La consultazione del partito

Credo siano necessarie e legittime poche considerazioni sulla riunione nazionale del nostro Partito e sulla consultazione che attraverso ad essa si è avuta. Diciamo subito che se questa non è stata una consultazione regolare in cui tutti i membri del partito potessero pronunziarsi, non è questo in ogni caso un motivo per diminuire l'importanza del risultato a favore della sinistra, in quanto la consultazione si è limitata ai rappresentanti federali dell'apparato di partito costituito dall'alto, emanante cioè da una centrale in cui solo le altre due tendenze erano rappresentate, e non la nostra. È anche vero, e lo rileviamo con piacere, che l'esito dimostra che il partito non è malato di burocratismo, e che l'opera dei compagni che partecipano agli organi centrali ha avuto carattere di perfetta lealtà nella scelta degli elementi per la dirigenza locale del partito. In conclusione abbiamo il diritto, senza esagerare in nulla, né atteggiarsi nemmeno per sogno "a vincitori", di trarre alcune deduzioni dalla forza delle varie correnti quale la rappresenta la votazione avvenuta.

Ma prima ancora che dall'esito del voto consultivo, la riunione ci ha soddisfatti immensamente perché ha fornito una magnifica conferma del vigore e della vitalità del partito, il che si dà altro argomento contro la tesi di quelli che nel partito non hanno creduto, e sul presupposto di una inefficienza o quasi artificialità hanno basato la tattica che propugnavano. Il nostro partito sta bene e la sua salute, per fortuna, vale assai meglio delle panacee dei molti mediconzoli che gli si propongono.

Pregiudizialmente va rilevata un'altra cosa, per essere sinceri: la poca soddisfazione del Partito per essere chiamato ad un dibattito di "tendenze". Quest'attitudine non ci dispiace affatto per più ragioni. Anzitutto, potremmo anche permetterci di dire, confrontando le cifre del Congresso di Roma con quelle dell'ultima consultazione di cui parliamo, e tenuto conto di qualche altra considerazione che faremo subito sul "centro" e la "destra", che in fondo nel partito non vi sono tendenze, ma accordi unanimi ed omogeneità completa. Ma soprattutto non vi sono tendenze perché non vi è il lavoro di tendenze o di frazioni, né ve n'è stato. Vi è una elaborazione di pensiero del partito e dei militanti rivoluzionari, e ciò, come dice il compagno Trotsky, non è frazionismo, ma il suo contrario. Quanto a noi dell'ala sinistra, non solo non abbiamo fatto lavoro organizzativo o di propaganda a tipo frazionistico, ma, come risultato evidente alla riunione, neppure di… statistica delle opinioni: non sapevamo quali compagni avrebbero votato per la nostra tesi, e nemmeno lo abbiamo chiesto loro in via personale. Non occorre poi dire come e quanto ci siamo tenuti lontani dall'impiego dei gas asfissianti del pettegolezzo, del sottovoce, dell'intrigo in cui davvero consiste la malattia del frazionista, e che non sono stati ignoti a qualche altro gruppo; ed il risultato di questi mezzucci sta a dimostrare ancora una volta che il partito è al di là del tendenzionalismo di brutta memoria, risolventesi in gare antipatiche d'influenze personali.

La discussione cui abbiamo assistito ha dimostrato in tutti i presenti, attraverso le loro parole, un grado di maturità, di serietà, di vera disciplina di partito acquisita in modo sano e sicuro. Il partito non si è mai stupito di ricevere ed eseguire ordini dagli organi centrali internazionali e nazionali, e non ha fatto mai udire proteste di cattivo gusto anche per i provvedimenti che più potevano apparire strani. Ma, chiamato a dare l'espressione del suo pensiero con perfetto senso della misura e soprattutto dei suoi doveri internazionali, ha riaffermato serenamente, ma fermamente, l'insieme d'opinioni politiche formulato al Congresso di Roma e sottoposto alla esperienza dei primi anni di lotta.

Il fatto ha tanta maggiore importanza in quanto coloro che si sono pronunziati erano per il 90% operai e contadini, autentici guidatori in cento località della milizia di partito e testimoni degli ultimi periodi di tragiche lotte proletarie; più ancora, attori di esse. Qui cade una delle critiche correnti al nostro indirizzo: elaborazione di intellettuali lontani dalla realtà e dalle masse, formulazioni incomprensibili di testi complicati e di schemi teorici senza vita, estremismo dottrinario e settario ignorante i problemi sentiti dai lavoratori, ecc. ecc.

