L'Italia nell'Europa feudale (8)
Il retroterra storico del capitalismo più antico del mondo

8. "Non ritenevano di forestieri altro che il nome"

I Longobardi furono alla fine vinti dai Franchi in espansione. La citazione completa del passo in cui Machiavelli sostiene che i Longobardi erano ormai italiani, e un solo popolo abitava l'Italia, mostra come Carlo Magno, che non andava certo in guerra con mano leggera, facesse molte concessioni ai vinti, nonostante la Chiesa non fosse tranquilla e l'avesse chiamato espressamente per stroncare quella minaccia. Ma era una minaccia che partiva da barbari invasori in procinto di invadere ancora, o era una questione di normali schieramenti in epoche di guerre incessanti? In fondo Liutprando, che aveva conquistato Ravenna, capitale dell'Esarcato bizantino, nella sua puntata su Roma – azione vitale per eliminare il corridoio flaminio – era venuto a patti e si era ritirato. Mossa incomprensibile dal punto di vista militare, dalle conseguenze storiche incalcolabili, ma che dimostra come i "feroci barbari", nello scacchiere geostorico italiano, partecipassero ormai come tutti gli altri protagonisti agli eventi dell'epoca, senza rendersi conto che stavano buttando via l'unità territoriale di quello che non era semplicemente il "loro regno" ma che sarebbe potuto diventare una nazione. Un'occasione che si sarebbe ripresentata solo 1.200 anni dopo. Neanche con Carlo Magno si concretizzò una forza unificatrice, malgrado la visione imperiale. Egli attribuì al figlio Pipino il titolo di re d'Italia e a sé stesso il titolo di Rex Francorum et Langobardorum. Come mai un re barbaro franco, che al momento dell'invasione della Langobardia su richiesta del papa era più barbaro degli invasi, ebbe un atteggiamento di reverenzia rispetto ai vinti? L'ultimo re longobardo, Desiderio, non venne ucciso ma esiliato in un convento. Non era certo usuale: quando Carlo si era trovato di fronte alle continue rivolte dei Sassoni, li aveva semplicemente sterminati. La tarda antichità fu costellata di guerre che si erano risolte in massacri, e anche i civilissimi Bizantini non scherzavano. Probabilmente i Franchi, che avevano conquistato la Langobardia senza quasi combattere (in proporzione alla posta in gioco), s'erano resi conto che non c'era più differenza fra ex barbari e Romani. Scrive Machiavelli:

"Erano stati i Longobardi dugentotrentadue anni in Italia, e di già non ritenevano di forestieri altro che il nome: e volendo Carlo riordinare la Italia, il che fu al tempo di papa Leone III, fu contento abitassero in quegli luoghi dove si erano nutriti, e si chiamasse quella provincia, dal nome loro, Lombardia. E perché quelli avessero il nome romano in reverenzia, volle che tutta quella parte di Italia a loro propinqua, che era sottoposta allo esarcato di Ravenna si chiamasse Romagna" (Machiavelli, Istorie).

Quasi un presentare le armi al nemico sconfitto. Ma che cosa in definitiva era stato sconfitto? Come vivevano i Romani una volta sottomessi dai Longobardi? Erano stati fatti schiavi, espropriati, espulsi, come era successo ai Romani finiti sotto agli altri regni barbari? Insomma, quali sono gli elementi che, secondo il criterio marxiano della dissoluzione di vecchie forme, ne rappresentarono il superamento? Oppure i due secoli longobardi non servirono a niente e bisogna cercare altrove le ragioni di un capitalismo millenario in Italia? Alcuni storici, come Jarnut, sostengono che l'influenza longobarda in Italia fu molto forte, e lo proverebbe il fatto che la Lombardia si chiami così, oppure che da allora il Nord del paese sia attratto verso l'Europa centrale e il Sud verso il Mediterraneo. Per il toponimo di una regione dovremmo dire la stessa cosa dei toponimi di centinaia di città e villaggi: ad esempio, tutti quelli con la desinenza in "asco" o "asca" sono di origine ligure, ma non sembra che ci siano manifestazioni visibili della parentela con il popolo Ligure negli abitanti delle aree che vanno dalla Provenza alla Val Camonica. Rispetto ai poli di attrazione Nord e Sud, senza scomodare i Longobardi, basta una carta geografica per capire che l'Uomo del Similaun sapeva andare in montagna e l'Uomo del Circeo sapeva remare.

