Elezioni non proprio normali

"Il nostro metodo considera ogni moto 'a destra' della borghesia, nel senso di buttare la maschera, come una previsione verificata, una 'vittoria teorica' (Marx, Engels) e quindi un'utile occasione rivoluzionaria. Di contro sta il metodo opposto per cui ad ognuna di quelle svolte si smobilita il fronte di classe e si corre al salvataggio, come pregiudiziale tesoro, di quanto la borghesia ha smantellato e schifato: democrazia, libertà, costituzione, parlamento" (Amadeo Bordiga, 1953).

Siete fuori dal mondo!

Ci piace Dante che colloca gli ignavi nell'anti-inferno, neppure degni di essere giudicati. Quindi abbiamo sempre avuto rispetto per coloro che credono in qualcosa e soprattutto che per l'affermazione o realizzazione di questo qualcosa militano e lottano, fossero pure avversari. Ma quando li vediamo omologarsi alla massa che ogni cinque anni va a deporre una scheda credendo con questo di contribuire al "cambiamento" ci cadono le braccia. La nostra avversione per la mistica elettorale non discende da questioni di principio: se nell'ottica del processo rivoluzionario votare servisse a qualcosa voteremmo. Ma è da un secolo e mezzo che il meccanismo democratico non produce che nefasta ideologia controrivoluzionaria. Perciò non solo va ignorato ma va strenuamente combattuto. La democrazia schedaiola è la madre di tutte le ignavie politiche.

Specialmente in occasione di queste ultime elezioni abbiamo ricevuto via Internet molta corrispondenza sull'argomento. In alcune e-mail si arriva ad affermare che noi astensionisti avremmo regalato il governo a Berlusconi. Ci dicono che siamo fuori dal mondo come se fosse un insulto. Ma noi da questo mondo vogliamo tenerci fuori, non ci teniamo affatto che sopravviva. Con il nostro aiuto per giunta. Per ogni rivoluzionario comunista è un delitto accorrere in soccorso dello Stato borghese. Crepi lo Stato. Diceva Lenin che la democrazia è il miglior involucro per il dominio borghese. Crepi la democrazia. Ci dicono che Lenin fu in polemica con la nostra corrente sulla questione del parlamentarismo: no, era in polemica con chi ne faceva una questione di principio; per parte sua dissolse con battaglioni di operai armati l'Assemblea Costituente che stava per dare inizio all'eterna chiacchiera. Negli scritti della Sinistra Comunista "italiana", specie dal 1919 in poi, si sostiene chiaramente che quando il proletariato rivoluzionario si costituisse in partito, non sarebbe già più classe di questa società, non avrebbe nulla a che fare con i suoi mistificanti organi rappresentativi in via del tutto naturale. La partecipazione a tali organi provocherebbe un indebolimento della sua preparazione rivoluzionaria. Quando, invece della classe che si eleva al Partito, si ha la classe che si abbassa al Capitale, gli effetti del parlamentarismo sono ancor peggio.

Ad ogni modo la depressione degli sconfitti durerà poco. Siccome offrono un servizio utile alla borghesia, risorgeranno, magari come corrente all'interno del PD, nuovo partito-minestrone. Al di là delle autocritiche e delle reciproche accuse, dei calcoli e delle inutili strategie per il futuro, le elezioni di aprile non hanno cambiato proprio niente dal punto di vista del funzionamento delle istituzioni borghesi. Quando mai le decisioni della borghesia vengono prese per via parlamentare? Basta che qualche indicatore dell'economia globalizzata oscilli di mezzo punto e non c'è governo di qualsivoglia paese che non si allinei agli ordini del Capitale.

Nel piccolo dell'italietta qualche bell'allineamento c'è già stato. Non erano ancora finiti i conteggi delle schede che Montezemolo e Marcegaglia, capo uscente e capo entrante di Confindustria, dettavano già, a un governo che non c'era ancora, la scaletta delle misure politiche ed economiche da varare. I mercati lo esigono. Eppure la grande borghesia aveva appena sostenuto sui suoi giornali, sulle sue radio e televisioni, anche a livello internazionale, la frazione risultata perdente. Un momento: perdente?

