Prefazione

Atteggiamenti immaturi

Quale atteggiamento avrà la rivoluzione di fronte al fenomeno religioso? E quali saranno i provvedimenti pratici che essa prenderà nei confronti delle Chiese e dei movimenti che alle religioni si collegano? La domanda è meno banale di quanto sembri a prima vista. Succede che il militante poco attento alle questioni teoriche risponda sbrigativamente che la dittatura proletaria, in quanto tale, si esprimerà nei confronti dei fenomeni religiosi vietandone le manifestazioni, trattandoli, cioè, alla stregua dei fenomeni borghesi e dei tentativi di restaurare il capitalismo. Se negherà la libertà di organizzazione e di espressione politica alla borghesia vinta, allo stesso titolo negherà libertà di propaganda e di organizzazione a preti, mullah e bonzi, risolvendo la questione tramite decreto rivoluzionario.

Succede persino che questo tipo di militante provi un rifiuto viscerale per ciò che è "religioso", magari rifiutandosi per una sua qualche sua fissazione etica di entrare in una chiesa per ammirare una madonna di Raffaello. Oppure a volte si sofferma persino compiaciuto su particolari che nella oleografia falsamente rivoluzionaria ricorrono spesso per via di fatti veramente accaduti durante rivoluzioni o sommovimenti: irriducibili preti mestatori passati per le armi, chiese trasformate in sale da concerto, conventi trasformati in caserme per la guardia rossa ecc.

Così facendo il nostro immaturo militante, convintissimo di essere un buon marxista, compie due errori.

Primo, ripete come un pappagallo, nonostante sia immerso nell'ambiente ad altissima produttività sociale dell'Occidente macchinizzato, storie vere di rivoluzioni che avevano ancora bisogno di sfogarsi contro simboli dei passati regimi e che per ciò stesso erano o borghesi o immature o doppie, cioè proletarie ma ancora con compiti borghesi da portare a termine.

Secondo, si compiace di uno scenario che non fa parte del programma rivoluzionario marxista in quanto questo non può prevedere l'abolizione per decreto del fenomeno religioso. Il rivoluzionario autentico, proiettato nella società futura, non ha un atteggiamento di condanna morale nei confronti dei fenomeni religiosi che combatte; egli li analizza e cerca di comprenderli per meglio neutralizzarli o eliminarli, ma non li esorcizza con anatemi di segno opposto, cioè "laici".

I templi di ogni genere, gli uomini, le liturgie che questi praticano, le immagini, le candele o gli incensi bruciati alle speranze frustrate, sono il sintomo esteriore della religione. Tale sintomo può e deve essere combattuto se diventa un fattore di organizzazione controrivoluzionaria, ma mai in sé stesso, come se lo si dovesse combattere per principio. Essendo un riflesso della realtà sociale, esso non viene eliminato se non attraverso l'eliminazione delle sue cause.

La Rivoluzione Francese bruciò effettivamente degli edifici ecclesiastici, trasformò dei conventi in caserme per le truppe rivoluzionarie e represse nel sangue le croci vandeane, mentre i sanculotti facevano saltare le teste gotiche dei santi nelle cattedrali credendoli re. La Comune perquisì sagrestie, arrestò preti e fucilò l'arcivescovo di Parigi. La rivoluzione russa bruciò conventi e saccheggiò chiese. Non sembra che dopo tutto ciò la religione abbia subìto un tracollo. Del resto anche la guerra civile spagnola, senza essere una rivoluzione, conobbe episodi piuttosto truculenti contro il pretume, e non ci furono risvolti pratici di rilievo.

La religione, e di conseguenza tutto l'armamentario che si porta appresso, se ha avuto un regresso nella società, lo ha avuto per via della maturazione dei rapporti sociali, mai per decreto o per eliminazione violenta delle sue espressioni. Napoleone cancellò quasi tutti i risultati effimeri raggiunti dalla Rivoluzione nei confronti della Chiesa, ma fu inflessibile sulla questione delle proprietà ecclesiastiche confiscate. Proclamò la libertà totale di culto ma non concesse il ritorno alla religione di Stato. Fu accomodante sui particolari del Concordato, ma si arrogò il diritto di nominare direttamente le gerarchie e pretese un nulla osta governativo per la nomina dei preti. Il nuovo catechismo della Chiesa francese recitava che l'imperatore era strumento del potere di Dio e i parroci predicavano che le vittorie militari erano il frutto dell'intervento strategico dello Spirito Santo, ma la divinizzazione dell'uomo procedeva con una radicale laicizzazione dell'istruzione e dell'intera società.

Nei suoi primi anni la Rivoluzione d'Ottobre non ebbe tempo di occuparsi di religione, ma dovette poi prendere provvedimenti contro l'azione politica della Chiesa ortodossa. Intensificò la propaganda "ateistica", ma alla fine dovette cedere di fronte all'immaturità della rivoluzione internazionale e alle forze sociali della Russia contadina. Trotzky parlò di NEP della religione e lo stalinismo cercò di risolvere la questione con un misto di compromesso e di repressione burocratica.

Lenin aveva sottolineato l'esigenza di superare il semplice distacco tra Chiesa e Stato, tra Chiesa e scuola; programma borghese anche se mai pienamente realizzato dalla borghesia. Il problema era quello di giungere alla "emancipazione reale delle masse lavoratrici dai pregiudizi religiosi, organizzando a tal fine la più larga propaganda scientifica e antireligiosa" avendo però cura di evitare di "offendere i sentimenti dei credenti, il che condurrebbe soltanto al rafforzamento del fanatismo religioso".

Non si trattava solamente di applicare un metodo diplomatico per non urtare la suscettibilità dei credenti, ma di radicare nella pratica quotidiana la fiducia nella rivoluzione piuttosto che nell'aldilà. L'abbandono della religione doveva essere il risultato delle vittorie rivoluzionarie più che della pratica missionaria degli emissari dello Stato "ateo".

Anche la sopravvivenza della religione, che si accompagna in Russia alla sopravvivenza delle categorie capitalistiche, è la dimostrazione lampante della controrivoluzione staliniana.

Nel primo articolo presentato in questa raccolta (di Ludovico Tarsia, gli altri sono di Amadeo Bordiga), viene ripresa la tesi marxista che religione e scienza sono due manifestazioni del pensiero umano aventi la stessa origine e natura: "Se noi chiamiamo scienza quella attività dell'intelletto che ha precisamente il compito di spiegare i fenomeni, è evidente che ogni ipotesi che si propone questa finalità è un'ipotesi scientifica, anche se la si dimostri errata".

Se la religione è la scienza primitiva che assolve alla funzione di spiegare fatti che i semplici sensi non spiegano, il suo sopravvivere significa che la nuova scienza non ha ancora avuto il potere di scalzarla nella funzione che assolve. La caratteristica principale della conoscenza scientifica è quella di procedere a nuove ipotesi che scalzano le precedenti, le sostituiscono o le integrano. Successive osservazioni negano il gradino precedente pur inglobandolo, quindi l'atteggiamento del marxista scientifico nei confronti della religione non è la derisione o la battaglia morale "laica", ma la comprensione profonda del fenomeno nella sua storia e nella sua persistenza.

Anche una religione apparentemente lontanissima dalla necessità della conoscenza del mondo materiale come il buddhismo ha radici, invece, nella necessità di conoscerlo. Cinque o seicento anni prima che il cristianesimo si formasse come religione, Shakyamuni il Buddha cercò il modo di spiegare alla gente nel modo più semplice che le "leggi" conosciute fino ad allora erano equivoche.

