Fenomenologia del leader movimentista

Pubblicando la rivista, il sito internet e la newsletter riceviamo un'overdose quotidiana di materiale altrui. Ed è terribile constatare come, nonostante le schiaccianti prove storiche, si possa essere così facilmente catturati dal luogocomunismo. Il testo che segue non vuole essere altro che una piccola provocazione, una pulce nell'orecchio per i militanti del "movimento". Era stato scritto per divertimento nel marzo del 2001, con in mente "Fenomenologia di Mike Bongiorno" di Umberto Eco (1961), in occasione di una delle tante spaccature in cui i comunisti eccellono in tempi di controrivoluzione. Mai pubblicato, lo rispolveriamo adesso in versione ridotta perché constatiamo che la crisi sta producendo, insieme a fenomeni interessanti, un rigurgito di vecchi atteggiamenti gruppettari.

 

Che si agiti in continuazione o a soprassalti decennali, il leader movimentista in fondo fa vita comoda: non ha requisiti programmatici sufficienti per immaginare qualcosa di diverso da quello che è lo "stato di cose presente". E vi si immerge. Appunto per comodità, lascia che i suoi ideali siano di fatto una mera fraseologia, per cui ogni tensione si risolve in una proiezione donchisciottesca e non in un programma operativo. Se ad esempio una manifestazione dura dalle 10 alle 12, dopo c'è il nulla, fino a quella successiva. È un rivoluzionario che trascina le "masse" a intermittenza; fra un "evento" e l'altro rimane disoccupato.

Lo "stato di cose presente" gli chiede di avere famiglia, lavoro, macchina, frigorifero, televisore, cellulare (al posto della famiglia un partitino, un gruppuscolo o un centro sociale sono buoni surrogati). Gli chiede soprattutto di diffondere luoghi comuni sul comunismo e la rivoluzione. In fondo gli chiede soprattutto di essere anticomunista, e non c'è niente di meglio che esserlo fingendo di essere comunista. E lui si adegua. Il risultato è perfetto: chi lo incrocia nella vita quotidiana pensa fatalmente: "Se i comunisti sono quella roba lì, io non sarò mai comunista". Funziona a meraviglia. Così sono fregati anche i pochi comunisti veri.

La sua propaganda, per aver successo, si basa su fondamenti elementari: l'ideale in cui immedesimarsi non dev'essere troppo complicato e diverso dal tran tran quotidiano. I principii devono uniformarsi a quelli dell'everyman televisivo, l’uomo assolutamente medio. Perciò prima di tutto la DEMOCRAZIA, nell'arco che va dal "compagni, apriamo un dibattito" al più becero elettoralismo. Poi la RESISTENZA, non importa se evoca qualcuno che ha aiutato gli americani a dominare il mondo. Poi l'ANTIAMERICANISMO, perché "contrordine compagni", Stalin così aveva prescritto dopo l'amichevole spartizione del mondo a Yalta. Un po' di INTERNAZIONALISMO, purché mitigato da una dose di moralismo NO-GLOBAL. E naturalmente l'ECOLOGIA, che purtroppo fa rima con ideologia e non con scienza.

I suoi idoli sono Marx, Lenin e qualche altro nome che si presti a far da radice alla desinenza "-ismo". Idoli sì, ma ridotti ad icone inoffensive, uomoqualunquizzati dal Nostro a propria immagine e somiglianza, al punto da assimilarli a un qualsiasi intellettuale d'oggi, eterno rappresentante della media sociale.

Ora, nel campo dei fenomeni quantitativi, la media è appunto un termine di mezzo, e per chi non vi si è ancora uniformato, essa è un traguardo ambìto. Per questo il movimentista fa di tutto per stare a quel livello. Ha letto il Che fare? di Lenin, ma non potendo elevare le masse al livello del marxismo abbassa quest'ultimo a livello delle masse. Avendo in tasca il classico biglietto prenotato "per lo spettacolo della rivoluzione", non si preoccupa di dare un contributo alla realizzazione delle premesse programmatiche e organizzative necessarie alla stessa.

