Schema di tesi sull'indirizzo ed il compito del P.C. in Italia presentato dalla "sinistra" del Partito

Non si comprende in queste tesi la parte riguardante le questioni di ordine generale e internazionale, senza la quale esse, d'altra parte, non possono venire esattamente valutate, poiché tali questioni sono delineate, dal punto di vista della sinistra del P.C.I., nelle tesi sulla tattica del Congresso di Roma e nel progetto di tesi tattiche per la Internazionale presentato al IV Congresso da Bordiga: documenti che si considerano ben conosciuti dai compagni.

La natura di questa discussione e la necessità di abbreviarla giustificano la compilazione assai sintetica di queste tesi, che abbracciano argomenti i quali in una consultazione regolare di Partito andrebbero suddivisi in vari accapi di un ordine del giorno congressuale.

1) La situazione italiana

1 - Un complesso di circostanze rende molto interessante l'insegnamento che scaturisce dallo svolgimento della lotta sociale in Italia negli ultimi anni dal punto di vista della politica della borghesia e del proletariato, sebbene l'Italia sia un paese di capitalismo non molto avanzato. Dopo le imprese reazionarie dell'ultimo decennio dello scorso secolo, nel principio dell'attuale la politica della borghesia fu caratterizzata da un largo impiego delle risorse "di sinistra," per neutralizzare e attirare nell'inganno della collaborazione di classe il grandeggiante movimento proletario.

2 - La guerra mondiale gettò la borghesia e lo Stato italiano in una grave crisi, per la poca saldezza della economia italiana e per il magro bilancio della vittoria. Per evitare lo sbocco rivoluzionario di una tale crisi la politica borghese consistette in un primo tempo in una abile tattica di conciliazione e concessioni al proletariato, finché non furono pronte le forze per scatenare una offensiva reazionaria che assicurasse la conservazione del regime. Il primo fattore di questa azione si ravvisa nell'opera dei Governi di Nitti e di Giolitti: soprattutto nelle elezioni del '19, nelle quali il primo andò incontro ad una invasione di deputati socialisti nel Parlamento, e nella occupazione delle fabbriche del '20 in cui il secondo seppe trovare una transazione coi capi proletari, evitando in tutto questo periodo la tensione eccessiva della lotta di classe.

3 - Il secondo fattore di conservazione borghese fu il fascismo. Questo sorse sul terreno del movimento dei combattenti e delle classi medie, strato instabile che il Partito del proletariato non seppe piegare alla visione della sua dittatura, e che nell'illusione di fare una politica autonoma e ereditare dai ceti politici tradizionali, si fece mobilitare dalla macchina dello Stato e dagli alti ceti borghesi, industriali e agrari, per la offensiva armata contro i lavoratori rivoluzionari. L'offensiva non solo impedì ogni sviluppo di azioni rivoluzionarie, ma tolse ai lavoratori le ingannevoli concessioni del periodo democratico e volle demolire ogni loro base di organizzazione. Il coronamento del successo di questa azione politica, a cui collaborarono i vari gruppi e Partiti borghesi al disopra delle gare dei capi politici, in un insieme dialettico e inscindibile, fu la creazione di un Ministero fascista, che non è il Governo di un nuovo Partito e di un nuovo programma, ma il consolidamento del regime tradizionale, che essendosi data nel paese una formidabile organizzazione ignota al vecchio Partito liberale, con la pressione di questa e della macchina statale sostituisce la necessità di temporeggiamenti e concessioni alle classi lavoratrici.

4 - L'esperienza italiana dimostra come sia reazionaria e sciocca la tesi che condizioni di larga democrazia politica permettono al proletariato di svolgere la sua avanzata rivoluzionaria. Prima di questa quelle condizioni daranno sempre luogo allo smascherarsi della dittatura borghese sotto qualunque etichetta politica nella difensiva e controffensiva violenta. L'avvenire della riscossa proletaria non sta nella preliminare conquista della vecchia equivoca piattaforma della cosiddetta "libertà" ma nella lotta fronte a fronte con le organizzazioni della dittatura borghese. La situazione attuale di sconfitta proletaria deve sempre più tradursi in una coscienza e in una preparazione delle masse, sentimentalmente oggi rosse come prima, a quella necessità della lotta rivoluzionaria che è chiaro caposaldo del programma comunista e che non deve essere velata da formule intermedie ed equivoche.