Le leggi del mondo, dicevano gli antichi maestri, sono diverse da quelle dell'universo perché riguardano cose terrene come le opposizioni guadagno-perdita, fama-infamia, lode-denigrazione, piacere sofferenza ecc. Certamente è vero, dice il Buddha, ma per conoscere bene le leggi del mondo bisogna spingersi alla conoscenza di quelle dell'universo, perché queste ultime comprendono le prime. Ecco quindi che ci si rivolge alla gente spiegando la "legge della causalità" e invitandola, per mezzo delle "quattro grandi verità", ad eliminare la sofferenza dal mondo. Questa non si elimina senza conoscerne le cause, che sono dentro l'individuo o fuori di esso, ma soprattutto non si elimina senza conoscere, in un processo a strati, l'assenza del dolore.

Conosciuta l'origine della sofferenza e l'obiettivo della non-sofferenza, si giunge a quest'ultimo stadio perfezionando, con una azione volontaria e cosciente sulle cause, eliminando cioè la bramosia e l'attaccamento alle cose "terrene". Il raggiungimento di questo stadio non è possibile senza aiutare gli altri a percorrere la stessa strada, in primo luogo a eliminare le cause della sofferenza materiale (nel senso di staccarsi da esse). Solo dopo la coscienza del mondo fisico si può passare alla vera liberazione nella sfera superiore, ma occorre che tutto il percorso sia conosciuto. L'assenza di dolore (terza verità), è lo stadio ideale che bisogna conoscere, per poter praticare tutti gli altri, prima ancora di esservi giunti.

Il buddhismo originario (che non esiste più) insegna quindi un procedimento molto vicino a quello scientifico: la prassi è fonte di un ordine teorico; la teoria raggiunta serve ai discepoli per capire la realtà senza rifare tutto il percorso della conoscenza; la realtà compresa è modificabile secondo volontà. Per il buddhismo l'individualismo va soppresso perché non può essere fonte di verità e quindi l'applicazione della volontà individuale non può che essere fonte di egoismo, del circolo vizioso della "sofferenza" dovuta alle opposizioni cui si è fatto cenno. Applicare la volontà modificatrice di un presunto "Io" al primo stadio, quello della prassi, prima che sia data la spiegazione teorica della realtà, non può portare ad altro che a una spiegazione qualunque della realtà stessa, spiegazione che è necessariamente diversa da individuo a individuo, quindi non "vera".

L'umanità è ancora convinta, nella sua stragrande maggioranza, che la realtà oggettiva sia quella che si presenta attraverso i suoi sensi, cioè che la famosa mela di Berkeley sia pur sempre ciò che essa rappresenta per chi la vede, tocca, annusa, mangia e digerisce. Eppure lo studente liceale ha già compiuto il passo verso una distinzione tra la meccanica newtoniana e quella relativistica, mentre all'università ha già, o almeno dovrebbe avere, gli strumenti per intravedere la scomparsa del dualismo tra materia e pensiero, la necessità di giungere ad una visione unitaria delle leggi che regolano l'Universo.

Finché non si romperà per via rivoluzionaria il rapporto che lega l'individuo alla maledetta mela (biblica, berkeleiana o tardocapitalistica che sia) sarà impossibile sradicare il legame con le superstizioni di ogni tipo, religiose o scientifiche. Sarà impossibile, cioè, eliminare sia l'influenza della antica scienza dell'uomo intimidito dalla natura, sia di quella moderna, capitalistica, dell'uomo saccente e tronfio di fronte ad una natura che non riesce ancora a capire appieno e da cui trae le sole leggi che gli servono per produrre plusvalore.

Lenin critica violentemente i pretesi materialisti che parlano di religione senza capire che cosa essa sia, e finiscono per condannarla con argomenti che ricordano un altro tipo di religione, positivistica, perfettamente aderente alle esigenze del capitalismo moderno. Molto meglio pubblicare e diffondere direttamente i testi dei rivoluzionari borghesi del passato: "La pubblicistica ardente, viva, ingegnosa, spiritosa dei vecchi ateisti del XVIII secolo, che attaccavano apertamente la pretaglia dominante, si rivelerà sempre mille volte più adatta a risvegliare la gente dal sonno religioso che non le noiose, aride rielaborazioni del marxismo, non illustrate quasi da nessun fatto abilmente scelto, che predominano nella nostra letteratura".

L'ateismo del borghese rivoluzionario è più rivoluzionario di quello del sedicente marxista che mistifica la natura della religione attraverso la propria personale interpretazione di quell'ateismo. La scienza ha la stessa natura epistemologica delle religioni al loro sorgere, ma non è la nuova religione, come tendevano a considerarla i rivoluzionari borghesi. Tuttavia l'utilizzo di quei testi formidabili, accompagnato dal necessario apporto esplicativo marxista, non sarebbe opera di pura propaganda. Esso renderebbe evidente il passaggio attraverso un particolare atteggiamento adottato in una fase rivoluzionaria specifica e quindi aiuterebbe a non generalizzare questo atteggiamento in una fase completamente diversa. Tale utilizzo può rendere possibile il salto verso la conoscenza del fenomeno religioso e del fenomeno antireligioso borghese, quindi del salto verso il rifiuto della superstizione più radicata nei due aspetti storici del conoscere, perché essi non vanno contrapposti ma studiati in sequenza.

La religione non si combatte vietando la pubblicazione della Bibbia e di Sant'Agostino. Ne Il mito di Cristo, Arthur Drews "confuta i pregiudizi e le fantasie religiose dimostrando che nessun Cristo è mai esistito [ma] alla fine del suo libro si pronuncia per la religione, purché rinnovata, espurgata, raffinata, capace di tener testa al torrente naturalista che si va rafforzando di giorno in giorno. Questi è un reazionario dichiarato, consapevole, che aiuta apertamente gli sfruttatori a sostituire i vecchi e marci pregiudizi religiosi con pregiudizi nuovi, ancor più ripugnanti e infami".

Il problema, dice Lenin, non è di proibire la traduzione russa di Drews, ma di mostrare attraverso quali canali si diffonda la superstizione religiosa, che sopravvive anche e soprattutto travestendosi. E aggiunge che bisogna operare per correggere "gli enormi errori del nostro lavoro statale a questo riguardo".

Patologie antireligiose pseudomarxiste

Nel 1929 Lunaciarsky presiedette un Congresso Panunionistico degli Atei dove disse che vi erano tre vie per opporsi alla religione: edificare il socialismo per distruggere le basi religiose; intensificare la propaganda diretta; passare a vie amministrative. A parte titolo e intenti, che suonano alle nostre orecchie piuttosto ridicoli, il solo fatto che si affermasse di edificare il socialismo in un solo paese nel 1929, precludeva la prima via perché era la confessione che la rivoluzione era fallita. Rimanevano quindi solo le altre due.

Ma la seconda via, quella della propaganda diretta, nel 1929 era ormai da tempo solo più quella criticata da Lenin, sterile e inutile. Non restava che la terza via, quella della repressione, quella classica che produce martiri e fanatismo, apre catacombe e rivitalizza l'attaccamento all'irrazionale. Nella stessa epoca infatti, oltre alla sempre viva Chiesa ortodossa venuta a patti con il regime, si censivano 600.000 propagandisti della Lega degli Atei ma ben 975.000 aderenti alle sette religiose più disparate che controllavano tre milioni e mezzo di credenti riciclati.

Con l'ateismo stalinista non usciamo dal circolo vizioso fra religione e scienza contrapposte: volendo sostituire la prima con la seconda, si ammette implicitamente che esse hanno la stessa funzione sociale, quindi si ammette implicitamente di trattare la scienza come la nuova religione. Siamo ancora fermi a Feuerbach: "Egli non vuole affatto sopprimere la religione, egli vuole completarla". Sappiamo come Robespierre fallì nel suo tentativo di sostituire la religione classica con quella che doveva scaturire dalla rivoluzione borghese. Eppure Robespierre e Feuerbach erano rispettabilissimi personaggi in confronto agli edificatori di socialismo russi. Non erano rivoluzionari marxisti e gli si concede l'errore: come dice Engels, rappresentavano il punto più alto che può raggiungere il materialismo intuitivo, quello che non intende la sensibilità come attività pratica ma ancora come prodotto della ragione pensante o del pensiero ragionevole.

