L'Italia nell'Europa feudale (9)
Il retroterra storico del capitalismo più antico del mondo

9. La rete e le direttrici evolutive dei suoi nodi

Nel grandioso reticolo di strade che fu la spina dorsale dell'Impero romano (con le terre da grano e le legioni), le città di Cattaneo erano i nodi fondamentali dell'intero sistema. Esse andavano rifornite con derrate, acqua, materie prime, schiavi. Mercanti, banchieri, legioni e flotta erano elementi che si sostenevano l'un l'altro. E avevano bisogno di una organizzazione logistica così vasta che poteva fornirla solo lo Stato. Se fosse venuta meno del tutto, il disastro sarebbe stato peggiore di quanto non fu. Da molti anni la rete che portava linfa al sistema era in declino, ma anche nei secoli cosiddetti oscuri, come testimoniano gli scavi archeologici e anche le imprese degli uomini, non tutto fu azzerato. In villaggi oggi mai sentiti nominare si incontrarono o scontrarono imperatori, re, papi, vescovi, eserciti, fuggiaschi, invasori, migranti e, non da ultimi, pellegrini e lavoratori erranti.

Se si segue qualche personaggio che abbia lasciato traccia in quell'epoca, si vedrà che ha passato quasi tutta la vita a spostarsi. Altro che immobilità medioevale. Molti nodi della rete romana funzionavano ancora al tempo della ripresa dopo il Mille, anche se magari non c'era più l'acqua corrente calda e fredda nelle stazioni di posta/albergo (mansiones), se le absidi dei tepidari erano diventate quelle di pievi paleocristiane, se le stazioni erano nel frattempo diventate fabbriche di ceramiche o fonderie di metalli o fornaci da mattoni. E comunque, nel XII secolo, i copisti riproducevano ancora la Tabula Peutingeriana (figura 8), una mappa antoco-romana su cui era rappresentato il mondo conosciuto, con la rete di strade, le stazioni di posta con nome e numero a partire da Roma e le distanze da una all'altra.

La dinamica della transizione dalla forma antico-classica a quella feudale è strutturalmente sempre la stessa, dato che le condizioni di partenza sono ovunque le stesse, tutte poggianti sul lascito romano. Come abbiamo visto, la differenza fra l'Italia e il resto dei regni barbarici non consistette tanto nel dato quantitativo, su quanto si era conservato e quanto era andato distrutto, ma nel dato qualitativo, su come si era sviluppato il rapporto città campagna, sia che dallo splendore antico fossero tramandate importanti funzioni, sia che invece fossero state abbandonate, come gli edifici, alla distruzione degli uomini e del tempo. La circolazione monetaria entro e fra i regni barbarici era sostenuta, ma non derivava tanto da un sistema produttivo o dagli scambi di merci quanto dalle razzie e dai bottini di guerra. Quando i Vandali furono sconfitti e cancellati dal Nordafrica, i Bizantini si impossessarono di un immenso tesoro, custodito a Cartagine. Per una buona parte esso era costituito dal bottino proveniente dal sacco vandalico di Roma avvenuto 80 anni prima (455), il quale a sua volta comprendeva parte del tesoro proveniente dal tempio di Gerusalemme saccheggiato dai Romani nel 70 d.C. (c'era anche la Menorah, il candelabro sacro a sette bracci raffigurato sull'Arco di Tito). Quando i Franchi entrarono in Pavia dopo la sconfitta definitiva dei Longobardi del Nord, trovarono un tesoro inusitato, che ovviamente portarono via con prigionieri e trofei. Era la prassi, ma il tesoro non rappresentava la ricchezza dinamica introdotta dal collasso del sistema romano, così come non la rappresentavano l'estensione pura e semplice della terra o il numero degli uomini che su di essa lavoravano. Per quanto sembri strano, né i Romani, né i barbari che ereditarono i brandelli dell'Impero conoscevano il concetto di rendimento. Solo l'usura dava una vaga idea dell'accrescimento percentuale in seguito a una qualche operazione, anche se il denaro che diventava più denaro per qualcuno doveva necessariamente diventare meno denaro per qualcun altro. Il mondo romano, quindi, produceva per l'autoconsumo, anche se a larghissima scala. Con tutti i suoi traffici, le guerre di conquista e di difesa volte ad assicurarsi i "granai del mondo" (prima la Sicilia, poi il Nordafrica, poi le pianure danubiane), era economicamente un sistema chiuso perché, avendo inglobato il mondo, tutto si svolgeva al suo interno.