2) La politica del proletariato

5 - Il vecchio Partito socialista italiano nella seconda Internazionale era un Partito orientato a sinistra, tanto che alle offerte collaborazioniste della borghesia seppe contrapporre un rifiuto e si tenne al di fuori della collaborazione di guerra. Il formarsi di una maggioranza su queste tesi negative non equivaleva però al prevalere nel Partito di una completa coscienza del compito rivoluzionario positivo. La corrente che, non fermandosi alla formula "né aderire né sabotare" sosteneva che dalla guerra si doveva prendere occasione per l'assalto rivoluzionario alla borghesia mondiale, secondo la formula di Lenin, fu sempre durante e dopo la guerra una minoranza, sebbene forte, del Partito.

6 - La situazione del dopoguerra trovò il Partito, in mezzo a tanto spostamento a sinistra della massa, in condizioni di deplorevole insufficienza. Questa era:

a) teorica e programmatica, in quanto mancava una coscienza del processo rivoluzionario chiaramente marxista e distinta dal pacifismo dei riformisti e dal rivoluzionarismo parolaio e piccolo borghese, contemporaneamente troppo fatalista e troppo volontarista;

b) organizzativa, in quanto non vi era nel Partito una unità organica e una preparazione di organi di azione, in nessun campo, così che il controllo degli organi e dei sindacati restava alla minoranza riformista di estrema destra, sebbene questa fosse esclusa dalla direzione del Partito;

c) tattica e strategica, in quanto si concepiva una possibile azione delle masse solo sotto la specie equivoca di un moto popolare privo di ogni stato maggiore e di ogni conoscenza delle posizioni successive da raggiungere, e affidato alle occasionali alleanze di gruppi sovversivi di tutte le sfumature, dal repubblicano borghese all'anarchico, aventi obiettivi e metodi divergenti e incompatibili.

Di questa insufficienza costituzionale era una manifestazione derivata la situazione internazionale del Partito, che al Congresso di Bologna aveva aderito al programma della Terza Internazionale, ma riluttava dinanzi alle più semplici conseguenze di tale atteggiamento, tra cui quella di eliminare la estrema destra riformista. Questa semplice eliminazione non avrebbe fatto del Partito un Partito veramente rivoluzionario, necessitando ben altre condizioni più sostanziali: ma il rifiuto ostinato ebbe il valore di sintomo dal fatto che la maggioranza del Partito, e tutto il suo centro massimalista e unitario, erano fuori del movimento comunista, e non potevano, né volevano, né dovevano venire a far parte di questo.

7 - L'insuccesso del proletariato italiano del dopoguerra è la dimostrazione più evidente della tesi che l'unità formale e il confluire di un consenso sentimentale delle masse non bastano ad assicurare la vittoria rivoluzionaria ove manchi il Partito marxista che sia come dottrina, organizzazione, e capacità tattica, all'altezza del suo compito. Esso dimostra che un Partito eterogeneo o un blocco di Partiti diversi non forniranno mai lo stato maggiore della rivoluzione vittoriosa.

3) Il Partito comunista: primo periodo

8 - Il Partito comunista d'Italia si costituiva al Congresso di Livorno con la secessione di una minoranza del vecchio Partito, nel modo logico ed opportuno che doveva dare la piattaforma di un nuovo Partito rivoluzionario il quale, pur utilizzando le tradizioni della sinistra socialista italiana, rompesse del tutto col tronco organizzativo e colle consuetudini deplorevoli del riformismo e del centrismo. I massimalisti che restavano coi riformisti erano non dei comunisti occasionalmente fuorviati da un malinteso colla Terza Internazionale, ma, come stato maggiore politico, una formazione del movimento italiano "indesiderabile" per il nuovo Partito rivoluzionario.

9 - Il Partito comunista si costituiva in una situazione la cui piega sfavorevole al proletariato era ormai delineata, dopo il fallimento della occupazione delle fabbriche e l'inizio della offensiva aperta del fascismo nella Valle padana. Come Partito di minoranza, esso non si poteva prefiggere di realizzare una offensiva rivoluzionaria del proletariato, e non si potette di fatto mai porre questa come prossimo obiettivo.