Chi vuole sostituire una religione con un'altra o comunque combattere una guerra di religione deve per forza giungere alla lotta di tipo religioso, con tanto di anatemi, scomuniche, crociate, processi inquisitori e tutto l'armamentario morale che la battaglia comporta quando non si esce dalle categorie religiose.

Chi vuole superare la religione si comporta diversamente. In primo luogo si colloca al di fuori del ragionamento religioso. In secondo luogo, proprio in grazia di ciò, riesce a capire quali sono i fondamenti materiali della persistenza religiosa nel cervello degli uomini. Solo così la sua battaglia potrà indirizzarsi contro le cause di tale persistenza e non contro gli effetti. Se il socialismo fosse edificabile come un palazzo la questione sarebbe risolta. Ma non lo è. Il socialismo non è un'utopia, un modello da costruire una volta che se ne ha il potere in virtù della conquista dello Stato. Il socialismo è la conseguenza reale del modo di produzione capitalistico che elimina di per sé il capitale privato, la proprietà privata, gli stessi capitalisti, ma non il Capitale e il suo dominio sulla società.

Non si capirà mai la differenza fra utopia e comunismo se non si capisce che il Capitale domina sulla società borghese e non viceversa. Dire capitalismo di stato è improprio, anche se usiamo normalmente tale formula senza danni, perché fa intendere che lo Stato manovra il capitale, mentre sarebbe corretto dire il contrario: è il Capitale che domina lo Stato.

Quindi non si costruisce il socialismo: si demolisce il dominio del Capitale sullo Stato. Anche se lo Stato è conquistato dal proletariato rivoluzionario, non cessa immediatamente l'influenza del Capitale su di esso, la nostra corrente ha ampiamente dimostrato che in Russia poteva benissimo esservi capitalismo senza la fisica classe dei capitalisti. Il conflitto pericoloso non è quello con la borghesia vinta, visibile, neutralizzabile. Mille volte più insidioso è quello con le forze anonime del Capitale che agisce ancora per lungo tempo sulla società, specie se la rivoluzione non si estende velocemente nei paesi più importanti. Ed è dall'esito di questo conflitto che si misura l'esito della rivoluzione.

Lo Stato è l'organo della dittatura di classe, borghese o proletaria. Ma lo Stato proletario non è "l'organo del socialismo". Non si abolisce per decreto quando si è deciso che non serve più. Terminata la sua funzione lo Stato si estingue. Da che cosa sarà sostituito? Da una differente organizzazione di specie che non avrà bisogno di simili arnesi di dominio.

Come lo Stato è il riflesso organizzativo generale della società della proprietà privata e delle classi, la religione è il riflesso del mondo fisico sul cervello degli uomini nell'atto dell'interpretazione dei fenomeni, nell'ambito della sensibilità ancora intuitiva, individuale, avulsa dall'armonia di specie che è oramai distrutta da diecimila anni di società classista. Tale riflesso è talmente codificato nell'esperienza umana da far quasi parte del bagaglio genetico dell'individuo istintivo. L'istinto, secondo la bella definizione del Thomas, è la conoscenza ereditaria di un piano di vita della specie. Per cambiare l'istinto assorbito nelle società classiste occorre che cambi questa conoscenza ereditaria, e soltanto un processo rivoluzionario potrà accelerare i tempi rispetto all'evoluzione darwinianamente intesa. La religione, come l'istinto che ne è il supporto, non si abolisce con un atto di volontà governativa: terminata la sua funzione, si estingue lasciando definitivamente il posto alla scienza. Ma la stessa scienza smetterà di essere un prolungamento della magia e della religione che ad essa si sovrappongono nell'arco temporale. Liberata dalle pastoie degli interessi sociali, la nuova scienza, veramente unificatrice dell'uomo con l'intero universo, gli atomi e le forze che lo definiscono, si estinguerà essa stessa, almeno nella forma in cui la conosciamo oggi. La nuova scienza perderà il carattere sottolineato dall'étimo attuale per ritornare a quello originario di unità del conoscere. Vi sarà vera scienza quando si andrà oltre le nozioni separate per tendere ad un unico sistema coerente in grado di spiegare, prevedere e modificare la natura. Questa non risulterà così modificata secondo quello che gli stessi borghesi hanno chiamato "errore epistemologico", cioè agendo via via sui guai che le precedenti azioni hanno provocato, in un circolo vizioso infinito (in economia, nella società, sull'ambiente ecc.), ma in armonia con le sue stesse leggi.

L'uomo con la sua presenza ha profondamente modificato la natura, come del resto anche microscopici esseri che hanno dato luogo ad ampie strutture geologiche. L'ha fatto per milioni di anni interagendo con l'ambiente in modo del tutto spontaneo e continua a farlo. Se inquina l'ambiente è costretto a disinquinarlo, e solo in un tempo successivo si pone il problema se per caso non costi meno evitare l'inquinamento o se proprio il disinquinamento non sia un benefico business.

Le cosiddette leggi del mercato soggiacciono a questa regola "selvaggia" così come vi soggiacciono la produzione agricola e tutta l'economia. Il grande meccanismo regolatore del capitalismo e delle società precedenti è come il termostato: agisce facendo diminuire o aumentare la temperatura quando questa tende a creare condizioni non volute. Solo che il termostato ha un solo parametro da vagliare, la temperatura, mentre la società tende a funzionare secondo regole caotiche, cioè riducibili a parametri solo quando se ne conosca la natura intrinseca. L'autoregolazione economica, sociale e ambientale avviene soltanto attraverso le crisi, cioè quando ormai la "temperatura", ovvero l'effetto non voluto, si verifica in modo macroscopico, quando non addirittura catastrofico.

La struttura della nuova società nasce dalla negazione che quella vecchia opera verso sé stessa (il Capitale stesso espropria i capitalisti giungendo al dominio anonimo sullo Stato) e agisce sulla natura secondo quello che abbiamo chiamato rovesciamento della prassi, cioè la rottura programmata del circolo vizioso attraverso un'armonica azione di specie.

La differenza fra il sedicente marxista e il marxista autentico in campo religioso sta tutta qui; per questo negli articoli che presentiamo viene sottolineata la non troppo paradossale superiorità della Chiesa e del suo Papa nel centrare il bersaglio a proposito dell'inumanità del regime capitalistico, emulantesi nei suoi due tronconi, quello dell'Ovest e quello dell'Est.

Mentre papa Pacelli indirizzava i suoi missili teleguidati da una esperienza bimillenaria, i poveri italici epigoni degli edificatori di socialismo in un solo paese (per di più adeguandosi alla divisione poco socialista di Yalta) si barcamenavano in quello che le moderne scuole di strizzacervelli chiamerebbero un loop logico. Si tratta di un circolo vizioso, una via senza uscita che si instaura quando l'incomunicabilità tra individui ha certe caratteristiche e fa scattare meccanismi che incastrano irrimediabilmente il povero cristo alla più classica schizofrenia, quando non si adagi adeguatamente nel "quotidiano" capitalistico.

La patologia dell'opportunismo è molto simile. Le rivoluzioni borghesi hanno dimostrato che il primo passo dell'ateo, quello del "materialismo intuitivo", è quello di combattere la Chiesa e i suoi preti quando questi rappresentino il potere. Una volta conquistato tale potere, l'ateo borghese, conseguentemente, rivendica che la religione diventi un affare privato e addiviene di buon grado ad un compromesso sulla "libertà religiosa". Anzi, sfrutta la religione a fini conservatori. Non ha nessun bisogno di repressione, a parte la fase storica di passaggio.