Gli elementi del sistema disegnati dal sistema stesso

Sembra assurdo parlare di "sistema chiuso" in riferimento all'Impero romano, alla sua vastità, alla sua rete di traffici che presuppone una rete di produzione, di distribuzione e di consumo. Eppure lo schema di Volterra ci informa che ogni sistema, grande o piccolo, basato sull'astrazione predatori/prede, necessita di energia proveniente dall'esterno per funzionare. I lupi mangiano i conigli, ma questi hanno bisogno di erba per esistere. Bisogna per forza chiederci da dove essa arrivi. È chiaro che dal punto di vista termodinamico bisogna introdurre la biochimica, la sintesi clorofilliana, l'energia solare. Non si finisce più. Un sistema vasto come quello romano, giunto a confini insuperabili (e l'avevano ben compreso i Romani stessi arroccandosi) avrebbe bisogno per sopravvivere di raggiungere l'equilibrio oscillante delle curve di Volterra attingendo alle risorse ambientali. Che però non possono essere infinite.

Ma la ricchezza raggiunta, e soprattutto il modo con cui veniva creata, non permettevano più quell'omeostasi auto-indotta: era troppo grande e troppo poco controllabile. La biforcazione cui era giunto il sistema, e che abbiamo illustrato con l'esempio degli straricchi banchieri di Murecine, comportava l'alternativa secca fra due esiti: 1) la transizione al capitalismo, con la conversione del tesoro mercantile in capitale attraverso la generalizzazione del lavoro salariato e la conseguente scomparsa della schiavitù; 2) il raffreddamento del sistema, una nuova omeostasi, che possiamo individuare nella crescita enorme delle enclaves produttive e la loro cosiddetta chiusura feudale. E siccome non è affatto vero che alle biforcazioni gli esiti sono indeterminati (c0me sosteneva Prigogine, cfr. Pomian), ma sono materialmente determinati dalla storia che alla biforcazione conduce (Thom, cfr. ancora Pomian), gli elementi barbarici esterni al sistema furono decisivi per farlo saltare e liberare gli elementi dell'accumulazione originaria capitalistica. La veloce assimilazione del cristianesimo da parte dei barbari indica che la nuova religione rappresentò il cemento unificante che occorreva per tutto il processo.

Questo processo si manifestò dovunque, ma con maggiore chiarezza laddove la rivoluzione poté essere radicale nella rottura politica e, nello stesso tempo, basarsi su caratteri proto-capitalistici. Abbiamo visto che ciò fu facilitato dal tipo di rapporto instaurato dai Longobardi col mondo romano dopo l'invasione del 568. Vedremo adesso nell'ordine: 1) una straordinaria rappresentazione grafica del sistema romano eseguita dai Romani intorno al I secolo d.C.; 2) uno schema corrispondente elaborato al computer nel quale si evidenziano la rete, i suoi nodi e le sue connessioni; 3) una nostra modellizzazione dello schema computerizzato centrata sui suoi nodi produttivi e distributivi e sulle loro connessioni; 4) uno schema della trasformazione indotta nella rete, in epoca alto-medioevale, dalle invasioni barbariche e dalla scomparsa dell'Impero romano.

