano sempre quando c'è di mezzo la lotta di classe. Forse senza saperlo, il nuovo proletariato delle pendici del Vulture ha dato luogo al primo blocco totale di una fabbrica d'automobili al centro di un sistema integrato cosiddetto post-fordista. Si sono fermati anche gli stabilimenti del Piemonte e della Lombardia ed è ritornato lo spettro del proletariato irriducibile, non ancora del tutto esorcizzato dopo la botta degli autoferrotranvieri. Mentre questi hanno alle spalle una lunga tradizione sindacale, i metalmeccanici di Melfi sono una tabula rasa senza la minima esperienza sindacale e organizzativa. Ma hanno usato magnificamente un sindacato, al quale non avevano mai aderito (la FIOM). Ci hanno fatto venire in mente le giovani leve proletarie di cui parliamo nell'articolo sul '69: al pari di quelle, hanno fatto poltiglia di annosi sforzi per ricondurre le lotte entro i canali della compatibilità economica, cioè per renderle innocue. E, come i loro compagni dei trasporti, hanno rotto la gabbia in cui si immaginava di averli rinchiusi.

Rivista n. 14