I falsi marxisti entrano nel paradosso logico quando sostengono la necessità di combattere la Chiesa e la religione (oppio dei popoli) a meno che la Chiesa smetta di "fare politica". Se la Chiesa rinunciasse alla commistione tra religione e politica borghese, allora sarebbe ammessa la "libertà religiosa". La loro parte "marxista" sostiene la necessità di combattere la religione in quanto alleata del potere capitalistico, mentre la loro parte borghese ammette la possibilità di non combatterla se i religiosi la smettessero di fare politica. Ma la religione non è come lo Stato, strumento che sarà utilizzato transitoriamente dalla politica proletaria per demolire il potere borghese. Essa non si può evidentemente utilizzare per una staliniana edificazione del socialismo. Il destino della religione non dipende da una questione di "libertà", ma dalla maturità della rivoluzione che scaturisce da rapporti sociali ben determinati. In ultima analisi il destino della religione dopo la vittoria proletaria dipenderà dalla forza relativa della rivoluzione.

Facendone una questione di "libertà" è necessario ammettere una Chiesa che faccia il suo lavoro pastorale, che faccia quindi la sua propaganda, le sue prediche da tutti i pulpiti distribuiti capillarmente, in tutti i chiostri e le sagrestie, in tutte le sale stampa e i punti di vendita militante, in tutte le missioni all'estero. Questa sua propaganda sarà tanto più forte quanto più la rivoluzione sarà debole, perché ogni movimento religioso ha un suo braccio combattente e ha la consapevolezza millenaria che il potere costituito, quando sia ben saldo, non può essere attaccato frontalmente. Di qui il risultato schizofrenico dello sdoppiamento perenne fra compromesso e repressione che caratterizza l'opportunismo gestore di una controrivoluzione spacciata per socialismo. Nel caso non si tratti di maneggio della macchina statale come in Russia e satelliti, ma di semplice competizione elettorale come nell'italietta che Yalta lasciò agli americani, lo sdoppiamento non sussiste, rimane il compromesso puro e semplice.

La religione, finché esiste, non può diventare "un affare privato". Questa espressione, che sembra sia stata utilizzata per la prima volta nel programma socialdemocratico di Erfurt, non spiega nulla e può servire al più come formula propagandistica. I borghesi l'hanno applicata e rinnegata prima che diventasse consuetudinaria fra le file socialiste. Engels fece in tempo a criticare la consuetudine prima che diventasse un becero luogo comune e Lenin ne utilizzò gli argomenti contro gli ultrasinistri atei russi che anteponevano la lotta ideale al movimento materiale.

Gli esponenti della Rivoluzione Francese, che nel 1793 volevano abolire Dio per decreto, non si accorsero di cadere in un'incredibile contraddizione: abolire una cosa che, per loro stessa ammissione non esisteva e ritenere questa inesistente entità "causa" delle miserie sociali. Engels ritorce questa contraddizione anche contro gli esuli blanquisti della Comune di Parigi a Londra che, esattamente un secolo dopo, radicaleggiano con lo stesso argomento: "Nella Comune non c'è posto per il prete; ogni manifestazione, ogni organizzazione religiosa deve essere liquidata".

Nota Engels che quando si scrivono ordini sulla carta bisogna nello stesso tempo sapere come e con quali mezzi farli rispettare e ciò porta alla ovvia obiezione in campo religioso: "Ciò che vi è di certo, è che il solo servizio che ai nostri giorni si possa ancora rendere a Dio è di proclamare l'ateismo un simbolo coercitivo di fede".

Lenin afferma che il problema religioso va affrontato con la dialettica materialista, intendendo con ciò che bisogna comprendere sia la sfera millenaria in cui si muove il pensiero religioso, sia il rapporto stretto che esiste fra modo di produzione, classe al potere e religione. La lotta contro la religione e le Chiese organizzate (ma Chiesa, adunanza, comunità, presuppone di per sé organizzazione), comprese quelle "laiche" predicanti pace e tolleranza sociale, non può essere lotta tra princìpi. La Rivoluzione d'Ottobre scalzò dal potere l'ultima classe feudale e da allora l'impostazione borghese della lotta antireligiosa non ha più senso; "da allora ogni ateismo della borghesia e dei suoi ordinamenti è finito, ed il rapporto borghesia-religione è capovolto (...) I marxisti combattono tutti questi cristiani sociali senza bisogno di risalire alla confutazione filosofica del bagaglio teologico, come occorse fare ai liberi pensatori borghesi".

Il marxismo è spietato nemico della religione, ma il materialismo impone di tener conto che essa non è una entità sociale o produttiva che si possa abbattere o conquistare con la rivoluzione. Di qui l'osservazione di Lenin a proposito della possibile confusione fra l'atteggiamento materialistico attento alla natura della religione e l'opportunismo che rovescia tale atteggiamento trasformandolo in "moderazione" o "considerazioni tattiche" o, peggio ancora, "manovra intesa a non spaventare" ecc.

Ne deriva che la propaganda e l'azione antireligiosa sono uno dei compiti del partito rivoluzionario, ma esso è assolutamente secondario rispetto al "compito fondamentale", che è quello di lavorare allo "sviluppo della lotta di classe delle masse sfruttate contro gli sfruttatori".

"Ma come?", dice Lenin fingendosi interlocutore pseudomarxista, "subordinare la propaganda ideale, la predicazione di certe idee, la lotta contro il millenario nemico della cultura e del progresso, alla lotta di classe, cioè alla lotta per determinati fini pratici in campo economico e politico?". Certo, è la risposta: "Il marxista deve essere materialista, ossia nemico della religione, ma materialista dialettico, che pone cioè la causa della lotta contro la religione non su un piano astratto, non sul piano puramente teorico di una predicazione sempre uguale a sé stessa, ma in concreto, sul piano della lotta di classe che conduce di fatto ed educa le masse più e meglio d'ogni altra cosa".

Potrebbe un prete far parte del partito rivoluzionario? Qui Lenin si dilunga in una casistica che deriva dalla peculiare situazione russa e conclude: "I convincimenti religiosi del prete potrebbero restare (...) una contraddizione puramente personale, e un'organizzazione politica non può sottoporre i propri iscritti a un esame sull'assenza di contrasti tra le loro opinioni e il programma del partito". Un prete che lavorasse coerentemente a questo programma sarebbe un fenomeno ben strano "persino in Europa" e, aggiungiamo, fortunatamente ci pensano le condizioni materiali ad evitare una simile evenienza. Lenin esagera, come spesso gli succede, "torcendo il bastone dalla parte opposta per raddrizzarlo", ma l'esempio, per quanto paradossale, è calzante: la rivoluzione marcia secondo l'integrazione di spinte materiali e del programma che le ha raccolte teoreticamente, i singoli atomi che coagiscono verso il risultato non influiscono sul percorso generale. "Tutto il meccanismo cristiano sul comportamento dell'uomo nel trattare con gli altri uomini è invocato ed applicato a fini borghesi e quale specifico per sedare ed eliminare la lotta di classe rivoluzionaria (...) La contraddizione è più profonda. Il marxismo non è una regola di comportamento del singolo, non è la conquista di postulati per la persona umana".

Opportunismo e positivismo volgare

I testi che presentiamo si intrecciano perfettamente con l'esposizione di Lenin. La posizione marxista non ha nulla a che fare con quella dei predicatori dell'intolleranza religiosa che, abitualmente, finiscono per sposare la tolleranza politica e propugnano non l'abbattimento del capitalismo ma un suo modello revisionato. Come marxisti siamo intolleranti, e la prima cosa che ci fa andare in bestia sono i discorsi sulla "libertà di pensiero" in un mondo in cui l'unica libertà è quella di assimilare pedestremente l'ideologia della classe dominante, ideologia dalla quale, senza l'apporto di un fermento rivoluzionario, ben pochi riescono ad emanciparsi.

