Per finirla con le rettifiche

Napoli, 12 luglio 1925

Desidero fermamente che questa sia l'ultima delle mie risposte a carattere personale e di rettifica su questioni di fatto, e mi riprometto di scrivere d'ora in avanti sulle questioni oggettive e concrete su cui sorgono le divergenze tra la sinistra e le altre correnti del Partito e dell'Internazionale.

La Centrale ha dichiarato già da una settimana che è chiusa la cosiddetta campagna antifrazionista e che si apre il dibattito generale, ma, se non ci fosse la dichiarazione suddetta, nessuno si sarebbe accorto del mutamento. La differenza tra campagna e discussione, sta nel fatto che si rinunzia a tempestare di articoli e pezzetti editoriali, di cappelli e commenti in corsivo ogni scritto da cui si dissente, ma si pubblicano tutte le serie trattazioni dei problemi in esame preparate indipendentemente dai compagni dei vari gruppi che partecipano al dibattito. Non è che da parte nostra si tema tale insieme di piccoli espedienti polemici, per il solo fatto che evidentemente non possiamo fare altrettanto, non essendo in grado di leggere e confutare prima che si pubblichino gli scritti dei nostri contraddittori. È che quel sistema lascia adito al malvezzo di prescegliere dalle affermazioni avversarie talune che meglio si prestano ad essere travisate e sfruttate, di limitarsi a confutare quelle e non tutto il pensiero che è stato prospettato, e sottolineare quindi il lato pettegolo ed infecondo del contrasto, aumentando la tensione, soffiando nelle incompatibilità interne che affiorano, avvelenando scientemente l'atmosfera per poi poter dire che dall'altra parte si è fatta opera di disunione e disgregazione.

Spero di dover quindi per l'ultima volta seguire, nello scrivere per la discussione, la linea informe e antipatica di queste pubblicazioni cattive e tendenziose, e oltre tutto - so che fino all'ultimo avrò predicato al deserto - dannose dallo stesso punto di vista di chi le lancia nella speranza di più sollecito e facile successo.

"BORDIGA" A TUTTO SPIANO

Poiché uno dei lati caratteristici della tendenza che detesto e combatto è la mania dei dati numerici, sono stato tentato di fare una statistica del numero delle volte che il mio nome compare negli scritti polemici che ci sono stati ammanniti. Per intere colonne lo si incontra a tre o quattro righi di distanza ed anche più di frequente. C'è da distribuire felicità a decine di cacciatori di réclame. A me personalmente la cosa non fa né caldo né freddo, ma la trovo poco propizia alla serietà del Partito e del dibattito. Essa è la riprova del metodo di politicantismo adoperato purtroppo nel seno della nostra organizzazione. Non sono i problemi concreti su cui Bordiga esprime delle opinioni che preoccupano, e nemmeno il problema oggettivo se Bordiga abbia o no compiuto il suo dovere come qualunque altro compagno, ma la questione, che per me resta nel quadro della politica parlamentare ed esula da quello della politica comunista, della influenza e della popolarità di cui gode l'uomo politico Bordiga. Solo dopo ridotta questa al minimo con i più acconci mezzi, si faranno i conti con Bordiga compagno, mentre in considerazione seria le critiche e deduzioni di Bordiga non le si piglieranno mai. E si crede che i mezzi più acconci siano, non gli argomenti e la critica serena, ma le accuse, per non dire le insinuazioni. Non ho bisogno di dire io stesso che della personale simpatia me ne frego, perché parrebbe una posa, ma mi preme ancora una volta protestare contro questa mentalità manovristica e diplomatica.

Le poche e rimasticatissime idee colle quali si imbastisce su misura la polemica contro di noi hanno il manzoniano carattere di contraddirsi a due a due, e di poter per tal modo essere mandate pressoché tutte a spasso. Questa pacchiana insistenza a parlare di Bordiga, a personalizzare in lui la questione, fino a vedere in lui il solo bordighiano (se così fosse molti compagni si sarebbero più rapidamente e brillantemente acquittés del loro mandato) fa a calci con una delle critiche che si vorrebbero fare a me e a Trotzky, e non so se ai bordighiani e ai trotzkisti: saremmo cioè noi a esagerare il compito dei capi nella rivoluzione proletaria e nella dirigenza del Partito, a vedere l'influenza degli uomini invece di quella delle masse. Non solo io non ho questa sciocca opinione, ma essa è evidentemente nutrita nel fondo del cuore dai miei contraddittori, per cui tutto il problema del Partito italiano è il problema Bordiga.