La condizione dei romani vinti

Nel 2000 ci fu una grande mostra sui Longobardi organizzata da Jacques Le Goff a Brescia, intitolata Il futuro dei Longobardi - Alle origini della cultura europea. La locandina oltre al titolo riportava: "Longobardi, anzi, italiani". Frasi ad effetto, atte a risollevare la "questione" su entrambi i fronti, ma non supportate da prove, come diceva Manzoni. I 500 oggetti esposti e il catalogo mostravano che quel popolo sapeva lavorare bene i metalli, che conduceva vita spartana, ma poco altro. Per plasmare il futuro e per identificare predatori e prede sotto la stessa etichetta nazionale ci vuole qualcosa di più. Purtroppo dobbiamo partire anche noi dalla famigerata questione.

I Romani sono sfiniti e malati dopo i vent'anni della Guerra gotica (535-553). Odoacre, Teoderico, Totila, Giustiniano, Belisario, sono nomi che evocano spostamenti di eserciti, battaglie da un capo all'altro del Mediterraneo, assedi. Il corridoio che collega Roma alla capitale dell'Esarcato, Ravenna, è strategicamente collegato ai porti tirrenici, quindi anch'essi sono al centro della lotta. La posta in gioco è talmente alta che lo scontro assume caratteri apocalittici (battaglie, assedi, diserzioni e reclutamenti in massa, pestilenze, carestie) tanto da decimare la popolazione. Pochi anni dopo, l'invasione longobarda è poco contrastata, procede spedito l'insediamento dei ducati. Alboino muore assassinato. La mandante è Rosmunda, memore della famosa coppa fatta col cranio di suo padre. Per questioni di potere, tenta poi di liberarsi dell'assassino, porgendogli una bevanda avvelenata; questi, accortosene, obbliga Rosmunda a bere con lui. Muoiono entrambi. Il successore è Clefi, un sanguinario. Sembra che faccia uccidere i ricchi notabili romani per appropriarsi delle loro le ricchezze. Machiavelli dice che manteneva la disciplina col terrore anche fra i suoi guerrieri. Ad ogni modo come re dura poco, anch’egli muore assassinato (particolari non essenziali, ma è tanto per renderci conto dell'ambiente). Con un trono così pericoloso, passano dieci anni senza che vi sia un re. La conseguenza è che i 35 ducati si rafforzano e diventano più autonomi.

Fermiamoci un momento a questo primo periodo dopo l'invasione. Certo in qualche modo i Longobardi avranno potuto tener testa alla stragrande maggioranza romana, perché non ci sono tracce di ribellione seria mentre ce ne sono di sollevazioni armate contro Bizantini e Franchi. Naturalmente il terrore aiuta. Paolo Diacono è ambiguo sul trattamento riservato ai Romani. È esplicito sull'uso della violenza contro di loro nella fase dell'invasione, ma non ci spiega come vivessero e che statuto sociale avessero successivamente. Dei Longobardi ovviamente scrive una storia orientata, ma gli storici che l'hanno passata al setaccio l'hanno trovata attendibile. Nel contesto dell’invasione chiama la sua gente a volte hospites (ospiti), a volte hostes (nemici), non certo per errore. Sia Paolo Diacono che Gregorio di Tours (cantore delle gesta di Carlo Magno) descrivono l'avanzata longobarda in Italia con scene di violenza estrema: città incendiate, chiese saccheggiate, vecchi, donne, bambini, preti e monaci passati a fil di spada. Non mancano bande di saccheggiatori "autonomi" (la Cronaca di Novalesa riporta da enrambi sovrapponendo Longobardi e Saraceni).