La prova dei fatti è evidente: i predicatori stalinisti del libero pensiero e della tolleranza hanno percorso l'iter obbligato dell'opportunismo. In Italia hanno incominciato molto presto a strepitare contro il fascismo alleandosi con preti e borghesi contro questa forma particolare della stessa dominazione borghese, riempiendosi a poco a poco la bocca con le parole libertà e democrazia; "A parole hanno percorso questo cammino, nei fatti quello ancora più lungo che conduce al terrorismo controrivoluzionario. Voltaire fa ridere, ma sarebbe camomilla in mano ai porgitori di cicuta". In Russia, di fronte ai plotoni di esecuzione staliniani, che rappresentano una cicuta aggiornata con il macchinismo moderno, salta agli occhi la menzogna storica: si è messa a morte la vecchia guardia bolscevica, si è fatta la pace con l'imperialismo prima tedesco e poi americano.

La propaganda, religiosa o meno, non è subordinata, nella Russia staliniana, alla marcia effettiva della rivoluzione proletaria. Al contrario. La propaganda rimane un fatto sterile, una distribuzione mondiale di idee imbastardite contrabbandate come marxismo, mentre la reale lotta di classe prende la forma di "edificazione del socialismo in un paese solo", vale a dire del capitalismo con tanto di merci, salari, estorsione di plusvalore e... religione, viva come non mai nel cervello del cittadino russo.

La tesi di Lenin è stata capovolta. Invece di subordinare la lotta delle idee alla reale lotta di classe per la rivoluzione, il partito ha subordinato la rivoluzione alle idee; la lotta di classe non era più quella del proletariato per la rivoluzione ma quella delle categorie capitalistiche per il capitalismo. Le idee che ne sono derivate, della stessa natura di quelle della borghesia, si sono adattate perfettamente a questa nuova situazione. Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti.

"Le dominazioni di classe vacillano quando, nel processo reale delle forme organizzate della produzione, violente incompatibilità con i tradizionali ingranaggi spingono l'avanguardia di una classe finora inginocchiata a sciogliersi dalle ipocrisie della tolleranza, per prendere la grande, intollerante via della Rivoluzione (...) Libero di pensare sarà il proletariato quando non dipenderanno dall'ordinamento e dal potere capitalistico, Lenin scrive, le sale di riunione, le sedi delle associazioni, le scuole, le università, le tipografie dei giornali, i teatri, i cinema. Non si tratta di liberare gli spiriti, ma di prendere tutte queste posizioni, colle armi alla mano, vietandone l'impiego e l'uso ai difensori di dottrine tradizionali".

Nell'ottobre del 1846 Engels scrive a Marx: "Finalmente, dopo lungo esitare, mi sono accinto a leggere quella porcheria di Feuerbach [L'essenza della religione], e trovo che nella nostra Critica [L'ideologia tedesca] non possiamo occuparcene (...) Volendo dire qualche cosa sulle sue banalità intorno alla religione della natura, al politeismo, al monoteismo, si dovrebbe contrapporvi la vera evoluzione di queste forme di religione, ma per questo bisognerebbe prima studiarle. Ma ciò ci riguarda tanto poco per il nostro lavoro quanto la sua spiegazione del cristianesimo".

Alla data della lettera, L'ideologia tedesca era già quasi completata e in cerca di quell'editore che alla fine non si trovò, per cui le bozze rimasero alla "rodente critica dei topi" fino a quando non furono riscoperti dopo la morte degli autori. Nel volgere di pochi anni la simpatia che Engels e Marx avevano per Feuerbach si era trasformata prima in una difesa critica dagli attacchi di chi era peggio di lui, e poi in un rigetto, come appare dalla lettera citata. Sarebbe sbagliato dire che Marx o Engels avevano cambiato idea con il cambiare dei tempi. Feuerbach ripete sé stesso e fossilizza concetti che qualche anno prima avevano invece contenuto eversivo. Sono i tempi della rivoluzione che, bruciando le idee, eliminano dal percorso quelle che non anticipano la rivoluzione stessa.

Le lotte di classe del '48 eliminano un bel po' della cianfrusaglia teorica corrente, tanto che lo stesso Marx nel 1859 ammette di lasciare volentieri ai topi la gran mole di lavoro che era stato fatto per demolirla: a ciò ha già pensato il corso materiale delle cose. La nuova arma critica prenderà la forma sintetica e potente del Manifesto.

Diversamente, dopo la sconfitta della rivoluzione e la brutta fine della Lega dei comunisti, il lavoro di completamento della teoria rivoluzionaria riprende sistematico e le armi passano di nuovo dalle barricate alla penna. Nell'aprile 1863 Engels scrive a Marx di aver letto "le nuove cose di Lyell e di Huxley, ambedue interessantissime e ottime". Lyell era il geologo che aveva profondamente influenzato Darwin con la sua opera sulla stratigrafia della Terra e che provocò un violento rigetto da parte dei sostenitori della versione biblica sugli eventi preistorici. Huxley era il naturalista inglese che, conosciuta l'opera di Darwin, ne divenne un accanito difensore propugnando un atteggiamento agnostico della scienza nei confronti della religione.

Engels racconta che "adesso si fa qui un grande strepito con violenti attacchi contro le antiche credenze, e da tutte le parti. Sarà presto necessario", aggiunge, "approntare a difesa della religione un piscioso sistema di razionalismo". L'aggettivo probabilmente serve a sottolineare quanto gli scocci non tanto difendere razionalmente la religione, cosa fattibile dato che questa rappresenta la scienza antica, quanto scendere sul terreno dell'ateismo positivistico borghese che obbligherebbe a dissertare su cose ovvie per un materialista dialettico. Engels manterrà più o meno lo stesso atteggiamento quindici anni dopo, quando si tratterà di strigliare il signor Dühring.

Non è vero che "i nemici dei miei nemici sono miei amici", come recita la formuletta che insegnano ai bambini per afferrare i primi concetti di algebra. Bordiga dovette scrivere un Plaidoyer pour Staline per dimostrare che i nemici del nostro nemico erano peggio di lui. Fece la stessa operazione per dimostrare che la millenaria esperienza della Chiesa cattolica, per bocca del suo capo, vedeva più lontano dei sedicenti rivoluzionari marxisti seguaci di Stalin.

Antica grandezza del Verbo e impotenza capitalistica

Millenovecentocinquanta: papa Pacelli ha appena scomunicato tutti i cattolici che accettano il comunismo o lavorano per i comunisti attentando alla libertà della Chiesa. Eppure, all'apertura del 25° Anno Santo, egli pronuncia un messaggio pastorale che è una durissima condanna del capitalismo. Non c'è contraddizione per la Chiesa, che distingue i rapporti fra l'uomo e la divinità da quelli tra uomo e uomo. Parlando dei rapporti con la divinità il papa condanna ovviamente il comunismo, ma prima di passare alla critica del nemico ateo egli conduce una critica inequivocabile alla società presente che, di fronte alle esigenze umane, non ha saputo che fallire: "Questo fallimento si è manifestato in un duplice terreno, quello dei rapporti sociali e quello dei rapporti fra le Nazioni".

Mancano ancora sei mesi allo scoppio della guerra coreana, ma l'umanità sta ancora riparando le ferite del grande massacro mondiale, le rovine di Hiroshima e Nagasaki sono ancora radioattive, le truppe americane e russe si fronteggiano in varie parti del mondo e la ricostruzione capitalistica impone dei ritmi di lavoro bestiali con salari da fame. Il bilancio è chiaro ed è sintetizzato da una parola presa a prestito dalla terminologia affaristica: fallimento.

Ma, come nella maggior parte dei fallimenti borghesi, la morte dell'uno serve alla sopravvivenza dell'altro. L'egoismo e la sopraffazione tra nazioni ha un suo corrispettivo nell'egoismo e nella sopraffazione fra gli uomini. La lotta di classe ha sussulti acuti per la ricerca di condizioni meno miserabili e, nello stesso tempo, la grancassa dell'emulazione spinge alla ricerca del denaro e della ricchezza da tutte le fonti di comunicazione sociale. Insieme al tessuto produttivo della società capitalistica viene costruito un tessuto sociale infame dove l'infelicità è regola e la concorrenza lo stimolo.