Il compito del Partito si presentava nel modo seguente: la sua ideologia era soddisfacentemente fornita dal lavoro critico e polemico che condusse alla sua formazione e dalle dottrine della Internazionale comunista; la sua organizzazione doveva essere rapidamente allestita sulla base della rete già fornita dal lavoro di frazione; il suo complesso lavoro tattico doveva realizzare due contemporanee condizioni: concentrare per una difensiva efficiente contro la borghesia-fascismo il maggior numero possibile di lavoratori, e nello stesso tempo diradare le nebbie del confusionismo programmatico e organizzativo dei cento gruppetti ciancianti di rivoluzioni di vario tipo. Per la vera unità organica rivoluzionaria, contro il confusionismo e la demagogia opportunista, doveva essere la parola del Partito. La direzione che il Partito si era data a Livorno e si confermò a Roma volle realizzare queste condizioni essenziali col suo lavoro.

10 - Prima cura doveva essere quella di sottolineare la indipendenza politica del nuovo Partito da tutti gli altri, con una propaganda e una critica aperte, e evitando ogni alleanza centrale e locale tra organi politici: questa fu la parola costante del vecchio Esecutivo. Nello stesso tempo, allo scopo di aumentare la massa dei lavoratori inquadrati attorno al Partito rivoluzionario, si gettarono le basi del lavoro del Partito tra gli operai, sindacati, nelle officine, ovunque sorgessero problemi materiali interessanti i lavoratori, come dall'indirizzo indiscutibile del marxismo rivoluzionario. Si costituirono gli organi e gruppi comunisti corrispondenti alle esigenze di tale lavoro, strettamente collegati al Partito. Tutto il lavoro per mobilitare su un piano di efficace difensiva rivoluzionaria la più larga parte delle masse si fece poggiare su queste strutture, fino alla proposta di fronte unico fatta avanzare nell'agosto 1921 dal Comitato sindacale comunista alle organizzazioni sindacali rosse, per lo sciopero generale nazionale contro la reazione fascista e padronale.

11 - Per la organizzazione militare il Partito doveva procedere e procedette in maniera autonoma. La rete militare deve essere disciplinata in modo unitario a più forte ragione ancora di quella politica. Le proposte di azione comune ai vari Partiti, o "al di fuori dei Partiti" avanzate in materia (arditi del popolo) furono declinate, sia per questa ragione di principio sia per quella che venivano avanzate da emissari sospetti e con false dichiarazioni di consenso degli organi responsabili del Partito, alle organizzazioni di periferia, per trarle in inganno. Questo ed altri elementi dimostrarono all'Esecutivo che tali organizzazioni avevano moventi e fini sospetti, imponendo il contegno di cui il vecchio gruppo dirigente il Partito rivendica la responsabilità.

12 - Per desiderio della I.C. il Partito addivenne, dopo la costituzione della Alleanza del lavoro tra i sindacati, a trattative con i Partiti politici, ma pose in esse condizioni tali, che rispondevano alla garanzia che il proletariato non fosse ancora tradito come in tutti i casi precedenti di blocchi per i movimenti di massa. Tali condizioni furono tanto efficaci, che gli altri Partiti ruppero le trattative, ma mai osarono appellarsene al proletariato, essendo evidente dal loro contegno la capacità e neghittosità unite a propositi di demagogia e di disfattismo.

13 - Si giunse, per tal modo, allo sciopero dell'agosto del 1922. Tale episodio nei suoi insegnamenti è un esempio di applicazione della tattica rivoluzionaria del fronte unico. Esso calzava col piano tattico della dirigenza del Partito, comunista: intervenire nella dirigenza del movimento con responsabilità dirette nel caso che fosse possibile sopraffare l'influenza degli altri gruppi e impedire il loro sabotaggio: nell'ipotesi opposta partecipare alla lotta in modo da dimostrare al proletariato la superiorità rivoluzionaria del Partito comunista e convincerlo alla luce dei fatti che la dolorosa eventualità della sconfitta pesava tutta sulle responsabilità degli altri Partiti e sarebbe stata evitata ove le proposte degli organi comunisti fossero state seguite e non sabotate. L'azione di agosto, pur rispondendo, e non potette essere altrimenti, per la equivoca politica dei riformisti e la complicità troppo tardi denunziata dei massimalisti, alla ipotesi della disfatta proletaria, mise in evidenza il Partito comunista e polarizzò verso di lui la parte del proletariato che pur nella ritirata voleva fronteggiare il nemico e tenersi sotto le bandiere classiste e rivoluzionarie.