Stabilizzata la conquista, è interessante il meccanismo del tributo imposto ai vinti: dopo aver depredato e ammazzato i ricchi più in vista, non viene attuata una espropriazione più o meno estesa delle terre com'era successo con Odoacre e Teoderico, ma si segue un'altra strada: il numero totale dei Romani viene diviso per il numero totale dei guerrieri longobardi, ai quali "spetta" dunque un certo numero di Romani pro capite. Questi ultimi devono pagare un terzo del loro prodotto o reddito ai loro "padroni" di riferimento. Per il resto possono tenersi casa, terre, attrezzi e cose. Gli schiavi vengono requisiti e passano al servizio dei nuovi padroni come servi. È difficile immaginare come questi barbari riuscissero a fare un censimento della popolazione romana "conquistata" e controllare il flusso dei tributi senza una burocrazia, ecc. Ma sorvoliamo. Nessun Romano – l’abbiamo già visto – può portare la spada perché è senza diritti civili, il che nel caso della società longobarda vuol dire non poter essere arimanno, cioè guerriero, perciò non essere soggetto alla legge non scritta germanica. La situazione dei Romani vinti è dunque contraddittoria: da una parte sono tributari nei confronti dei Longobardi, cioè dipendenti, dall'altra sono uomini liberi perché possono comprare, vendere, produrre, arricchirsi, coltivare, ecc. Per la legge germanica sono aldii. L'aldionato è la condizione particolare di un uomo né libero né schiavo né servo, giunto a quella condizione per motivi particolari (condanne, debiti, immigrazione), tutelato dalla legge ma non autorizzato a portare la spada. È uno stato sociale simile a quello dei clientes delle città non romane ma sottomesse a Roma.

"Presso i Romani pur fin nell'ottavo secolo vedremo esempi di coloni assai ricchi e possessori di servi. Ma la ricchezza del peculio non con­feriva la cittadinanza e la milizia; i liberti, se credi a Ta­cito, erano in Germania poco meglio che servi, né aveano giammai alcun grado in casa e meno assai nel Comune. I Romani perciò, ridotti all'aldionato, poterono conservar sotto i Duchi un copioso peculio, non l'onor della citta­dinanza o della spada, perché privi di guidrigildo " (Carlo Troya).

Su questa condizione "economica" se ne innescava un'altra di tipo classista: mentre per un antico Romano, anche ricco, non era disdicevole svolgere certi lavori manuali, ad esempio tenere l'aratro (e anzi proprio quest'ultimo gesto aveva una sua sacralità ancora nel tardo impero), per un Germano, come già accennava Tacito di sfuggita, era impensabile fare un "lavoro" al di fuori di quello strettamente necessario per costruirsi la casa o riparare qualcosa, curare le armi, i cavalli e simili. Per un Longobardo ricevere un tributo o valersi del lavoro di un servo era lo stesso, per un Romano c'era invece una bella differenza: il tributo allo stato lo pagava comunque e lo schiavo serviva ad elevare il suo reddito. Quando Attila, che non era Germano ma aveva la stessa mentalità di barbaro, ricevette un tributo da Teodosio in seguito a un trattato, fece sapere all'imperatore di averlo così sottoposto alla servitù degli Unni avendo egli perso la dignità.

La potenza più devastante contro la vecchia forma

Ricapitolando: siccome non conoscevano la proprietà privata e quindi neanche l'enfiteusi e i livelli (forme di affitto), e avevano oltre tutto annichilito lo Stato, i Longobardi non potevano far altro che chiedere un tributo, nella forma elementare che abbiamo visto. Per loro ciò, aggiunto al divieto di portare la spada, era come ridurre in servitù l'intero popolo romano che viveva nei ducati. Per i Romani no. Oltre tutto l'arrivo degli invasori aveva distrutto o lasciato in abbandono gli uffici dov'erano depositate le carte notarili che riguardavano campi, case, ipoteche, donazioni, compravendite, perciò era anche sfumata buona parte del controllo sulla proprietà. Dato che serviva per il tributo del terzo, la terra non era alienabile. Ma il tributo lo si poteva pagare ugualmente con altri tipi di entrata. La "rottura longobarda" stava producendo economia nuova.

Non così era successo con le invasioni di altre genti barbare. I Visigoti, ad esempio, che occuparono lo spazio più vasto di tutti, si erano divisi le terre, anche se a volte mediante accordi forzati con l'imperatore del tempo. Gli Eruli, gli Sciri e altri al seguito di Odoacre, e gli Ostrogoti al seguito di Teoderico, fecero al modo romano inserendosi nella struttura imperiale. I Longobardi, quindi, rappresentarono la potenza di gran lunga più devastante rispetto alla forma economico-sociale precedente.

Essi inglobarono nel nuovo sistema le requisizioni, ridistribuendole "come si farebbe oggi in una'asta giudiziaria" (Troya) per ricavarne tributi. Furono requisiti: 1) i fondi dei fuggiaschi, degli esiliati, degli ammazzati, senza distinzione fra quelli dei Romani e quelli dei Bizantini; 2) i fondi della Chiesa; 3) tutti gli edifici pubblici (la maggior parte diventarono luoghi di rappresentanza del nuovo potere, ma senza manutenzione finirono per essere abbandonati); 4) boschi e terre incolte o deserte; 5) beni mobili e crediti dei fuggiaschi e dei caduti delle guerre.