Millenovecentocinquantacinque, Natale: la ricostruzione postbellica marcia a gonfie vele sull'estorsione forsennata di plusvalore dalla forza lavoro. L'Italia si avvia verso il boom economico, l'orgia dei consumi è alle porte e si annuncia con i raduni nelle case, nei bar, nelle bocciofile, davanti alla scatola magica che scandirà il ritmo di crescita del Prodotto Nazionale Lordo, il nuovo dio contro cui Pacelli combatte una battaglia persa.

Diciassette pollici di immagini grigiastre, ancora posseduti da pochi, ma ambìti come un traguardo supremo da tutti, come status symbol e come evasione da un mondo impossibilitato a dare quella felicità sempre promessa e mai vista. Una nuova religione?

Nessuna macchina inventata dall'uomo l'ha mai fatto rimanere per tante ore di fronte a sé senza costrizione. Nessuna fonte di informazione ha mai catturato l'anima come il diabolico tubo catodico.

Non si sapeva nel 1955, ma la grandezza dell'organismo cattolico lo previde e spinse il suo capo a condannarlo: attenti, egli disse, sta per morire il gusto alla qualità della vita, sacrificato dalla superstizione quantitativa, idolo capitalistico per eccellenza. Quando avrete sarete fregati perché non saprete che farvene. La corsa ad avere è una corsa in una strada cieca.

"Questa superstizione non è neppure atta ad erigere un baluardo contro il comunismo perché essa è condivisa dalla parte comunista oltre che da non pochi della parte non comunista. In questa errata credenza le due parti si incontrano, stabilendo in tal modo una tragica intesa, tale da poter ridurre gli apparenti realisti dell'Ovest al sogno di una vera possibile coesistenza".

Come si fa, di fronte alla potenza di un linguaggio invariante, coerente nei secoli, abbassarsi al livello della critica illuministica, filosofica, della religione? L'espressione teorica del comunismo, questo movimento reale che cambia lo stato presente delle cose, è consapevole di non essere nata prima della vita materiale degli uomini, ma da essa e solo ad un certo punto del suo sviluppo. È teoricamente sbagliato mettersi sul piano della religione e confutarne i dogmi, la struttura, il metodo, in una tenzone delle idee. La teoria comunista spiega la religione "come moto del suo tempo storico; lo dichiara effetto rivoluzionario di una lotta di classe, alle origini; lo considera nell'oggi strumento conservatore legato agli interessi di classi sociali dominanti; intanto combatte contro di lui".

Dato che il confronto è impossibile, il comunista rozzo e approssimativo che lo accetta soccombe. La Chiesa riassume in sé un passato reale con una valenza enorme; il comunista rozzo riassume in sé la contraddizione di una società ormai atea che abbisogna ancora di religione; il comunista coerente riassume in sé il programma della società futura. Quest'ultimo non accetta nessun confronto, vero arnese democratico, ma descrive scientificamente la traiettoria data dei modi di produzione e delle religioni, compresa quella quantitativistica, cui essi danno luogo.

Il comunista rozzo si riempie la testa e la bocca dei valori presi a prestito dalla società che lo circonda, la democrazia, la libertà, l'antifascismo e, perché no, il benessere. Egli non riuscirà mai a dare una critica dell'esistenzialismo o dell'edonismo consumistico di potenza pari a quella della Chiesa, che pretende di sopraffare col confronto, perché essa è a distanza siderea dalla piccolezza del mondo quantitativistico. Nel migliore dei casi, dice il papa a proposito del Natale, ricorrenza del mistero più profondo della religione che rappresenta, gli uomini hanno una concezione "terrena" di tale mistero. Concezione terrena sta per festa pagana. E siamo nel 1955, agli occhi di Pacelli non si dispiegava ancora l'orgia "natalizia" attuale. "Altri ancora ricercano una vita interiore inconsistente perché chiusa in sé e quindi ridotta ad una solitudine sdegnosa e quasi disperata (...) Altri infine, indifferenti e insensibili a tutto, non apprezzano né la grandezza di ciò [la sdegnosa solitudine] né la dignità dell'uomo, ma vivono una vita senza senso". E il nostro testo glossa: "Anche questa è una formula che deve restare, la vita senza senso".

Abolizione, non emulazione di Chiese e Templi

La forza della religione sta nella sua necessità in rapporto allo sviluppo sociale, ma anche nell'invarianza della sua dottrina, che da questa necessità deriva. Finché c'è necessità, non c'è bisogno di cambiamento. Infatti la religione cambia pochissimo dal punto di vista dottrinario nei secoli, mentre fa sue le istanze pratiche. I grandi movimenti eretici finiscono magari per coinvolgere la dottrina, ma partono per risolvere problemi reali. La religione è totalitaria di fronte al fenomeno eretico: o lo distrugge o lo ingloba neutralizzandolo. Essa è indifferente al passare dei secoli e anche al passare dei modi di produzione, sono questi che adoperano la religione, non il contrario.

Dal punto di vista marxista la grande suddivisione non è tra le grandi religioni che si sono affermate quali oggi le conosciamo, ma tra i tipi di "religione" che l'umanità ha conosciuto percorrendo la strada della conoscenza del mondo di cui faceva parte. Attenzione alle virgolette. Se noi sostituissimo il termine "religione" con un altro, forse saremmo meno influenzati dall'uso corrente che se ne fa.

Lenin affronta il problema di quei rivoluzionari che in Russia, nella foga propagandistica, utilizzavano la formula "il marxismo è la mia religione". Oggi non sarebbe un problema, nemmeno per l'opportunismo più tenace; nessuno la userebbe più. Lenin tratta la cosa come una trasgressione veniale e la liquida in poche parole. Ma è un peccato che si fermi lì. Trattando la religione come una parte dell'intero processo della conoscenza, vediamo che gli ignoti propagandisti russi dicevano una fesseria utilizzando il termine, ma inconsapevolmente non sbagliavano nel concetto, perché "al borghese metafisico contrapporsi pomposo di scienza e religione noi sostituiamo la considerazione di esse come tappe di uno stesso processo conoscitivo".

La dimostrazione che la Chiesa ha assimilato l'essenza del processo conoscitivo come scienza, pur rovesciandone nel dogma la validità epistemologica, è racchiusa nelle parole di Pacelli: "Dio, somma Verità, ha creato e regge l'intelletto umano non affinché, alle verità rettamente acquisite, ogni giorno esso ne contrapponga di nuove, ma affinché, rimossi gli errori che eventualmente si fossero insinuati aggiunga verità, nel medesimo ordine e con la medesima organicità con cui vediamo costituita la natura stessa delle cose, da cui la verità si attinge". E il nostro testo fa notare come totalmente diversa sia l'impostazione opportunistica di uno Stalin, per il quale il marxismo (o la scienza onnicomprensiva), invece, non conosce formule immutabili, non ammette invarianti storici, perciò innova continuamente nel senso che va dove tira il vento della situazione immediata. La natura stessa delle cose, invocata dal papa di Roma e ritorta dai nostri testi contro il papa di Mosca, ci dimostra che l'ordine e l'organicità sono caratteristiche di intere epoche e di interi continenti, parlando dell'oggi capitalistico.

Da quanto dura questo tempo? Duecento anni? La natura delle cose ci dice che vi sono state soltanto tre fasi nei rapporti del proletariato con la borghesia: lotta comune contro il feudalesimo; lotta per la democrazia e per la modifica delle condizioni esistenti; lotta per la distruzione delle condizioni esistenti. Non quindi libertà di teoria e di tattica, ma aderenza ai tre grandi momenti.

Ma se parliamo della religione, del rapporto fra l'uomo e la natura, la fase in cui riscontrare l'invarianza si allunga enormemente fino agli albori della società.