Invece, nel campo dei fenomeni qualitativi, il livellamento alla media corrisponde al livellamento a zero (zero differenza, zero informazione, zero comunicazione, zero dinamica, come nei vasi comunicanti). Mentre però la "medietà" aristotelica è equilibrio nell'esercizio delle proprie passioni, retto dalla virtù discernitrice della "prudenza", il coltivare passioni in grado medio e avere una media prudenza rispetto al futuro significa semplicemente essere un campione di umanità disumanizzata, un perfetto prodotto di un capitalismo estremo che tutto aliena.

Perciò il leader movimentista è uno dei casi più appariscenti di riduzione dell'uomo a mediocrità massificata. La storia della sua fortuna è ben rappresentata dall'interminabile perpetuarsi di cloni tutti uguali. Egli deve il suo successo storico ("proudhonismo risorgente e tenace"!) al fatto che ogni suo atto e ogni sua parola sono scelti per piacere all'ambiente che sceglie e che contribuisce a perpetuare. Un formidabile esempio di feedback negativo, come il termostato, che fissa un modo di vita dal fascino immediato e spontaneo, facilissimo da adottare.

Una situazione del genere è gratificante perché tutti capiscono tutti. Il codificato linguaggio anticomunista – pardon, luogocomunista – permette a chiunque di ripetere infinite volte quello che altri hanno detto, rendendo superflua, per principio, qualsiasi costruzione teorica. Con un paio di semplici artifici nel linguaggio e nel comportamento ci si diploma come niente a Gran Maestri Sputasentenze o a Professori Qualificati a Parlare. Basta copiare dalla scuola, fucina di leaderini movimentisti: i professori-massa si vendono per quello che sono, e sono talmente ligi all'esistente da far sì che gli allievi rimangano ben attaccati a questo mondo senza mettersi in testa che potrebbe essere diverso. Nel '68 teorizzavano che la scuola serve a perpetuare il pensiero borghese. Adesso dalla teoria sono passati alla prassi.

Il leader movimentista non è particolarmente edotto sulle teorie che dice di far proprie. Non è sufficientemente perspicace, coraggioso, raziocinante per rovesciare il mondo, come dice di voler fare, altrimenti avrebbe il coraggio di capire che cosa può fare. Rappresenta, biologicamente parlando, un grado modesto di adattamento all'ambiente. Vorrebbe essere amato universalmente, ma è capito solo dai suoi simili, in un rapporto continuo di amore-odio. Ragion per cui nel milieu movimentista regna la guerra di tutti contro tutti. Il movimentista non si vergogna di essere quel che Marx chiamava "comunista rozzo" e non prova nemmeno a saperne di più sull'argomento. Pur essendo entrato in contatto di striscio con le più vertiginose zone della teoria della conoscenza, ne esce vergine e intatto, propagando, nel suo ambiente, le naturali tendenze all’apatia e alla pigrizia mentale. Pone gran cura nel non impressionare l'avversario di classe, mostrandosi decisamente intenzionato a non apprendere nulla di più di quanto già passi il convento. Tuona con veemenza contro l'attendismo e non si accorge che da un secolo e mezzo il suo attivismo non lo porta da nessuna parte. Non è neppure capace di imparare dall'esperienza, come fanno per istinto innato persino gli animali appena appena evoluti.

In compenso dimostra sincera e primitiva ammirazione per "coloro che (ufficialmente) sanno". Impara nozioni da chi detiene l'ideologia dominante, e infilza citazioni come quaglie allo spiedo. Della conoscenza ha un criterio meramente quantitativo e "sfoglia i libri come il gangster sfoglia le mazzette del malloppo". Ricalca prestissimo le orme degli intellettuali. Infatti normalmente "parla senza essere mai stato capace di ascoltare e scrive senza essere mai stato capace di leggere" (virgolettiamo da un nostro vecchio compagno che aveva litigato con Lenin, Trotsky e Stalin proprio sulla trasformazione del comunismo in luogocomunismo).