La già nominata Tabula peutingeriana o Codex vindobonensis (dal nome dell'antico proprietario o da quello latino di Vienna, dov'è custodita) è la copia risalente al XII secolo di una carta geografica romana (figura 8). L'originale fu disegnato nel I secolo e aggiornato nel IV. Si sa per certo che doveva avere un suo modello di riferimento in una copia incisa su marmo ed esposta al pubblico a Roma. Vi sono raffigurate 555 città e 3.500 punti di riferimento, come templi, fari, costruzioni notevoli, persino tabernae, il tutto collegato da 200.000 chilometri di strade. È un’ingegnosa schematizzazione, del tipo di quelle con i percorsi automobilistici del Touring Club, della Michelin o dei servizi mappali che si trovano su Internet. Nella mappa antica, esattamente come in quelle moderne, è rappresentato con alta astrazione il percorso su strada, un nastro sul quale si posizionano, senza alcun rispetto per le proporzioni, le informazioni che servono al viaggiatore; così come nei tracciati moderni si trovano caselli e svincoli autostradali, autogrill, distributori di benzina, alberghi, distanze e tempi di percorrenza. Trattandosi di una "carta" militare, riproduce fedelmente tutti i particolari inerenti alla gestione dello Stato, quindi strade, stazioni di posta, accampamenti, tutto ciò che riguarda il cursus publicus. Dovendo essere trasportabile, è dipinta su di un rotolo che, sviluppato, è lungo 6,80 metri e alto 33 centimetri. Vi è riportato in sintesi tutto il mondo conosciuto allora, dalle Colonne d'Ercole all'India, dai limites del Nord alla fascia romanizzata dell'Africa. Siccome oltre alle strade vi sono anche particolari geografici, monti, fiumi, foreste, ecc., per disegnare il mondo in una striscia così lunga e stretta l'autore è ricorso ad un espediente anamorfico, in questo caso la compressione in altezza. La questione va sottolineata, perché anche negli altri tre schemi sopra elencati si è fatto ricorso a una compressione dell'informazione, non tanto come deformazione grafica ma come estrema astrazione rispetto alle funzioni degli oggetti rappresentati e alle loro relazioni. Concettualmente è la stessa cosa, però, mentre la deformazione grafica potrebbe in teoria essere reversibile, cioè essere riportata ad una somiglianza con le proporzioni del mondo reale tramite una lente deformante, l'altro tipo di compressione non si presta a questo trattamento, va visto come un sistema dinamico in cui ogni elemento interagisce con gli altri producendo effetti a catena.

Sistemi a struttura frattale

Interazione vuol dire scambio, flusso, di materiali, di merci, di denaro, di persone o di informazioni. Dobbiamo osservare che ogni sistema in cui esista lo scambio deve basarsi su differenze. Se a si scambia con a, oggetti o denaro non importa, l'operazione non ha senso, a meno di non pensare ad una variazione di grandezza, e allora siamo nel caso dell'usura; mentre se a si scambia con b, c'è la ragionevole certezza che ci sia stato almeno uno scambio di valori d'uso. È lo scambio di a con b che rappresenta il mercantilismo. Ed è la base necessaria del capitalismo. Il feudalesimo non c'entra: l'economia curtense presso il regno dei Franchi era identica come struttura a quella presso il quasi-regno romano-longobardo. L'avvento del capitalismo non si spiega con la forma della produzione ma con il modo. Per mettere in risalto la differenza fra la forma e il modo, dobbiamo ricorrere a schemi che, semplificando la realtà con una astrazione, ci permettano di sfruttare l'essenziale e lasciar perdere il superfluo (nella teoria dell'informazione: isolare il segnale dal rumore).

Sulla grande rete di comunicazioni di figura 9 immaginiamo di sovrapporre ad ogni nodo/città lo schema di figura 10. Esso rappresenta il modulo economico fondamentale di Roma antica. Il sistema complessivo non va visto semplicemente come la somma di tali moduli ma come un'espansione frattale (o viceversa) con "Roma" al posto di "Città", "sistema militare" al posto di "Castra", "Logistica statale" al posto di "Mansio" e così via. Ogni modulo è il nodo di una rete, alimentato attraverso i link.