Molti fondi rimasti liberi furono dati da coltivare agli ex schiavi romani non assorbiti dalle famiglie o tribù barbare, ai quali si aggiunsero gli aldii e i numerosi servi delle fare venuti in Italia ancora al tempo di Alboino, per i quali non è chiara la collocazione sociale rispetto al tributo (lo pagavano? Se sì, quanto e a chi?). Più tardi, la elementare suddivisione post invasione fu resa più razionale in base alla fertilità dei fondi, e quindi il tributo da un terzo fisso del prodotto diventò variabile, in alcuni casi la metà (mezzadri) o un quarto (quartaroli).

Fondamentale, per i meccanismi economici che si erano messi in moto, fu la differenza profonda fra la relativa stabilizzazione barbarica fuori d'Italia e la dinamica romano-longobarda. Se noi osserviamo le cose tenendo in sottofondo il modello HANDY, ci appare subito evidente che la requisizione delle terre e la netta sovrapposizione sociale degli invasori sui Romani avvenuta nei regni visigoti, vandali, burgundi, franchi, introducono nello schema perturbazioni a retroazione negativa: il meccanismo di produzione e riproduzione collassa perché i predatori non entrano in sintonia con i cicli sinusoidali, ma esercitano una pressione continua sulle prede diminuendo l'ampiezza del ciclo fino ad appiattire le curve (figura 1).

Lo schema di Volterra-HANDY aiuta a capire, al di là degli eventi politici come guerre, ecc., i motivi della lunga durata del regno longobardo in confronto agli altri regni barbari. A capacità di carico costante, i "predatori" depredano a tal punto la "natura" che si verifica un collasso di tutti i parametri al livello più basso. A due scale di grandezza diverse, succede ai regni barbarici ciò che era successo all'Impero romano. Anzi, la condizione particolare in cui si trovano i Longobardi produce sui Romani una pressione predatoria assai minore (il sistema di imposizione fiscale dell'Impero assorbiva circa la metà del prodotto).

La capacità portante (Carrying capacity), in un modello eco-sociale è la capacità di sostenere un dato numero di individui con risorse date. È un parametro molto usato nelle discipline più disparate, necessario a valutare l'evolversi nel tempo di fattori interagenti in presenza di limitazioni ambientali). Detto brutalmente: quando i predatori mangiano tutte le prede, essi stessi muoiono di fame. Ovviamente in campo sociale succedono altre cose molto prima che lo scenario mostri l'estinzione dei protagonisti: infatti, prima di giungere a quel punto, i Vandali indeboliti furono "estinti" dai Bizantini nel ridentissimo Nordafrica costellato di città romane, e i regni visigoto e burgundo diventarono province arabe o franche sotto l'impero di Carlo Magno, a sua volta dissolto in pochi decenni. L'incredibile resistenza dell'Impero bizantino, sottoposta al test di Volterra-HANDY può solo significare una qualche forma di equilibrio predatori/prede, che potrebbe essere spiegato con una sorta di "asiatizzazione" di Bisanzio, uno schema del tipo 1tris entrato in circolo vizioso (loop).

Vite parallele

In modo del tutto differente si erano posti i Longobardi nei confronti della popolazione soggetta. Non abitavano in città, questo era risaputo da sempre, ma l'archeologia ha portato nuove testimonianze. Vandali, Visigoti, Burgundi, Franchi e poi Normanni ebbero una loro architettura, anche se rari sono gli edifici rimasti. I Longobardi non l'ebbero: ciò che è rimasto ed è ricordato come loro stile è realizzato da maestranze romane in epoca longobarda. Solo nel secondo secolo dall'invasione, diventati cristiani cattolici, edificarono chiese, ampliarono monasteri e restaurarono fortificazioni. Anche in questo caso alcuni storici dell'arte dubitano che le maestranze fossero loro. Ha senso soffermarci brevemente su questo aspetto perché la dominazione longobarda dimostra la sua separatezza dalla società romana proprio attraverso la (non) attività edilizia. I cronisti annotano che gli invasori si sentivano come in prigione entro le città dalle vie strette e circondate di mura. Quindi, vivevano in villaggi di capanne, raramente a contatto con la popolazione sottomessa. In figura 5 vediamo la ricostruzione ipotetica del villaggio longobardo i cui resti sono stati rinvenuti sotto la piazza centrale di Chiari (BS). L'insediamento era distante diversi chilometri da ogni altro abitato romano della zona. Dai ritrovamenti si deduce un'attività agricola alla quale erano addetti di solito gli ex schiavi romani diventati servi dei conquistatori. Nonostante la scarsità dei reperti, gli scavi, condotti con criteri moderni, hanno fornito molta informazione sulla vita quotidiana e sui rapporti con l'ambiente circostante. In alcuni casi gli insediamenti longobardi non sono del tutto separati ma interagiscono o si sovrappongono a centri abitati esistenti.

