Partito Comunista Internazionalista

Resoconto del I Congresso Nazionale
Firenze, 6-9 maggio 1948

(Parte Prima)

Dopo il saluto della Federazione fiorentina, portato dal compagno Lecci e brevi dichiarazioni dei comp. francese, belga, italo-americano e Triestino, il pomeriggio del 6 maggio è stato dedicato alla relazione finanziaria e alla discussione del problema dell'incremento nella diffusione della stampa.

La seconda giornata si apre sul primo comma dell'ordine del giorno:

EVOLUZIONE NAZIONALE ED INTERNAZIONALE DEL CAPITALISMO E COMPITI DEL PARTITO DI CLASSE

Relatore Onorato Damen

Questo Primo Congresso prova che il Partito è una realtà sul piano della lotta politica e segna un momento, seppure ancora modesto, della ripresa di classe e della volontà di lotta del proletariato.

Dal Convegno di Torino ad oggi il Partito è passato attraverso un'esperienza che è stata conferma delle previsioni e dell'esatta impostazione critica data ai problemi di questo secondo dopoguerra, quali il rafforzamento del capitalismo, l'essenza fascista della sua organizzazione economica e politica, l'asservimento del proletariato attraverso la politica di tradimento del nazionalcomunismo ed il precipitare dell'umanità verso la terza guerra imperialista.

Se vi è oggi una maggiore chiarezza di fronte a questi problemi, se il tradimento dei partiti ad origine operaia è stato messo in evidenza e se la coscienza proletaria tenta a fatica di sottrarsi alla loro influenza, questo in gran parte è dovuto alla presenza del nostro Partito ed alla persistenza della sua azione critica. Attraverso appunto questa incessante azione di demolizione critica il Partito si è rafforzato qualitativamente, ha irrobustito i suoi quadri, ha cercato di porre i suoi problemi in concreto, ha espresso in una parola, e nei limiti di una situazione sempre più reazionaria e consecutiva, una prima esperienza in attivo per ciò che concerne la possibilità del ritorno alla lotta politica di classe.

Dopo la sconfitta della Rivoluzione Russa, dopo la Seconda Guerra Imperialista, bisognava riesprimere ideologicamente e politicamente il senso della frattura di classe, bisognava riproporre i problemi della rivoluzione: questo era il compito storico del Partito ed il suo apparire sulla scena politica ha segnato il punto di polarizzazione delle forze dell'avanguardia rivoluzionaria allorché saranno ributtate dagli avvenimenti nel fuoco della lotta. Oggi solo noi, esprimiamo l'ideologia e la forza di questa frattura di classe e la esprimiamo con una puntuta analisi critica ed aggressività superiori a volte alla stessa possibilità fisica ed organizzativa del nostro movimento.

A due anni dal Convegno di Torino il capitalismo può dire di aver vinto la prima delle sue battaglie: esso infatti è rinsaldato nelle sue basi economiche e politiche per aver operato con la rituale sottile intelligenza, che gli viene da oltre un secolo di dure lotte ed esperienze in difesa dei propri privilegi, si è ripreso come forza storica di classe, ciò che gli consentito di piegare ai propri fini le forze politiche tradizionali del proletariato e servirsene per la propria conservazione. Oggi è chiaro che cosa ha voluto significare la politica di rafforzamento delle basi storiche del capitalismo, realizzata sull'asservimento del proletariato: riposta l'esigenza di una più vasta ed intensa accumulazione attraverso l'esercizio di un'economia monopolistica potentemente accentrata nelle mani delle due potenze egemoniche uscite vittoriose dal 2° conflitto mondiale, il problema della guerra per il predominio in senso unitario del mondo era posto all'ordine del giorno della storia. E' così in atto lo schieramento economico, politico e Militare che mette di fronte gli Stati Uniti e l'URSS. Gli alleati di ieri sono i naturali nemici di domani; gli uni hanno alzato la bandiera della democrazia parlamentare, gli altri quella della democrazia popolare. Che cosa vogliono dire in realtà i termini non usati a caso di democrazia parlamentare e di democrazia popolare?

In questo tentativo di mistificazione storica sta la conferma del marxismo. Nell'economia sovietica la rivoluzione di Ottobre, con l'abolizione della proprietà privata e la sua trasformazione in economia collettiva nell'ambito dello Stato, organo specifico per l'esercizio della dittatura di classe e fase necessaria e necessariamente transitoria per la realizzazione del socialismo, aveva creato il presupposto storico obbiettivo alla costruzione della nuova società; ma lo stesso presupposto economico, capovolte le condizioni subbiettive della direzione della lotta politica per l'avvenuto rovesciamento dei rapporti di forza nella situazione sociale e politica tanto russa che internazionale, tale presupposto economico, dicevamo, che postulava il socialismo, è servito alla controrivoluzione per fare dello Stato e della sua economia accentrata, unitaria e potentemente gerarchizzata la base del più saldo, del più avanzato e del più avido imperialismo.

Sul piano più specificatamente sociale e politico, dalla fase storica della dittatura del proletariato il capitalismo vittorioso in tanto empito di socialità nelle cose; e di socialismo nazionale, doveva esprimere questa fase della sua esperienza sul piano di una democrazia progressiva e popolare. Il fascino delle formule costituzionali, che si articolano attraverso consuetudini parlamentari, non ha presa in chi, come la Russia, non ha mai avuto una seria e costante tradizione democratica e parlamentare. La dittatura economica dello Stato-padrone doveva perciò imporre una dittatura politica il cui volto esterno di democrazia non poteva essere che popolare: popolare e progressiva è quindi la variante russa dell'imperialismo. In contrasto formale con questa esperienza era l'altra della democrazia parlamentare, nel cui seno aveva fatto le ossa l'economia americana. Qui si è passati dalla fase liberistica a quella controllata, dalla democrazia liberale a quella autoritaria, possibili entrambi nel clima storico del parlamentarismo.

Negli Stati Uniti l'epoca dei monopoli e della loro tendenza a polarizzarsi nell'ambito dello Stato, ha trovato negli istituti tradizionali del liberismo e della democrazia il veicolo più adatto all'esercizio della più scaltra e ferrea dittatura del capitale: democrazia parlamentare è quindi la variante americana dell'imperialismo.

Questo duplice aspetto dell'imperialismo puntualizza i termini di un nuovo conflitto mondiale, reso inevitabile e pressante dalla natura stessa delle profonde ed insanabili contraddizioni che travagliano il capitalismo e storicamente presuppone un proletariato battuto come forza politica di classe. In una parola, il consolidamento del regime capitalista è stato reso possibile dall'asservimento del proletariato, e su questi presupposti poggia il problema di un nuovo ciclo della accumulazione capitalistica, da cui discende la necessità storica della nuova guerra per il dominio in senso unitario e totalitario del mondo.

Noi stiamo vivendo gli esordi di questo grande dramma; ma noi, come partito di classe, d'una classe obbiettivamente sconfitta, ma che le stesse necessità di vita del capitalismo rimetteranno dialetticamente in moto, noi stessi non esprimiamo allo stato attuale che l'esigenza e l'urgenza di un ritorno offensivo del moto di classe.

Il proletariato non è un'astrazione; non è un'astrazione il permanere attuale di uno squilibrio nei rapporti di forza tra le due classi storiche del conflitto sociale; come non è un'astrazione l'imperativo rivoluzionario che vuole che si rivesta di concretezza e di forza il moto ideale e finalistico delle masse lavoratrici. Il proletariato è tutto nella storia del capitalismo ed in essa deve sapersi muovere.

Ecco perché siamo storicamente costretti ad andare là dove il capitalismo và; e poiché questo precipita nella guerra, il proletariato non potrà che precipitare con esso, se la coscienza del suo essere di classe non si tradurrà in una forza politica di classe e questa in violenza rivoluzionaria.

La guerra segna sempre il punto estremo di ogni crisi del capitalismo e costituisce il suo mezzo normale per uscirne temporaneamente e ricreare così i motivi di un ulteriore sviluppo della sua capacità produttiva e quindi di una nuova crisi. Questa tragica catena sarà spezzata definitivamente solo dalla rivoluzione proletaria. Nell'epoca dell'imperialismo, cioè della crisi permanente, l'alternativa storica della guerra o della rivoluzione noi la vediamo e la sentiamo come la vedeva e la sentiva Lenin.

Ripugna al pensiero di considerare il proletariato alla stregua di una massa incosciente, inerte, destinata ad essere trascinata nella voragine della guerra solo perché è legata nel suo sviluppo all'esperienza del capitalismo, cosi come il sasso è legato al collo del disgraziato che annega. Sarebbe immiserire la dottrina della dialettica in una visione della storia arida e meccanicistica che è estranea al marxismo rivoluzionario.

Al problema delle prospettive è perciò legata la definizione dei compiti cui sarà chiamato il nostro partito.

Scartata l'eipotesi della guerra preventiva da parte dell'America per schiacciare l'eimperialismo russo, prima ancora che questo sia in grado di nuocere; circoscritti i focolai di conflitto armato accesisi o che sì accenderanno nei punti nevralgici dello schieramento imperialista, rimane aperta la strada alla continuazione della guerra fredda che non impedisce, fa anzi da pungolo allo sviluppo del presente periodo della economia capitalistica, teso verso la nuova accumulazione e la preparazione intensiva della guerra.

Ma l'ipotesi di un nuovo periodo dell'accumulazione apre la prospettiva ad un possibile riaccendersi delle lotte sociali a cui le masse operaie saranno spinte dal progressivo peggioramento delle loro condizioni di vita, dato che l'eonere della ricostruzione dell'apparato produttivo, della concorrenza e del materiale apprestamento bellico graverà ancor di più sul salario ed abbasserà ulteriormente il tenore di vita delle masse.

Nella fase attuale del capitalismo non è pensabile un ritorno puro e semplice ad una integrale economia di pace, come peccherebbe di astrattismo la formulazione opposta di una economia di guerra realizzata al cento per cento. Più aderente alla realtà sembra per ora la tendenza a soddisfare la duplice esigenza della economia capitalistica, nella quale il gioco del mercato e della concorrenza dei complessi monopolistici si intreccia con la produzione di beni strumentali, con la produzione di guerra. Nell'intrecciarsi di queste due esigenze produttive, negli alti e bassi del loro parziale sviluppo o arretramento è tracciata la linea virtuale dell'indirizzo unitario di un'economia spinta dalle sue stesse contraddizioni verso la terza guerra mondiale.