Se facciamo un piccolo confronto con gli altri gruppi del partito, vedremo come questo non sia vero, o almeno come non possano essi salire in pulpito e fare di queste prediche. I delegati alla conferenza hanno parlato delle Tesi di Roma per riaffermarle, come di una direttiva ben nota al partito e di continuo vagliata e discussa dalle riunioni locali attraverso l'esperienza dell'azione; qualcosa dunque di ben vivo e reale per la collettività militante dei comunisti italiani. Non vale dire che il partito nostro è troppo piccolo, minoranza nella massa, almeno da parte di nostri compagni di altri gruppi, i quali tuttavia ripudiano come tutti sanno ogni solidarietà con gli altri partiti sedicenti proletari nella ideologia e pratica politica che rappresentano. Perché sono questi gruppi che risultano incompresi e lontani dai lavoratori militanti del nostro partito, unico tramite per il quale legarsi al proletariato tutto. E infatti, mentre la nostra mozione reca quattro firme di cui due sole di "intellettuali" (così chiamando chi non ha stretta origine proletaria), per quella del centro è facile constatare che i pochi operai che la firmano sono quelli che con dichiarazione si sono poi associati a noi; per quella della destra che vi si trova, fra tanti intellettuali, solo la firma di alcuni elementi che più che avere carattere proletario hanno quello di funzionari sindacali, il che […] è quasi il contrario […] confrontati gli […] stati maggiori con i rispettivi seguiti, si vede come la nostra corrente, come il nostro partito, sono stati a torto giudicati e criticati, e come sia il caso che taluni compagni la smettano di gettarci contro "la realtà della vita proletaria" con la quale essi hanno così poco in comune.

Parlerò in un altro scrittarello dell'accusa, anche liquidata ormai, della coartazione del parere del partito da parte dei vecchi dirigenti, del soffocamento della discussione, ecc. Tra il vecchio gruppo dirigente e la massa dei genuini militanti rivoluzionari del comunismo italiano esistevano legami stretti e sani, escludenti ogni culto delle persone da un lato, ogni facile caccia alla popolarità dall'altro. La fiducia era reciproca e chiara, non meno reciproco il controllo, e negli uni e negli altri era ed è la fierezza di aver saputo superare le vecchie sconcie abitudini del capeggiamento di greggi politiche da parte d'istrioni in gara tra loro, in maniera decisa e definitiva.

La famosa frase dell'infantilismo ha avuto un'altra smentita. Se vi sono fenomeni d'immaturità infantile in rari elementi del partito, questi non sono legati per nulla alla nostra sfera e al nostro indirizzo. Certi espedienti demagogici possono farne piuttosto, si è visto, reclute inattese dell'estrema destra. Noi perseguiamo, come sempre abbiamo preteso, una soluzione di insieme veramente razionale, scientifica, marxista, antisemplicistica e antidemagogica dei problemi del marxismo; non siamo gli estremi sinistri del gesto e della frase: il partito lo sente e lo sa e lo approva completamente.

Chiuderò con un'ultima piccola osservazione: la destra nel nostro partito è tuttora un aggruppamento più di persone di cui ciascuna ha una sua crisi particolare, che di opinioni che definiscono un gruppo. Il centro non è un gruppo con speciali opinioni anche in parte sistematizzate, ma fa espressione di giuste e legittime preoccupazioni sulle questioni di rapporti internazionali: gli aderenti che esso ha trovati sono in fondo sulla direzione della sinistra: solo danno a tali preoccupazioni un certo maggior peso. Ma la grande maggioranza dei convenuti alla nostra recente riunione ha dimostrato che l'indirizzo della sinistra esclude ogni preoccupazione di conflitti e rotture disciplinari internazionali, e fornisce una linea degna, soddisfacente, leale di condotta.

I compagni del centro con la lealtà che li distingue non hanno fatto della Internazionale un feticcio su cui speculare per il dibattito. La loro preoccupazione merita tutto il rispetto. Essi assumono un compito utile, che noi non vorremmo mai sabotare con pretesti maggioritari, compito che si ricollega al funzionamento della sezione italiana dell'Internazionale Comunista, e che eviterà gravi crisi, senza ricorrere al rimedio equivoco della rinunzia del nostro partito a fornire sui problemi internazionali il contributo cui lo conduce la sua non posticcia esperienza di lotta rivoluzionaria.

Quanto alla discussione di partito, essa continua. Il modo con cui è condotta da qualche articolista della destra, esige che si ritorni a smentire molte dicerie errate e pettegole sul passato. Il contributo (per altra parte, per quella non di cronachette e di personalismo) delle tesi della destra e di vari scritti dei compagni del centro, può forse consigliare che non insistiamo sulla difesa delle note direttive tattiche nostre. Speriamo di aver modo di fare e l'una e l'altra cosa.

Fonte Lo Stato Operaio n. 20 del 19 giugno 1924
Autore Amadeo Bordiga
Archivio n+1 Copia dattiloscritta Rif.
Livello di controllo Rilettura X Confr. Orig. Rev. critica

Archivio storico 1924 - 1926