Gig economy

"Gig" in inglese vuol dire "lavoretto". Sui siti di Uber, Foodora o Deliveroo e altri provider che offrono un servizio tramite piattaforme software utilizzando risorse non proprie (uomo, bicicletta telefonino, automobile, ecc.), alla voce "Lavora con noi" è specificato chiaramente che il compenso non può essere considerato un salario o un reddito ma una integrazione di questi. Insomma, una nuova edizione del lavoro di studenti che andavano a raccogliere mele o a fare i camerieri per pagarsi le vacanze o gli studi. Oppure una nuova versione del caporalato, riemersa dalle profondità della storia. O altro ancora, che dipende dagli sviluppi. Comunque c'è anche gente che ci campa.

Gig non è sharing, condivisione. Navigando su Internet si nota ancora un po' di confusione. Se uso gratis una bicicletta a turno con un'altra persona, l'ho condivisa; se pago al proprietario un noleggio è tutto un altro discorso. Le piattaforme che offrono servizi a pagamento sono aziende capitalistiche a tutti gli effetti: mettono a disposizione un server con il programma adatto e vendono il lavoro che si può fare accedendo all'attrezzatura privata. Con un minimo di capitali, o anche niente, se ricorrono al crowdfounding o a una banca), riescono a mobilitare mezzi altrui in cambio di denaro. Il discorso si fa più complesso passando alla situazione dei lavoratori impiegati in questo genere di attività. Sono precari a vario titolo, ma l'aspetto principale del rapporto di lavoro è una pesante destrutturazione giuridica. Il nuovo precario lavora secondo lo schema on-demand cioè quando serve, con un rapporto diretto consentito da applicazioni e piattaforme digitali sviluppate appositamente. Domanda e offerta si incontrano on-line, ma ovviamente con una assoluta asimmetria, dato che il lavoratore non ha nessun mezzo per intervenire nel sistema. A meno che non scioperi, la soluzione antica come il capitalismo, sempre efficace se adoperata razionalmente.

Non c'è niente di meglio che analizzare una lotta per individuare le caratteristiche di questo rapporto di lavoro e le potenzialità che possono scaturire ed essere condivise (questa volta sì) da altri lavoratori.

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La startup tedesca di consegne pasti a domicilio Foodora sbarca a Torino nell'ottobre 2015. In trenta minuti, promette l'azienda, vengono consegnati a casa, in bicicletta, piatti alla portata di tutti gli amanti del cibo di qualità. Ed è proprio con le due ruote che centinaia di fattorini scorrazzano avanti e indietro per le vie della città, consegnando la merce ordinata tramite un'apposita applicazione.

I primi capannelli tra lavoratori si formano nei "punti di partenza", le postazioni indicate a inizio turno dove attendere la comunicazione degli ordini. I fattorini, perlopiù giovani studenti, discutono sulla disparità retributiva rispetto ai colleghi di Milano. Il gruppo si fa mano a mano più numeroso e vengono fissate alcune richieste da inviare all'azienda. Ma gli incontri con i manager italiani non approdano a nulla; anzi, dato che incominciano a svolgersi delle assemblee, arrivano le prime sospensioni disciplinari.

Arriva agosto e mentre a Torino continua il braccio di ferro tra fattorini e azienda, scoppia a Londra il caso Deliveroo, un'altra start up del settore. In protesta contro il peggioramento delle condizioni contrattuali (pagamento a consegna e non più su base oraria), più di cento corrieri si riuniscono davanti al quartier generale dell'azienda e organizzano, per il giorno seguente, una grande e rumorosa manifestazione motorizzata per le vie del centro. La lotta si allarga e arriva a coinvolgere i colleghi inglesi di UberEats.

Passa un mese e Foodora inizia a Torino una nuova campagna di assunzioni che porta la “novità” del pagamento a cottimo, si eliminano i contratti a base oraria e si introduce il pagamento di 2,70 € per consegna. I rider riprendono a riunirsi e formulano una nuova rivendicazione: paga mista (fisso orario più qualcosa per consegna) e contrattualizzazione che tuteli i lavoratori dall'arbitrarietà che l'azienda si riserva nell'assegnare turni e dispensare punizioni. Nel frattempo molti contratti stanno scadendo e ai lavoratori più impegnati nella lotta viene impedito di accedere alle tabelle orarie per prenotare i turni. 

Il 7 ottobre l'azienda alza il tiro: lascia a casa due promoter colpevoli di aver partecipato ad una delle assemblee. I rider reagiscono. Si danno appuntamento in piazza dove decidono di raggiungere, divisi in gruppi, i locali convenzionati con Foodora per spiegare ai clienti, esercenti e lavoratori delle cucine le loro ragioni. Parte inoltre una campagna sui "social" che invita al boicottaggio dell'azienda. La ribellione dei "foodorini" diventa un caso nazionale, si comincia a parlare di "schiavitù 2.0" e ci si domanda quanti siano i lavoratori che si trovano nelle medesime condizioni. Secondo l'Ansa quasi un americano su quattro l'anno scorso si è guadagnato da vivere con la "gig economy", la nuova economia "del lavoretto", e anche in Europa il fenomeno cresce.

Basta posto di lavoro fisso, basta contratti nazionali, basta garanzie, l'impossibilità di trovare uno spazio all'interno di questa società spingerà sempre più giovani a organizzarsi fuori dai vecchi schemi sindacali, perché è sempre più chiaro che le nuove generazioni non hanno nulla da perdere fuorché le loro catene. Su Deliverance Project, la loro pagina Facebook, i rider di Foodora postano un lungo memoriale di lotta. La posta in gioco, dichiarano, non è più soltanto lo strappare un contratto decente all'azienda, ma il mettere in discussione lo stato di cose presente collegandosi in rete con altri precari stanchi di farsi rubare la vita. E scrivono: "Se questa lotta ha un merito è sicuramente quello di aver indicato, proprio laddove veniva veementemente negato, quel vecchio solco insanabile tra chi sfrutta e chi, sfruttato, gli si oppone."

In questo caso e in altri simili, il mezzo, e cioè la comunità di lotta, diventa il fine: "Nella lotta abbiamo messo in comune intelligenze, capacità pratiche, contatti utili, legami e fiducia. Ci siamo conosciuti e riconosciuti, siamo diventati qualcosa di più che dei semplici colleghi, qualcosa di diverso da degli atomi in corsa nel traffico agli ordini di un computer."

Rivista n. 40