In realtà il veltrusconismo ha vinto. Lasciamo perdere per un momento chi siederà sugli scranni della maggioranza a causa della legge elettorale. E anche i numeri che danno ai destri un vantaggio di 3 milioni e mezzo di voti. E trascuriamo anche gli 8,2 milioni di astenuti e il milione e mezzo di schede bianche o nulle, numeri non ancora significativi. Quello che ha vinto è un enorme centro, un amalgama dai contorni indefiniti, dai componenti assolutamente intercambiabili, cui si accoderanno le frange oggi escluse, se non vogliono rimanere escluse per sempre. Possiamo sembrare poco gentili. Addirittura insultanti. Ma come trattare gente così masochista da essere presa continuamente a pesci in faccia dai suoi capi per poi farsi venire il mal di fegato con noi che non votiamo? Sveglia! Sapete quanti voti avremmo portato al vostro mulino a chiacchiere? Suvvia, un po' di buon senso, prendetevela con chi vi rende cornuti e mazziati, smettete anche voi di servire lo Stato e i suoi funzionari.

Dinamica di piccola catastrofe

Comunque sia, da Cacciari a Cossiga, da Epifani a Fini, da Scalfari a Mentana, c'è stato un coro unanime nel considerare grave l'esclusione della sinistra dal parlamento. Il ritornello è stato per tutti quasi identico: ridotta allo stato extraparlamentare, la sinistra potrebbe ritornare alle fabbriche e alla piazza. Che cosa può fare la sinistra odierna nelle fabbriche lo si è visto da quanto fece la sinistra precedente, riuscita al massimo a formare sindacatini fotocopia che aumentano il disorientamento dei lavoratori senza risolvere alcun problema inerente al sindacalismo tricolore. La piazza, poi, è ormai quella che da Seattle a Genova ha reso evidentissimo un miscuglio inoffensivo di incazzatura nichilista e di riformismo, di new age e mistica ecologista, di sindacalismo corporativo e di parlamentarismo. E naturalmente di movimentismo gruppettaro codista, pronto a correre dietro a tutto ciò che la borghesia gli mette davanti per tenerlo occupato.

Questa sinistra non dà fastidio a nessuno, e oltre tutto anch'essa pende in massa verso il cretinismo parlamentare. Le si fa digerire di tutto, la si fa spostare dove si vuole. Dicevamo che abbiamo rispetto per il militante incazzato, ma perdìo, che si accorga almeno che per uno scranno governativo nel tempio della chiacchiera non c'è capetto dei suoi partiti che non rifarebbe quello che hanno fatto i D'Alema e i Prodi a capo di una coalizione di centro-sinistra: inchinarsi alle ragioni del Capitale, peggiorare le condizioni del proletariato e partecipare alle guerre imperialistiche.

La piazza ideologica non ha mai disturbato l'andamento del profitto. È bene che si semplifichi un po' la giungla del nemico, specie quando questi si veste di rosso. La catastrofe elettorale dei sinistri è la vittoria dei destri, intendendo con ciò non tanto la destra ufficiale quanto il baraccone veltroniano. Il resto non conta se non, appunto, solo in Parlamento. Ma è puro folklore. Berlusconi non è stato che il catalizzatore di una reazione chimica. E, come si sa, il catalizzatore è quell'elemento che permette il processo senza prendervi parte. La realizzazione vera è dunque l'eliminazione delle frange, l'avvio di un bipartitismo fra due schieramenti simili che ha bisogno soltanto di qualche ritocco alla legge elettorale. Pensate alle elezioni per il sindaco di Roma: fra Rutelli e Alemanno quello di sinistra è il fascista che ha perlomeno una parvenza di programma sociale, debolissima eco di quello mussoliniano.