Quando l'umanità scopre che con la produzione si ottiene un surplus in grado di rompere definitivamente l'equilibrio dell'uomo raccoglitore con la natura, dà inizio a un ciclo che possiamo considerare unico, quello della ripartizione del prodotto. Esso durerà finché esisteranno le categorie cui ha dato luogo, cioè la divisione in classi, la proprietà privata, lo Stato e, giungendo fino a noi, la creazione di plusvalore, forma capitalistica del surplus. Questa forma invariante origina al livello del processo di conoscenza un altro grande passo che dovrà essere superato, quello della divinità posta nei cieli a regolare il determinismo materiale, chiamato nelle metafisiche destino.

Schematizzando al massimo le conoscenze acquisite fino ad oggi, la sequenza parte da un'umanità che prende consapevolezza del mondo circostante e ne applica l'osservazione al proprio mondo sociale tramite delle metafore adatte. Non c'è produzione, o questa è così limitata da non dare origine a troppe differenze sociali al di fuori di quelle biologiche. Questo stadio è stato chiamato "totemistico". La cosiddetta magia implicita in questo tipo di conoscenza è molto meno ridicola del feticismo odierno intorno alla merce. L'ambiente della natura comprende l'uomo, quindi esso rappresenta per l'uomo stesso una fonte di metafore coerenti, un sistema di conoscenza che lo mette in grado di valutare sé e la propria organizzazione sociale.

Con le primissime forme di produzione, allevamento, pesca, conservazione dei prodotti, il processo si rovescia. L'uomo non viene più inteso come parte integrante della natura, ma come agente sulla natura: egli proietta sé stesso sull'ambiente circostante e fornisce identità ai suoi componenti, sole, acqua, terra, montagne, boschi. Questo stadio è stato chiamato "animistico". Non è ancora rotto il rapporto con la natura perché i suoi elementi dialogano con l'uomo e la rottura del legame con essi viene interpretato come una sciagura. Questi due stadi, agli effetti del discorso che stiamo facendo, possono essere considerati un solo grande periodo invariante nel percorso della scienza: non esiste produzione di surplus, almeno in modo significativo.

L'immensa rivoluzione umana rappresentata dall'agricoltura e dalla produzione vera e propria, cui segue la costituzione delle primissime forme urbane, fa sì che l'uomo si separi definitivamente dalla natura e questa separazione si rifletta nelle metafore che servono a regolare la vita sociale e i processi della conoscenza: nasce il concetto di divinità e il mito la rappresenta sempre più antropomorfa. Questa fase, iniziata da circa diecimila anni, dura tuttora e si avvale di tre ulteriori invarianti: il dio, il tempio e la liturgia dei suoi sacerdoti.

Da pochissimo tempo, circa tre secoli, la maturazione sociale induce l'uomo a inserire un cuneo possente in questo processo per interromperlo e quindi rovesciarlo. Ma occorrerà una rivoluzione di portata non meno grandiosa di quella agraria che ebbe la sua culla nel Medio Oriente cento secoli fa, per portarlo a termine.

Oggi tutta la moderna ricerca scientifica è ancora permeata di soggettivismo, quando non addirittura di forme che rispecchiano i meccanismi economici capitalistici. Si tratta di un modo "moderno" di divinizzare il pensiero umano, di proiettarlo sulla natura invece di vederlo qual è: un suo prodotto.

Separando il pensiero dalla natura di cui fa parte, cioè separandolo dai rapporti materiali tra uomini, dalla società, dalla produzione e dall'universo intero, si opera ancora al livello della scienza dell'epoca della divinità. Il processo della conoscenza non è ancora scienza ma rimane religione. Viviamo ancora nella seconda grande epoca il cui invariante epistemologico è la divinizzazione della conoscenza, cosa che non esclude la sua immolazione al vitello d'oro, naturalmente. L'ateismo positivistico o materialista borghese è ancora parte integrante di questa lunga epoca perché non ne tocca le categorie permanenti. Esiste ancora il dio (o pensiero, o capo), il tempio (o università, o... Kremlino o Casa Bianca), il sacerdote con la sua liturgia (o scienziato, o funzionario di partito e congressi).

La Chiesa cattolica per bocca di Pacelli difende la concezione marxista degli invarianti. Essa è uno dei prodotti di questi diecimila anni di "divinità" e non può tollerare il prossimo grande balzo che la dovrà cancellare, ma chiude la bocca a tutti gli Stalin e a tutti i cultori delle dottrine del dubbio che brancolano per tentativi là dove la scienza esistente finora ha proceduto tramite certezze mettendole in scala "nel medesimo ordine e con la medesima organicità con cui vediamo costituita la natura stessa delle cose" come dice il suo capo nell'anno 1950.

Certamente, seguiamo ancora il nostro testo, "le 'verità eterne' possono essere espulse dalla scienza, oggi, in modo più radicale perfino di quanto faceva Engels nell'Antidühring, dividendo le verità in tre gruppi: scienze fisiche, biologiche, sociali". Il confine tra queste divisioni diventa sempre più labile e nessuna di esse può ormai fare a meno di processi interdisciplinari. Ma ciò non ha nulla a che fare con la revisione continua che si basa sulla contingenza, sull'attualità per cui "gli apporti della storia più recente sono adoperati al rovescio del loro significato scientifico, e le rettifiche non nascono da aggiornamento teorico, ma da volgare ragione di Stato (...) L'emulazione è tra i simili, non tra gli antagonistici. Lo avete già emulato [il vostro simile d'oltre Oceano], siete un'altra patria del capitalismo imperialista".

L'emulazione non è riuscita tanto bene in Russia, a quanto pare. Lo stalinismo è morto, ma gli epigoni del marxismo che si professano antistalinisti pur continuando sulla strada di baffone in partiti e gruppetti più o meno ufficiali, non demordono. A questa gente sembra non sia riuscito neppure di estraniarsi dalla concezione religiosa del mondo e della lotta di classe. Esorcizzano o, al contrario divinizzano il "pensiero" di Marx e si adoperano come chierici ("atei" o "credenti") a perpetuare una liturgia fine a sé stessa, morta, proprio mentre il mondo ci mostra da ogni parte nei fatti che il marxismo è vivo più che mai.

E la Chiesa attuale per bocca di papa Woytila risponde come rispose Pacelli, con una presa di posizione che distrugge teoreticamente l'errore epistemologico di cui abbiamo parlato: il mondo non è affamato e angosciato perché siamo in troppi; siamo in troppi rispetto alle cause che generano la fame e l'angoscia. Non si può rovesciare la questione, dice il papa; se il capitalismo genera fame, è assurdo predicare un'azione sugli effetti e non sulle cause. Abbassate il numero dei nati al di fuori dell'armonico sviluppo della specie e vi troverete con nuovi focolai di miseria e angoscia in un circolo vizioso. Nessuna forma sociale umana era mai giunta a negare sé stessa fino al punto di teorizzare la distruzione del proprio germe. Discorso antico, certamente; ma quale distanza dai moderni balbettamenti di formule immediatiste procedenti non secondo programma, ma per correzione continua di errore.

Torino, maggio 1994.

Note

[1] Lenin, Progetto di programma del PCR(b), Editori Riuniti, Opere Complete, vol. 29 pag. 118.

[2] Lenin, Sul materialismo militante, Opere complete cit. vol. 33, pag. 208.

