Rivolta e repressione in Iran

Avete scritto a proposito della situazione in Iran: "L'interpretazione politicantesca trionfa, le spinte materiali che fanno esplodere una rivolta urbana, moderna, sono ignorate". Non capisco la vostra posizione. Senza avere alcuna simpatia per il regime fascista di Ahmadinejad, si può forse negare che vi sia la mano americana dietro l'opposizione contro il governo, notevolmente ingigantita dai media occidentali, compreso Internet? E che lo scopo delle passate proteste sia quello di instaurare un governo fantoccio che assecondi gli interessi anglo-americani? Non capisco che senso abbia schierarsi a favore di una protesta che non ha alcuna caratterizzazione di classe. Non erano certo proletari quelli che manifestavano, ma fighetti piccolo-borghesi che possono permettersi di entrare in Facebook, ovvero il database della CIA.

 

Non abbiamo "preso una posizione" di fronte ai fatti iraniani e tantomeno ci siamo schierati. Abbiamo solo descritto ciò che succede e criticato la sciocca partigianeria, questa volta antiamericana, quella che abbiamo definito "politicantesca". Proviamo a fare un elenco di fatti.

1) Dopo la caduta dello scià, in Iran s'è instaurato un regime pretesco a sovrastruttura pre-feudale, anche se la struttura è rimasta capitalistica e s'è persino rammodernata, di qui una contraddizione stridente che assume nei giovani la forma fenomenica di "voglia di minigonne, whisky e musica occidentale".

2) La popolazione contadina e il bazar (microcommercio) appoggiano il regime mentre la popolazione urbana (non i "fighetti", diamine!) ha sempre mostrato insofferenza; Moussavi non ha fatto che rappresentarla dal punto di vista elettorale; il proletariato per ora non si pronuncia.

3) Ne è nato un cocktail esplosivo, i brogli non sono che una causa apparente; gli USA naturalmente appoggiano la parte a loro favorevole come hanno sempre fatto, anzi più fiaccamente del solito; le frazioni interne alla borghesia iraniana sfruttano la situazione per una resa dei conti.

4) Prese di posizione e schieramenti semmai non sono nostri: una reazione "sinistra" assai generalizzata è "tutto va bene purché contro gli americani"; molti si sono effettivamente schierati con il pretume "anti-imperialista, cosa che era già successa quando il regime khomeinista era stato considerato "rivoluzionario" (vergogna ieri e oggi!).

5) Pensare che in Iran un governo piuttosto che un altro possa scalfire in loco la potenza USA è come adottare la teoria staliniana dell'erosione del mercato capitalistico da parte di quello socialista, cioè una scempiaggine.

6) Un'altra scempiaggine è pensare che i proletari iraniani sarebbero più tartassati in un Iran americanizzato che in uno khomeinizzato; sarebbero forse più sfruttati mediante produzione di plusvalore relativo, ma questo non c'entra con l'oppressione soffocante, fisica, che caratterizza il regime.

7) Infine: che storia sarebbe quella del "governo fantoccio degli americani"? Stabiliamo forse differenza morale rispetto a un governo borghese di preti oscurantisti liberamente e democraticamente eletto? Forse che in Italia, Germania e Giappone, paesi ancora militarmente occupati, non vi sono governi fantoccio? Ne preferiremmo forse uno armato di sano nazionalismo neutralista?

La realtà è che le pulsioni politicantesche fanno precipitare facilmente in schieramenti assurdi. Bisogna dunque chiedersi, non solo a proposito dell'Iran, quale sarebbe l'esito favorevole alla condizione del proletariato e in prospettiva alla rivoluzione. Marx non avrebbe dubbi: la condizione storicamente più avanzata (Manifesto). Ci sono delle eccezioni: ad esempio Marx vedeva bene la guerra dell'arretrata Turchia contro la mediamente meno arretrata Russia perché quest'ultima era in grado di rallentare la marcia della rivoluzione in Europa. Ma nessuno potrebbe pensare un parallelo con l'Iran e gli Stati Uniti d'oggi: una guerra tra i due paesi è semplicemente impossibile. Questo è un altro degli spaventosi equivoci in cui cadono i sentimental-immediatisti, che credono ancora adesso che ci sia una guerra tra Iraq e Stati Uniti, mentre c'è stata un'invasione unilaterale incontrastata con dei blandi effetti collaterali sulle truppe americane.

Facciamo attenzione sia a schierarci con "resistenze" di qualunque tipo, sia a negare importanza alle rivolte generalizzate, qualunque colore esse abbiano. L'Iran non è l'Ukraina, e comunque è da vedere se è meglio per il proletariato ucraino, nel presente e in prospettiva, rimanere russizzato o americanizzarsi. Ad esempio: la Polonia americanizzata ha dimezzato i contadini e raddoppiato i salariati dell'industria e dei servizi. Questo per noi conta più di una guerra. Il trasporto emotivo rientra nelle condizioni materiali che fanno muovere masse di uomini nelle rivolte e nelle rivoluzioni, non va bene farsene sopraffare nelle analisi dei fatti.

Rivista n. 28