Non si tratta di volontà ma di forza
(a proposito del Congresso nazionale operaio per la pace)

Che cosa sia uscito, o piuttosto non sia uscito, dai due Congressi per la pace già tenuti in Roma in queste ultime settimane – quello interparlamentare e quello delle Società per la pace – i nostri lettori lo sanno dai giornali quotidiani, ai quali noi non intendiamo fare concorrenza.

Ma ecco che le Società affratellate (mazziniane) convocarono in Roma pel 29 corrente un nuovo Congresso, il quale vorrebbe essere il complemento e un po' anche il contraltare degli altri due. Il manifesto dice, fra l'altro, così:

"Inaugurandosi la conferenza interparlamentare per la pace e l'arbitrato, si affermò che il trionfo del nobile apostolato sarà conseguito allorché esso scenderà dall'altezza delle intelligenze privilegiate per farsi coscienza di popolo: noi crediamo invece che codesta coscienza sia formata, ma che abbia bisogno di organizzarsi per farsi volontà e diritto, sì da costringere i poteri pubblici ad uniformarvisi: per questa ragione – dopo la conferenza dei rappresentanti i diversi Parlamenti europei e dopo il Congresso dei delegati delle Società della pace, dove la discussione, per quanto feconda, era in parte paralizzata dai convenzionalismi tradizionali, dalle esigenze politiche e dagli interessi a cui sono legati la maggior parte dei loro membri – è più che mai necessario che il popolo si affermi. Vi invitiamo quindi a Congresso per discutere il problema della pace e l'arbitrato dal punto di vista militare, politico, educativo ed economico, colla certezza che le nostre discussioni e risoluzioni varranno ad organizzare in argomento l'affermazione di quella volontà popolare, il cui grido partì qualche mese fa anche dal Congresso operaio di Bruxelles, e che deve ripercuotersi ovunque, perché la pace fra i popoli possa diventare norma sicura della società".

E un nostro amico ci chiede: – perché non vi occupate un po' più di proposito di queste belle e generose iniziative?

Il perché i nostri lettori lo possono indovinare fra le righe anche del nostro articolo Serietà innocua. A dir vero, non siamo così assoluti da escludere che un Congresso operaio, come quello annunciato, possa recare qualche utilità. Fra una società operaia che muove in processione a fare una bicchierata nel suburbio e una società operaia che va o manda al Congresso per la pace, preferiamo quest'ultima. Il moto, il fare qualche cosa, sia pure nel campo dell'ideale astratto, vale sempre più dell'apatia e della quiete supina. E non é detto che anche al Congresso delle Società affratellate qualche utile discussione non si faccia, qualche aspra verità non venga fuori; tutte cose che si risolvono in esercizio del pensiero e in educazione del sentimento.

Ma se noi non ci infiammiamo d'entusiasmo per coteste esercitazioni, e se non amiamo che il nostro giornale diventi il monitore ufficiale di cotesti movimenti, è perché siamo profondamente convinti – convinzione matura, figlia di esperienza e di riflessione – che le società operaie, per ora, abbiano davanti a sé qualche compito assai più necessario ed urgente.

Finché si tratta di "discutere" i vantaggi militari, politici, economici, ecc. della pace e dell'arbitrato, gli operai non potranno aggiungere verbo a quello che dottamente hanno già detto, scritto, predicato in proposito i professori, i deputati, gli avvocati, gli umanitari della borghesia. La loro non potrà che essere una traduzione – e forse una infelice traduzione – dei capitoli di un libro che è già alla sua centesima edizione.

Che la guerra, che il militarismo, che lo sciovinismo siano creazioni ed interessi borghesi, è cosa già detta e risaputa. Agli operai l'hanno insegnata già da un pezzo i borghesi medesimi. Non v'è nessuno, oggi, che metta in dubbio che, se la sorte dei popoli, invece che essere in mano dei principi, dei diplomatici, dei banchieri, dei politicanti, e in genere degli oziosi e vagabondi d'ogni grado e specie, fosse in mano del proletariato cosciente e militante, la guerra diverrebbe ipso facto impossibile e il disarmo la più pronta e la più facile cosa del mondo. Neppure le questioni più irritanti, la questione d'oriente, quella dell'Alsazia-Lorena, l'irredentismo italiano, ecc., ecc., conserverebbero alcuna potenza di minaccia seria. L'operaio non sente più quelle questioni, perché il suo bisogno e il suo ideale di emancipazione si sono di molto allargati e i confini nazionali, le barriere di razza e di lingua, nell'atlante geografico operaio, sono diventati punteggiature impercettibili.