Ma il problema Bordiga è così intricato, a sentire le varie affermazioni che danzano intorno al riverito mio nome, da vederci una sola via di uscita: la mia sparizione fisica dalla superficie di questo basso mondo. La mia stessa espulsione, che il compagno Humbert-Droz lascia cortesemente comprendere di intravedere come conclusione della crisi, non sanerebbe nulla, perché sono sicuro che il mio spettro non cesserebbe di aggirarsi intorno ai trionfanti dirigenti del Partito come elemento perturbante il desideratissimo sonno. Infatti mi si attribuiscono contemporaneamente le più opposte attitudini e intenzioni, e di tutte si riesce ad essere scontenti. Se taccio e mi apparto, rendo impossibile il funzionamento del Partito, e la sua bolscevizzazione (?). Se parlo, scrivo, comunico con uno o due compagni, la bolscevizzazione non ne risulta meno gravemente insidiata, e si parla con leggerezza rivoltante di decisione a frazionare, scindere, spezzare il Partito. Si inventa che io non voglia andare di proposito a una riunione internazionale, per dedurne che non ho il coraggio di affrontare il dibattito, quando si tengono nel cassetto gli articoli con cui ho preso in modo stridente la mia posizione e le mie responsabilità, e si inventa non meno arbitrariamente che io lavori diabolicamente a una frazione internazionale. Secondo L'Unità del 3 luglio - dico L'Unità perché l'articolo non è firmato - "Bordiga, perseguendo un suo piano preciso e chiaro mantiene da molto tempo dei rapporti di carattere internazionale con elementi di estrema sinistra negli altri partiti". E l'ignoto informatissimo scrittore, oltre a fare i suoi scongiuri, mostra di sapere perfino che "in nessuno di questi partiti Bordiga ha trovato elementi disposti a spezzare principi organizzativi rivoluzionari colla creazione di un'organizzazione di frazione". Ed allora, che canchero di rapporti mantiene?

Ora io dichiaro che non ho mai fatto tentativi del genere, e quindi non mi sono trovato in condizione di vederli respinti; di più: invito l'ignoto di cui sopra a fare il nome di un solo compagno estero con cui mantengo rapporti di corrispondenza, in quanto non ne ho con nessuno. Dichiaro che penso che oggi non è ancora possibile un orientamento parallelo di gruppi di estrema sinistra nei vari partiti, che questa la riterrei cosa utile e forse nell'avvenire necessaria, ma che la sua realizzazione non dipende affatto dalla decisione mia o di chicchessia di intavolare rapporti epistolari bensì da cause più profonde di cui lo scambio eventuale di lettere non potrebbe essere che uno dei tanti effetti esteriori. E queste cause, se si preciseranno, non spariranno certo per gli esorcismi disciplinari e la incriminazione delle lettere in circolazione.

IL CASO DI NAPOLI

Tra le affermazioni fatte dalla Centrale per difendersi dalle accuse della sinistra, ve ne sono tante che la polemica sui fatti dovrebbe riempire pagine e pagine dell'Unità e forse è meglio che questa parte del dibattito sia soltanto orale. A solo titolo di esempio mi soffermerò su di un episodio che prescelgo non perché mi concerna personalmente, ma perché sono in grado di direttamente conoscerne i minimi particolari e posso, assumendone la piena responsabilità, denunziare ai compagni, rinunziando a qualificarla, la maniera con cui lo riferisce la Centrale o chi per lei (si tratta sempre dell'articolo del 3 corrente). Alludo alla mia revoca da segretario federale di Napoli. Secondo la Centrale io non venni eletto da nessun convegno o assemblea, ma designato di autorità dalla Centrale stessa. Ora questo, anche se fosse vero, non importerebbe nulla, in quanto noi rimproveriamo alla Centrale il fatto preciso di essere intervenuta a revocare e sostituire comitati senza consultare gli iscritti locali, non per ragioni tecniche dipendenti dalla reazione, ma con finalità frazionistiche, ossia per fare meglio il lavoro di svalutazione della sinistra a mezzo della rete del Partito. Non importa dunque sapere come era stato eletto il comitato che si sostituisce, ma con quali fini lo si sostituisce. Potrei anche dire che non ci sarebbe nulla di male da parte mia ad accettare a cuor leggero una designazione superiore, sapendo che cosa di essa penserebbe la massa dei compagni di Napoli e provincia, e che la mia nomina non potrebbe essere messa sullo stesso piano di quella di certi sconosciuti a cui va passando il controllo degli organi di Partito per ragioni di preferenza frazionistica. Ma tutte queste ragioni non valgono perché il fatto è falso. Anzitutto il Comitato federale di Napoli era stato eletto tra elementi nettamente di sinistra al Convegno di settembre, senza opposizione. In secondo luogo io vi fui aggregato per decisione di un largo convegno cui presenziò un membro del CE. In tale occasione si votò la lista lasciando al comitato di eleggere il segretario: si scelse Fiore. Quando venne l'ingiustificata e frazionistica imposizione di sostituire Fiore, il Comitato elesse me. Ma questo è nulla.