C'è intanto uno schieramento economico e politico dei protagonisti del nuovo conflitto imperialista, che allo stato attuale non si sentono di affrontare apertamente e di risolvere con la forza e la logica delle armi. Esistono perciò e tendono ad aumentare e ad ingrandire le premesse obiettive per una più o meno vasta ripresa del moto di classe, possibilità di ripresa che stenta a manifestarsi, e quando si manifesta non riesce ad articolarsi e ad assumere una fisionomia autonoma di classe, non perché il capitalismo è più forte, ma perché è tuttora forte nelle masse lavoratrici l'influenza dei partiti operai che sono stati piegati dal capitalismo ad un'opera di tradimento della causa proletaria e di controrivoluzione.

Come si muoverà il partito di classe?

I problemi posti al Convegno di Torino e che in genere sono gli stessi di oggi, hanno consentito di tracciare quella strada che il Partito continua a percorrere con quella maggiore avvedutezza e senso del reale che l'esperienza ed una più avvertita maturità critica consigliano. Come il Partito andrà alla nuova situazione? Con quali forze vi andrà? Quale sarà la sua tattica? Il Partito deve mettersi in condizione di poter rispondere a questi interrogativi.

C'è una tendenza in qualche compagno che mira a restringere i compiti del partito, quando non addirittura a negare la legittimità storica della sua esistenza. Su questo piano inclinato è facile ed inevitabile arrivare alla teoria che postulerà la liquidazione del Partito. Questo piano inclinato è idealmente sorretto dall'affermazione che il capitalismo si muove oggi sul piano della sola economia di guerra, il che nega l'esistenza del proletariato come classe e con la classe nega la possibilità di esistenza di ogni sua forza politica di guida. Il partito dovrebbe riapparire dopo il capovolgimento dell'attuale momento reazionario. Ed intanto, come argomento polemico di copertura a siffatta e fondamentale argomentazione, si considera il partito come una frazione allargata ed il suo sforzo di legarsi con continuità, sia come elaborazione critica che come prassi alla vita del proletariato per quel tanto che la situazione e gli attuali rapporti di forza consentono, si considera come una volgare mistificazione dell'opportunismo.

Per la verità il partito, nella sua parte più sensibile e più viva non ha mai preso sul serio una formulazione critica dettata più alla tendenza a teorizzare particolari stati d'animo originati dalla durezza della lotta e dalle sue non facili prospettive che da un esame obiettivo della situazione e delle sue possibilità, scaturito da un'esperienza profondamente vissuta nel grembo stesso del proletariato italiano. Sono in definitiva stati d'animo che il partito sanerà nel corso della sua azione. Ma approfondiamolo pure questo problema del partito.

Noi affermiamo che, in quanto il partito c'è e dura in una fase nella quale più palesi appaiono la sconfitta patita dal proletariato, il consolidarsi del capitalismo e la messa a punto dello schieramento delle forze della guerra, ciò è dovuto al fatto che il partito esprime un'esigenza concreta della continuità storica del moto proletario.

Del resto, dal punto di vista del conflitto di classe, che la strapotenza della vittoria capitalistica può attenuare e ridurre al limite, ma storicamente non elimina, il partito è il solo episodio saliente di questo dopoguerra e rappresenta dialetticamente la riprova della possibilità di una rinascita di classe.

Il partito è sorto quando la frazione aveva svolto e portato a compimento i motivi per i quali era sorta nell'ambito dell'esperienza centrista, motivi di difesa di un'ideologia rivoluzionaria di lotta costante contro l'opportunismo; di apprestamento di una rete organizzativa; di preparazione e di affinamento dei quadri. E' sorto in quel clima storico particolarissimo di fine guerra, nel quale condizioni obbiettive favorevoli esprimevano un proletariato armato che si illudeva di realizzare su di un piano di conquista rivoluzionaria sotto la guida del P. C. I., divenuto il partito della guerra democratica ed il più valido difensore della proprietà capitalistica e della ricostruzione dei suoi organi tradizionali di difesa. Il compito della frazione era finito; era posto dalla storie il problema della costruzione del partito di classe.

Dopo la sconfitta della rivoluzione d'ottobre, che ha visto il capitalismo riaffermarsi nella sua forma più estrema, quella dello Stato, facendo del partito bolscevico il ritorno più sicuro di questo suo ritorno trionfante; dopo la seconda Guerra Mondiale che ha visto la Russia con le sue "conquiste socialiste" ed i partiti della sua Internazionale schierarsi sul fronte della competenza imperialista, non si poneva più per noi il problema di esprimere la frattura rivoluzionaria nell'ambito del partito del tradimento, di continuare dall'interno la nostra erosione formativa, ma urgeva produrre questa frattura sul piano della lotta politica e dell'organizzazione, fare cioè del partito di classe il centro di polarizzazione delle forze rivoluzionarie.

Ora, chi riducesse questo problema di dinamismo politico a mera contabilità dì numero e di possibilità o impossibilità di dirigenti contigenti, non misurasse cioè con il metro della storia, potrà essere, un esperto ragioniere, mai però un interprete marxista della dialettica rivoluzionaria. Vedete. Togliatti ha tentato la liquidazione morale, ha tentato anche quella fisica: non gli è riuscito ieri in un momento che sembrava ancora favorevole e poco rischioso; oggi si sente impotente e deve constatare che la storiella di quattro provocatori è diventata la storia del Partito Comunista Internazionalista, quella del partito di classe.

E' la nostra più grande vittoria. A esperienza fatta, non si tratta ora di far retrocedere il partito alla funzione che è propria della frazione riducendosi al solo lavoro della preparazione teorica e della postulazione soltanto declamatoria della formazione dei quadri, ma ci attende il lavoro concreto e realmente formativo di adeguare il partito alle, attuali tuttora assai scarse possibilità della lotta del proletariato. E' il piccolo compito della situazione attuale che condiziona i grandi, più imperativi e più complessi compiti delle situazioni avvenire.

Innanzitutto unità ideologica al centro del Partito se vogliamo che l'unità ideologica saldi e rafforzi la sua organizzazione di base. Dobbiamo saper superare l'amore alla personalità, all'astratto ed all'estremismo della frase che han costituito finora il complesso di inferiorità di tutti i partiti operai. D'altro canto mancherebbe alla propria funzione il partito che avesse paura di uscire dal generico e dalla nebulosa del problemismo teorico per porre in concreto i termini della lotta rivoluzionaria. Il nostro partito non ha ancora l'audacia di questa sua funzione preminente; non ha ancora il senso della tattica rivoluzionaria, la sola che nel suo concretarsi saprà evitare tanto lo stato della sterile contemplazione, come la virtuosità del tatticismo. Una dura politica di classe non consente euforia quando si sale, né pessimismo quando si scende.

Tutto ciò, tradotto in termini di tattica e di strategia rivoluzionaria significa che contro il mondo del capitalismo che va ricreando il presupposto economico, politico e psicologico per la terza guerra mondiale, il proletariato deve essere aiutato a ritrovare se stesso come forza rivoluzionaria, deve essere aiutato ad individuare i suoi nemici ed a liberarsi dell'influenza dei partiti operai passati alla controrivoluzione. Spetta al partito di creare nella lotta il potenziale umano di classe per la soluzione rivoluzionaria da quella crisi che diversamente precipiterà verso la guerra. Sotto quest'aspetto, il partito si rivela come il presupposto teorico, critico ed organizzativo di questa soluzione rivoluzionaria: rivoluzione piuttosto che guerra. E se guerra ci sarà perché il proletariato non si è saputo liberare a tempo delle cause subiettive della sua sconfitta, sarà ancora una sparuta minoranza rivoluzionaria, ancora un pugno di combattenti che andrà a questa terza esperienza di sangue e di distruzione come forza di eroismo della guerra, per cogliere il momento dell'iniziativa rivoluzionaria, il cui compito è quello di trasformare la guerra dell'imperialismo in guerra di classe.

La campagna elettorale.

Ed ora un breve cenno alla situazione venutasi a creare dopo il 18 aprile. E' palese l'indebolimento dei partiti del fronte democratico popolare, legati all'imperialismo russo. D'altro canto il rafforzamento del capitalismo nostrano è implicito nel fatto che esso ritiene ora di poter fare a meno sul piano tattico della pedina nazionalcomunista e della sua democrazia progressiva, ributtandola all'opposizione.

C'è di più: nel settore italiano considerati come punta estrema del dispositivo dell'imperialismo americano, si mira all'isolamento delle forze controllate del nazionalcomunismo, si tenta di spingerle presto o tardi all'illegalità, considerandole quinta colonna dell'imperialismo russo.

Il partito di Togliatti risponde con la duplice tattica di tenere le proprie forze attanagliate alle conquiste democratiche e di operare per vie interne con le agitazioni a catena con l'evidente scopo di rendere difficile l'opera di penetrazione e di dominazione dell'economia americana.

E' evidente che il nostro partito non potrà sottrarsi all'eventualità di risentire le conseguenze di questo duello serrato tra le forze politiche dell'imperialismo, che ad un momento dato della crisi potrà anche esprimersi sul piano della violenza. Di qui la duplice necessità del rafforzamento dei quadri illegali e della nostra penetrazione ed influenza nel proletariato industriale. E' la sola tattica possibile ad un partito come il nostro, la cui caratteristica risiede nei suoi quadri ridotti e selezionati, a cui deve corrispondere un sempre maggior raggio di influenza tra le masse. L'imperativo di questa nostra epoca così duramente pervasa dalle ideologie e dalla lotta sempre più serrata, unitaria e corruttrice dell'imperialismo, è quello della differenzazione di classe; ma differenziarsi sul terreno della disputa teorica non basta, se ad essa non si salda una forza, anche potenziale, che si articoli in azione politica ed in organismi di lotta.

Obbedendo a questa preoccupazione di prassi politica il partito ha posto il problema della frazione sindacale ed ha accettato di intervenire nella battaglia elettorale del 18 aprile. Parliamone brevemente.