L'eliminazione delle frange non si era verificata la volta scorsa, nonostante il meccanismo fosse lo stesso. Ciò è una bella dimostrazione del salto dialettico che interviene quando materialmente si accumulano le contraddizioni. La quantità si tramuta in qualità e la continuità si muta in rottura. Ancora niente in confronto a ciò di cui il mondo avrebbe bisogno, ma intanto si è semplificato il panorama: non c'è più spazio per mantenere in vita forze politiche ormai inutili dopo che hanno svolto il lavoro sporco, quello di intossicare il proletariato etichettando come rivoluzionarie tutte le categorie borghesi. Un mero assestamento interno alle forze borghesi, dunque, ma significativo a causa della sua dinamica di tipo "catastrofico".

Se da una parte queste elezioni non hanno fatto che confermare l'immane coglionamento del "popolo", dall'altra sono state istruttuve per alcune novità. La scomparsa della sinistra parlamentare cosiddetta radicale è certamente avvenuta in modo indolore nell'indifferenza totale delle "masse". Le quali, ignave per conto loro, si sono mostrate vendicative nei confronti dell'ignavia dei loro aspiranti capi. Ma non ha tutti i torti chi paragona l'evento a un piccolo "crollo del muro". La dinamica è la stessa, anche se ovviamente cambia la scala. C'è quindi un motivo supplementare per rallegrarci: ci sono voluti un paio di decenni per metabolizzare il crollo del Muro di Berlino e conseguente sfascio dell'immane baluardo controrivoluzionario sovietico, ma oggi s'è messa una pietra sopra anche ai suoi poco imponenti ma subdoli residui. La piccola borghesia continuerà ad avere il compito di produrre ideologia conservatrice per il proletariato, ma dovrà utilizzare altri schemi, altri simboli, altri percorsi.

Lo Stato sempre più invasivo

Di fatto è scomparso in Italia il ruolo che per più di sessant'anni era stato svolto dal partito togliattiano e dai rimasugli lasciati dalla sua scomparsa. Nessuna rottura rivoluzionaria è possibile finché esistono le condizioni favorevoli all'adozione, da parte del proletariato, delle istanze borghesi avversarie, e certo la semplificazione del panorama politico potrebbe aiutare anche la polarizzazione di classe. Da questo punto di vista lavora per noi meglio Berlusconi che Veltroni. Non è un caso che un elemento come Cossiga, ben addentro agli affari segreti della borghesia, si dica molto preoccupato per la scomparsa dei sinistri dal parlamento, facendosi portavoce di un arco politico trasversale che copre tutti i partiti. Con la scomparsa della sinistra "radicale" verrebbe a mancare uno dei cuscinetti fondamentali per mediare il conflitto, sempre presente, tra capitale e lavoro. Secondo Cossiga, la semplificazione del quadro parlamentare ha degli aspetti paradossali perché complica il quadro sociale, soprattutto in previsione del peggioramento sul fronte della crisi economica, che un numero crescente di economisti ritiene non più solo congiunturale ma sistemica.

Di fronte ad una situazione mondiale di estrema tensione dovuta non solo alla crisi finanziaria ma anche allo sbriciolamento dell'euforia liberista post-keynesiana e alle sempre più estese rivolte del pane, quella compagine riformista non aveva più alcuna possibilità di leggere gli eventi e quindi nemmeno di comportarsi di conseguenza, cioè di adeguarsi ai tempi con il suo proverbiale atteggiamento codista. È curioso che proprio nella fase storica nella quale il comunismo si afferma come esigenza reale, quando il cervello sociale esplode nella sua massima potenza e il lavoro associato fa il giro del mondo prefigurando chiaramente una nuova forma economica e sociale, scompaiano ingloriosamente gli ultimi epigoni del vecchio opportunismo (beh, c'è ancora la Corea del Nord, il Nepal…).

