Il prestigio parlamentare

Nei periodi di vita tranquilla, la dittatura borghese nasconde la sua reale essenza di violenta oppressione di una minoranza sulla grande maggioranza mediante l'inganno elettorale, per il quale quest'ultima ha la fallace illusione di dare essa spontaneamente, scegliendo i propri rappresentanti, il mandato a coloro che debbono governarla.

In realtà il governo, comitato esecutivo per la tutela degli interessi della classe borghese dominante, e che rappresenta il potere esecutivo appoggiato sulla sua salda ed organizzata burocrazia, costituendo essi nel loro insieme l'autorità dello Stato, è l'unico vero arbitro del potere politico. Esso esercita la sua sovranità anche sulla funzione parlamentare, che per mille guise è aggiogata al suo carro.

Di tutto ciò le masse lavoratrici, ossia la classe oppressa, non si erano nel periodo prebellico rese sufficiente conto. Incapaci per immaturità a un'insurrezione liberatrice, esse si appagavano di esprimere, mediante qualche proprio rappresentante, nel bel mezzo dell’organo borghese, una protesta in attesa del giorno lontano in cui, secondo le belle promesse dei più devoti militi, sarebbero in quello divenute maggioranza e ne avrebbero fatto l'organo dei propri interessi. Esse non si accorgevano che per la borghesia intelligente i parlamenti non avevano altra funzione se non di valvola di sicurezza per spegnere ed esaurire in una vana logomachia le velleità ribelli che in esse sorgevano naturalmente nel quotidiano urto per la propria esistenza.

Tra le tante conseguenze della guerra vi è stata quella del discredito dell’istituto parlamentare. Il mondo borghese si corrode per le intime contraddizioni del suo meccanismo vitale, che si esasperano e si esacerbano nei periodi di maggiore tensione. Il potere esecutivo durante la guerra ha rivelato tutto il suo vero contenuto dittatoriale, essendo costretto a ottenere dalla macchina dello stato il massimo rendimento della sua funzione di oppressione. Ciò specialmente nei paesi, come il nostro, nei quali più si è da parte della minoranza dominante esercitata la violenza nell’imporre una guerra che la grande massa non sentiva in alcun modo, che non voleva, ed a cui non ha mai dato in nessun momento la sua adesione.

La soppressione o la riduzione al minimo della funzione parlamentare, attraverso cui talvolta, in virtù di certe prerogative, qualche voce di protesta venne fuori, fu una imperiosa necessità da una parte; dall’altra il meccanismo stesso della sua azione non è tale da rispondere con elasticità alle urgenze vertiginose del periodo bellico. Durante questo, il parlamento ha funzionato come una lustra di consultazione del paese, per dare una specie di beneplacito a tutto ciò che il potere esecutivo faceva o avrebbe fatto.

A guerra finita, nell’avvicinarsi del periodo critico quando le sue conseguenze disastrose dovevano rendersi più sensibili ed ingenerare lo stato attuale di profondo malessere, e quando d'altra parte la compressione statale doveva allentarsi, i vari scopritori di cerotti si ingegnarono di ridare virtù alla valvola di sicurezza più che mai necessaria, risollevando il tono di vita dell’istituto parlamentare che avevano contribuito ad abbassare. E si affidarono per la bisogna alle sapienti escogitazioni dei socialdemocratici, i quali avevano studiato la miracolosa formula della proporzionale elettorale.

Ma il gioco non è riuscito; il trucco era già svelato. I risultati della proporzionale elettorale non hanno mutato se non alcuni rapporti numerici senza importanza; la macchina dello stato non muta radicalmente con simili espedienti.

La vittoria elettorale socialista non ha avuto e non poteva avere altro significato se non di protesta contro la guerra imposta, non di fiducia nell’istituto, o di un tentativo, di un avviamento verso una conquista maggioritaria. Le masse lavoratrici, istintivamente diffidenti verso tutti gli istituti della classe avversa, non hanno chiesto e non chiedono opera positiva dai propri rappresentanti, anzi cominciano a disilludersi quotidianamente della possibilità di un'opera di distruzione. Coloro che sostengono il contrario attribuiscono le loro aspirazioni, le loro personali possibilità ministeriali, alle masse lavoratrici, le quali voltano le spalle agli istituti borghesi per rivolgersi verso quelli della propria classe.

Nella crisi sempre più incalzante che investe dovunque tutto il regime borghese, di fronte all’imminenza di un urto risolutivo che possa strapparle definitivamente il potere, la borghesia in preda all’incubo si aggrappa all’ultima trincea, all’istituto parlamentare.

L'Intesa trionfatrice impone dovunque come prima condizione di esistenza per gli Stati che germinano dalla dissoluzione dei nemici la costituzione di un parlamento. Nella lotta contro la Russia dei Soviet, essa afferma di non riconoscere la forma di questo Stato perché non è sulla base della democrazia parlamentare.

Anche in Italia le frazioni democratiche vogliono il risollevamento del prestigio degli istituti parlamentari. Esso figura nei capisaldi del programma di uno dei più rappresentativi uomini della borghesia italiana, l'on. Giolitti, il quale rimette su questa base la sua candidatura alla presidenza.

Sono inutili sforzi che serviranno soltanto a maggiormente far comprendere al lavoratore che, se la borghesia si preoccupa tanto della vita di questi organi, ed ora soprattutto, è perché essi debbono servire alla propria conservazione; e a fargli comprendere altresì che quei tali che, atteggiandosi a suoi rappresentanti, si fanno paladini dell’istituto parlamentare sono alleati dei borghesi, e pertanto suoi nemici.

Da il "Soviet" del 6 giugno 1920.

Archivio storico 1911-1920