Anzitutto bisogna intendersi sul termine adoperato di "frazione sindacale": questa non è in nessun modo un raggruppamento minoritario nell'ambito dell'organizzazione confederale; in altri termini non si pone come compito un'azione organizzata di critica e di opposizione ne cuore stesso della massima organizzazione sindacale per conquistarne dall'interno e gradualmente, le leve di comando. La nostra frazione sindacale non è neppure un nuovo organismo che soppianti il vecchio e si ponga il problema di amministrare sotto etichetta diversa, magari rivoluzionaria, una nuova politica sindacale. Niente di tutto questo.

Ma alla base della sua ideazione c'è il chiaro e preciso obiettivo di tradurre in concreto, sul piano cioè dell'allacciamento organizzativo e dell'azione politica, l'influenza più o meno vasta che il partito è riuscito e riesce ad esercitare nei maggiori centri industriali.

Dal punto di vista dell'organizzazione la frazione sindacale fa leva sui gruppi dì fabbrica, tradizionali al nostro partito e che in maggior parte ci provengono dal periodo clandestino; li collega nazionalmente e li fonde in una visione unitaria e classista dei problemi sorgenti dalle esigenze particolari, contingenti e corporative della vita di fabbrica. Dal punto di vista politico la frazione sindacale non è un doppione del partito, in quanto aggruppa anche simpatizzanti ed elementi di altre formazioni politiche che aderiscono all'impostazione classista che il nostro partito dà del problema sindacale; non è un doppione perché ha come compito fondamentale la creazione di quella zona d'influenza che, sottratta all'influenza delle forze controrivoluzionarie ed imperialiste, costituisce l'anello che aggancerà l'azione del partito alla nuova situazione di ripresa della lotta politica ed al sorgere di nuovi organismi di massa. La scissione latente tra le forze sindacali, che si avrà in funzione del duplice schieramento imperialista, illumina di luce viva la funzione differenziatrice di classe della nostra frazione e pone in evidenza l'importanza politica della sua azione e del suo sviluppo.

E siamo alla "vexata questio" della partecipazione alle elezioni. Riconosciuta la necessità politica del nostro intervento, non c'era nel passato, nella tradizione antiparlamentare ma elezionista del nostro partito una giustificazione teorica che ne impedisse la messa a fuoco. Le ragioni storiche e politiche e d'interesse tattico, di questo nostro intervento sono note al congresso, come è nota la sua impostazione antiparlamentare ed antielezionista, come ne sono noti i risultati. E' una pagina aperta che attende di essere esaminata e criticata, se volete. Ma un'affermazione deve essere fatta ed è che per la prima volta nella storia delle lotte politiche del proletariato, il partito di classe ha accettato di battersi sul terreno tradizionale della democrazia, tradizionale, va aggiunto, allo stesso partito proletario ed alla stessa sinistra italiana, per creare attraverso una posizione di lotta politica la coscienza della frattura di classe, la coscienza della necessità del boicottaggio dell'istituto parlamentare e del metodo democratico dell'elezionismo.

Ed ho finito. Le fortune avvenire del nostro partito sono legate alla nostra capacità di darci un centro di direzione in cui prevalga non la personalità, ma lo sforzo unitario, tenace, inflessibile per la elaborazione della teoria rivoluzionaria, teoria che trae origine e conferma nella prassi rivoluzionaria e non nel troppo facile estremismo del verbalismo rivoluzionario.

Il dibattito

Intervento del compagno Vercesi

Devo premettere che avrei evitato di prendere una posizione di attacco contro quella che considero un'impostazione opportunistica della politica del partito e che falsa il corso della formazione del partito di classe; ma è la convinzione che, mancando le condizioni per un'affermazione politica del nostro partito, queste condizioni sono individuate in un processo che non è proletario, ma capitalista.

E' il mancato accordo nelle riunioni preliminari di Milano sulla mia proposta di centrare i lavori del Congresso sul compito essenziale critico imposto dalla situazione, è tutto questo che mi impone di scegliere un atteggiamento diverso dal previsto.

Il punto di; riferimento dei nostri lavori è il Convegno di Torino. Devo dichiarare di aver commesso un grave errore nell'apprezzamento degli sviluppi delle situazioni conseguenti alla chiusura delle battaglie militari del Secondo Conflitto Mondiale. Riferendomi ad una prospettiva che chiamerei di messianismo storico, postulai allora il delinearsi di uno schema di situazioni del tipo di quelle che condussero alla vittoria dell'Ottobre russo e l'aprirsi di una situazione rivoluzionaria mondiale. Questo errore (per il quale si veda il mio articolo in commemorazione della Rivoluzione Russa in "Battaglia Comunista") non mi pare esiziale; errori nel giudizio della situazione sono stati commessi anche dai nostri maestri ed essi non comportano necessariamente un'alterazione della sostanza del processo della lotta proletaria e rivoluzionaria. Ma un altro errore fu commesso a Torino, ed è tanto più grave in quanto ci si persiste oggi. I compagni che affermano apertamente l'inserirsi di una prospettiva reazionaria ritennero però che questa non solo non escludesse, ma comportasse la possibilità di un'affermazione della classe proletaria, e perciò del partito di classe. La formulazione che meglio rende questa posizione fondamentale è la seguente: noi siamo chiamati a diventare un fattore della vita politica e sociale ed abbiamo di fronte a noi uno schema di interventi crescenti nelle situazioni in cui, partendo dai moti elementari dei proletari, possiamo ricongiungerci allo scopo del moto insurrezionale. Il mio fu un errore esteriore e riparabile, l'altro un errore intrinseco. Si considerò che quanto è il processo reale delle situazioni odierne fosse non il portato dell'evoluzione capitalistica, ma della pressione del proletariato sulla classe nemica. Devo premettere subito, che posso fornire al Congresso solo modesti tentativi per districare la complessa matassa rappresentata dall'evoluzione del capitalismo nella sua attuale fase totalitaria; non posso fornire un'analisi esauriente. La vittoria di Ottobre chiuda il ciclo delle rivoluzioni in cui agisce ancora, con funzioni e peso non accessori, una classe precapitalistica. Vi succede il ciclo in cui i contendenti sono esclusivamente le classi fondamentali della società borghese: capitalismo e proletariato. La legittimità storica della nostra corrente politica sta nel fatto che essa esprime l'innesto del corso specifico delle rivoluzioni a tipo esclusivamente proletario ed anticapitalista nel corso dell'ultima rivoluzione in cui l'attacco del proletariato rivoluzionario può sferrarsi contro una classe capitalista che si scontra con quella feudale detenente a sua difesa il poterò essenziale costituito dall'organizzazione statale. E' unicamente qui che si trova la giustificazione del fatto che la nostra corrente abbia potuto resistere all'ecatombe prodotta dall'inversione che ha prodotto portato proletario russo a divenire uno dei fortilizi essenziali del capitalismo mondiale. E' su questo che dobbiamo appuntare la nostra attenzione per ricollegarci al corso reale dell'incipiente processo di classe di cui pretendiamo di essere l'espressione, e non lasciarci suggestionare dall'esaltazione del lavoro compiuto e che costituirebbe una garanzia di successi ulteriori.

La vittoria di Stalin non ha comportato l'immobilizzazione del capitalismo al punto in cui si trovava prima dello scoppio della rivoluzione russa, punto che ammetteva la possibilità dell'affermazione della classe proletaria: anche nel quadro dello sviluppo dello stato democratico di allora. Lo stato proletario di Lenin non poteva che procedere alla massima concentrazione dei mezzi produttivi sulla via della progressiva eliminazione delle forze di economia individuale ancora presenti soprattutto nelle campagne. Esso si collocava nettamente nel corso di quello che si chiamò poi il "totalitarismo" ed il suo carattere distintivo (antagonico a quello di Stalin) consiste in ciò che mentre il primo si incastrava nel processo della rivoluzione mondiale il secondo prendeva posizione di testa nell'opposto processo della controrivoluzione mondiale. A coronamento delle altre disfatte del proletariato europeo, la disfatta del proletariato cinese, pose le condizioni por il decisivo smantellamento dello Stato proletario e dell'inversione della sua funzione: da bastione della rivoluzione a bastione della controrivoluzione mondiale.

Un incrocio si manifesta tra il corso verso il totalitarismo di Stato nei paesi classici del capitalismo ed il totalitarismo che la classe operaia aveva instaurato in Russia dopo la vittoria di Ottobre e che Stalin aveva scalzato dalle sue posizioni rivoluzionarie iniziali. Il nuovo ciclo del capitalismo totalitario allora apertosi non ha trovato la sua conclusione nella Seconda Guerra Imperialistica; questa - a differenza della Prima - resta solamente un fenomeno di portata grandiosa e lungi dal riproporre le condizioni per lo scoppio dell'antagonismo di classe, approfondisce ancor più l'abisso nel quale i lavoratori si saldano al capitalismo nell'osannare alla ricostruzione, alla patria, alla religione, alla santificazione dello sfruttamento capitalistico.

Oggi ci troviamo in questa situazione; nei paesi americani si mobilitano le masse in difesa della democrazia e si incanalano le reazioni dei lavoratori verso l'eliminazione del trust privato per il trionfo del trust di Stato; in quelli russi tutto è già pronto perché le eventuali reazioni dei lavoratori al regime del loro sfruttamento siano presentate come il portato diretto dell'intervento dei trust privato americano. Noi non possiamo esimerci dalla preliminare constatazione che il ciclo del totalitarismo capitalista comporta, in grado ancor più accentuato che i precedenti, l'alleanza dei lavoratori con la borghesia. Quel che ci spetta è non di negare questo dato indiscutibile di fatto, ma di comprenderlo analizzandone la struttura per poi svelarla ai proletari ed in primo luogo ai ristretti gruppi accostatisi al partito.

Ora, cos'è avvenuto dopo il Convegno di Torino? Che il Partito ha cominciato col dissimularsi la realtà della situazione nella quale viviamo, ha proseguito col falsarne il meccanismo, ed ha finito con l'indirizzare i proletari da esso influenzati, verso un orientamento che faceva loro credere al riproporsi di uno schema del tipo di quelli propri del ciclo capitalista precedente.