D'altronde il proletariato e le mezze classi rovinate, immiserite e preoccupate dalla crisi non più strisciante ma manifesta, non hanno tempo da perdere con l'eclettismo rifondarolo o con il buonismo radical-chic veltroniano. Non c'è da stupirsi che facciano molto più presa elettorale questioni concrete come la sicurezza, le tasse, gli immigrati, affrontate con un lessico ultra-semplificato, studiato apposta per il telerincoglionimento e quindi efficace. Né c'è da stupirsi di conseguenza, che abbia un successo specifico un partito come la Lega, l'unico che sia ancora formato da una base reale, che sia esente da ideologia e quindi, in fondo, l'unico partito vero sulla scena (Mussolini, che non era scemo, rifiutò sempre, di fronte a tutti gli aspiranti ideologi del fascismo, di dare al fascismo stesso un'ideologia).

Conservazione e rivoluzione sono due poli opposti, ma ciò non toglie che abbiano bisogno entrambi di strumenti adeguati. Il comunismo vincerà perché non è un movimento ideologico ma materiale, un cambiamento che avviene nella struttura della società umana e che farà esplodere i suoi necessari (determinati) strumenti politici. La realtà sta lavorando per la loro formazione e sviluppo, perché se da una parte semplifica gli esecutivi politici potenziandoli (lo Stato diventa sempre più invasivo), dall'altra restringe gli spazi di mediazione sociale ed elimina le fronde che rappresentano false alternative al sistema, ormai non solo inutili ma ingombranti.

Il nuovo parlamento dovrà risolvere un problema che è sul tappeto da anni: dato che in ultima istanza qualunque esecutivo dovrà agire sulla forza-lavoro e sulla possibilità di cavarne maggiore plusvalore, occorrerà liberarla completamente da ogni vincolo, estendere la mobilità dei lavoratori, legare il salario minimo alle esigenze dell'economia, controllare la sua tendenza a crescere. Insomma, c'è bisogno di rilanciare un nuovo e più forte "patto fra i produttori". La sovrastruttura politica che serve a tutto ciò è una democrazia sempre più blindata, con un esecutivo forte e "snello", cioè non troppo intralciato da chiacchiere parlamentari e disfunzioni varie. Non a caso si sta producendo ideologia apposita (come quella sui costi sociali della "Casta") veicolata da efficaci manipolatori mediatici.

Che cosa può rivelare una semplice elezione

La discussione sul parlamentarismo fra la Sinistra Comunista "italiana" e l'Internazionale, con gli interventi diretti di Lenin, era basata sul presupposto che nei parlamenti occidentali vi fosse ancora la possibilità del loro utilizzo rivoluzionario, se non altro come "tribuna" da cui lanciare la nostra critica alla società borghese. I compagni russi ponevano il problema con qualche ingenuità, ma gli squali democratici di quasi tutti i partiti "comunisti" occidentali sapevano benissimo che nei parlamenti ci andavano a fornicare con la borghesia, altro che "tribuna". Non eravamo d'accordo con l'IC ma, non trattandosi di una questione di principio, ci adeguammo per disciplina e partecipammo alle elezioni con le cautele che ci permettessero di non essere trascinati nel cretinismo parlamentare. In seguito denunciammo apertamente l'uso del metodo elettoralistico e parlamentare in una Internazionale che si allontanava sempre più dai suoi presupposti programmatici per adeguarsi alla forma sociale borghese.

L'immane paradosso fu che, mentre l'Internazionale e i partiti aderenti si parlamentarizzavano sempre di più, la borghesia si parlamentarizzava sempre di meno, giungendo alla fine a varie forme di fascismo. Contro questa moderna forma di dominazione borghese l'Internazionale parlamentarizzata non seppe far altro che accorrere in difesa del parlamento con una marcia indietro generale dagli effetti catastrofici: la classe si sentì chiamata, in pochissimi anni, prima all'abbattimento dello Stato borghese, poi alla sua difesa parlamentare, poi addirittura al combattimento a favore dei paesi imperialisti democratici o ritenuti comunisti in una guerra imperialista.

Alla fine della guerra le necessità economiche imperanti e l'autonomizzarsi del capitale sempre più spersonalizzato, imposero l'adozione dell'essenza politica ed economica dei fascismi sconfitti militarmente. Per cui il parlamento diventò un organismo ancora più inutile di quello che combattemmo fin dall'inizio del '900, più mistificante per la sua presunta importanza partecipativa. In realtà una semplice camera notarile in cui vengono registrate formalmente le esigenze operative di decisioni prese altrove. Naturalmente con la fine della funzione legislativa reale, emerse dal profondo della società una nuova e più potente necessità di conservazione della forma sociale dominante, per cui prese il sopravvento lo strumento esecutivo di governo e di controllo.