Così facendo abbiamo raffigurato in astratto l'intero sistema di relazioni materiali che Roma Antica ha sviluppato in un migliaio di anni, da Romolo in poi. Se facciamo uno zoom sufficiente, vediamo che il risultato è la solita mappa, la quale raffigura la solita rete, i soliti nodi, le solite relazioni, i soliti flussi. Normale: non c'è altro modo di definire un sistema se non quello delle relazioni fra i suoi elementi e della dinamica che ne deriva. Prendiamo un po' di dati: secondo Orbis, una modellazione del sistema romano elaborata dalla Stanford University, la rete di strade che collegava le 750 città individuate aveva una lunghezza complessiva di 84.000 chilometri (figura 9); ad essa si aggiungevano il sistema stradale secondario e le vie di comunicazione navali (28.000 chilometri via fiume e 128 porti per le rotte via mare). Non è il caso di dilungarci sulla tecnica costruttiva della strada romana in quanto tale: tutti conoscono la cura quasi maniacale con cui erano costruite le massicciate, il basolato, i canali di scolo, i bordi e i ponti. Le strade erano grosso modo di tre tipi: le dorsali più importanti (consolari o pretorie), rivestite di pietra dura; quelle che si dipartivano dai nodi, in ghiaia e terra; le minori (diverticula), che collegavano i villaggi e le grandi ville, in terra battuta. Nello schema di figura 10, vediamo che all'interno di un modulo le varie funzioni gravitavano attorno alle città. Meglio ancora sarebbe raffigurare diverse città, saturando lo spazio intermedio con i simboli delle funzioni. Con in mente le ragioni per il ricorso alle strutture frattali (vedi n+1 n. 26, novembre 2009) vediamo ora uno dei nodi. Se prima abbiamo fatto uno zoom per rimpicciolire i particolari e avere l'insieme, adesso facciamo l'opposto per vedere i particolari. L'elemento più importante è la mansio, una vera e propria istituzione. Nata in epoca repubblicana, essa permette di rendere agevoli e sicuri i trasporti e le comunicazioni, fluidificare il traffico, proteggere le merci. Si tratta di una struttura pubblica, cioè dello Stato, edificata ogni 30-40 chilometri (una giornata di viaggio) sulle strade principali. È nello stesso tempo stazione di posta, albergo, edificio termale, magazzino. È utilizzata da messaggeri del governo, ufficiali, drappelli di soldati in missione, carovane che trasportano derrate per l'esercito. Normalmente un nodo di questo tipo è anche un incrocio fra strade che portano ai villaggi (vici), agli accampamenti militari (castra) e alle ville con le loro dipendenze agrarie. Per questo sorgono, accanto alle mansiones, anche edifici privati (cauponae) che svolgono la stessa funzione e inoltre accolgono carovane di mercanti, dato che le ville sono centri di produzione agraria.

Come punto di riferimento e attrattore di traffici, il nodo si allarga e fa nascere la taberna, normalmente con annesso lupanare. Se il nodo è situato in un punto strategico, può veder sorgere una mansio privata, in genere lussuosa, con tutte le funzioni della sorella pubblica più quella di banca e di magazzino organizzato per settori di merci specifiche (silos, cantine) come la mansio di Murecine vista in precedenza. Insomma, la rete stradale romana non era semplicemente un modello di ingegneria della pietra e dei trasporti in grado di sfidare i secoli, ma un apparato logistico di prim'ordine che esaltava la funzione dei nodi strategici dell'economia e della sua difesa militare, integrato nell'amministrazione dello Stato e diffuso sul territorio. In figura 12 vediamo un esempio di mansio di età repubblicana scavata a Valmontone (RM). Le dimensioni non sono ancora quelle che avranno le strutture di epoca imperiale, ma il modulo è quello standard che sopravviverà per secoli: camere, magazzini, stalle, piccole terme.