Ho già detto che la vittoria di Stalin non ha prodotto il ritorno allo Stato democratico preesistente alla vittoria del 1917 - cosa inconcepibile e della quale dobbiamo altamente rallegrarci - quando il dominio politico, economico ed ideologico del capitalismo poteva affermarsi senza che simultaneamente fosse interdetto un corso verso la formazione del proletariato in classe, dipartentesi dalle lotte per le rivendicazioni immediate. Queste entravano in urto con l'edificio borghese dell'epoca, perché il conseguimento di un salario più elevato non permetteva al capitalista individuale di neutralizzarle con un corrispondente aumento dei prezzi, giacche la libera concorrenza conduceva al trionfo nel mercato dei capitalisti in possesso dell'apparato industriale più perfezionato. Oggi l'edificio borghese si è modificato e lo Stato è in grado di intervenire per adeguare in modo diretto (paesi russi) il salario alle leggi del profitto capitalista, in modo indiretto (nei paesi americani) attraverso l'aumento dei prezzi conseguenti ad eventuali aumenti salariali.

In una parola il Partito ha riapplicato, con una disinvoltura che non si può approvare, al ciclo capitalista attuale, lo schema valido per il ciclo precedente. E, una volta commesso questo errore iniziale, ha accelerato il moto fino ad entrare nel groviglio che ha avuto una tipica espressione nel rapporto tenuto stamane dal compagno Damen.

Si è detto che noi, non soltanto possiamo, ma dobbiamo, creare il solco di classe. E non si poteva che procedere oltre: si sono visti successi dove non vi è stata che confusione si è prospettata la via di un crescente intervenzionismo che ha al suo termine la vittoria rivoluzionaria. E' suggestivo, per caratterizzare l'atmosfera del Congresso, che nutriti applausi abbiano salutato la dichiarazione del compagno Damen, che si deve al nostro lavoro, al modo come si e effettuato, ai successi ottenuti, se Togliatti ha dovuto sopportare senza reagire l'esistenza del Partito Comunista Internazionalista.

Reagisco con tutte le mie forze contro questo stato d'animo che si inserisce non nel corso che porta alla vittoria rivoluzionaria ma verso l'opposto corso che ci imprigiona già nelle maglie della classe nemica, la quale può; grazie al totalitario controllo del meccanismo cui si compie l'attribuzione del salario al lavoratore, gabellare per avviamento al socialismo il fatto che il proletario non si vede oggi imporre la retribuzione del lavoro, ma ha il diritto di discutere ed anche controllare quanto ha ottenuti sul piano della "giusta" distribuzione dei prodotti. Ora, e per noi evidente, che lo sfruttamento capitalistico non è mai stato cosi feroce come oggi.

Se Togliatti non è passato all'eliminazione del nostro Partito, questo non risulta dalla forza che avremmo già raggiunto nella lotta politica, ma dal fatto che l'eesercizio della violenza contro di noi avrebbe dato motivo ai suoi compari e complici di applicarla a loro volta contro di lui. E' quindi in forza di un proprio interesse che egli ha sopportato l'esistenza del Partito Comunista Internazionalista di un partito d'altronde che non ha - perché storicamente non poteva averlo - scalfito in alcun modo, l'edificio del dominio capitalistico. Ma come è possibile che questi problemi siano posti in tal modo e che i compagni applaudiscano? E' vero o no che Togliatti parla russo e non italiano annieta con la violenza più spietata non solo l'eventuale rifiuto del lavoratore a subire l'atroce sfruttamento in vigore nei paesi russi, ma anche il fatto che non si applauda a questo sfruttamento in nome del "socialismo"? E se poi ci si pone il problema che quanto Togliatti fa in Russia potrebbe trovarsi nell'impossibilità di farle in Italia, la risposta può trovarsi solo su questo piano: l'Italia si troverebbe oggi ad essere la testa di ponte di un processo di lotte rivoluzionarie nel mondo intero. Cosa, questa, che neppure la mania del bluff porrebbe permettere che si dicesse.

No, il partito è stato spiantato dalle sue basi fondamentali. Un riassestamento è impossibile. Non si tratta di procedere alla sua liquidazione, ma alla, liquidazione di una impostazione politica non rispondente agli interessi della rivoluzione proletaria. Dobbiamo chiaramente ed altamente affermare che l'intervento della classe proletaria nelle situazioni non è concepibile che sul fronte dell'urto violento contro le due forme essenziali nell'attuale dominio capitalista: quella americana che è al poter in Italia, e quella sussidiaria e complementare che accalappia, imprigiona e stritola le reazioni dei proletari. E' falso ed indegno di marxisti supporre che l'eintersificazione del grado dei movimenti dei lavoratori possa condurre all'apparizione del dilemma di classe: le forma più accentuata; dello sciopero e la sua crescente estensione sono non la lotta del proletariato, ma la guerra partigiana, se non addirittura la guerra imperialista.

Imponendo ancora oggi il metodo marxista, in stretta ed oserei dire disperata coerenza con tutte le nostre posizioni fondamentali, dobbiamo affermare che il corso che conduce al sovvertimento rivoluzionario è quello che, dal suo inizio, si dispone verso il sovvertimento (che è l'opposto del superamento) processo del dominio borghese. Il capitalismo dà una libertà totale ai fanfaroni che fanno credere ai lavoratori che possono fere scioperi, estenderli, intensificarli e che questa è la prova che si sia o ci si avvii verso il socialismo. A parte il fatto che è molto probabile che di scioperi se ne parli sempre meno, per limitarci al passato, dobbiamo apertamente dire che, se gli scioperi sono stati possibili, questo è avvenuto perché il compare staliniano era là per dirigerli e portarli verso la loro sicura sconfitta; è stato possibile perché i rivoluzionari erano nella impossibilità di distruggere con la violenza sia la forza capitalista indigena, sia la forza sociale non indigena che ne deteneva il totalitario controllo.

Penso fermamente che il Partito fallirà completamente e definitivamente alla sua funzione se non capovolgerà l'eimpostazione attuale e, de questa, imbrigliata nel corso di un'evoluzione che è capitalista, perché altamente capitalista è anche la forza che dirige i movimenti dei lavoratori, non passerà all'opposta, che orienta i proletari verso, una totale rottura ideologica sul duplice fronte condizione indispensabile perché si determini, permettendole le condizioni storiche, la rottura violenta dei due aspetti attuali del dominio borghese.

Intervento del compagno Lecci

(Parte Seconda)

(seguito dei dibattito sulla relazione politica)

Lecci - Se si deve prendere l'intervento del compagno Vercesi cane una frustata perché si faccia meglio e di più, l'accettiamo nell'interesse del partito e del proletariato. Ma bisogna vedete da chi viene la frustata caduta in mezzo a noi imprevista, perché ciascuno di noi attendeva da un militante come il compagno Vercesi, qualcosa di più solido e di più coerente, anche se detto in termini critici e veementi. Noi saremmo un partito di "staliniani di sinistra". Abbiamo cercato di capirne le cause, quali fossero le posizioni politiche che ci avrebbero ridotto ad un'appendice staliniana: ma nell'intervento del compagno Vercesi queste cause non le abbiamo trovate. Però, egli ha affermato di essersi sbagliato nel '46 a Torino, quando credeva in una ripresa del corso rivoluzionario, mentre oggi gli consta che in tutto il mondo la classe proletaria è l'alleata del capitalismo e che tutto ciò che noi facciamo può solo tornare a vantaggio dell'uno o dell'altro blocco imperialista. Ma la più strabiliante affermazione è che egli non ha ancora capito quale sia l'orientamento generale delle forze capitalistiche e in quale direzione esse si muovano. Ora, per chi conosca il compagno Vercesi ed il suo modo di pensare ed agire nell'emigrazione, appare che nella sua odierna eruzione retorica ritornano vecchie posizioni assunte fin dal 1937, quando dalla negazione di un conflitto armato internazionale (guerre localizzate) egli giungeva alla posizione opposta di sciogliere l'organizzazione di sinistra, perché durante la guerra, non solo non v'era nulla da fare, ma quello che si faceva portava acqua al mulino borghese. Nel comizio di oggi del compagno Vercesi si nasconde il tentativo di ridurre il partito al club dei superuomini dei pretesi scienziati del marxismo, che si sentono superiori e disdegnano di mettersi al contatto della realtà nella quale vivono le masse, realtà che è anche nostra perché la viviamo nell'interpretazione dialettica e contradittoria. Questi elementi che cercano di nascondere il loro pessimismo dietro il nostro preteso ottimismo vengono, politicamente inattivi, a gettare frasi grandiloquenti in mezzo a noi senza apportare alcun contributo positivo alle posizioni da noi difese e propugnate, senza confutazioni teoriche e politiche dei nostri "errori" o deviazioni.

I compagni coi quali abbiano lavorato sanno che non ci siamo mai illusi né abbiamo mai illuso alcuno con posizioni e prospettive determinate. Siamo sempre stati duri e precisi: abbiamo sempre ripetuto ai compagni: "reclutate con prudenza, radiate ogni volta che incontrate incomprensione politica; forse dovremo ridurci ancora; la situazione non permette uno sviluppo del partito di classe; si tratta di formare i quadri, l'ossatura del partito di domani". Ancora più fermi e precisi siamo stati di fronte agli operai nelle riunioni pubbliche, in merito alla democrazia, al ruolo dei sedicenti partiti, alla mistificazione russa alle prospettive della guerra. E allora? Pensavamo che il cavallo di battaglia della discussione fosse la partecipazione del partito alle elezioni, ma neppure su questo il compagno Vercesi ci ha detto nulla. Si vuole dunque giustificare il proprio svuotamento politico dietro l'antidialettica formala che il partito si forma solo nei momenti di ascesa del movimento proletario, e che quindi ogni lavoro preliminare, ogni continuità storica è inutile? Dovremmo dunque apparire e sparire secondo le situazioni? Basta vedere l'eeffetto prodotto nel compagno Vercesi dall'isolamento e dall'attesa politica ridotta alla ricerca di formule chimiche fra gli alambicchi della storia, per convincersi che non possiamo battere quella strada e, se in una situazione di ripresa si ripresentasse domani, dire agli operai in movimento: attendete, non sappiamo ancora come il capitalismo si muove, noi dobbiamo preparare il partito, i suoi quadri, la sua esperienza politica! No, la continuità, la formazione delle coscienze e dei quadri del partito esige un lavoro duro e di lunga lena: ci vogliono anni e generazioni per formare ridotte forze comuniste. Il nostro semi-isolamento sul terreno nazionale è un dato dì fatto che trova la sua giustificazione storica nell'isolamento del partito bolscevico dal 1903 al 1928. A meno che non si voglia misconoscere e ritenere antistorica l'opera di questi compagni e quella conseguente degli operai russi.