Sentite poi come si fa la storia: ... "constatando l'inattività in cui la Federazione di Napoli era piombata in conseguenza dell'asserita (assaporate questo asserita che ora ne riparliamo) impossibilità del compagno Bordiga di convocare e di partecipare a riunioni collegiali del Comitato per la rigida sorveglianza della polizia sulla sua persona e su ogni suo movimento ... la Centrale tolse di autorità l'incarico, ecc. ".

Sembrerebbe che io non riuscissi a convocare il Comitato, che avessi dichiarato di non poterlo fare perché sorvegliato dalla polizia, e che avessi accampato tale pretesto dinnanzi a contestazioni sul mancato funzionamento federale. Tanto vero che sarei stato io ad asserire di non poter agire per la sorveglianza poliziesca che, tra parentesi, lo scrittore mi rinfaccia, quasi a cogliermi in fallo e in falso, che ben potetti il 12 maggio assistere in Napoli a un Convegno della frazione. Ora sentite come stanno le cose, nella pura verità, e scusatemi, o compagni, di dovermi diffondere su particolari così meschini: ho detto che intendo sia l'ultima volta.

Malgrado la sorveglianza della polizia, che dal più al meno è quella che dura da oltre dieci anni, io facevo il segretario federale e riunivo regolarmente e sicuramente il comitato, ogni settimana, anche illegalmente quando ne era il caso. La Federazione funzionava soddisfacentemente, e quanto meno non mi si mosse mai appunto del genere nemmeno all'atto della revoca da segretario. Tanto meno mi si fecero mai appunti di attività frazionista: la Federazione era strettamente imparziale: basti dire che fu Napoli una delle poche Federazioni che per l'astensione del Primo Maggio riuscì a fare il manifesto comune coi massimalisti e unitari, su ordine della Centrale, altrove non potuto eseguire, e contrario notoriamente alle nostre opinioni. Ma la Centrale aveva deliberato di intensificare, non voglio dir peggio, il desinistramento del movimento napoletano, e occorreva che io non intralciassi l'opera nemmeno come testimone. Visto che vari piccoli atti di ostruzionismo non sortivano effetto, si decise di sostituirmi. Queste potrebbero essere mie supposizioni tendenziose, ma ecco i fatti senza tema di smentita.

Sono chiamato a colloquio dal rappresentante della Centrale. Egli mi fa questo discorso: "Tu non puoi lavorare perché troppo pedinato: noi cambieremo il segretario federale, tu resterai membro del Comitato e conserverai l'effettiva dirigenza politica, ma l'esecutore sarà un altro". Io espressi il parere contrario a questa proposta. Dietro tassativi quesiti miei il compagno dichiarò che io non avevo fatto alcun atto frazionistico, e che non avevo mancato nella mia attività organizzativa, cui la Centrale non trova a ridire. Io feci altre proposte: l'immediata convocazione del Congresso federale; fu respinta. Arrivai a propormi come membro del Comitato della sezione di Napoli, e a proporne l'assemblea: eguale rifiuto (parentesi personale e che può essere tendenziosa: la sezione di Napoli o per dir meglio il suo Comitato erano divenuti il punto di appoggio per la propaganda centrizzatrice, e il mio accenno a entrare in quel sacro campo fu accolto come la più scandalosa delle pretese). Il rappresentante della Centrale non convenne in nessuna delle mie soluzioni, e ripetette che per l'ordine della Centrale, sarebbe stato segretario federale un altro compagno, ed io semplice membro del Comitato. Io dichiarai che egli non aveva che a comunicare l'ordine scritto e sarebbe stato subito eseguito.

La sera a Comitato riunito giunse la lettera. Vi era una piccola variante rispetto alla conclusione cui eravamo giunti: io non restavo più neppure semplice membro del Comitato federale. Siccome per questo non reggeva nessuna motivazione, non si era avuto neppure il coraggio di annunziarmelo.