Evoluzione della mansio come modulo logistico del sistema

La mansio di cui una parte è mostrata in figura 13 risale al primo periodo imperiale. Restauri e modifiche succedutisi nel tempo mostrano che è stata utilizzata a lungo. Costruita nel II secolo d.C. è stata abbandonata solo nel IX secolo. I numerosi ambienti sono caratterizzati da tecniche edilizie di alta qualità e le dimensioni raggiunte a ristrutturazione avvenuta sono ragguardevoli, per cui si pensa a una iniziativa di carattere statale (cursus publicus) entro un comprensorio privato. Infatti l'area archeologica complessiva copre circa un ettaro e il particolare visibile in figura (una zona termale cui si accompagnano resti di magazzini e altri servizi) fa parte quasi sicuramente di un vicus agricolo da cui è stata ricavata una insula adattata a funzioni di mansio. Ciò sarebbe suffragato dalla vicinanza della via Cassia. L'estensione totale per il momento si può dedurre soltanto dalle indagini magnetometriche e dai ritrovamenti di superficie, ma un'area edificata così ampia ed articolata potrebbe rivelare la pianta di una piccola città.

Lo proverebbero anche la presenza di una chiesa paleocristiana e di una necropoli longobarda del VI secolo accanto a case romane e alto-medioevali con fondazioni di pietra e muri di adobe. Il tutto chiaro indice che l'insediamento è rimasto attivo senza soluzione di continuità per 700 anni. Ciò è attestato da altri ritrovamenti che testimoniano una continuità fra l'eredità materiale e ideologica romana e le strutture dei secoli cosiddetti oscuri. In particolare sono significative le tracce molto diffuse di una duratura industria, con officine metallurgiche, una fornace per mattoni e laterizi vari, forni per ceramica e vetro, residui di lavorazione di metalli, monete di varia provenienza. Inoltre, a giudicare dalle tipologie dei manufatti non fabbricati in loco ma provenienti da lontano, sembra che, oltre alla produzione, fossero molto attivi lo scambio e il commercio. La scoperta di fosse granarie, uniche in zona, ma simili a quelle tipiche dell'area slava, suggeriscono scambi internazionali. Di sicuro ci si trova di fronte a un esempio di abitato che si reggeva su di un'economia mista, parte agricola, parte artigianale e parte mercantile. In più lo Stato si era ritagliato un'area funzionale al nodo stradale in prossimità della via Cassia. Stiamo parlando di un ritrovamento dall'apparenza insignificante rispetto alle monumentali rovine molto più leggibili presenti un po' dovunque in Italia, ma la massa dei dati ci dice che dalla preistoria al IX secolo, cioè fino all'età carolingia, in questo sito si è prodotto e scambiato, si è costruito, demolito, ricostruito. Secondo gli archeologi, a proposito di nodi e di reti persistenti, parte del complesso potrebbe essere la Mansio Umbro Flumen segnalata sulla Tabula peutingeriana già presentata.

Completamente diverso l'impianto di una villa/mansio rinvenuta a fine '800 ad Albisola in Liguria (figura 14). Costruita ex novo nella stretta fascia costiera ligure, sulla strada fra Genova e Ventimiglia, è una grande e lussuosa villa rustica privata adibita a mansio fin dal progetto, segno che il sistema del cursus publicus si integrava con gli investimenti dei privati. Segnalata sulla Tabula Peutingeriana come Alba Docilia, si sviluppava su quasi un ettaro di superficie. Questo complesso è interessante per il fatto di conservare intatta la struttura originale dal I al VI secolo. In essa sono evidenti le aree dedicate alla produzione agricola (pars rustica e pars fructuaria) e quelle per uso privato o stazione di posta (pars urbana e terme). Doveva essere un luogo di grande traffico: gli alloggiamenti per gli ospiti sono numerosi, e sull'enorme cortile si affacciano grandi locali di servizio, magazzini, stalle, tettoie, officine. Il rinvenimento di una stratigrafia rimasta intatta nonostante il fitto accumularsi di edifici moderni, mostra che l'utilizzo del sito, datato mediante reperti ceramici e monete, è durato circa un millennio, dall'epoca pre-romana alla vigilia dell'invasione longobarda in Liguria. Nel VII secolo era già in rovina e veniva usato come cimitero.