I delegati Comunello (Treviso) e Parini (Milano) parlano illustrano l'uno il metodo di lavoro politico svolto nel suo centro, l'altro un documento di base che invita il congresso a trovare un metodo per penetrare nelle coscienze delle masse e agganciarle al Partito. Giovannini (Milano) dichiara che l'einsufficienza di un'analisi politica che possa definire con chiarezza l'attuale fase di sviluppo dell'imperialismo e le prospettive immediata per la classe operaia metto la nostra organizzazione di fronte ad una condizione di inferiorità che si deve superare. Né relatore né controrelatore hanno apportato un reale contributo in questo senso. Egli è d'avviso che un'organizzazione proletaria come la nostra che si pone, sul piano politico il compito di giocare il ruolo di Partito di classe, non possa assolvere tale missione, e perciò essere tale, se non ha ma visione chiara della situazione in cui vive, se non è in grado di formulare un programma di azione compiuto e determinare con una certa approssimazione il momento storico in cui potrà giocare il suo ruolo attivo di organizzazione rivoluzionaria. Se non si addiverrà a questo noi saremo un'organizzazione che diffondo volantini di propaganda della rivoluzione e nulla più. Circa le prospettive di sviluppo dell'imperialismo, ritiene che questo pur vivendo la sua fase estrema, non abbia ancora raggiunto il suo vertice supremo e per così dire biologico. Tale vertice potrà aversi solo quando il conflitto imperialistico in atto delegherà uno dei due contendenti ad esprimere la sua violenza di classe in senso unitario e universale, attraverso il suo totalitario monopolio del mondo. In quel momento l'eimperialismo porrà veramente a nudo tutte le sue contraddizioni ed esprimerà veramente la sua decomposizione come metodo economico e politico. Insiste sul lavoro di collegamento con le frazioni all'estero e sulla necessità di una maggiore vigilanza nel reclutamento. Quanto alle elezioni, ritiene che più di ogni commento un giudizio sulla bontà o meno di questa tattica si debba fondare sui risultati ottenuti.

Benelli (Milano). Di fronte alla attuale situazione, alla sua durezza all'analisi che porta a concludere sull'orientamento generale e irrefrenabile verso la guerra, è naturale che molti compagni si domandino che fare a come comportarsi e salvare il Partito. Problema grave al quale si può rispondere in un solo modo: il partito si crea, si irrobustisce, si forma nella misura in cui rimane a contatto con gli avvenimenti e ne trae materia e sostanza per le proprie elaborazioni politiche, per la propria attività politica. Indubbiamente vi è un problema di affinamento teorico, ma questo non è conseguibile altrimenti che attraverso l'opera diretta e l'azione critica erosiva che fornisce agli altri e a noi stessi l'opportunità di perfezionarsi. Né il giudizio sugli sviluppi probabili della situazione può essere senz'altro categorico. Noi subiamo infatti le conseguenze psicologiche di una specie di solidificazione della società, di un venir meno di tutte le competizioni interne di questa, ma vediamo anche l'ingigantirsi di una crisi destinata ad essere tanto più catastrofica.

Morrone (Torre Annunziata) - L'intervento del compagno Vercesi è stato una vera e propria bomba atomica, in quanto non ci era noto che esistessero divergenze in seno al Partito né il compagno Vercesi le aveva mai espresse per iscritto o in altro modo. Questa situazione mette i compagni in difficoltà in quanto non erano preparati ad affrontare i problemi sollevati. Di fronte all'affermazione del compagno Vercesi che la fine della seconda guerra mondiale avrebbe causato l'aprirsi di una situazione rivoluzionaria, può rispondersi che la borghesia aveva fatto lo stesso ragionamento, prendendo gli opportuni provvedimenti per fronteggiarla, aiutata in ciò dagli opportunisti e dell'assenza del Partito di classe. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il capitalismo non ha operato il trapasso dall'economia di guerra a quella di pace, bensì da un'economia di guerra di grado più elevato ad una di grado più basso, permettendo cosi di raggiungere un certo equilibrio fra produzione di buoni di consumo e produzione di guerra e soddisfare i bisogni immediati delle casse. E' stata appunto tale continuità che ha impedito il manifestarsi di una crisi rivoluzionaria nell'immediato dopoguerra. D'accordo col compagno Damen che la ripresa della lotta di classe è condizionata dall'acuirsi della crisi capitalistica. Non mancano anche oggi sintomi di squilibrio nell'operare dei due blocchi imperialistici contendenti, e ciò giustificherebbe l'esistenza stessa di una piccola frattura di classe confermata dalla presenza del nostro Partito in Italia, favorita peraltro dalle particolari condizioni storiche che hanno presieduto allo svolgimento della guerra nel nostro paese. Il partito mentre è il riflesso della situazione obiettiva, influisce comunque anche se limitatamente sulla situazione nei limiti delle sue possibilità di lotta. Negli ultimi due anni il partito non ha mai alimentato fra le masse l'eillusione che il suo intervento nelle situazioni storiche attuali possa modificare in qualche modo la ferrea dominazione del capitalismo sul proletariato, e quindi non lo si può accusare di opportunismo, in quanto il numero dei nostri iscritti è rimesto pressoché invariato nel corso degli ultimi due anni. Quanto alla questione della partecipazione alle elezioni non possiamo dichiararci a priori elezionisti o astensionisti, poiché le mutevoli situazioni storiche possono anche spingere il partito ad intervenire nelle elezioni. Né possiamo dire che le elezioni siano oggi l'arma fondamentale della borghesia e dell'opportunismo, in quanto entrambi le hanno superate, come appare chiaro dagli ultimi avvenimenti verificatisi nei paesi balcanici dove gli opportunisti hanno conquistato il potere servendosi di colpi di mano. Il partito deve dunque adeguarsi alle situazioni e dire in esse la sua parola chiarificatrice. Se deficienze possono imputarsi al partito, sono appunto quelle di aver trascurato il rafforzamento ideologico dei suoi quadri, travolti dalla bufera fascista e dalla guerra. E' necessario che il partito indirizzi quindi la sua azione in tal senso e riguadagni il terreno perduto.

Comune (Asti) esprimo a nome della sua Federazione il suo disaccordo con la politica della partecipazione allo elezioni, sia pure con la chiara parola d'ordine del sabotaggio dell'azione parlamentare, e della svalutazione del metodo delle elezioni e del parlamento

Russo (Cosenza) svolge una critica della decisione dell'Esecutivo di partecipare in alcuni collegi alle elezioni in deroga a precedenti disposizioni e rileva l'ambiguità della parola d'ordine fondamentale del manifesto: "Non votate per nessun partito", e l'intervento nella campagna elettorale con liste proprie, sia pure con la dichiarazione che votare per noi significava contro il metodo della scheda e dell'azione parlamentare.

Fondamentalmente d'accordo col relatore si dichiarano i delegati di Lecco e di Parma: appoggia le argomentazioni svolte dal compagno Vercesi il compagno Monti (Forlì).

Danielis - Con gli interventi dei comp. Damen Vercesi, il congresso prende un carattere tutt'altro che definitivo nel senso di una chiarificazione generale e dell'impostazione della politica del partito in particolare. Avremo un'economia capitalistica mista, dice Damen; ma non definisce i caratteri predominanti di questo ciclo produttivo, e d'altro canto con la sua posizione accanita a favore della frazione sindacale sembra svelare una propensione per un'economia di libera concorrenza. Per me, al quale le circostanze permisero di vivere politicamente nel periodo della guerra dopo l'8 settembre la vita degli organi direttivi del partito, la tesi Damen a favore del metodo tattico sulla base delle rivendicazioni non è nuova. In quel periodo del conflitto armato, questa posizione non fu di facile demolizione, perché si ricollegava con tutto un passato dì lotta classista: sintomatico il fatto che in Francia nella stessa epoca, da parte del compagno Lecci e Bottaioli, venisse impostata la lotta politica sulle stesse basi. Ma fra gli stessi fautori della Frazione sindacale non c'è accordo d'interpretazione: gli uni la definiscono organo di lotta per la difesa delle rivendicazioni operaie, mentre Damen - il quale scarta la tesi per cui la frazione sarebbe la base d'inizio d'un nuovo sindacato - svolge una tesi comprensibile solo riallacciandosi ad una sua vecchia posizione che il Convegno di Torino eliminò: mi riferisco a quei funghi velenosi chiamati Consigli, ai quali il P.C.Internazionalista dedicò vergognosamente un suo organo. Voglio dire che, conoscendo la tenacia del comp. Damen, non stupisce ch'egli definisca la frazione sindacale "la base sodale del nostro partito", e con questo gioco di termini fa entrare dalla finestra quello che a Torino era stato cacciato dalla porta.

