Organizzazione e partito

L'argomento, oltre che della più viva attualità, è di tale ampiezza da esigere una larghissima discussione. Noi intendiamo solo buttar giù poche osservazioni, per il momento, cercando di chiarire, se ci riesce, la questione e il modo di intenderla da parte delle varie tendenze e correnti che con essa hanno rapporto.

Il movimento operaio inteso semplicemente come l'azione di associazioni di operai diretta alla conquista di miglioramenti nelle condizioni di lavoro, è ormai un fatto universale e riconosciuto da tutti i diversi partiti. Nemmeno i più conservatori contestano il diritto di organizzazione alle categorie di lavoratori, perché si convincono che sarebbe follia tentare di opporsi ad un movimento che sorge spontaneo e vigoroso dovunque, con una universalità così sistematica dei suoi caratteri essenziali e del suo periodo di sviluppo, che non può non impressionare anche chi vuol chiudere gli occhi per non vederlo. Ma tutto lo sforzo dei partiti politici conservatori - nel senso largo della parola - è dedito al tentativo di incanalare secondo i propri interessi e le proprie vedute questa corrente che non si può arrestare. I partiti più disparati e che dovrebbero essere contrari per ragioni storiche e di principio all'ingrossare del movimento sindacale, ne divengono invece promotori e ne prendono la testa, spingendo gli operai a sindacarsi secondo certe forme in cui quei partiti cercano di infondere le proprie tendenze. Così il partito cattolico, così i partiti della democrazia. Perché questi, per ragioni di principio, dovrebbero veder male il movimento operaio, il cui sorgere rappresenta la condanna di tutta la ideologia della borghesia francese, e costituisce il ridestarsi del proletariato, finalmente reso accorto che l'uguaglianza politica conquistata a prezzo di tanto sangue altro non era che una nuova forma di tirannia, ed acuiva anzi il disagio economico delle masse produttrici. Sorvolando tale interessante questione (che andrebbe specialmente esaminata in riguardo alla deficiente concezione economico-sociale della democrazia mazziniana) concludiamo che i partiti di cui si è parlato appoggiano ed incitano i movimenti sindacalisti per spirito di opportunità politica e per svolgere la difesa delle presenti istituzioni, nell'orbita delle quali si sforzano di costringere e ricondurre il programma delle organizzazioni proletarie.

Ed infatti la lotta contro le istituzioni non è un carattere sostanziale del movimento operaio. Questo può coesistere colla attuale forma di produzione capitalistica senza intaccarne l'essenza, rendendo solo meno sensibili le oscillazioni del mercato della mano d'opera ed elevando il tenore di vita delle classi lavoratrici. Così pure il movimento operaio può restare del tutto al di fuori di aspirazioni politiche, nel senso sovversivo, riconoscendo e rispettando le leggi e limitandosi alle forme di azione che queste gli delimitano più o meno largamente. Le Trade Unions inglesi sono l'esempio di questo movimento poderoso e formidabilmente organizzato, ma, almeno finora, totalmente legalitario, rispettoso delle istituzioni e quasi conservatore.

Quando poi i partiti politici borghesi riescono ad impadronirsi della direzione del movimento, questo diviene addirittura confessionale, dedito, anche al di fuori della lotta economica, agli interessi politici di un qualsiasi partito. Abbiamo così le leghe gialle: cattoliche, monarchiche o repubblicane che siano.

Ma in generale i rapporti fra i sindacati e i partiti politici sono di altro genere. Il sindacato conserva una relativa indipendenza, però si serve ecletticamente della propria influenza elettorale per chiedere appoggio a gruppi o ad uomini politici, senza avere troppe preoccupazioni per il colore o le idee di questi ultimi. E' un vero e proprio mercato di appoggi reciproci da cui esula ogni forma di aspirazione ad un programma qualsiasi, tanto da parte della massa operaia preoccupata solo del vantaggio immediato, quanto da parte dell'arrivista politico che se ne fa paladino. La concezione che hanno i riformisti del movimento sindacale non si distingue sostanzialmente da questo genere di rapporti. Essi vogliono che i sindacati siano apolitici, ma che si servano dell'azione elettorale per spalleggiare l'azione economica, ottenere leggi protettive del lavoro, o più spesso favori speciali per organizzazioni locali, o per corporazioni privilegiate. Perfino il governo borghese, se diventa fautore di questi vantaggi, avrà l'appoggio degli eletti della massa operaia sul terreno politico. Il sindacalismo riformistico così inteso vive all'ombra delle compiacenze statali - e quindi borghesi - ed ammette pienamente la collaborazione di classe e la coincidenza di interessi tra capitale e lavoro, in determinate circostanze più o meno generali. La stessa concezione è seguita all'ingrosso dalla democrazia radicale rispetto al movimento operaio, ma, ripetiamo, per mero spirito di opportunismo politico e spesso di arrivismo personale, e per combattere il pericolo che le leghe operaie si pongano sul terreno della lotta di classe, a cui cominciano a convergere appena divengono realmente battagliere e robuste, come appresso vedremo.