14 - Dopo lo sciopero di agosto il logico svolgimento della tattica delle proposte di fronte unico, avanzate nel periodo agosto 1921-agosto 1922, doveva essere il passaggio del Partito Comunista, malgrado il prevalere della reazione fascista, ad un autonomo appello al proletariato di raccogliersi attorno ad esso, soltanto ad esso, per l'allestimento, anche aspro e lungo, della riscossa, denunziando la incapacità di ogni altro Partito proletario e mirando allo svuotamento di esso coll'esodo dei suoi aderenti verso le nostre file. Questa tattica eloquente ed evidente doveva accompagnare il concentramento delle maggiori energie sul terreno della difesa tecnica della nostra organizzazione interna, con tutti i mezzi, contro i tentativi della reazione per sopprimerci. Sopravvivendo a questi tentativi, il Partito doveva imperniare la sua futura tattica sulla parola: il fascismo sconfiggendo il proletariato, ha liquidato i metodi politici e le illusioni del vecchio socialismo pacifista, anche sotto la veste chiassosa del massimalismo: l'avvenire si pone per il proletariato sotto la formula: fascismo o comunismo, dittatura borghese o dittatura proletaria.

4) La nuova politica comunista

15 - In questo periodo venne a precisarsi il dissenso tra la tattica seguita dai dirigenti del Partito italiano e quella voluta dagli organi centrali della Internazionale. Come già erasi verificato la Internazionale non trovò nel Partito italiano alcuna resistenza ad eseguire le sue disposizioni. Ma è da questa epoca che le disposizioni stesse vennero a cambiare indirizzo al lavoro politico del Partito, in modo sostanziale. Secondo la Internazionale la scissione che sopravvenne, tra massimalisti e riformisti doveva dettare la linea di condotta dei comunisti come fatto politico più importante della conclusione dello sciopero di agosto. Preconizzando la fusione coi massimalisti, e facendo passi in questo 3enso, la Internazionale veniva a modificare non solo la linea tattica fino allora seguita dal Partito, ma a volerne spostare la piattaforma politica di costituzione. Valutando l'insuccesso proletario in Italia come dovuto anche a deficienze del Partito comunista, la Internazionale mostrava di considerare la situazione dopo Livorno come provvisoria, la costituzione del Partito comunista, quale era stato fino allora, come un ripiego necessario solo per attrarre successivamente i massimalisti, in blocco, col loro giornale Avanti!, nelle file della Internazionale.

16 - I dirigenti del Partito espressero il loro dissenso e lo sostennero anche al IV Congresso mondiale: ma intanto ebbe esplicazione la nuova linea politica, che da allora ispirò l'azione del Partito sebbene la sostituzione dell'Esecutivo italiano fosse deliberata solo all'Esecutivo allargato del giugno 1923.

Il punto di vista del Partito italiano fu questo: le scissioni sono condannabili in principio, come dalle nostre tesi tattiche, e condannabile è pure la alimentazione di frazioni comuniste in altri Partiti politici, che serve ad alimentare l'equivoco sulle tendenze sinistre di questi. Il gruppo dirigente del massimalismo italiano e la sua tradizione devono essere spezzati, per poter condurre al comunismo la massa di lavoratori che esso ancora inquadra: è illusorio pensare di poter conquistare questa massa utilmente, venendo a patti con quei capi e facendo loro concessioni e promettendo loro partecipazioni alla dirigenza del Partito comunista unificato, che risulterebbe di nuovo il Partito dell'equivoco. I lavoratori massimalisti, anche a gruppi, devono venire al Partito comunista come gregari, nessuno può penetrarvi "col beneficio del grado." Inoltre i dirigenti di allora del nostro Partito espressero tutto il loro scetticismo sulla sicurezza di conquistare lo stato maggiore dei capi di secondo e terzo grado del massimalismo colla semplice adesione di alcuni uomini più o meno convertiti alla entrata nell'Internazionale, con tutti gli onori relativi.