D'altra parte, il comp. Vercesi, pur caratterizzando nettamente la situazione immediata, confessa di non saper definire la fase storica generale. Con questi due interventi, noi operai non avanziamo di un passo ed è il caso di chiedersi se veramente vi sia stata mal saldatura ideologica fra Partito e Frazione all'estero, poiché al congresso di Bruxelles ci fu detto che il materiale teorico era inviato regolarmente in Italia. Ma una cosa dev'essere comunque chiara per tutti, cioè che il Partito ha subito l'esperienza grave del facile allargamento della sua influenza politica, dovuta ad un altrettanto facile attivismo, non in profondità, perché questo non è facile, ma in superficie. Debbo citare un'esperienza personale che servirà da messa in guardia contro il pericolo di una facile influenza del partito su certi strati di massa, effetto automatico di un'altrettanta facile formazione teorica dei quadri. Mi trovavo come rappresentante del Partito negli ultimi mesi della guerra a Torino: la federazione era numericamente forte, con elementi attivissimi, diversi giovani, molte riunioni, manifestini, il giornale, un bollettino, contatti con le fabbriche, discussioni interne, che prendevano sempre un tono estremista nei confronti della guerra in genere e della guerra partigiana in particolare, contatti con elementi disertori: la posizione di fronte alla guerra era chiara: nessuna partecipazione alla guerra, nessuna accettazione di disciplina militare da parte di elementi che si dichiarassero internazionalisti. Si doveva dunque pensare che nessun iscritto avrebbe accettato le direttive del CLN. Ebbene, la mattina del 25 aprile tutta la federazione di Torino era ora in arme per partecipare al coronamento dì quel massacro che durò 5 anni, e alcuni compagni della provincia, inquadrati militarmente e disciplinati, entrarono in Torino per partecipare alla caccia all'uomo. Io stesso, che avrei dovuto dichiarar sciolta l'eorganizzazione, trovai una via di compromesso, e feci votare un ordino del giorno nel quale i compagni dichiararono di partecipare al movimento individualmente.

Il Partito non esisteva; era sfasato. Il mio isolamento di fronte ai compagni comportò automaticamente una presa di posiziono demagogica nell'ambito dello stesso movimento, in un volantino nostro che incitava gli operai alla lotta a fondo per la distruzione dello stato. La stessa posizione, dopo 3 anni , viene rivendicata dal partito in un suo manifesto ufficiale. Evidentemente, se il partito vuole divenire un fattore quotato nella vita politica nazionale, se non teme cioè di essere travolto in futuri avvenimenti, continui pure sulle stesse orme: sarà un bel partito, rispettabile dai tremebondi piccoli-borghesi, e perfino gruppi di elementi proletari verranno a lui, difensore accanito di certi interessi immediati: avrà anche una rappresentanza alla camera e il quadro sarà, cosi perfetto. Ma se il Partito vuole vivere la vita reale che portò alla vittoria rivoluzionaria, se vuole tendere ad essere veramente lo stato maggiore della dittatura proletaria, allora bisogna rifondere tutto il vecchio bagaglio, bisogna forgiare le nuove armi capaci di lottare nella nuova fase della dominazione capitalistica, fase che vede la sparizione dei mercati liberi e la concentrazione totalitaria dell'economia mondiale, fase che vede manifestarsi la tendenza verso l'eliminazione delle classi medie, caratterizzando un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica. Bisogna rispondere dove va il capitalismo per forgiare l'organo della sua distruzione: questa risposta non l'ha data Damen e non l'ha data Vercesi: sta al partito di darla forgiando nel suo seno un crogiuolo di battaglia chiarificatrice che impedisca la frattura che francamente io vedo profilarsi. Vi dico con tutta sincerità cha in potenza esiste per me in seno al Partito già la frazione.

Lecci. - Ritiene corretto nella sua impostazione generale il documento presentato dal C.E. sull'analisi dell'orientamento del capitalismo nel senso monopolistico e accentratore. I due tipi di economia mondiale, l'occidentale sedicente democratica e l'orientale sedicente socialista, si identificano nelle loro manifestazioni politiche contro ogni espressione di classe del proletariato: esse sono dunque unite e solidali nella conservazione del regime capitalista. Tuttavia esse non si integrano, a nuova dimostrazione della solidità della concezione marxista che veda l'eestendersi dei contrasti imperialistici fra le potenze sopravvissute alla guerra e già schierate in due formidabili blocchi antagonistici.

Senonché nel dibattito non ci si è dilungati nell'analisi, o si è preferito riportare in campo il problema dell'opportunità o meno della presenza del partito di classe, e si è voluto da una parte negare questa opportunità con la formula dell'inesistenza della classe, con la realtà reazionaria dell'attuale periodo storico, con la prospettiva ormai diretta dello scivolamento verso la terza guerra imperialista. In questo non v'è nulla di nuovo, eccetto il fatto che le forze provenienti dalla degenerazione della rivoluzione russa si sono affiancate alle forze tradizionali del capitalismo.

La classe proletaria è "assente" come lo è sempre stata fuori dei pericoli di lotta aperta, combattuta in rapporto agli sviluppi di situazioni politicamente e socialmente complesse, e previa la presenza operante del partito politico. Ma affermare che la classe operaia è oggi l'alleata del capitalismo è fare dei paradossi che sono a loro volta frutto di un pericoloso pessimismo, la fase reazionaria è sempre seguita a periodi di lotta e di sconfitta proletaria, la presenza del partito in una fase così negativa per ogni forma di espressione proletaria indipendente, e quindi di classe, non può essere attribuito ne ad uno sforzo volontaristico né a deviazioni di natura ideologica, ma al fattore politico che vede il gruppo della Sinistra comunista in Italia su posizioni critiche e costruttive che permisero di seguire passo per posso il processo involutivo dello Stato russo e il crollo dell'Internazionale. Il nostro isolamento, la nostra debolezza trovano il suo precedente nella storia, del gruppo bolscevico dal 1903 al '17, e la loro giustificazione nell'impossibilità per il partito di classe d'essere forte quando la classe è legata al carro dalla ricostruzione borghese. La solidità del partito è nella sua continuità di lotta: l'attesa la distrugge perché la formazione programmatica e lo sviluppo dei quadri è un lavoro a lungo respiro. Si è parlato di ottimismo: quale? E' stata mai prospettata una fase di ripresa o falsata l'interpretazione politica dell'attuale situazione? Si potrà riconoscere che il nostro lavoro ha difettato in intensità ideologica; ma è stato comunque un lavoro di netta chiarificazione delle posizioni fondamentali del comunismo. Ci siamo opposti, spesso anche contro la velleità di gruppi di compagni, a forme agitatorie superficiali e rumorose: ci siamo sempre preoccupati di non reclutare nel malcontento, di discutere i problemi della rivoluzione, di fornire i quadri selezionandoli. Il partito non sempre può agire e intervenire nelle situazioni può però e deve essere una forza di affermazione, in ogni momento, in ogni fase, anche sfavorevole, dalla lotta proletaria. Vi sono periodi di tattica indiretta in cui il partito lavora per integrarsi nelle situazioni; e periodi di tattica diretta in cui diventa l'elemento determinante delle situazioni medesime, Ma l'elemento fondamentale resta la continuità operante e ideologica, essendo inconcepibile la formazione programmatica fra gruppi isolati e indipendenti che attendano l'appello della situazione di sviluppo per adunarsi ed agire. Del resto, quando si è parlato di deviazioni opportunistiche, si è dimenticato di precisare dove queste deviazioni si trovino.

Quando, il comp. Danielis parla di gettare nel crogiuolo le armi vecchie e forgiarne di nuove, senza dirci però che cosa siano queste nuove armi, egli ci fa restare con le mani in mano, senza programma. Lo stesso vale per la minaccia di ma rottura nel senso di una frazione; altra affermazione vuota, giacche nessuno ha presentato mozioni o risoluzioni contrastanti con quelle poste in discussione dal C.E. Ricordiamoci che frazioni si formano o si determinano solo quando vi è rottura di principii: e questo lo si dimostra con elementi di fatto o confutazioni di natura teorica, non con affermazioni generiche.

(Manca il resoconto stenografico del delegato di Trieste).

Maffi. - Lamenta che né il relatore né il principale controrelatore si siano preoccupati di sviluppare l'analisi sulla base dei documenti presentati dall'Esecutivo, e l'uno sia montato sul cavallo bianco di un patriottismo di partito, l'altro abbia lanciato la bomba atomica di problemi non discussi primo del congresso a ai quali questo non è perciò preparato. Si genera perciò nei compagni uno stato d'animo d'incertezza: quali sono le prospettive che il partito ha sulla situazione? E' possibile adagiarsi su prospettive alterne, o operare senza prospettive? La discussione doveva e deve dunque svolgersi intorno ai documenti del Partito, non alle opinioni personali di questo o quel compagno. Il Partito deve avere una sua interpretazione della situazione generale della società capitalistica, una sua prospettiva sui suoi sviluppi: completa o incompleta, questa interpretazione le tesi precongressuali ce l'hanno. Occorre lavorare su di essa.

I punti essenziali di quest'interpretazione sono i seguenti: il capitalismo compie la sua parabola odierna in una fase di accentramento totalitario che si è sviluppato attraverso il fascismo e che la democrazia ha ereditato senza soluzioni di continuità. Accentramento dell'apparato produttivo ad opera o sotto la tutela dello Stato. V'è chi parla di trust privato per definire l'economia americana e di trust statale per definire quella russa. In realtà, a parte il fatto che anche in America l'intervento statale è, pur nelle oscillazioni del dopoguerra, costante e continuo, il "trust privato" americano si presenta su scala internazionale, e soprattutto nei confronti dell'Europa, come trust statale. D'altra parte, la caratteristica dominante di quest'economia è di permanere, nel fondo, economia di guerra. Basta un'occhiuta alle statistiche della produzione nei diversi paesi, al rapporto fra produzione di beni capitali e di beni di consumo, per convincersi che resiste una "economia mista", come quella di cui ha parlato il relatore, una economia essenzialmente di guerra, anche se questa comporta rallentamenti temporanei nel senso di ridar vita ad una concorrenza moderata e ad una soddisfazione di consumi compressi durante la guerra [gue]rreggiata.

In realtà ciò significa un continuo, reale peggioramento delle condizioni di vita del proletariato, e un orientamento dominante verso la guerra. Esiste un accentramento economico internazionale e, di riflesso, sul piano nazionale: e ciò significa la negazione della realtà di qualunque indipendenza nazionale e coloniale, e delle lotte per realizzarla. Esiste perciò anche un accentramento sul piano politico: il fascismo continua sotto la veste della democrazia. Era questo il corso naturale del capitalismo: è seguendolo che esso ha vinto, oggi, la sua battaglia chiudendo in una morsa ferrea il proletariato, impedendogli non soltanto di scalfirne la struttura, ma di uscire da una situazione di simbiosi con la classe avversa. Una situazione di questo genere è una situazione di sconfitta proletaria e perciò di rafforzamento del dominio di classe borghese, e anche là dove permangono sussulti del proletariato che si dibatte nella terribile morsa borghese, sono i sussulti non di chi ha forze ed energie per riprendersi, ma di chi si riconosce vinto.

