Internet e la proprietà privata

Qualche anno fa in uno dei nostri periodici incontri fa ci fu una discussione fra noi ed alcuni intervenuti che non riuscivano a capire come mai dessimo tanta importanza alla smaterializzazione delle merci e alle nuove forme che stavano facendo evolvere il cervello sociale, ad esempio Internet. Tentammo di spiegare che non è nostra invenzione, ma è previsto dalla nostra dottrina l'esaurirsi del "quantitativismo" produttivo, sia nel senso di massa di merci che escono dalle fabbriche (prodotte con carbone, acciaio, macchine tradizionali), sia nel senso di massa del plusvalore prodotta in un ciclo di produzione (diminuzione storica dei saggi di incremento della produzione industriale).

Anche lo sviluppo del cervello sociale (reti di comunicazione di ogni tipo, macchinismo, conoscenza memorizzata e distribuita) è previsto, così come una diminuita funzione del denaro materiale ("segno tangibile di valore"), oggi addirittura sostituito da cifre espresse in bit che viaggiano fra computer connessi in rete. Ma fummo aggrediti verbalmente con l'apodittica affermazione che il capitalismo era sempre lo stesso anche se c'erano Internet, i robot e il bancomat. Altri, in altra occasione, ci dissero che non era necessario avere un sito Internet per pubblicare un periodico e che anzi, il mezzo avrebbe comportato un'adesione al mondo capitalistico e alle sue merci (come se non usassero essi stessi telefono, televisione, automobile e tutto quanto il paradiso capitalistico mette a disposizione). Su un giornale di partito comparve persino l'annuncio della pubblicazione di un sito Internet con una specie di giustificazione: "Non è che da ciò ci aspettiamo chissà cosa… ecc.".

Ora, è bene chiarire subito che noi non abbiamo nessuna infatuazione per Internet. L'adoperiamo per quello che offre e se offre qualcosa di utile per il nostro lavoro, lo diciamo, tutto lì. Ma, come in ogni manifestazione dello sviluppo della forza produttiva sociale, vi vediamo anche − addirittura − uno degli elementi della dinamica che ci conduce verso la società futura. Esagerati? Anche Marx trattò questo sviluppo come fondamento della metamorfosi sociale e troviamo buffo che non si avverta la differenza fra il semplice telaio meccanico dell'800 (che già mandava in visibilio Marx), un robot di produzione (ma certe gente sa che cos'è un sistema produttivo robotizzato?) e una rete telematica. Mai letto Il Capitale, là dove c'è un intero e lungo capitolo sul sistema di fabbrica come "automa globale"?

Fortunatamente, passato qualche anno, nessuno più ci rompe le scatole con le sciocchezze di cui sopra, anche i più refrattari ormai adoperano Internet come adoperano il telefono ed evitano di sparare teorizzazioni a vanvera. Detto questo, adesso però tocca a noi avanzare una critica a chi vede in Internet qualcosa che non c'è: addirittura un superamento della proprietà privata capitalistica.

È vero che vi sono degli aspetti interessanti, ma la proprietà è un fatto sociale di classe e non produttivo, Internet non c'entra. Il fatto che circolino programmi open source o addirittura free (codice sorgente libero con elaborazioni commerciabili e codice totalmente libero), non tocca la proprietà privata, specie dei mezzi di produzione. Il fatto che nel mondo vengano scambiati milioni di copie di dischi, film, libri, ecc. è un fenomeno simpatico, fa andare in bestia i produttori di quelle merci, ma il capitalismo in quanto tale non fa una piega.

La nostra attenzione verso il fenomeno Internet è di ben altro tipo. Nel 2005 il totale delle pagine presenti sulla Rete ha superato il totale di 600 miliardi. Da notare che per "pagina" si intende ogni "indirizzo", il quale può essere costituito da poche parole, un libro intero o più schermate di immagini. Bene, dirà qualcuno, è un numero elevato, e allora? Non ci interessa il numero, evidentemente. Ci interessa il fatto che in soli dieci anni l'umanità ha lavorato per registrare sé stessa, accumulando una tale quantità d'informazione da trasformare l'intero sistema in un fenomeno qualitativo. E ha lavorato per lo più gratis, mettendo a disposizione di un miliardo di suoi membri, sempre gratis, una conoscenza spontanea che nessun piano decennale di produzione avrebbe mai potuto realizzare. Ora, la proprietà sarà eliminata a cannonate, ma questi fenomeni saranno patrimonio anche della società futura, sfrondati dalla spazzatura capitalistica che memorizzano. E comunque, com'è riduttivo pensare ai nuovi fenomeni tecnici in termini di proprietà, così lo è anche pensare ad essi come semplice memoria, biblioteca, enciclopedia, comunicazione, divertimento, studio o mercato.

Alcune "piccole" osservazioni: 1) nessuno aveva previsto l'esplodere di questo fenomeno, almeno non in questi termini di massa; 2) non è mai esistito su tutto il pianeta un capitale anticipato sufficiente a finanziare un piano teso a risultati come questi; 3) adesso che la Rete c'è, si dimostra poco adatta allo scambio di merci al consumo, mentre assorbe la quasi totalità degli scambi fra aziende, cioè degli ordini di produzione, cioè dello scambio detto B2B (business to business), specie quello che Marx chiama "produzione di mezzi di produzione".

È chiaro che nessuno poteva prevedere il fenomeno perché ogni previsione in questa società è legata ai costi; quindi eliminiamo, per quel che riguarda chi come noi ha l'occhio puntato verso la società futura, i primi due punti. Rimane il terzo: supporto ai diversi piani di produzione delle fabbriche. E siccome la quasi totalità delle transazioni passa attraverso pochi hub, cioè centri di smistamento delle richieste, dalle materie prime ai semilavorati e ai mezzi di produzione finiti, ci vorrà un semplice decreto per togliersi dai piedi l'aspetto capitalistico e avere un mezzo formidabile per il piano di produzione della società futura.

La natura di Internet, la sua struttura e il suo significato profondo sono immensamente più importanti dello scambio, già importante, di CD fra ragazzini che fottono le case discografiche o della produzione gratuita di programmi free source che dispiace tanto a Bill Gates. E questo vale per tutte le meraviglie che di solito si elencano quando si parla di Internet, dalla lettura dei giornali on line alle previsioni meteorologiche in tempo reale, dal supermercato dei libri alle operazioni in borsa non stop, dai blog personali all'Enciclopedia Britannica (ma adesso c'è Wikipedia, gratuita, con un milione di voci invece di 75.000, gran parte delle quali più complete, con una quantità e qualità di rimandi ipertestuali che sulla carta non sarebbero neppure immaginabili).

La rivista Wired ha scritto che solo il 40% del contenuto di Internet è di carattere commerciale (compresa la quasi totalità degli scambi fra aziende!). C'è da chiedersi che cosa sia il restante 60% di questo nostro cervello sociale che ha già un numero di "pagine" venti volte superiore al numero di neuroni esistenti nella nostra corteccia cerebrale. "L'evento principale è un impulso collettivo alla partecipazione che ha comportato un rovesciamento importante nella sfera sociale, entro la quale si è incominciato a cooperare invece che concorrere, come la mente di un alveare". Che cosa potrebbe diventare Internet una volta che fosse eliminata una società che non la può utilizzare se non per un infinitesimo delle sue potenzialità?

Rivista n. 19