17 - Prevalso al IV Congresso il criterio della fusione, i dirigenti del Partito comunista impegnarono la disciplina di tutta la massa del Partito al deliberato della Internazionale, ma dichiararono necessaria la loro sostituzione per la effettuazione del nuovo lavoro politico. Sopravveniva intanto l'ondata reazionaria del febbraio 1923 con l'arresto dei dirigenti del Partito e la scoperta di alcuni uffici centrali. Forse molte conseguenze di questo colpo potevano essere evitate, se il Partito avesse potuto concentrare le energie nella sua difesa dalla reazione, anziché sul terreno di logoranti polemiche e discussioni colla Internazionale, che distraevano i capi dal loro ufficio e demoralizzavano il Partito dinanzi ai molteplici e velenosi suoi avversari. Intanto la reazione anticomunista sollecitava i capeggiatori del massimalismo a scoprire la loro tradizionale pusillanimità e a rinnegare e respingere la fusione, come avvenne al Congresso di Milano, dove la frazione fusionista fu battuta in pieno, confondendo i suoi scarsi voti con quelli di una mozione intermedia e equivoca di Lazzari.

18 - Invece di considerare tale scioglimento come liquidazione della sbagliata tattica fusionista l'internazionale lo attribuì al sabotaggio della sinistra comunista, e insistette nella linea di penetrazione nel P.S.I. alimentandovi la frazione terzinternazionalista, scarsa di forze e di capacità politica e organizzativa. Si è così trascinata per un anno e mezzo una situazione di preludio alla fusione che anche coloro che non respingono ogni fusione in generale dovrebbero sforzarsi di limitare ad un brevissimo periodo preparatorio. Si è avuta così in Italia una doppia organizzazione terzinternazionalista, con doppia ramificazione in tutti i campi di lavoro, il che ha apportato confusione, rilasciatezza e sfiducia nelle stesse file del Partito comunista, nel periodo in cui più si, sentiva il bisogno del metodo di direzione unitaria, ferma e compatta. Su questa situazione il massimalismo ha speculato fino a che ha potuto, dipingendosi come il movimento che Mosca in tutti i modi chiamava a sé, e valorizzandosi dinanzi al proletariato italiano nel periodo in cui ogni altro titolo rivoluzionario gli veniva a mancare. La liquidazione dell'equivoco massimalista è così stata ritardata dalla politica dell'Internazionale.

19 - Nel periodo successivo il Partito ha dimostrato la sua spontanea vitalità e robusta tradizione, provando di essere una forza politica effettiva e non abbisognante di integrazioni per avere una sua funzione autonoma. Alla periferia le organizzazioni del Partito hanno magnificamente resistito e ripreso. Intanto le continue tergiversazioni sulla tattica da dettare ai terzini, sulla loro entrata nel Partito comunista o permanenza in quello socialista per la ipotetica conquista, la sostituzione dei vecchi dirigenti con elementi che stavano in una posizione intermedia tra la loro politica e quella della Internazionale, hanno ridotto il funzionamento dell'apparato centrale del Partito ad una pratica quotidiana e banale senza vigore e senza fisionomia, malgrado la buona volontà della più gran parte dei compagni ad esso preposti.