La ricostruzione dell'apparato di dominio capitalistico si è dunque operata prima per un'azione accentrata internazionale, nel periodo della piena solidarietà delle grandi nazioni vincitrici del conflitto: si è ribadita attraverso la loro divisione sul piano imperialistico e la pressione di queste condizioni politiche generali sul proletariato. Da questo punto di vista, certe affermazioni come quella che la democrazia sarebbe una concessione della borghesia alla pressione del proletariato, devono essere considerate inaccettabili. La democrazia di oggi è la forma di dominio capitalistico su un proletariato che non costituisce una minaccia diretta, su un proletariato vinto.

Altrettanto assurdo dire che l'esito del 18 aprile apra nuove possibilità al proletariato. Il 18 aprile è solo la conferma in cifre di una situazione determinatasi e consolidatasi prima di allora: situazione di rafforzamento dal regine capitalistico. Quella data non segna dunque una fase di possibile ripresa proletaria, ma di accentuata pressione capitalistica. Potranno esservi reazioni psicologiche individuali: ma i capovolgimenti delle situazioni non si operano per reazioni soggettive. Il capovolgimento della situazione non avviene per sviluppi graduali: è un problema di rapporti di forza, e la forza è oggi del capitalismo.

La prospettiva è dunque nel senso di un aggravarsi della fase reazionaria, con limitato intervento del partito e ancor più limitato intervento della classe. Sono queste della constatazioni di ordine generale, dei punti fermi, e se c'è un compito urgente per il partito è quello di approfondire l'analisi di questi aspetti generali, della struttura che via via si dà, su scala internazionale, il capitalismo accentratore e totalitario. E' in questa situazione che il partito si muove. Il capitalismo ha piegato la classe lavoratrice alla conservazione del suo regime: il proletariato è il gigante incatenato. Significa ciò che l'accentramento capitalistico elimina la prospettiva delle crisi interne della società borghese? Affatto. La crisi potrà essere allontanata, e certo lo è: ma negare la crisi capitalistica è negare il marxismo. Il partito si prepara alla inevitabilità di questa crisi: sa che, quando essa scoppierà, sarà an cor più gigantesca e totale delle precedenti. Si nega da qualche parte che la frattura di classe esista? Altro paradosso: la frattura di classe non è eliminabile: non si tratta di crearla, ma di approfondirla. La frattura di classe è espressa nell'esistenza del partito, alla presenza cioè, di forse proletarie che sfuggono alla pressione del rullo compressore borghese. I compiti del Partito sono determinati dagli aspetti della situazione sopra delineati. E bisogna essere chiari. Nessuna possibilità nè volontà, nel partito, di intervenire nella situazione odierna come fattore risolutivo: la sua funziono è di essere presente nella situazione per analizzarla e preparare i quadri dell'avanguardia proletaria ad una situazione nuova, determinata, non da interventi volontaristici, ma da rapporti oggettivi di forza. Nessuna illusione né di spostare strati sensibili del proletariato verso di noi, né dì rimontare la china di una situazione irrevocabilmente tracciata. Il nostro compito è durare: mantenere e rafforzare i quadri, potenziare il nostro bagaglio ideologico, andare a fondo dei problemi, intervenire con funzione chiarificatrice nelle lotte del proletariato, sviluppare nella coscienza di nuclei anche solo ristretti di proletari la coscienza che nulla potrà muoversi nulla potrà muoversi nella situazione attuale senza un capovolgimento della retta politica del proletariato. Su questi punti l'accordo fra noi è pieno. C'è stata in seno all'Esecutivo e c'è in seno al partito (lo dimostrano anche gli interventi al congresso) una divergenza sul problema della partecipazione alle elezioni. Per parte ma ritengo che la tattica della partecipazione elettorale abbia fatto i suoi giorni definitivamente. Nulla più la giustifica: né la presunzione di un parlamentarismo rivoluzionario alla Liebknecht, che non ha più prospettive di realizzarsi, né la presunzione di sfruttare le armi che la borghesia "ci offra" e che sono in realtà armi sue contro di noi. Per me, le obiezioni mosse dalla sinistra, e personalmente da Bordiga, alla tesi leninista al II Congresso della III Internazionale rimangono valide oggi, più valide anzi di ieri. Basterebbe a dimostrare l'assurdità del participazionisomo, l'enorme spreco di energie, che ci è costata la partecipazione alle elezioni, gli strascichi di dissapori e di divergenze che essa ha creato nel Partito.

Il parlamentarismo è, oggi più che ieri, la serra calda della corruzione politica: le campagne elettorali si muovono secondo una pianificazione borghese che soffoca e deforma la voce proletaria. Partecipare alle elezioni anche con la parola d'ordine del sabotaggio dell'elezionisno significa, oggi più che mai, confondere le già confuse idee dei proletari. Il Congresso deve prendere atto che su questo problema esistono in seno al partito delle divergenze, e proporsi di risolverle nel corso dei prossimi anni, in seno al partito con una discussione approfondita dei problema.

Rotondi - mentre consente pienamente nell'analisi fatta nel documento dell'esecutivo, dell'evoluzione del capitalismo nel senso dell'accentramento economico e quindi anche politico, d'intervento in tutta la vita economica e di difesa del sistema sul piano del capitalismo di Stato, e accoglie tutta la parte critica sull'evoluzione e degenerazione dei partiti operai, dissente dalla definizione dei compiti del Partito.

Nel fare la critica di tutte le tattiche, l'Esecutivo è caduto nell'eccesso di non aver tattica. I 16 punti sui compiti del partito sono infatti esclusivamente critici, anche se vi è gualche riferimento ad una

nostra tattica e ad un suo svolgimento. I pochi abbozzi cha vi fanno capolino sono annullati dai rimanenti: in realtà, quella che la relazione dell'Esecutivo chiama tattica non è che la strategia generale del movimento. Ora, se con la preparazione ideologica abbiamo foggiato la testa del partito, è con la tattica che gli foggiamo le gambe: la vita del partito è fatta della sintesi di questi due elementi.

Due sono i problemi che richiedono particolare attenzione: quello della guerra e quello del parlamentarismo. La guerra è lo spettro che fa paura a tutti i popoli i quali vorrebbero evitarla, ma è proprio con la guerra che il capitalismo cerca la soluzione alla sua crisi, sia smaltendo una superproduzione altrimenti inesigibile sia agganciando politicamente al suo carro la classe operaia. Il nostro compito è impedire che la classe operaia si lasci ancora una volta soggiogare dalla manovra della guerra, e perciò urge portare la nostra parola in mezzo ad essa non soltanto nel senso della chiarificazione politica, ma nel senso della creazione di organi di massa che abbiano il compito di convogliare strati operai nell'alveo del nostro disfattismo rivoluzionario prima che sia troppo tardi. Gli organi di azione rivoluzionaria si preparano prima che l'azione si compia in modo che le svolte storiche fondamentali non trovino il partito impreparato all'azione e sganciato dalle masse. La capacità del nostro Partito non è solo quella di illustrare il nostro programma e chiarire le nostre posizioni fondamentali, ma è anche quella di saper egire in tutte le circostanze in modo che la classe proletaria, attraverso l'esperienza, riconosca quale è il suo partito. Ecco perché gli organi di massa devono essere costituiti in mezzo agli operai delle officine e dei campi. Solo così la nostra parola si diffonderà nella classe lavoratrice. Un altro aspetto della tattica da non trascurarsi è il parlamentarismo. Noi voglioso distruggere l'istituto parlamentare, ma la distruzione è possibile solo quando l'azione rivoluzionaria si compie: prima è irrealizzabile. Necessita dunque che il partito sfrutti il parlamento come mezzo per divulgare la nostra parola nel più, largo raggio possibile: saranno gli stessi capitalisti, con la difesa che saranno costretti a fare contro di noi, a farci propaganda.

Egli ritiene perciò cha non partecipando alle elezioni in un periodo di sconfitta proletaria, e in cui perciò nessuna azione rivoluzionaria è possibile, si faccia dell'opportunismo. Il parlamentarismo va inteso da noi come mezzo di ginnastica rivoluzionarla. Siamo in una fase in cui tutte le forze borghesi sfruttano ogni nesso per legare a sé la classe proletaria: noi dobbiamo adoperare anche l'arma del voto per immunizzare il proletariato dal veleno borghese e sfruttare tutti i mezzi che la borghesia ci permette di sfruttare. Solo cosi potremo seguire le orme di Lenin.

Ugenti rileva alcune lacune della relazione dell'Esecutivo soprattutto per quando riguarda la questione russa e la degenerazione dello Stato operaio. Ritiene che questa si debba, oltre che a cause obiettive, ed errori della dirigenza bolscevica e ad un'impostazione errata del compito e della struttura del Partito. La questione del peso della volontà, nella determinazione degli avvenimenti va ancora chiarita e posta in discussione nel Partito.

Arri (Asti) constata che, di fronte ad un capitalismo sempre piò potente e ad un proletariato sempre piò intorpidito dalla propaganda opportunista, il Partito di classe ha saputo dire una sua voce coraggiosa nel periodo che va dalla guerra ad oggi: di fronte elle tendenze affiorate nel Congresso, e della cui esistenza non si stupisce, si augura che un approfondimento collettivo e concorde dell'analisi della situazione permetta di superare i punti morti e riprendere con omogeneità di prospettive il lavoro iniziato. Dichiara che anche in seno alla Federazione di Asti il dibattito sulla partecipazione o meno alle elezioni è stato violento con presentazione di diverse mozioni, tutte peraltro contrarie alla partecipazione. Secondo il suo avviso, il problema generale, se ha avuto una soluzione storica, attende ancora una soluzione teorica.