Berlusconi, o chi stava dietro di lui, percepì con tempismo questa opportunità, non ha importanza se a fini personali o altro. L'unione degli strumenti mediatici con la mentalità dell'imprenditore che rozzamente mette in condizione di non nuocere chi disturba la linea di comando aveva spazio elettorale effettivo, nascente da effettive esigenze economiche e produttive. Era difficile prevedere Berlusconi, ma intitolammo una nostra pubblicazione del 1992 Il 18 brumaio del partito che non c'è. Poco dopo il partito ci fu, anche se non fu esattamente quello di cui il Capitale aveva bisogno (allora l'accoppiata Segni-Prodi sarebbe stata tecnicamente più consona, ma la borghesia se la lasciò sfuggire). In effetti era già allora necessaria una struttura che fosse strumento efficiente di controllo economico, potenzialmente in grado di passare alla repressione sociale quando necessario. Che rendesse possibile una gestione unitaria del fatto economico e "plastica" l'aderenza delle forme alla sostanza. Che liberasse anche la forza-lavoro dai vincoli sindacali e politici, non ancora del tutto aderenti ad un moderno corporativismo demo-fascista. Sia la forma esecutiva dello Stato che l'assetto giuridico-formale dello sfruttamento dovevano essere adeguati alla realtà globalizzata dei mercati, vale a dire impostati direttamente sulle esigenze produttive e non attraverso la mediazione dell'ambiente parlamentare, non solo impotente per sua costituzione, ma anche abissalmente ignorante di fronte a problemi di così vasta portata.

La borghesia italiota, pasticciona in quanto rappresentante di un capitalismo millenario, più putrefatto di quello tedesco o cinese proprio perché così vecchio, non fu in grado di cogliere l'occasione essendosi la società fossilizzata intorno alla girandola parlamentare. Esperimenti economici e sociali furono tentati (ad esempio il protocollo del 1992-93), ma come di consueto ciò che nell'italietta si inventa, altrove si applica, con più serietà e razionalità, quindi con più successo.

Oggi il problema si ripresenta, come ribatte da anni The Economist nella sua testarda campagna contro l'illiberista e rozzo Berlusconi. Vi è certamente la necessità di uno sfrondamento di quegli orpelli che dissipano le già poche energie residue del capitalismo italico. Ciò significa che anche i rappresentati del Capitale globalizzato si rendono conto che bisogna fare sul serio, e il caso Italia è attentamente seguito anche se l'immagine stereotipa è sempre mafia-spaghetti. Per noi è chiaro che si va verso un chiarimento dello scontro fra classi. E ciò ha il suo risvolto in un enorme aumento di responsabilità per tutte le forze che si oppongono, o dicono di opporsi, alla forma sociale vigente. Non vale ormai, e varrà sempre meno, la spiegazione basata sulla "situazione sfavorevole" dovuta, oltre che alle determinazioni di tipo generale, anche alla presenza dei "rinnegati opportunisti traditori". Una elezione non provoca un cambiamento storico, è ovvio, ma se ciò che è stato sancito in aprile diverrà un fatto permanente, il risultato non sarà semplicemente un allineamento ad altri grandi paesi democratici alle prese con un bipartitismo più o meno perfetto. Qui il bipartitismo l'abbiamo già avuto al tempo della destra storica e della sinistra di Depretis, quando quest'ultima rinvigorì il parlamentarismo proprio per confondersi con la prima (dal 1876). Di fronte agli inventori del trasformismo Veltroni è un dilettante. E neppure è pensabile una coalizione alla tedesca. Qui, se la serie storica continua, il bipartitismo significherà altro. E se il fascismo non è un ritorno al bonapartismo, come credette qualche sciocco, ma un fenomeno modernissimo, allora qui dovremmo vedere qualcosa di interessante.