Uniti da vincoli gentilizi, spesso i villaggi avevano la necropoli in comune. Ciò si traduceva in una differenza sostanziale rispetto al comportamento tradizionale degli eserciti d'occupazione, che distribuivano i combattenti nelle case della popolazione ottenendo due vantaggi: controllare direttamente le famiglie una per una e farsi vettovagliare da queste senza ricorrere a dispersive e odiose requisizioni. Persino le legioni romane, pur alloggiando in loro castra grandi come città, attiravano la popolazione locale intorno alle mura per acquistare da essa vettovaglie e materiali (figure 29, 31, 32). Ma il popolo-esercito longobardo non poteva seguire tale pratica: non era un'armata arrivata per combattere una guerra, vincerla o perderla e tornarsene a casa; era una nazione che aveva traslocato con guerrieri, vecchi, donne, bambini, armenti, carriaggi. S'impadronirono solo dei fori e palazzi pubblici per sottolineare il loro potere. I vinti continuarono a vivere nelle loro case come avevano sempre fatto; oltre tutto, di volumetrie disponibili ormai ve n'erano fin troppe a causa del crollo demografico precedente.

In figura 6 sono raffigurati gli scavi di Vicus Wallari, oggi San Genesio (Pisa), che ancora nel 990 svolgeva la funzione di mansio alla XXII tappa da Roma. Abitato da romano-bizantini fino al secolo VI, passò sotto il controllo di una delle fare longobarde capeggiata da un certo Wallar. La tipologia del vicus, la sua posizione e la qualità dei reperti scavati fanno pensare a uno dei nodi della rete stradale consolare sui quali si erano sviluppate le mansiones e poi gli emporia, alcuni dei quali diventati città. L'abbondante industria ceramica testimonia la presenza di una produzione in serie e quindi la trasformazione in villaggio. Dato che il vicus era abitato prima e dopo l'arrivo dei Longobardi, è possibile che almeno in questo caso ci sia stata convivenza con i Romani. Gli addetti all'industria ceramica sarebbero quindi artigiani in posizione subordinata. Un documento del 715 attesta l'esistenza di una pieve dove l'inviato di Liutprando, Gunteran, si sarebbe incontrato con i vescovi della zona. Nel 1055 vi si riunì la dieta convocata dall'imperatore Enrico III e altre si tennero nel periodo del Barbarossa. Il vicus fu abbandonato e distrutto nel 1248.

La più grande necropoli longobarda conosciuta (figura 7) è stata rinvenuta nel 2009 a Sant'Albano Stura durante i lavori per l’autostrada Asti-Cuneo. È stato possibile studiare 760 tombe, tutte del VII secolo, cioè quello successivo all'invasione e alla formazione dei ducati. I materiali di sepoltura (quasi esclusivamente gioielleria e armi) sono ancora in fase di studio ma mostrano l'appartenenza a una sola fara, il cui insediamento (uno o più villaggi) non è stato trovato. La datazione precisa e il ritrovamento dell'intera necropoli sono importanti per il calcolo dello sviluppo demografico. In questo caso, tenendo conto del tasso di natalità/mortalità dell'epoca, l'intera fara poteva essere composta di circa 500 individui (con un tasso di mortalità pari a circa 1,5 volte quello attuale medio).