Il leader movimentista è presuntuoso, ma gli hanno insegnato a scuola la deferenza per il professore e l'esperto, specie se sono famosi. Essi rappresentano la cultura autorizzata, altrimenti col cavolo sarebbero diventati esperti e famosi. Al di fuori del luogocomunismo gli si demanda, per competenza, ogni questione. Questa è meravigliosa assimilazione del dualismo culturale borghese: l'ingegnere è considerato ignorante se non legge Shakespeare, ma il letterato può fregarsene di sapere che cos'è la termodinamica. Negli anni '60 dei buontemponi ci avevano insultati su un giornaletto perché, negando particolare valore scientifico e di conoscenza alla "conquista dello spazio", osavamo fare le pulci agli scienziati di Cape Canaveral e di Baikonur: ma per favore, insomma, autodidatti e dilettanti tenetevi al vostro posto, come osate mettere il becco nelle cose degli esperti.

Il leader movimentista è per forza gruppettaro. Con i suoi sodàli accetta tali e quali tutti i miti della società in cui vive; qualche volta li accetta in versione rovesciata (bene, male, giusto, ingiusto ecc.), il che è lo stesso, ma fa tanto rivoluzionario. Ovviamente, oltre ai miti, accetta di questa società le convenzioni e le gerarchie. È deferente con le persone socialmente qualificate, incazzatissimo e triviale, addirittura sbirresco, con chi lo contraddice beccandolo (facilmente) in fallo perpetuo.

Il leader movimentista ci è fieramente nemico perché, dice, abbiamo una concezione solo teoretica della rivoluzione. In breve saremmo degli intellettuali. Dimentica che la nostra corrente fu anti-culturalista, proprio contro i suoi padri, i Turati, i Tasca e i Gramsci che blateravano di cultura socialista ed egemonia proletaria. Dimentica che mentre noi sparavamo ai fascisti i suoi antenati se la filavano con i borghesi liberali all'Aventino. E non è per mancanza di "cultura" che parla un basic italian di tre o quattrocento parole, infarcito con altri trenta o quaranta termini decorativi, per metà presi dal vocabolario dello stalinismo, per metà da quello degli studenti. Lo fa, sì, per comodità, ma soprattutto "per farsi capire" dai suoi. Perché pensa che siano sempre gli "altri" ad avere qualche problema di comprendonio.

In tal modo riesce praticamente ad annullare la dimensione sintassi con affermazioni perentorie, slegate sia dai fatti che dalla teoria. Evita persino i pronomi, ripetendo sempre per esteso il soggetto come nel linguaggio dei coatti o nei verbali dei carabinieri. In compenso si para il culo impiegando un numero stragrande di punti di riferimento "fondamentali" e di "principio". È l'essere con più principii al mondo e non ne rispetta neppure uno. Piuttosto di avventurarsi in costruzioni sue, preferisce citare. Non spiega cose che ha capito, utilizza solo le metafore standard del linguaggio codificato. È per questo che il suo sproloquio è rigorosamente referenziale rispetto all'esistente e non è necessario fare sforzi per capirlo.

Non accetta l'idea che a una domanda possa esservi più di una risposta o, meglio, una risposta complessa. Dice che vuol cambiare il mondo ma in realtà guarda con sospetto alle trasformazioni. Ha sentito dire "invarianza" o "continuità" e crede fermamente che ciò significhi "nulla cambia". Perciò ripete per decenni la stessa cosa senza capirla, come le beghine che recitano il rosario in latinorum. Per lui è un mistero come Newton abbia potuto dire che "la Luna se ne sta in Cielo proprio a causa del suo modo di cadere sulla Terra". Ma è in armonia con l'informatica perché di fronte ai dati reagisce come farebbe un computer: è fermamente convinto che n è uguale ad n e che tertium non datur. La sua invarianza è come quella di un file spedito da un computer a una stampante: puoi stamparlo mille volte, è sempre lo stesso. Perciò si incazza con quelli che sanno quali siano i limiti di un computer e vedono non tanto n=n, quanto n come promettente divenire verso n+1.