Credo che non posso in materia essere sospettato di ambizione, ed è anche per questo che sono entrato in una cronaca così minuta e se si vuole pettegola. È che bisogna farla finita coi pettegoli. Molto potrei aggiungere intorno allo specioso pretesto della sorveglianza poliziesca, facendo rilevare che nessun infortunio poliziesco avvenne al lavoro federale mentre moltissimi ne avvennero proprio al lavoro del compagno che comunicò la mia destituzione, e veramente impressionanti. Non faccio di questo un'accusa, perché mi basta qui ristabilire l'episodio dei motivi della mia revoca, e lascio ai compagni di giudicare questi sistemi, senza commentarli menomamente, avvertendo solo che sui fatti non temo smentita. E più che sul fatto del cambiamento di un segretario federale, li invito a riflettere sulla maniera con cui la Centrale, nel citato articolo, si permetteva di presentare l'episodio: trascendendo poi in quello e in molti altri scritti a parlare di nostra malafede!

Aggiungerò solo questo: che il diffondersi tra i compagni della notizia di questo ed altri gesti dei dirigenti, provocò a Napoli, alla insaputa totale mia e di altri compagni che passano come leaders locali di sinistra, una prima riunione di compagni decisi a muoversi per protestare contro uno stato di cose fattosi intollerabile.

Mille altri episodi analoghi, quando si potessero ampiamente illustrare a tutti i compagni, proverebbero se è una frase nostra o una schiacciante verità quella dell'offensiva ed iniziativa frazionista da parte della Centrale.

IL CASO DI GIRONE

Dopo averci pensato vari giorni, i polemisti della Centrale sono tornati sui particolari del caso Girone. Anche qui hanno dato prova di una disinvoltura mirabile, calcolando al solito sul fatto che i compagni, specie operai, non hanno modo e tempo di soffermarsi ad un esame delle sottili distinzioni fatte scivolare tra parola e parola.

Si cita a pezzetti una lettera del Comitato d'Intesa che mostra la nullità dell'espulsione di Girone ma non la si pubblica tutta, forse per non far dire che Girone è stato espulso senza inchiesta, interrogatorio, o contestazione e comunicazione di sorta, e che la sua responsabilità non può essere distinta da quella di noi tutti. E si pretende di smentire le mie smentite colle stesse parole della lettera nostra. Che cosa avevo io recisamente smentito? La qualità di funzionario del Comitato d'Intesa attribuita a Girone, e il possesso di un abbonamento ferroviario. La Centrale pretende di aver detto la verità e vuol provarlo col metodo delle contrapposizioni uscendone così: noi affermavamo che Girone era funzionario del Comitato d'Intesa: ebbene questo dice che "Ugo Girone faceva d'intesa con noi il suo viaggio nel meridionale". A parte che le parole virgolettate qui e in neretto nel comunicato della Centrale non sono quelle del nostro testo, l'effetto cercato viene del tutto a cadere per chi si fermi un momento. Tra l'intesa con noi e l'essere funzionario corre una potente differenza sulla quale portava la particolare insinuazione con cui si colpiva Girone: che un'intesa non implica uno stipendio o un qualunque rapporto finanziario, l'essere funzionario sì. E quando, poco più oltre, troviamo che sarebbe la stessa cosa avere l'abbonamento ferroviario o il biglietto parlamentare, siamo dinnanzi alla stessa differenza: che il primo si paga, e molto, il secondo è gratuito.

Ora siccome il comunicato della Centrale tendeva a liquidare moralmente, oltre che politicamente, Girone tacciandolo di professionista della disgregazione del Partito, e a produrre l'effetto che il lavoro del Comitato d'Intesa fosse davvero diabolico e frazionistico, in quanto si avvaleva di funzionari stipendiati e li dotava di abbonamenti, ecco che i punti più gravi sono quelli in cui la Centrale è stata smentita, senza poter ritorcere le smentite malgrado i cavilli: e su questi fatti smentita, senza indagini e contraddittori, si è basata la livragazione di un compagno. I particolari cui dobbiamo scendere sono tediosi: ma bisogna pure venire a capo di qualcuno dei fatti controversi, sempre perché i compagni sappiano da qual parte può trovarsi l'intenzione e capacità di ingannarli volgarmente.

Altra smentita a vuoto; noi diciamo che è falso che Girone sia stato accolto come insinua il comunicato della Centrale, ossia con avversione, dai compagni cui si rivolse, la Centrale dice che le Federazioni meridionali hanno votato contro il Comitato d'Intesa. Se volessimo scendere alla cronaca del come sono stati votati gli ordini del giorno federali, sempre in presenza e sotto la tormentosa pressione di un inviato della Centrale, ci sarebbe da scrivere molte sgradevoli pagine del genere di quelle che sgraziatamente ho qui dovuto perdermi a stendere. Ma lasciando andare i comitati sta di fatto che i compagni con cui Girone parlò, non solo gradirono allora la sua conversazione, che di altro non si trattava, malgrado espulsioni e diffamazioni, ritengono Girone un degno compagno. Potrebbero anche dichiararlo, se si garantisse loro di non essere... bruciati.

