Il "Manifesto" di Bordiga

A tutti i compagni del Partito Comunista d'Italia.

Riteniamo di compiere con piena coscienza e dopo matura deliberazione il nostro dovere di comunisti rivolgendo ai compagni il presente appello. Il partito attraversa una crisi di tale natura che solo con la partecipazione di tutte le masse dei suoi aderenti può essere risolta. Non alludiamo alla crisi di efficienza ed organizzazione che consegue inevitabilmente dalla vittoria delle forrze antiproletarie in Italia, crisi che merita anche tutta l'attenzione, ma che potrebbe essere fronteggiata, se altro non vi fosse, con opportune misure dagli organi direttivi fedelmente eseguite.

Si tratta di un'altra crisi che purtroppo aggrava le conseguenze della prima: crisi interna, di direttive generali, che da singole questioni tattiche ormai si è allargata a tutta la impostazione di principio ed alla tradizione della politica di partito.

Questa crisi non ha avuto origine da dissensi interni, ma da divergenze tra il partito italiano e la Internazionale Comunista, nella sua attuale maggioranza e nella sua Centrale. Appunto perchè la crisi ha preso tale carattere d'assoluta anormalità - essa (condurrà) alla paralisi del partito tutto e alla sterilità della sua azione se la questione non fosse posta innanzi al partito (tutto), con una completa informazione dei compagni, una discussione a fondo, e la valutazione finale e definitiva di ciò che deve essere la piattaforma di pensiero e d'azione del nostro partito. Questo documento si propone di iniziare un tal lavoro, malgrado le difficoltà che derivano di non potere avere libere adunanze di partito e una libera stampa.

La piattaforma su cui, al congresso di Livorno, il nostro partito si costituì, è nota ai compagni, che conoscono il risultato del periodo di elaborazione critica in seno al partito socialista, per reazione alle sue manchevolezze essenziali soprattutto del periodo del dopoguerra.

Come si presentava la situazione del partito, ed il suo compito, subito dopo Livorno, agli uomini a cui ne era confidata la direzione? La teoria del partito era chiaramente stabilità sulle basi rivoluzionarie e marxiste messe in luce nella rivoluzione russa e nella costituzione della Terza Internazionale. La nuova organizzazione di lotta del proletariato italiano, distinguendosi per la saldezza del legame internazionale, si dovette sempre più foggiare in modo da evitare i perniciosi e tradizionali difetti di superficialità, di disordine, di personalismo, fatali al vecchio partito; e con nuovi criteri di serietà, di fredda ponderazione ed insieme di dedizione senza limiti di tutti i singoli militanti alla causa comune. E vi è poi il problema vastissimo dell'azione, (della tattica) da applicare nella speciale situazione italiana per raggiungere gli scopi comunisti.

Le condizioni della lotta proletaria al principio del ventuno erano ormai compromesse dalla insufficienza del partito socialista, tanto che non apparve possibile una offensiva rivoluzionaria da parte di un partito, come il nostro, di minoranza. Ma l'azione del partito poteva e doveva prefiggersi di ottenere la maggiore efficienza della resistenza del proletariato alla sferrata offensiva borghese, ed attraverso (tale) resistenza conseguire il concentramento delle forze operaie nella migliore possibile condizione, intorno alla bandiera del partito, il solo che possedesse un metodo capace di garantire la preparazione di una riscossa.

I comunisti videro il problema in questo modo: assicurare il massimo di unità difensiva proletaria di fronte alla pressione della offensiva padronale ed al tempo stesso evitare che le masse (ricadessero) nella illusione di quella unità apparente, miscuglio di indirizzi contrastanti che già era denunziato come impotente da una dolorosa esperienza acquisita alla massa italiana. Non ripeteremo per ora la storia del tentativo comunista per il fronte unico delle organizzazioni operaie contro la reazione ed il fascismo. I tentativi fallirono per il contegno degli altri partiti che avevano seguito nel proletariato, ma da questo stesso fallimento, almeno, si tendeva a trarre il vantaggio, con una critica materiata da fatti, che il proletariato militante convergesse attorno al partito comunista.

La nostra propaganda non taceva mai che solo con un indirizzo nettamente comunista il proletariato poteva vincere, anche se, appunto per raggiungere tale scopo, i comunisti si offrivano di lottare insieme con gli operai di ogni partito politico. Di un tale esperimento, in un periodo di straordinaria importanza storica, è necessario che il partito e la Internazionale tutta discutano i risultati, vagliandoli esattamente e facendone un bilancio completo.