20 - Nelle elezioni politiche si è voluta ancora una volta sperimentare la tattica sfatatissima degli inviti agli altri Partiti politici e fallita questa, costruire una alleanza coi terzini e dare una parola di unità, mentre ci siamo alleati e uniti solo con una organizzazione fatta da noi stessi, e per dir così colla nostra immagine riflessa in uno specchio. Questo ha reso necessaria nella formazione delle liste e del nuovo gruppo parlamentare una elasticità di criteri che sarebbe apparsa scandalosa dieci o quindici anni fa alla sinistra del vecchio Partito socialista: uomini politici hanno potuto scegliere a sangue freddo la lista ove collocare il loro nome, emettendo o rimangiando una professione di terzinternazionalismo. Anche se questo avesse condotto ad un vantaggio elettorale, sarebbe stato da condannarsi: ma invece il successo del Partito non è stato successo di un'alleanza, ma dei "comunisti" taglientemente definiti come tali dalla stampa avversaria, mentre noi stavamo sotto la foglia di fico di una cosiddetta unità. La formula stridente: fascismo o comunismo, e l'attitudine di op. posizione di estrema sinistra presa ripudiando per principio ogni possibile largo o stretto, vero o fittizio, blocco elettorale, oltre ad essere più consona alla tattica rivoluzionaria, ci avrebbe dato un successo elettorale ancora maggiore. L'attitudine diversa minaccia di rivalorizzare lo stupido feticcio della unità falsa ed equivoca, di far dimenticare ciò che la nostra dottrina e la situazione insegnano al proletariato: considerare come impotenti e controrivoluzionari i Partiti del socialismo opportunista.

5) Il compito avvenire del Partito comunista in Italia

21 - Il compito del Partito secondo la sinistra comunista si desume da quanto abbiamo detto sulla situazione italiana, in rapporto alle direttivi tattiche delle note nostre tesi. Esso è in dipendenza delle decisioni della Internazionale, dovendo questa, e non una maggioranza del Partito, decidere in merito. Nella ipotesi che l'Internazionale, evitata ogni revisione programmatica, accettasse in ordine alla tattica e ai criteri organizzativi e direttivi i criteri della sinistra, il Partito italiano dovrebbe prefiggersi:

Organizzativamente: liquidazione di ogni frazione in altri Partiti e ammissione nelle proprie file dei terzinternazionalisti, con una procedura accelerata rispetto a quella normale, ma senza partecipazione agli organi direttivi. Consolidamento dell'apparato organizzativo interno e dei rapporti tra centro e periferia, secondo una soluzione internazionale della questione esauriente e completa;

Politicamente e tatticamente: critica irreconciliabile e veramente marxista, non impeciata di democratismo e vittimismo, del fenomeno e del regime fascista, e lotta contro di esso con tutti i mezzi; critica risoluta dei Partiti borghesi antifascisti o sedicenti tali e dei Partiti socialdemocratici, evitando ogni attitudine di blocchi, alleanze, intese con essi o parte di essi; lavoro per far risorgere i sindacati classisti ed altri organismi economici di coordinamento delle masse di operai e contadini, e per conquistare in essi una influenza comunista.

Questo programma di azione può essere più ampiamente svolto, con riguardo ai moltissimi e importanti problemi speciali, dai rappresentanti della sinistra italiana, ove il IV Congresso discuta di un programma di azione del P.C.I., e tenendo presente la parte attuale dell'ampio programma analogo presentato all'uopo al IV Congresso, e non discusso da questo.

Su tale piattaforma soltanto, è garantita contro la mutevolezza di tattica e virate strategiche che i testi dell'Internazionale dovrebbero finalmente condannare ed escludere in modo esplicito, la sinistra comunista italiana potrebbe riprendere il lavoro che aveva intrapreso con vasti intendimenti di continuità, serietà, instaurando nel Partito una strettissima regola di disciplina, ma accompagnata da una sicurissima coscienza della rotta che al Partito stesso i suoi capi si erano impegnati a dare, senza deviazioni e senza sorprese manipolate all'insaputa della massa dei militanti.

Ove l'indirizzo dell'Internazionale e del Partito dovesse restare opposto con quello qui tracciato, o anche indeterminato e imprecisato come fino adesso, alla sinistra italiana si impone un compito di critica e di controllo, e il rifiuto fermo e sereno a soluzioni posticce raggiunte con liste di comitati dirigenti e formule svariate di concessioni e compromessi, quali sono il più delle volte i paludamenti demagogici della tanto esaltata e abusata parola di unità.

Amadeo Bordiga, Bruno Fortichiari, Ruggero Grieco, Luigi Repossi.

Da "Lo Stato Operaio" n. 6 del 15 maggio 1924.

Archivio storico 1924 - 1926