Tsunami

I terremoti non si possono prevedere con certezza, ma si conosc0no bene le aree sismiche. Non si può far nulla per impedirli, ma fin dall'antichità si conoscono tecniche di costruzione per resistervi. Quando si scatenano sul fondo marino provocano onde che è impossibile fermare, ma esse giungono spesso sulle coste con un ritardo sufficiente ad avvisare la popolazione. Si sa che uccidono non solo in base all'energia sprigionata, ma anche (e forse soprattutto) in base alla condizione sociale delle aree che colpiscono. Un terremoto di alta magnitudine in Giappone o in California provoca relativamente pochi danni e poche vittime, mentre in un'area povera queste possono essere migliaia e migliaia (nel 1976 a Tangshan, in Cina, morirono 600.000 persone). Altri fenomeni naturali possono essere micidiali quanto i terremoti, e anche in questo caso la condizione sociale incide profondamente sugli effetti: nel 1970 per un ciclone vi furono 500.000 morti in Bangladesh, mentre in Florida, uno stato tecnicamente attrezzato contro frequenti fenomeni simili, ve ne sarebbero stati certamente molti meno.

Lo tsunami di dicembre ha provocato forse 400.000 vittime. La violenza dell'acqua ha distrutto le case, e le macerie, trasportate con suppellettili, auto, ecc., hanno maciullato la popolazione. Sembra che l'istinto abbia salvato gli animali selvatici. Ipotesi seducente, che però è suffragata solo dal fatto empirico che non sono state trovate le loro carcasse. Si sa invece che alcune "primitive" tribù indonesiane si sono salvate fra gli alberi, che hanno resistito all'ondata, e non sono state travolte nella distruzione di beni che non avevano.

Ci troviamo dunque di fronte a due estremi: da una parte chi ha tecnologia e capitali sufficienti per edificare adeguatamente e tener sotto osservazione gli elementi naturali; dall'altra chi non ha nulla e con questi elementi convive guidato da un'esperienza millenaria. In mezzo c'è chi non è più allo stadio primitivo e non è ancora all'ultimo stadio capitalistico. Il capitalismo di per sé è ben peggio di qualsiasi tsunami, ma questa sarebbe un'osservazione assai banale se non si riuscisse a fare il confronto con le società precedenti e soprattutto con quella futura, nella quale sarebbe considerato in modo del tutto diverso il problema della vita e della morte in rapporto agli eventi naturali. In questa società il rapporto fra vita e morte è del tutto artificiale. Ogni anno nel mondo muoiono circa un milione di persone solo per incidenti (sul lavoro, in automobile, in casa, ecc.), ma lo sterminio dovuto a guerre, malattie o fame è incomparabilmente più grave. A Los Angeles e a Tokyo ci sono capitalismo e terremoti, ma la seconda causa di morte è insignificante rispetto alla prima. Nella transizione alla società futura l'eliminazione drastica, mondiale e definitiva della prima causa avrà priorità assoluta.

Rivista n. 17