Ma oggi vi è questo pericolo: una tale questione è liquidata col dire: la tattica del partito era sbagliata ed ha causato la sconfitta proletaria! Non si tratta qui di difendere l'opera di persone, cui nessuno di altri partiti nega la buona volontà ed anche altre qualità, ma di ben altro: il giudizio su una somma di esperienze di primo ordine, cosa di importanza vitale per un partito marxista, aumentata del significato internazionale dell'attuale fase della storia italiana. E si tratta di dire se il partito, dopo l'esito di un simile esperimento, deve rivedere e modificare le sue basi costitutive. Una tale quistione esige l'interessamento di tutto il partito, e un esame molto più maturo di tutta l'Internazionale. E dopo aver detto ciò che per ogni testimone di quest'ultimo anno di politica italiana è di evidenza stessa, che il partito comunista non poteva in alcun modo impedire la piega che hanno presa gli avvenimenti per cause troppo profonde e remote per poterle invertire, va subito fatto rilevare che quella linea che noi ci tracciammo a Livorno, non ha potuto essere seguita che per breve tratto. Qui non facciamo che esporre lo schema della quistione, volendo noi per ora persuadere i compagni della necessità di una profonda discussione. Tre fatti vanno considerati:

1) Il partito italiano ha avuto opinioni divergenti da quelle dell'Internazionale, circa la tattica "internazionale" comunista.

2)La divergenza per le cose italiane si è manifestata ancor più grave, uscendo dai limiti della "tattica" per toccare la stessa base di costituzione del partito.

3) L'Internazionale è andata e va modificando le sue direttive finora apparentemente in materia di tattica, ma ormai anche in materia di programma e di norme fondamentali organizzative.

Non tratteremo qui il primo punto: esso è noto per la discussione del Congresso di Roma del nostro partito (marzo 1922) ed è precisato nella tesi tattica allora approvata.

Maggiore attenzione merita il secondo punto, su cui la massa del partito è poco informata.

Nella questione della tattica da applicare in Italia nel seno del movimento proletario, la divergenza tarda a definirsi. Sebbene già al terzo Congresso la delegazione italiana fosse all'opposizione in materia di tattica dell'Internazionale, pure l'opera concreta del partito fino a quella epoca ed oltre, venne approvata e lodata.

Più tardi dinanzi alla parola del "fronte unico" e del "governo operaio" - mentre il nostro partito precisava la sua linea nella norma di evitare che i mezzi tattici potessero venire in urto con le necessità della propaganda, non solo in teoria ma coi fatti, di due capisaldi fondamentali: "solo con la politica sostenuta dal Partito comunista e con la direzione di questo il proletariato può battere la borghesia", e "solo nella dittatura rivoluzionaria può costituirsi il potere proletario", ed agiva di conseguenza nel "fronte unico sindacale" e coll'aperta campagna contro ogni sfumatura di opportunismo - non si seppe mai con precisione cosa invece voleva che si facesse l'Internazionale.

Questa fece volta a volta critiche particolari, ma anche nel giugno 1922 non esigeva dal partito che di lanciare la parola del "governo operaio"; ma dando di questa una definizione che lo rendeva "pseudonimo della dittatura proletaria" mentre in epoche ulteriori si disse poi che era una vera partecipazione parlamentare e ministeriale. Nella quistione sindacale e del fascismo neppure si charì mai cosa l'Internazionale volesse modificare del metodo da noi seguito.

Ma la divergenza si è approfondita e allargata a un campo di importanza sostanziale colla quistione della fusione col partito massimalista. Mentre noi vedevamo costituito storicamente "il ceppo" del partito nelle basi di Livorno, e sempre sostenemmo che l'affluire di altri elementi proletari, scopo precipuo del partito, doveva farsi strappandoli al quadro di altri movimenti per inserrarli nel nostro, e fummo contro ogni idea di fusione in massa con altri partiti, ed ogni lavoro di costruzione di frazioni nel seno di questi fra i simpatizzanti, invece di farli venire nelle nostre file (fummo cioè contro il "noyautage"), è oggi chiaro che l'Internazionale considera la soluzione di Livorno come transitoria, ed aspira alla adesione in massa di un'altra "fetta" del partito socialista. Secondo essa i massimalisti erano divisi da noi dal solo fatto che esitavano a separarsi dai riformisti; secondo noi il massimalismo è una forma di opportunismo tanto pericoloso quanto il riformismo, e nella sua tradizione, nel suo stato maggiore, non sarà mai rivoluzionario, ma eserciterà ancora il compito di sviare le masse col suo linguaggio ciarlatanesco che copre la più perniciosa coltivazione di uno stato d'impotenza e di inerzia. L'Internazionale vedendo il proletariato italiano perdere terreno, e per conseguenza restringersi i ranghi del nostro partito, credeva di poter spostare lo sviluppo della situazione e al tempo stesso avere un successo internazionale colla adesione dei massimalisti; noi volevamo apertamente denunziare questo come disfattismo (Arrecato da spregevoli attric "cotrac" dei loro capi dal proprio seguito), rafforzare, pur nello indietreggiare inevitabile del proletariato militante, il predominio del partito comunista colla liquidazione degli altri partiti.