[3] Lenin probabilmente si riferisce ai tre esponenti del materialismo ateistico puro francese all'epoca dell'illuminismo, La Mettrie, Helvétius e d'Holbach, quest'ultimo collaboratore all'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert. Non tutti gli illuministi francesi erano atei, Voltaire, per esempio, critica d'Holbach che rifiuta qualsiasi ipotesi di teismo, mentre egli, pur affermando che "Dio ha fatto l'uomo a sua immagine, ma l'uomo lo ha pienamente contraccambiato" e pur rifiutando la religione dei teologi, è a modo suo credente. Diderot è un ottimo materialista che anticipa alcuni moderni risultati della ricerca scientifica, ma crede in un dio immanente, anche se critica il materialismo metafisico di d'Alembert. Quel che è importante è che tutti, teisti, panteisti o atei, anticipatori o costruttori di quella "macchina da guerra per distruggere l'Ancien Régime" che fu l'Enciclopedia, sostengono che la realtà è riconducibile ai suoi princìpi naturali, che la Terra su cui vivono gli uomini è un punto dell'universo che è tutto da conoscere, calcolare, sperimentare. Il mondo fisico è una realtà di cui l'uomo fa parte, con cui occorre comunicare e da cui si traggono informazioni, non attraverso la divinità, che a questo punto diventa inessenziale, come dirà Laplace allo sbigottito Napoleone, ma attraverso la liberazione del pensiero, la matematizzazione, che rappresenta la rottura delle catene imposte dalla metafisica fra gli uomini e il mondo e fra le stesse discipline che vogliono studiare il mondo.

[4] Lenin, Sul materialismo militante cit.

[5] Ibid.

[6] E. Carr, Le origini della pianificazione sovietica - III, cap. LIV, Einaudi.

[7] Engels, Ludwig Feuerbach, cap. III.

[8] Citato in: Amadeo Bordiga, Fattori di razza e nazione, Quaderni Internazionalisti, pag. 25.

[9] Per quanto riguarda il citato "errore epistemologico" vedere Patologie dell'epistemologia di Gregory Bateson in Verso un'ecologia della mente, Adelphi, pag. 497 e segg.; A. Bordiga, Il rovesciamento della prassi, in Partito e classe, ed. Il programma comunista, pag. 120 e segg.

[10] Confronta in questo volume Marxismo di fronte a Chiesa e Stato.

[11] Il movimento di "scristianizzazione" durante la Rivoluzione Francese ebbe carattere popolare e fu imposto alla Convenzione gradualmente. Durò circa tre anni, dal 1790 al 1793 quando, il 23 novembre, fu sanzionato il dato di fatto della chiusura delle chiese, molte delle quali furono "consacrate" alla Ragione. Al culto dei santi fu sostituito il culto dei martiri della Libertà, originato dal culto popolare per l'assassinato Marat. Danton chiese che si smettesse con le mascherate neoreligiose e Robespierre si preoccupò per il crollo della Virtù Rivoluzionaria. Si cercò di arginare il movimento, ma ancora nel 1794 le chiese erano chiuse.

[12] Engels, Il programma dei fuorusciti blanquisti della Comune, in La Comune di Parigi, Savona, Edizioni International.

[13] Vedi in questo volume Cristianesimo e politica.

[14] Lenin, L'atteggiamento del partito operaio verso la religione, Opere Complete citate, vol. 15 pag. 381 e segg.

[15] Ibid. Da questo punto di vista il problema della propaganda antireligiosa in fondo è lo stesso problema che si pone in generale con la propaganda contro il capitalismo. Negli anni di formazione della corrente che darà vita al Partito Comunista d'Italia, Bordiga scrisse molti articoli contro la concezione "culturalista" della rivoluzione. Il proletariato è educato all'odio verso il capitalismo e alla necessità della lotta per il socialismo non dalla propaganda intesa come "scuola" che insegni concetti e princìpi, ma da un ambiente ferocemente anticapitalista e antiopportunista. Quel che occorre, dice Bordiga, è una vita di partito che sappia entusiasmare i giovani militanti e gli operai non tanto con gli "insegnamenti" quanto con il suo stesso svolgersi nel lavoro comune, nelle riunioni, nelle lotte.

[16] Vedi in questo volume Cristianesimo e politica. I fatti materiali si sono incaricati di provare l'affermazione di Lenin: in America Latina la cosiddetta teologia della liberazione ha espresso delle punte di lotta a fianco delle masse oppresse cui si è accompagnata l'affermazione che il cristianesimo sarebbe compatibile con il marxismo, a parte la negazione di Dio. Ma tutto ciò non vale solo per il mondo cristiano. A maggior ragione nel mondo asiatico o in quello mussulmano potrebbero ancora verificarsi degli episodi, durante la rivoluzione proletaria, di confusione fra i temi religiosi e quelli rivoluzionari. Non essendo il marxismo una regola di comportamento per i singoli ma la teoria dei movimenti sociali reali, è ovvio che, per comprendere le forze scese in campo ad abbattere il capitalismo, i marxisti non devono fare un'indagine sul "pensiero" religioso di queste forze.

[17] Vedi in questo volume Anticlericalismo e socialismo.

[18] Ibid.

[19] Ora in Il battilocchio nella storia, ed. Quaderni Internazionalisti.

[20] In questo volume citato in Ossature giubilari teoretiche.

[21] In questo volume citato in Sorda ad alti messaggi la civiltà dei quiz.

[22] Ibid.

[23] Ibid.

[24] Lenin, L'atteggiamento ecc. cit.

[25] Vedi in questo volume Chiesa e fede, individuo e ragione, classe e teoria. Qui Bordiga rimanda direttamente a Cristianesimo e marxismo, di Tarsia, già citato.

[26] Chiesa e fede ecc. cit..

[27] Il concetto deterministico di "destino" è molto interessante ai fini della dimostrazione che religione e scienza sono due elementi dello stesso percorso conoscitivo. Per l'antico mondo mesopotamico l'osservazione degli astri serviva a trarre indicazioni per il futuro nel senso che posizioni particolari, ma specialmente segni straordinari, venivano interpretati allo stesso modo dei sogni e degli altri strumenti divinatori. Questi segni avrebbero permesso di modificare il comportamento umano per assecondare il destino o anche per evitarlo. Quando l'astrologia passa nel mondo greco all'incirca nel III secolo A.C., essa subisce una trasformazione a causa del suo innesto sul pensiero stoico e da tecnica divinatoria diventa teoria delle forze universali che agiscono sugli uomini e sugli Stati determinandone l'avvenire e la storia. L'astrologia è criticata nel mondo greco da Platone, Aristotele, Carneade, i quali ne accettano il determinismo ma solo fino al punto in cui è sperimentabile attraverso l'avvicendarsi delle stagioni o il ripetersi dei cicli vitali, mentre negano la possibilità di previsione del futuro. Se il cielo aveva potere totale sulle cose di questo mondo, con l'astrologia veniva estremizzata la teologia del panteismo consistente nel vedere dio nell'intero universo. La risposta indiretta del mondo cristiano a tale teologia deterministica venne molto presto e pretese di essere totalitariamente incompatibile: Dio era al centro della nuova teologia ed era nello stesso tempo padrone del destino dell'universo e degli uomini. Sant'Agostino fu il portavoce di questa posizione, ma era un modo diverso di concepire lo stesso determinismo. Quasi mille anni dopo, san Tommaso d'Aquino introduce nel quadro teocentrico agostiniano le categorie aristoteliche attribuendo la preveggenza a Dio e lasciando al cielo visibile le influenze sul solo mondo corporeo. Senza la rottura operata da Tommaso non sarebbero stati possibili Cartesio, Newton, Einstein. Ma anche i padri della Chiesa, nel cammino della scienza, usarono Carneade contro Babilonia.

[28] Chiesa e fede ecc. cit.

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Chiesa e fede, individuo e ragione, classe e teoria

Quaderni di n+1 dall'archivio storico.

"La posizione dei marxisti dinanzi al problema religioso è stata troppo confusa con quella propria una volta della borghesia nascente e rivoluzionaria, e considerata una semplice sottoclasse di un generale razionalismo e ateismo, con relativi sviluppi anticlericali, sotto il cui ombrellone borghesi 'progressivi' e proletari socialisti stavano fianco a fianco".

Indice del volume

Chiesa e fede, individuo e ragione, classe e teoria