Ancora Trump

Donald Trump aveva dato l'impressione di fare lo sbruffone casinista più a favore delle telecamere che per una politica di largo respiro. Coloro che sostenevano questa tesi devono ricredersi: le prime mosse del neopresidente sono tutte volte a confermare il programma originario: ha bloccato il trattato TPP (Trans Pacific Partnership), ha messo in agenda la rinegoziazione del NAFTA (North American Free Trade Agreement), ha detto che inizierà a costruire il muro sulla frontiera con il Messico, ha dato disposizioni per "scoraggiare" l'ingresso di clandestini, ha apprezzato l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, ha stabilito uno strano rapporto con la Russia, ha congelato i rapporti con l'Europa, ha continuato imperterrito ad attaccare la stampa (nel paese del Quarto Potere), ha chiamato a convegno i capi delle industrie più importanti sottoponendoli a minacciose blandizie sul tema della loro allegra finanza cosmopolita, ha rilanciato la spesa militare e spaziale. Naturalmente ci sono state manifestazioni contro: è un rito democratico non accettare il responso della democrazia.

Il popolo "contrario" ricorda al presidente che anche il popolo "favorevole" non è per nulla soddisfatto di essere schiacciato verso il famigerato 99% della popolazione contro l'1%. L'America è disposta a far vincere "l'uomo del destino", e anche a lasciargli l'illusione di essere un capo carismatico di metà popolazione. Ma se anche avesse vinto l'altra metà sarebbe stato lo stesso: pecunia non olet, il capitale adopera i presidenti di qualsiasi partito, ha una potenza di addomesticamento che va ben oltre il portafoglio dei venti o trenta capitalisti radunati al ritmo di grancassa.

Trump ha già bruciato otto anni di presidenza Obama, cambiato la visione internazionale del più potente paese del mondo e sconvolto un mezzo secolo della sua politica estera. Ma proprio per questo è stato eletto. La politica obamiana di welfare fasullo non ha dato risultati. Le gigantesche multinazionali, eroine della globalizzazione, stanno tornando a casa con profitti dimezzati da ben prima che si svolgessero le interminabili elezioni americane. Ottocento basi militari in tutto il mondo incominciano a costare troppo e le inestinguibili guerre civili anche. Tra l'altro in un mondo che incomincia ad averne abbastanza del "primato" giudaico-cristiano.

Le bordate trumpiane non hanno praticamente possibilità di incidere sull'economia politica, sulla politica estera o sulla condotta militare, cosa che del resto vale per ogni gran capo di nazione. Sembrerà normale che egli prenda delle decisioni e che queste si ripercuotano sui fatti reali. Ma tutto è già successo prima, i fatti reali hanno già da tempo assunto il potere di cercare nelle pieghe della società un esecutore-tipo, appunto alla Trump. Come il fascismo nacque per evitare di lasciare l'economia in mano ai singoli capitalisti accentrando sullo stato i poteri per riformare il sistema, così è emerso un presidente americano che farà ciò che le superiori esigenze del capitale gli suggeriranno di fare. Solo che la scala è diversa. Il fascismo fu un fatto mondiale con ripercussioni sul mondo intero, un fatto storico irreversibile, mentre un presidente va e viene.

Applicando le parole ai fatti, gli analisti trumpologi hanno supposto uno scenario in cui tutte le uscite di Trump siano ormai realizzate. Gli Stati Uniti sono presenti in tutti gli organismi di controllo mondiale (ONU; FMI, BRI, WTO, OMS, ecc.) e in quasi tutti i trattati sul commercio, aree di libero scambio, accordi militari, ecc., in una rete inestricabile di rapporti esistenti da decenni, sui quali per decenni il mondo intero si è basato, realizzando degli equilibri più o meno solidi ma che non si possono smantellare. Ora, Trump ne vuole invece smantellare alcuni. Togliere da un sistema alcuni suoi sottoinsiemi è sempre pericoloso per l'insieme; perciò, tolto il "pezzo" più importante, quello che garantisce il collante alle sue parti, l'insieme deve esplodere, crollare, collassare. Scientificamente dovrebbe essere così. Ma forse il sistema in questione non ha vere caratteristiche sistemiche, è solo una rete di accordi, trattati, carte. In genere i trattati sanciscono ciò che è già successo e quindi possono contenere principi altissimi e frasi roboanti, ma non "fanno sistema". Guardiamo ad esempio all'Unione Europea. Ha la sua moneta, una costituzione di centinaia di pagine, i suoi regolamenti, le sue leggi, il suo parlamento. Eppure non fa sistema neanche un po'. Se ne è andato il paese politicamente più importante, l'Inghilterra, e non è successo niente. Se pure uscisse il paese più importante economicamente, la Germania, non succederebbe niente, anzi, se ne avvantaggerebbero i paesi più deboli. Scenario forse non ancora plausibile, ma già compaiono articoli (ad esempio su The Economist) in cui si afferma che occorre predisporre un piano nel caso venisse meno la leadership americana.

Rivista n. 41