I fatti hanno dimostrato la refrattarietà dei massimalisti come organismo politico a porsi sul terreno rivoluzionario ed accettare lealmente di aderire alla Internazionale: si aveva l'opinione che Serrati (impediva il manifestarsi di una generale tendenza comunista) e si è visto lo stesso Serrati liquidato dal partito, ossia alcune decine di capi che fanno tutto in nome dei lavoratori massimalisti, mentre questi possono essere solo guadagnati rompendo la rete in cui ora sono inquadrati. E si dice... che i comunisti hanno impedito la fusione!!

Quali sono state le conseguenze di questa attitudine dell'Internazionale in Italia? L'azione tattica del partito nel fronte unico ne fu impacciata, fornendo agli altri partiti un diversivo alla situazione in cui li chiudeva la nostra tattica, nel proporre la coalizione "politica", per celare la loro ripugnanza all'azione secondo le proposte comuniste. I massimalisti poterono far fino all'ultimo il gioco dei riformisti nella Confederazione e nell'Alleanza del Lavoro, ingannando gli operai grazie al fatto che Mosca li invitava ad aderire, perpetuando così il vecchio e fatale equivoco. Ricordiamo solo che l'ultima occasione di eliminare i capi confederali e predisporre su ben diverse basi il movimento dell'agosto 1922, si ebbe al convegno confederale del luglio a Genova, ove i riformisti erano in minoranza, ed i massimalisti li fecero rimanere al loro posto, paghi delle loro affermazioni contro il collaborazionismo parlamentare, che non è meno pernicioso delle loro formule nulliste: nè azione proletaria, nè collaborazione. Evidentemente, oltre alla vecchia ripugnanza alla lotta, è in gioco il piano di Serrati e di altri di barattare a poco a poco la loro posizione ed influenza contro la riammissione nell'Internazionale. Il formarsi della frazione terzinternazionalista, in cui quegli elementi che potevano venire a noi erano invitati a restare, serviva in fondo a perpetuare l'equivoco; ed in conclusione il partito massimalista che dopo la divisione dai riformisti doveva sparire, pur beffandosi della Internazionale e dei suoi ripetuti passi e non contraendo alcun impegno, sfrutta la situazione in un comodo opportunismo, e sfrutta purtroppo la tendenza degli operai alla inerzia in questo difficile momento, sottraendoli ancora in una certa misura alla sua bandiera di passiva e simulata fedeltà al alcune frasi rivoluzionarie: forza destinata, anche se la situazione cambiasse, ad esaurirsi nella peggiore impotenza.

E la politica seguita dall'Internazionale, senza ottenere la fusione, ha impedito al partito comunista di utilizzare talune situazioni in cui i lavoratori tendevano ad accorrere ad esso, sia pure in senso "relativo", alla diminuzione di effettivi imposta da cause superiori. Così è stato dopo lo sciopero di agosto, quando invece la Internazionale ha voluto vedere il fatto più notevole nella scissione socialista, e in certo senso anche dopo l'avvento fascista e la stessa reazione scatenatasi sul nostro partito. Invece nel seno di questo, sottoposto ad un regime parlamentarmente anormale di attesa e di profonda modificazione strutturale, si è formato e venuto accrescendo uno stato di malessere, che contrasta ogni probabilità, che forse non mancherebbe, di fortunata "ripresa". E inoltre la divergenza con l'Internazionale ha prodotto il formarsi di una corrente, la cosiddetta "minoranza", che mentre si atteggia a comunista ortodossa, raccoglie in realtà gli elementi che sin dopo Livorno rimasero attaccati un poco ai vecchi metodi socialisti e mal sopportavano i (nuovi) rudi sistemi di lavoro e di responsabilità: costoro hanno sostenuto le tesi dell'Internazionale non con elevati e fondati argomenti, ma col recalcitrare e talvolta col pettegolare in sordina.

Per tutto questo il partito soffre, ed un rimedio si impone. Lo sbocco di questo indirizzo "fusionista" si delinea nella "liquidazione" del partito quale esso sorse a Livorno e combattè per oltre due anni, non senza onore; e ciò vorrebbe dire ripiombare il proletariato italiano nella morta gora del "centrismo" massimalista vile e bagalone. Sicchè neppure un'utile esperienza per il domani trarrebbe dal suo calvario la classe operaia italiana.