I Longobardi erano guerrieri temibili, niente affatto digiuni rispetto alle tecnologie dell'epoca. Anche se nei villaggi ricalcavano abbastanza fedelmente il ritratto che ne ha fatto provocatoriamente Giorgio Ruffolo, come tutti i barbari ex nomadi producevano cose piccole, facilmente trasportabili. Pastori, cacciatori, agricoltori solo quando erano stanziali (negli ultimi secoli quasi mai), non avevano requisito la terra che in minima parte. Per almeno un secolo non si erano sovrapposti per niente alla popolazione vinta. In quanto predatori, avevano innescato, con i tributi dei vinti, una retroazione positiva: non sapendo, volendo o potendo accumulare ricchezza avevano adoperato il ricavato dei tributi in uno scambio crescente fra i villaggi fortificati, la campagna e soprattutto la città. Del resto abbiamo già detto che per loro, come per tutti i barbari, la vera ricchezza che stava dietro al tributo consisteva nel dominio sul maggior numero possibile di uomini (questa concezione resisterà tenacemente e la troveremo conservata fino al tardo feudalesimo). Infine, pur non avendo un esercito permanente e una flotta, le spese per le continue guerre avevano certamente provocato un aumento della circolazione monetaria. L'assetto tribale che portava a concepire tutto il popolo come "esercito" andava scomparendo, ma intanto provocava dei vuoti notevoli nella popolazione maschile (l'analisi degli scheletri rinvenuti nelle necropoli mostra un'alta mortalità per ferite da arma). Insomma, i Longobardi, per un centinaio di anni, invece di alimentarsi di prede le alimentarono, fino a vedersi rovesciare la situazione con lo scambio delle parti fra predatori e prede. In questo secolo morì definitivamente la società antico-classica occidentale. La parentesi franca, pur tendendo al passato nel cercare di ripristinare l'Impero romano, pur giungendo come potenza centralizzata a controllare gran parte dell'Europa, pur venendo a compromessi con la Chiesa fino a costituire un insieme di due parti complementari, non sarà che una parentesi, importante, ma non come vogliono i cronisti di parte carolingia: anche in questo caso esigenze di propaganda patriottica risorgimentale hanno voluto che l'epopea carolingia mettesse in ombra quella longobarda. E pensare che i Franchi non erano meno germanici dei Longobardi, anzi, ma il neoguelfismo savoiardo non andava troppo per il sottile, gli bastava che Carlo fosse sotto l'egida della Chiesa.

Oggi l'archeologia medioevale ci permette di dedurre da prove materiali quanto fossero separate le popolazioni romana e longobarda fino alla graduale assimilazione ricordata da Machiavelli e continuata dopo l'invasione franca. Le tracce di osmosi fra la comunità agro-pastorale guerriera e quella agro-cittadina vanno dagli oggetti di uso comune alle derrate alimentari, dai gioielli al legname da ardere e da costruzione. Mentre quasi ogni traccia di dominazione esterna doveva scomparire (le incursioni di Saraceni e Ungari furono devastanti ma transitorie), questa specie di dualismo etnico-sociale lasciò il segno soprattutto nelle città, vivificate da un interscambio di tipo nuovo rispetto a quello esistente nell'Antica Roma. Carlo Cattaneo, rivoluzionario borghese di ben altra tempra che non quella dei neoguelfisti alla Gioberti, pur non disponendo dei dati materiali di cui oggi ci possiamo avvalere, tratteggia la rinascita urbana in una mirabile sintesi dedicata alla città che diventerà Comune:

"E così mentre oltralpe i feudi soprafacevano le deboli città, in Italia si poterono alzare, una a fronte dell'altra, due milizie. L'una urbana composta di liberi artefici, mercanti, scribi e altri superstiti delle famiglie degli antichi giureconsulti e sacerdoti, divisa per arti o per porte, pronta ad accorrere sulle mura, ricordava le tribù civiche della prisca Italia; celava in sé il principio d'un risorgimento integrale. L'altra sparsa per le foreste del contado, composta di castellani e torrigiani e dei loro bastardi e bravi, si attruppava intorno alle romite muraglie di Biandrate, di Castel Seprio, di Castel Marte, ove una gotica strategia aveva posto il ricapito delle cavalcate feudali. La diversità delle giurisdizioni e delle leggi, ch'erano romane nella città e confidate a giudici elettivi, mentre nelle campagne erano più sovente longobarde o saliche, e confuse colla disciplina militare e coll'arbitrio feudale, fecero sì che il servo della gleba potesse anch'egli farsi franco, purché solo riescisse a fuggire e a lucrarsi colle braccia il pane nella prossima città o nella sua giurisdizione. Quindi crescente ogni giorno il popolo urbano"(Carlo Cattaneo, La città).

Rivista n. 35