Una importante stazione di sosta e di smistamento sulla Via Aemilia Scauri è quella in figura 15; essa doveva far parte di un nodo strategico comprendente una mansio, un edificio termale a sé stante con palestra e quindi, probabilmente, un vicus o addirittura una cittadina. Presente sulla Tabula Peutingeriana con il nome di Mansio Turrita, il complesso è stato costruito nel I secolo d.C. e modificato molte volte fino al VI secolo, quando fu abbandonato, demolito e usato come cava di materiali (rimangono solo le fondazioni). Nel corso della demolizione, la caldaia delle terme (praefurnium) fu convertita a crogiuolo per fondere metalli di recupero. Questo scenario di demolizione e di costruzione improvvisata di laboratori per riciclare il materiale ha duplice valenza: da una parte conferma l'immane perdita di un patrimonio che non aveva più senso conservare una volta venuti meno i motivi delle relazioni fra nodi quando ormai la rete era andata in rovina; dall'altra è indice di un fermento rivitalizzante, perché alle spalle di ogni fonditore, fucinatore, marmista, vetraio ecc. c'era un mercato. E nel VI o VII secolo ciò era rivoluzionario. Sia i maestri comacini che più tardi i marmorari cosmati erano dei campioni del riciclo di materiale romano.

Nella nostra rassegna sulle tappe evolutive dei nodi presenti nello schema di figura 10 non potevano mancare quelli integrati nella città, specie quelle situate nei crocevia dei traffici mercantili. La mansio di Silchester in Inghilterra (figura 16), la romana Calleva Atrebatum, fu costruita all'interno della cinta muraria. La sua planimetria riflette il modulo standard, con la pianta ben conservata, dove si notano, nella parte albergo, oltre alle camere singole anche piccole suite con bagno. Intorno al corpo centrale (64 x 62 m) vi sono vari edifici di servizio, tra cui le terme e le latrine collettive. Dovevano esserci anche magazzini e stalle. Facendo il confronto con un altro complesso, quello di Verulamium, si è ipotizzato che le due grandi sale visibili in alto a sinistra siano state riservate al ricevimento di personaggi o delegazioni importanti, per cui le mansiones cittadine (e forse anche le altre) erano probabilmente utilizzate per ospitare, oltre ai funzionari dello Stato, la diplomazia viaggiante o comunque personaggi di rilievo.

Il nodo portuale di Vada volaterrana, in provincia di Livorno, col quale terminiamo la nostra rassegna non è una mansio ma è integrato nella rete in cui tale struttura si è evoluta. Gli edifici rimasti (al solito le fondazioni o poco più) testimoniano un'attività commerciale imponente, dal I secolo a.C. al VII d.C., quando il sito fu abbandonato e usato in parte come necropoli. Gli scavi hanno accertato che si tratta di un insediamento sorto su progetto unitario, quindi integrato nel sistema del cursus publicus. Non è strano perciò che attorno a questo polo commerciale siano state costruite numerose mansiones ad esso collegate (sull'Aurelia e sull'Emilia Scauri) per via dell'interscambio con le città, con le numerose ville rustiche dell'interno e gli importanti impianti produttivi della zona, caratterizzati da lavorazione in serie. Un insieme di relazioni che comprova il nostro modello, tanto più che nell'entroterra (che si chiama ancora oggi "Colline metallifere") vi erano miniere fin dal tempo degli Etruschi. L'estensione dell'insediamento è sconosciuta perché in gran parte i resti sono sotto l'abitato moderno di Vada. L'area scavata fino ad oggi è comunque molto vasta e la figura 17 non ne mostra che una parte. Sono particolarmente evidenti due complessi termali e grandi edifici utilizzati come magazzini. In essi sono stati trovati migliaia di reperti, specialmente vasellame di ogni provenienza, che dimostrano un commercio intenso sia con l'interno che con aree raggiungibili via mare. Sono state rinvenute anche 1.253 monete, in posizioni e strati diversi, il cui conio ha fornito dati fondamentali per le direttrici di un commercio internazionale. Dalla documentazione antica, gli archeologi hanno ricavato dati che integrano quelli raccolti sul campo, ad esempio sulle merci che non hanno lasciato traccia fra le rovine, come legname, carta di papiro, stoffe, schiavi, ecc.

Rivista n. 35