Non azzardiamo ipotesi, ma vediamo che i maggiori rappresentanti della destra sono portati a fare strani discorsi. Il commercialista liberista Tremonti sta sussurrando tesi di utilizzo pesante dello Stato per drizzare l'economia e per opporsi nientemeno che alla globalizzazione; Alemanno assume toni sociali da Programma di Sansepolcro, base della "rivoluzione fascista"; Berlusconi proclama che vuol passare alla storia come l'uomo che cambierà radicalmente le istituzioni; Bossi giura che federalizzerà la Penisola semplificando lo Stato padrone; la Confindustria chiede aumenti salariali in cambio di aumenti di produttività e di gestibilità infrastrutturale (avete letto bene, prima gli aumenti di salario per stimolare i consumi). Il tutto mentre sta scomparendo la mediazione corporativa con i sindacati tricolore e persino l'assetto classico del proletariato di fabbrica, che aumenta di numero ma si precarizza, e sarà perciò costretto a darsi nuove reti organizzative di tipo territoriale scavalcando la Triplice.

Se aggiungiamo che a livello mondiale stanno accumulandosi tensioni tremende in diversi campi, vediamo che ce n'è abbastanza per mettere alla prova le giovani leve proletarie che saranno costrette a riscoprire forme di lotta classista o addirittura a inventarne. Ce n'è anche abbastanza per cancellare spietatamente dalla scena tutti coloro che, nella feroce giungla darwiniana prossima ventura, non si dimostreranno adatti all'ambiente. Forse siamo troppo ottimisti (comunque non fa male alla salute), ma si sente nell'aria che è finito un periodo storico durante il quale si erano sviluppati fino alle estreme conseguenze (compreso l'operaismo 1960-1968-1980) i caratteri della controrivoluzione stalinista. Sulle spalle della gioventù proletaria pesano un compito e una responsabilità enormi, specie per quanto riguarda l'eterno problema della bussola, cioè del programma politico. Se prima abbiamo usato qualche cautela a proposito della prospettiva rivoluzionaria futura, abbiamo però una certezza: l'umanità non ha ancora visto niente con la rivoluzione del 1917-23, pur così densa di scontri titanici e insegnamenti per il futuro. Il crollo rivoluzionario del capitalismo sarà un cataclisma quale l'umanità non ha mai conosciuto nella sua storia.

Qualcuno potrà pensare che da un infimo episodio elettorale si traggano da parte nostra esagerazioni indebite. Può darsi. Ricordiamo però che anche prima del crollo epocale del Muro di Berlino e dell'URSS nessuno immaginava quel che sarebbe così repentinamente avvenuto a causa della concatenazione di insignificanti episodi. Le condizioni materiali c'erano, solo che nessuno le vedeva. Questo perché in generale c'è un divario crescente fra la realtà e la sua rappresentazione nella testa degli uomini, mentre chi si abitua a non ascoltare le sirene del simbolico guarda ai numeri e alle tabelle della produzione, dello sfruttamento, del movimento di materie prime, della formazione e ripartizione del plusvalore. Se fossimo dei capitalisti saremmo assai preoccupati. Siamo dei rivoluzionari e siamo ottimisti. Anche l'infimo episodio elettorale può essere il foruncolo dovuto a una malattia profonda che si manifesta improvvisamente.

Letture consigliate

(tutti i testi segnalati si trovano sul nostro sito: www.quinterna.org)

  • O preparazione rivoluzionaria o preparazione elettorale, Quaderno di n+1, 1919-53.
  • Amadeo Bordiga, "Nostalgie astensioniste", in Lo Stato operaio n. 5 del 1924.
  • Partito Comunista Internazionale, Il cadavere ancora cammina, opuscolo, 1953.
  • Il 18 brumaio del partito che non c'è, Quaderno di n+1, 1992.
  • La questione italiana, Quaderno di n+1, 1995.
  • Padania e dintorni, Quaderno di n+1, 1998.

Rivista n. 23