Può sembrare che prima un simile allarme dovesse essere lanciato. Ma come abbiamo detto, per la quistione tattica, il dissenso, in pratica, fu per qualche tempo inafferrabile: essendo nel metodo dell'Internazionale di non dar che volta per volta le sue parole particolari, mentre noi le vorremmo tracciate e definite con più ampio respiro. Per la stessa fusione vi fu qualche cosa di analogo, a seconda di tutte le alternative che si ebbero nei successivi congressi socialisti: ad esempio dopo quello del '21 parve che non si pensasse più alla fusione, e perfino i rapporti con la frazione terzinternazionalista furono, se non a nostra insaputa, almeno non considerati ufficiali. E' dalla fine del '22 che la divergenza si mostra in tutta la sua gravità, e solo i successivi avvenimenti hanno fatto sì che finora essa si trascinasse in modo poco noto al partito. Ed è negli ultimi tempi che si è dovuto perdere la speranza di una soluzione attraverso una vera e vasta discussione nel seno della Internazionale, e non con palliativi escogitati in lunghe e penose trattative e con espedienti a carattere più che altro personale.

Accenniamo appena al tipico punto che ci siamo proposti di esaminare.

Alle nuove parole tattiche dell'Internazionale, non ancora ben chiarite nella loro portata - sono apparse dopo il terzo congresso ed il quarto non ha avuto tempo di discutere le tesi tattiche - si accompagna un pericolo di modifiche del programma e dei principi, che per ora si concreta nel ripetuto rinvio della quistione del programma e dello statuto al 1924. Al tempo stesso il grave problema della disciplina organizzativa è risultato un espediente staccato e spesso discontinuo, da cui sono risultati spiacevoli crisi interne in molti partiti e nei rapporti loro col centro.

Il pericolo che così si accenna, può diventare molto grave. Siamo forse alla vigilia di una crisi nel campo internazionale; siamo come partito italiano nel pieno di una crisi. Queste condizioni anormali spiegano perchè la quistione deve essere portata all'esame di tutti i militanti, pur non interrompendo per un istante la disciplina di fatto agli organi centrali.

Spinti da tutte queste gravi considerazioni, che ci ripromettiamo maggiormente lumeggiare come ci sarà possibile, ci proponiamo di raccogliere l'adesione dei compagni su questi punti conclusivi:

a) Provocare nel seno del partito, malgrado gli ostacoli che oppone la situazione, una vasta discussione e consultazione sul valore delle esperienze di lotta acquistate dal partito e sul suo indirizzo programmatico e tattico.

b) Provocare negli organi competenti dell'Internazionale una analoga discussione sulle condizioni della lotta proletaria in Italia negli ultimi tempi e oggi, con ampia portata e al di fuori delle situazioni contingenti e transitorie che (spesso) soffocano l'esame dei più importanti problemi.

c) Partecipare alla discussione del programma, la organizzazione e la azione tattica dell'Internazionale, lottando contro ogni revisione verso destra, e soprattutto ottenendo la massima chiarezza nella determinazioni delle direttive.

d) Raggiungere attraverso tali dibattiti una concorde valutazione dei problemi fondamentali, ottenere che sia tracciato un piano completo e chiaro per l'indirizzo e l'azione del partito, sulla base della quale si inizierà un attivo lavoro per intensificare l'attività e l'efficienza del partito, su di una linea evidente alla coscienza di tutti i militanti e con la più razionale partecipazione di tutte le energie di essi, avendo così superate le ragioni e cause del precedente grave stato di malessere.

e) Quando da tale dibattito non risulti il consenso sostanziale in un insieme di decisioni elevate sui comuni principi - pur restando al proprio posto nelle file della milizia comunista giudata secondo il volere della maggioranza dell'Internazionale - non prendere parte agli organi di direzione del partito, affermando che questi devono essere composti in maniera delle direttive che sono chiamati ad applicare (affermando che quelli devono essere costituiti in modo omogeneo e da compagni perfettamente convinti delle direttive che sono chiamati ad applicare).

Importante.

Il compagno che riceve questo documento voglia farne copie e distribuirle agli iscritti al partito copiando anche la presente nota. Ogni compagno è pregato di mandare la sua adesione, o anche la sua opinione comunque dissenziente e qualunque comunicazione in merito a questo documento, per tramite dello stesso compagno che gli avrà dato questo esemplare: la risposta percorrerà tutta la via in senso inverso.

Questo documento è comunicato alla Centrale del partito e della Internazionale.

Interessa molto diffonderlo anche all'estero, e a chi lo facesse sotto forma di traduzione saremmo assai grati.

Gli iniziatori

Scritto in carcere, estate 1923

Archivio storico 1921 - 1923