A queste organizzazioni pronte a vendersi al migliore offerente noi preferiamo di gran lunga le leghe settarie e gialle dei repubblicani di Romagna, e magari quelle organizzate da preti, che almeno seguono sempre lo stesso padrone.

Ma uno spirito nuovo e diverso nella vita sindacale lo porta l'apparire del socialismo. La constatazione di una lotta fra la classe dei lavoratori e quella dei padroni, lotta che si solleva dalle competizioni quotidiane per diventare un mezzo di azione politica, e quindi rivoluzionaria, diretta ad intaccare e a sconvolgere il principio su cui si basa l'economia presente della produzione, e le corrispondenti forme politiche che ci governano; la constatazione di questa lotta di classe e di questo programma rivoluzionario sovverte e rinnova completamente la funzione delle associazioni operaie. Queste non chiedono più la difesa da partiti politici fedeli alle istituzioni ed influenti presso i governi, ma danno luogo ad un partito di rivendicazioni operaie, ad un partito di attacco e di offesa contro le istituzioni politiche ed economiche della classe borghese: il partito socialista. Questo, che non è un partito operaio operaista, deve assumere la missione di difendere il programma rivoluzionario e instillare nelle organizzazioni operaie il concetto che esse devono coordinare l'azione quotidiana di miglioramento a quel programma di classe, e affermarlo e sostenerlo sul campo politico e sociale.

Ma, purtroppo, il partito socialista in molti paesi ha degenerato. Il riformismo lo ha affogato, lo ha reso schiavo di certe tendenze istintive del proletariato alle conquiste immediate, lo ha illuso che questa era la vera via per acquistare forza ed influenza. Il partito rivoluzionario minacciava di diventare un collegio di avvocati dell'egoismo operaio...

La scuola sindacalista ha giustamente reagito e nelle grandi linee ha sostenuto questo: il partito socialista svolge ormai la stessa azione conservativa dei partiti borghesi; quella azione di scambio di reciproci favori tra gruppi politici e sindacati è analoga a quella svolta dai partiti e dagli uomini politici conservatori: non occorre un partito apposito che abbia solo l'etichetta rivoluzionaria. Ma quella azione è svolta dai borghesi non mai per simpatia verso il movimento operaio, ma solo perché essi sanno bene che in tal modo lo demoliscono e lo infiacchiscono a poco a poco rendendolo inadatto non solo ad una azione rivoluzionaria di classe, ma alla stessa lotta di miglioramento, che per dare successi positivi esige fermezza, solidità ed indipendenza vera da parte del sindacato. Da queste constatazioni, talvolta esagerate nei riguardi dei socialisti, il sindacalismo ha dedotto l'inutilità, anzi il danno, del partito socialista, di fronte al proletariato. Ed ha formulato il dogma che il sindacato deve ignorare l'azione politica, boicottando tutti i partiti, e può svolgere da solo la lotta di classe con finalità rivoluzionaria.

Ora, che l'azione politica intesa nel senso "riformista", o meglio opportunista, rovini non solo l'avvenire rivoluzionario del socialismo, ma anche la compagine dei sindacati, è una cosa verissima. Ma quel mercimonio di egoismi non merita neanche il nome di azione politica .

L'illusione dei sindacalisti è che il sindacato trovi in se stesso lo spirito rivoluzionario e il sentimento di classe. Disgraziatamente nel sindacato - lo dicono i fatti - alligna assai bene lo spirito pacifista e il sentimento di categoria. Dopo certi risultati della tattica sindacalista ogni rivoluzionario cosciente deve riconoscere la necessità della esistenza di un partito , in un senso, è ben vero, diversissimo da quello in cui lo intendono i riformisti. Poiché le degenerazioni collaborazionistiche di tutta l'azione proletaria sono state originate forse più dall' egoismo sindacale che dall' arrivismo personale degli uomini politici socialisti. E il rimedio non sta nel tagliare a metà la tattica del socialismo, che non può non essere economica e politica insieme.

Occorre invece che partito ed organizzazioni economiche coesistano, ma siano l'uno e le altre dichiaratamente rivoluzionari. Bisogna che gli organizzati non chiedano più ai deputati socialisti di accompagnarli per le scale dei ministeri borghesi, e che i socialisti non permettano oltre ai sindacati di vendere la propria dignità e la propria forza nei baratti elettorali. Per questo vile mestiere ci sono tanti partiti borghesi! E c'è quello dei destri , che ne è lo specialista... governativo.

Da "L'Avanguardia" del 20 luglio 1913.

Archivio storico 1911-1920