Non si tratta dunque, secondo noi, di "organizzare le affermazioni della volontà popolare". Si tratta più prosaicamente, ma più praticamente, di "organizzare le forze".

Finché voi vi indugerete a riaffermare per la millesima volta che a tirarsi le fucilate si arrischia la pelle; che spendere miliardi negli armamenti è denaro buttato; che l'esercito è essenzialmente la difesa del privilegio economico contro i ribelli interiori; che il sacrificio della coscrizione, l'educazione della caserma sono cose immorali; che i popoli devono essere liberi dei loro destini; che alla difesa delle aggregazioni naturali e degli interessi reali delle masse basta il valore nativo degli interessati, educati ed istruiti da uomini e non sfruttati come bruti; sinché voi spenderete il vostro fiato a ripetere questi ed altri assiomi somiglianti, e il vostro inchiostro e i vostri francobolli a farli ristampare, voi mostrerete di fare un conto ben meschino della brevità della vita e del valore del tempo. Voi darete un'altra volta lo spettacolo dei cento, dei mila, che si affannano a dir di no, mentre c'è uno solo che s'industria a far di si e li volge in fuga tutti quanti.

Ma allorquando voi sarete organizzati in partito indipendente; allorquando conterete come classe, non solo nei certami dell'industria, ma eziandio nelle arene elettorali e legislative; quando insomma sarete veramente e in ogni senso una forza; allora il vostro voglio diverrà qualcosa più di una vana jattanza, allora sulla bilancia dei vostri politici destini porrete qualcosa più di un lieve scartafascio di sermoni e di ordini del giorno: vi porrete la spada di Brenno; darete, occorrendo, un buon pugno sul piatto dei vostri interessi. La bilancia traboccherà.

Fate l'ossa, fate i muscoli e i nervi nelle vostre battaglie: allora parlerete, e non ciarlerete, di pace.

Il Congresso di Bruxelles, alla cui autorità avete l'aria di domandare un passaporto, intese la questione della guerra propriamente così. Esso affermò che il problema della pace è un problema di classe, che le velleità umanitarie per sé sole sono condannate all'impotenza, che l'antidoto alla guerra è l'organizzazione socialista, che il partito socialista è il solo partito della pace. Quando gli operai tedeschi nel 1870-71 stesero la mano agli operai francesi protestando contro la conquista, essi non avevano bisogno che di essere un partito un po' più numeroso, un po' più potente, per vedere le due borghesie rinfoderare le spade.

Che se oggi il levarle del fodero è diventato un po' più difficile a tutti i governi, è appunto perché sono cresciuti e di numero e di potenza quei partiti che potrebbero, e vi sono ben decisi, levarglierle dal pugno. La forza regge il mondo, non la sola forza materiale per fermo; ma l'idea, senza la forza, non riesce a organizzarsi a diritto. E il nemico interiore fa cercare le amicizie di fuori.

Finché non vi porrete ben di fronte ai vostri oppressori, finché essi potranno contare su di voi e voi dovrete cedere a loro, finché potranno tenervi legati mani e piedi al loro cocchio trionfale, non sperate che depongano le armi. Vi faranno essi stessi dei discorsi, vi lasceran fare dei Congressi a perfetta immagine e somiglianza dei loro: ben sanno quel che se ne cava. Ma le armi le terranno ben salde finché non gliele avrete strappate.

I primi che lo proclamarono non ebbero piena contezza di quanto fosse profondamente vero e suscettivo di nuove e diverse applicazioni l'antico ed oggi proverbiale aforisma: "Se volete veramente la pace, preparate la guerra!"

Source Critica Sociale, 30 novembre 1891
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