Prefazione alla ristampa (2019)

Il lettore d'oggi che pagina dopo pagina arriverà al capitolo finale in cui si tirano le somme sul piano politico, avrà la netta sensazione di avere tenuto fra le mani un libro straordinario. Presa dimestichezza con un linguaggio potente dal punto di vista letterario ma fuori da canoni della saggistica divulgativa, sarà costretto ad ammettere che il metodo d'indagine adottato ha permesso di intravvedere fenomeni poco evidenti all'epoca in cui il libro fu scritto e ancora in embrione nel 1991, quando scrivemmo la prima nota per i lettori. Ormai la descrizione di un capitalismo dove agiscono capitalisti senza capitale e capitale senza capitalisti non stupisce più, dato che sono fatti diventati comuni, non hanno più bisogno di essere rivelati da una minuziosa ricerca sulla natura del capitalismo, ma sono facilmente constatabili da parte di chiunque abbia un minimo di capacità di discernimento. Oggi sono gli stessi borghesi che, spinti dai risultati della scienza e della tecnica, ammettono l'avanzata di rapporti che non hanno più nulla a che fare con il capitalismo.

Quando milioni di uomini sono coinvolti nella produzione di beni senza percepire un salario, e quando questi beni circolano liberamente senza che l'utilizzatore dia in cambio del denaro, è sempre più difficile sostenere che tutto ciò non ha importanza perché il capitalismo è sempre capitalismo. Quando milioni di uomini partecipano alla condivisione gratuita di prodotti che prima erano merci non ha più senso sostenere che la società è comunque basata sul plusvalore anche se vi sono fenomeni di anticipato comunismo, e che dunque nulla sarebbe mutato per quanto riguarda la tattica rivoluzionaria; la quale rimarrebbe analoga a quella che fu del Partito Bolscevico e della Terza Internazionale.

Ovviamente è vero che il capitalismo è sempre tale anche se crescono i capitalisti senza capitale e i capitali senza capitalisti, se nascono comunità intenzionali dedite allo scambio senza che intervengano rapporti di valore. Ma se il fenomeno si generalizza e diventa soverchiante rispetto al "normale" funzionamento capitalistico in una dinamica che tende al sorpasso, allora non ci sono santi, cambia il paradigma sociale e l'umanità entra in una nuova epoca anche se rimangono invarianti il rapporto fra le classi, la formula del saggio di profitto, l'alienazione e la suddivisione della giornata lavorativa in lavoro necessario e pluslavoro.

L'insegnamento di queste pagine è dunque più pregnante oggi che non quando furono scritte: immaginare un futuro e volerlo realizzare è un atteggiamento inadeguato per i materialisti, sono gli utopisti che inventano un modello di società perfetta che sarebbe in qualche modo un esempio da realizzare. L'utopia non può sostituire la fisica lotta fra le classi, si sottolinea nel libro, perché scaturisce da un pensiero e non da un determinismo materiale soggiacente; non è il risultato di un processo unitario in cui ogni momento è il prodotto di una storia che precede e fattore di una storia che segue. Per una comprensione del processo rivoluzionario il futuro è un elemento necessario quanto il passato, perché conosciuto e previsto non per divinazione ma per determinazione.

"Il problema della prassi del partito non è di sapere il futuro, che sarebbe poco, né di volere il futuro, che sarebbe troppo, ma di conservare la linea del futuro della propria classe [...] Il movimento comunista non è questione di pura dottrina; non è questione di pura volontà; tuttavia il difetto di dottrina lo paralizza, il difetto di volontà lo paralizza. E difetto vuol dire assorbimento di altrui dottrine, di altrui volontà".

A settant'anni di distanza, abbiamo la possibilità di leggere Proprietà e Capitale facendo un confronto con la società informatica, cibernetica o digitale che dir si voglia. Cos'è successo nel frattempo alle anticipazioni di comunismo? Alcuni prevedono la salvezza del capitalismo riformato tramite le potenzialità di macchine intelligenti, altri prevedono catastrofici eventi dovuti proprio al prevalere delle macchine sugli uomini, altri ancora prevedono un limbo post-capitalistico in cui prodotti per lo più smaterializzati contribuiscono a frenare la smania produttivistica e a veicolare il solo valore d'uso.

Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft sono giganti della produzione smaterializzata che smentiscono quel tipo di previsioni. Convivono con il capitalismo e, anzi, ne sono il moderno pilastro portante. La merce, scrive Marx, ha la caratteristica di veicolare valore tramite il denaro, e di soddisfare un bisogno. Non ha importanza se merce e bisogno sono materiali o immateriali: l'importanza, per il capitalismo, è che sia rispettata la sequenza D-M-P-M'-D' (da denaro a denaro maggiorato attraverso merce semilavorata, produzione e merce lavorata).

Per capire una dinamica non basta una fotografia, si scrive in Proprietà e Capitale: è necessario un filmato. E quando si cerca di mettere insieme una sequenza, significa che si vuole sapere quali saranno i fotogrammi successivi. La scena successiva del filmato sul capitalismo rivela chiaramente ciò che sta succedendo adesso: la corsa alla centralizzazione del capitale intorno ai monopoli giganti sopra elencati produce capitale fittizio, rappresentato dal "valore" di capitalizzazione in borsa; ma è, appunto, valore fittizio. Può funzionare come rappresentazione di valore per poche aziende, ma la generalizzazione non è possibile.

Una qualsiasi delle aziende menzionate "vale" due o tre aziende classiche con immensi impianti e migliaia di operai. È un fenomeno normale, ma non può essere generalizzato. Come non può essere generalizzato un aumento della produttività attraverso macchine: se tutti i capitalisti sostituissero tutti gli operai con robot, il capitalismo non poterebbe esistere; idem se tutte le aziende fossero fondate sul capitale fittizio. È vero che in linea teorica un capitalismo basato sul capitale senza capitalisti potrebbe funzionare, vi sono in effetti molte aziende controllate dallo stato o da fondi pensione o d'investimento, nei quali il grande capitale agisce senza essere direttamente collegato ai suoi piccoli possessori. Così potrebbe funzionare in linea teorica un capitalismo basato su capitalisti senza capitale, come nel caso delle concessioni per autostrade, ferrovie, telefoni, appalti, miniere o spiagge. Ma un capitalismo siffatto si configura nei due casi come una gestione dell'apparato produttivo e dei servizi senza l'intervento della proprietà privata. Avremmo una società capitalistica senza capitalisti.

Questo modello di società non sarebbe assimilabile al capitalismo di stato di tipo russo o fascista, ma ci penserebbe il capitale autonomizzato a darsi una struttura ordinata, a utilizzare cioè lo stato come ente capace di disciplinare produzione, distribuzione e valorizzazione. Avremmo quindi una società capitalistica basata su aziende che, controllate dallo stato, non potrebbero rastrellare tanto denaro come adesso, anzi, diventerebbero ben presto un servizio pubblico gratuito, data l'inconsistenza del loro capitale costante e variabile.

La parabola descritta da Proprietà e Capitale, ci ricorda che la rivoluzione "tecnologica" che stiamo vivendo da quarant'anni a questa parte non è l'effetto di un progetto sociale ma ne è la causa: è la produzione via via più leggera e immateriale che ha preso il sopravvento e ha obbligato gli uomini a misurarsi con essa, ad abbozzare teorie, a inventare soluzioni, a volte fatte di niente, come Facebook o Google, ma sempre sul confine fra capitalismo e non-capitalismo, perché

"supporre [che il capitalista tenda a godersi tutto il plusvalore], è supporre che la produzione capitalistica non esista, e quindi non esista lo stesso capitalista industriale. Infatti, il capitalismo è già soppresso nelle sue basi se si suppone che motivo determinante ne sia il godimento e non l'arricchimento."

Il capitalismo è nato statale e morirà statale. Per ora ha dimostrato di poter fare a meno dei capitalisti. Di questo passo tenterà di fare a meno di sé stesso (si sta già virtualizzando). Ma dei proletari non può proprio fare a meno, per questo la storia è già scritta: il capitalismo sarà abbattuto da quella classe che non può diventare superflua; la forma del trapasso potrà cambiare rispetto a modelli già sperimentati, ma il salto nel futuro non lo potrà fermare nessuno.

Prima di copertina
Proprietà e Capitale

Quaderni di n+1 dall'archivio storico.

Il lettore d'oggi che pagina dopo pagina arriverà al capitolo finale in cui si tirano le somme sul piano politico, avrà la netta sensazione di avere tenuto fra le mani un libro straordinario. Presa dimestichezza con un linguaggio potente dal punto di vista letterario ma fuori da canoni della saggistica divulgativa, sarà costretto ad ammettere che il metodo d'indagine adottato ha permesso di intravvedere fenomeni poco evidenti all'epoca in cui il libro fu scritto e ancora in embrione nel 1991.

Indice del volume

Proprietà e Capitale