Il leader movimentista è in realtà un "fermista". In quanto tale si sente a disagio con la dinamica del divenire, che è dialettica, e quindi ricca di paradossi logici. Del paradosso gli sfugge proprio la natura e ci guarda scuotendo la testa se citiamo il libro Stabilità strutturale e morfogenesi di Thom per supportare la teoria della catastrofe rivoluzionaria. Per lui se una cosa è stabile non può generare nuove forme. Rifiuta di sospettare che dietro al paradosso si nasconda una verità, comunque non lo considera come veicolo autorizzato di conoscenza. Per lui siamo iperuranici e ce l'ha persino fatto sapere mettendolo nero su bianco.

Non manca di informarsi sulle stranezze dello scibile umano. Ricevuta la spiegazione non tenta di approfondire la questione, anzi, fa pesare il suo educato dissenso di benpensante: "Che cazzo c'entrano la cibernetica e la biologia con la vostra teoria del centralismo organico?". Naturalmente il centralismo organico è un fenomeno esistente in natura e non una "nostra" teoria, ma tant'è. Una volta ci è capitato di litigare con gente convinta che la teoria della comunicazione fosse un qualcosa che avesse a che fare con gli strizzacervelli o con le Poste. E che Internet o il Bancomat fossero semplici evoluzioni del telegrafo e dell'oro. Il movimentista è così: la curiosità per la conoscenza gli è del tutto… sconosciuta. Senza basi scientifiche un bel giorno, a capocchia, può saltargli in testa che il lavoro fatto in comune con altri è tutto sbagliato e allora, naturalmente, organizza ipso facto una scissione.

È un grande estimatore di clichés. L'operaio è proletario e l'impiegato è impiegato, anche se entrambi sono salariati produttivi allo stesso titolo. Il padrone è cattivo perché conduce sempre un "attacco alla classe operaia". Di economia sa solo dire "la crisi la paghino i padroni". Per lui lo sfruttamento non è una questione di plusvalore ma di morale, perciò anche i contadini sono "sfruttati". Chi spara è sempre rivoluzionario, meno gli americani, i gangsters e i mafiosi.

Si offre nientemeno che come capo della Rivoluzione e del Partito che la deve dirigere. Anzi, che la deve "fare", perché la rivoluzione e il partito per lui non sono processi storici che prevedono anticipazioni dinamiche della società futura, ma appunto cose che si fanno, mettendosi d'accordo con qualcuno contro qualcun altro. Per questo è frontista, aventiniano, democratico, partigianesco e quindi matematicamente fregato in partenza da chi lo adopera. Pur essendo moralista non ha mai afferrato la morale della favola delle mosche cocchiere.

Si capisce perché l'apparato di dominio borghese – non solo Berlusconi – abbia reclutato in massa un bel po' di leaderini movimentisti, non appena passato in loro il subbuglio endocrino giovanile. Del resto non è una novità: li abbiamo visti all'opera nel 1914 di fronte alla guerra, nel 1917 di fronte alla rivoluzione, nel 1936 in Spagna, nel 1939 ancora di fronte alla guerra. Hanno sempre tradito il proletariato, senza alcuna eccezione. C'è sempre stato qualcuno che al momento buono li ha facilmente convinti a difendere la parte democratica della borghesia contro quella fascista. Adesso li vediamo di nuovo impegnati in ambigue partigianerie virtuali, pronti di nuovo a vendersi. Il movimentista non è solo "fermista", è pericoloso.

Rivista n. 25