LA "SINISTRA ITALIANA" E L'INTERNAZIONALE

La filastrocca è già lunga, e questo argomento è di tale importanza da poter ben figurare in una trattazione impersonale cui ci auguriamo di poterci elevare. Ma la insistenza a foggiare di sana pianta la leggenda è intollerabile. Ancora qui si può individuare due accuse contraddittorie. Noi siamo i colpevoli di aver creata la rottura con l'Internazionale, e su questa solfa non la si smette mai. Quando poi si tratta dell'Esecutivo Allargato del giugno e di altre occasioni in cui facemmo ogni sforzo con tutta lealtà per vedere di superare il conflitto, si travisano le cose e ci si accusa di aver tenuto nascosto al Partito il dissidio. Si pretende poi persino che la sinistra italiana non abbia mai rappresentata la maggioranza del Partito: si dimentica, tra l'altro, la conferenza del maggio 1924 nella quale avemmo 35 voti contro 9 dispersi, si dimenticano le ripetute decisioni e discussioni del Comitato Centrale, forse perché allora era solidale in esse l'attuale stato maggiore centrista. Un ampio articolo dovrà essere dedicato a questo tema. La verità è che sempre abbiamo mantenuto il nostro dissenso ideologico su molti problemi, ma che sempre abbiamo osservata con lealtà la disciplina. Abbiamo lasciata la Direzione del Partito quando non potevamo tenerla senza rompere la disciplina: alle molte inesattezza dette dal compagno Grieco, che elabora una sua infelice ricetta sul problema delle frazioni, che di serio significa solo questo: le frazioni erano lecite quando Grieco era all'opposizione, non lo sono oggi che Grieco è con l'Internazionale, risponderemo a suo tempo, ma risponde per ora Humbert-Droz riconoscendo che l'incompatibilità vi era. Ma H.D. vuole farla coincidere colla incompatibilità a stare nell'Internazionale: minaccia o argomento polemico che questo sia, lo respingiamo con violenza, invitando i compagni a considerare da che parte siano quelli che propongono tagli, se non scissioni, nel Partito.

Si potrà anche espellerci, ma, come ho detto, la questione non sarà risolta, perché non sorge dalla condotta mia o di pochi altri. Se si formano gruppi che per il loro dissidio sentono di non poter partecipare agli organi supremi del Partito e se questo è riconosciuto in fondo dalla stessa Internazionale come necessario (sebbene erroneamente H.D. asserisca che al IV Congresso ci venne offerto di assumere in maggioranza la direzione del Partito: bensì è vero che io avrei non ho rifiutato) dal momento che questo avviene si deve ritenere che esistono cause profonde che gli articoli della Centrale si compiacciono di designare colla parola necessità storica. Del resto che queste cause fossero visibili lo provano quegli stessi scritti. Nel caso di Milano si parlò di frazionismo potenziale. Nella relazione Gramsci si dice che la campagna contro la sinistra dovrà essere non solo ideologica ma politica perché certamente Bordiga passerà al frazionismo aperto". Quando si soppresse Prometeo fu dichiarato che non aveva mai fatto opera di frazione ma che la rivista in avvenire avrebbe potuto assumere tono frazionista.

Che vuol dire tutto questo? Che vi è una situazione in cui dobbiamo avere il coraggio di guardare, senza chiuderci nella pregiudiziale che vi è l'Internazionale, quasi ente metafisica e irreale, che automaticamente vede, risolve e dirige (e attaccheremo frontalmente questa tesi dimostrando come sia tessuta di una devozione fragile ed equivoca alla vera Internazionale in cui viviamo). Che è inutile sperare di uscirsene condannando Bordiga, attaccando Bordiga, anatomizzando Bordiga, espellendo, magari domani Bordiga. Come è inutile preparare tutto questo colle vantate conversioni dei Grieco. Se convertendomi io, o lasciandomi provocare agli estremi di una liquidazione disciplinare, o magari capitando sotto a una vettura tranviaria, potesse il problema ritenersi superato, ben misero capo di partiti e di Internazionali sarebbe chi vi dedica, non voglio dire tanto sforzo di intelligenza, ma semplicemente tanta superficie di carta stampata.

Dixi, et (probabilmente) non servavi animam meam. Ma spero di poter ugualmente mettere un: amen.

Amadeo Bordiga

Da "L'Unità" del 22 luglio 1925.

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