Mizzucchelli (Cassano Magnago) dissente dai concetti espressi da Vercesi sulle rivendicazioni immediate o parziali, ricordando come la rivoluzione russa abbia avuto la sua origine in un banale sciopero tossile che qualche giorno dopo si trasformava in sciopero generale, cogliendo di sorpresa tutti i partiti compreso quello bolscevico. Ritiene che la situazione attuale sia chiusa e controrivoluzionaria, ma ritiene pure che il capitalismo sia giunto alla sua fase estrema e che sia perciò giusta la definizione di Lenin, data nel 1915, dell'"Imperialismo ultima fase del capitalismo". In genere non si tiene conto abbastanza che le masse credono ancora al mito russo e fino a quando non se lo scrolleranno di dosso ogni visuale sarà deformata e le prospettive di azione rivoluzionaria bloccate. Non concorda col comp. Danielis nella sua invocazione di 'armi nuove': prima di colare tutto bisogna preparare e indicare eventuali mezzi nuovi, altrimenti non ai risolve mai nulla.

Manca il resoconto stenografico degli interventi di due delegati francesi e di un delegato belga.

Vercesi.- I compagni si sono stupiti del tono del mio intervento. Ripeto che non mi era possibile di agire altrimenti dopo che nelle riunioni tenute a Milano non si era raggiunto l'accordo sull'impostazione dei nostri lavori. La mia proposta d'inquadrare il congresso nella pregiudiziale dell'impossibilità per il Partito di influenzare direttamente il corso delle situazioni attuali era stata respinta: era quindi inevitabile che l'urto politico si determinasse fra quelli che come me ritengono che vi sia incompatibilità fra il processo che conduce alla formazione di classe e l'impostazione di una lotta suscettibile di incastrare la difesa degli interessi immediati dei lavoratori l'enucleazione di premesse organizzative in questa direzione nello schema della lotta rivoluzionaria, e i compagni che invece ritengono che la condizione per la formazione del partito di classe consista precisamente nel prendere fin d'ora posizione di attivo intervento nel processo delle lotte politiche e sociali.

Si imposta in modo falso il dissenso quando si dice: voi volete far nulla e limitarvi ad un'attività di elucubrazione teorica: noi, pur ammettendo che la situazione sia estremamente reazionaria, riteniamo che questo nullismo politico non possa condurre che al nullismo anche teorico. Il problema non è mai stato, né lo è ora, di una scelta tra il fare e il non fare. Il problema è di stabilire ma lina politica corrispondente alle nostre posizioni fondamentali: se questa posizione vieta un intervento diretto negli avvenimenti, noi non possiamo che prenderne atto. Ho detto ieri che l'impostazione generale del partito, poiché fa di noi l'ala sinistra dello stalinismo, ci metto fuori dal processo che conduce alla costruzione del partito di classe.

Sono costretto a ripetermi brevemente. Nei paesi in cui, come in Italia, il capitalismo non ha o non ha ancora interdetto la manifestazione della reazione elementare dei lavoratori allo sfruttamento borghese, non basta dire che lo sciopero, in quanto interrompe il processo produttivo e quindi lo stesso sfruttamento, è una manifestazione classista. Occorre andar oltre e analizzare il corso della realtà che vede in ogni occasione l'intervento attivo di un'altra forza sociale che accalappia immediatamente ed in modo totalitario la direzione degli scioperi.

Questa è forza capitalistica e d'ordine complementare all'altra che è al timone dello Stato. Il socialcomunismo ha la funzione storica di opprimere ferocemente, nei paesi russi, il proletariato. Essa è il soggetto fondamentale di questi regimi di oppressione, non è forza di compromesso sociale ma classe di dominio sociale. Fuori dei paesi russi essa conserva la stessa funzione, e la conserva anche quando ciancia di difesa degli interessi dei lavoratori, ed occorre non farsi illusioni, quando si gabella per promotrice di movimenti di scioperi, lo fa unicamente perché questi scioperi sono inevitabili e l'eessenziale consiste per lei nel prendere tutte le precauzioni ed inquadrarli preventivamente nel corso che li conduce alla loro sicura disfatta.

La lotta fra Stalin e Truman è lotta fra due complici che controllano il meccanismo capitalista mondiale della estrazione del plusvalore e se ne appropriano il risultato: il primo come il secondo sono storicamente portati ad evitare i movimenti di reazione proletaria al funzionamento del detto meccanismo, giacché il processo rivoluzionario, anche esso unitario, se scoppia in uno dei due settori è chiamato ad estendersi anche nell'altro. Così impostato il problema (né mi pire che si possa impostare diversamente), ne risulta che l'internazionalizzarsi del processo dell'oppressione capitalista pone l'inevitabilità dell'urto violento sia contro il capitalismo di Truman, al timone in Italia, sia contro il capitalismo di Stalin, anche se questo non è al potere in Italia e anche se parla di movimenti operai e prende posizione per gli scioperi. La complicazione della situazione risulta poi dal fatto che, mentre in ipotesi è possibile ammettere che i proletari italiani si dirigano verso la distruzione del capitalismo al potere nel nostro paese, non si può nemmeno ipotizzare che possano dirigersi verso la distruzione del capitalismo di Stalin, compito che spetta al proletariato russo. L'inverso è altrettanto vero per i proletari che vivono nei paesi russi. Quando ho parlato di 'stalinismo di sinistra' ho voluto alludere all'errore colossale che consiste nello scambiare un corso suscettibile di volgersi verso la lotta del proletariato quello che in definitiva è il corso dello stritolamento del proletariato e dei suoi movimenti elementari, e il cui protagonista è la classe eminentemente capitalista condotta da Viscinsky al battesimo di sangue dei processi di Mosca. A mio avviso la posizione che ci può ricondurre al processo della lotta rivoluzionaria è quella che, svelando la funzione capitalista dei due complici, pone anche il problema della lotta violenta contro l'uno e contro l'altro, contro quello che si oppone allo sciopero come contro quello che lo dirige. Ne risulta che sismo attualmente immobilizzati in una posizione soltanto critica e distruttiva?

Ebbene, se questo è, e sono convinto che sia, l'unica via che possa condurci alla formazione del partito di classe è quella che matura nei pochi proletari che ci seguono, non solo la convinzione che la realtà sociale è questa e non altra, ma la convinzione che è necessario comprendere la natura di quest'evoluzione, per poter essere in grado di personificare la classe che sarà in grado di sovvertirla quando le condizioni storiche avranno prodotto l'antagonismo su cui essa è poggiata.

Ho detto esplicitamente di non essere in grado di condurre a termine un'analisi di questa specie. Ma mi pare che i compagni, pel solo fatto di averlo detto, siano portati a pensare che chi non lo dice, per il solo fatto di non dirlo, sia in grado di dare un'analisi completa di questa intricatissima situazione e di farne discendere anche un'impostazione politica. Affermo in modo categorico che questo non è stato fatto de nessuno, perché nessuno - anche se fossero qui fra noi i nostri maestri - è in grado di farlo: per giungervi occorre che, con lo stesso corso di maturazione dell'antagonismo di classe, la storia ponga le condizioni per la sua comprensione.

La Camera interviene soprattutto per deprecare che l'Esecutivo abbia deciso l'intervento alle ultime elezioni nonostante precedenti votazioni contrarie, per ragioni organizzative anche se non per regioni teoriche, del Comitato Centrale, e ne rifà la storia. Ribadisce la propria posizione negativa non per regioni di principio ma per considerazioni pratiche di contingenza.

Perrone chiede la parola per un breve intervento su questo punto particolare. - Lo stesso carattere incipiente della formazione del nostro partito interdice di ritenere che una chiarificazione possa risultare dalle discussioni del congresso e che un voto consacri la validità delle tesi che avessero ottenuto la maggioranza dei consensi. Cadremmo così nella truffa democratica e ritengo mio dovere mettere in guardia i compagni contro un simile tranello. Il procedimento da seguire è un altro. Occorre che al di là delle parole che possiamo pronunciare, ciascuno di noi sia in grado, io come gli altri compagni, di giungere alla consapevolezza di quanto fermenta in noi. V'è un problema che può servire di pietra di paragone, da 'provino': il problema elettorale, che intendo impostore nella già detta considerazione generale senza sviscerarlo nei suoi aspetti laterali, per procedere poi ad una consultazione maggioritaria, ma considerandolo nei suoi riflessi politici fondamentali. Supponiamo che le parole di noi tutti rispondano alla realtà dei nostri pensieri e traducano le realtà del processo politico che è in noi.

Le cose si presentano allora così:

1) Siamo tutti d'accordo di non prendere una posizione di estetismo politico. Anche gli antipartecipazionisti, cioè, sono per un'attiva partecipazione ai comizi elettorali per far fronte alla mobilitazione ad opera del capitale o dei cervelli operai in funzione dei suoi obiettivi.

2) Siamo tutti d'accordo nell'affermare che lo Stato anche democratico va distrutto con la violenza.

3) Il dissenso si presenta soltanto fra chi ritiene ancora possibile utilizzare a fini rivoluzionari la tribuna parlamentare e quelli che lo negano.

Com'è possibile, allora, che un dissenso su una questione cosi accessoria abbia:

1) impestato per due anni la vita del partito, condotto a posizioni contraddittorie, spinto anche a metodi riprovevoli, compromesso la preparazione del congresso?

2) determinato un'irritazione di certi compagni e persino l'uscita di qualcuno dalle nostre fila?

O il dissenso verte su una questione secondarie, ed è superabile, o investe i problemi fondamentali della rivoluzione. Nella prima ipotesi mi sembra impossibile che non si ottenga l'unanimità su una proposta che faccio qui formalmente: accantonare definitivamente questa questione per non compromettere il lavoro di formazione del partito.

Nella seconda ipotesi, non resta che constatare che il partecipazionismo elettorale nasconde un contrabbando opportunista e che quindi fin d'ora, anche in mancanza di una compiuta analisi della situazione internazionale si debba passare a misure atte a salvaguardare, pur nello stato embrionale in cui si trova oggi il partito, la continuità del processo che va dal ceppo fondamentale della sinistra italiana verso il trionfo della rivoluzione proletaria. Propongo perciò che il congresso si pronunci su questo punto preciso: considerate le gravi ripercussioni suscitate dal problema del partecipazionismo parlamentare sulla compagine ideologica e organizzativa del partito, su decida di partecipare ai comizi elettorali unicamente in vista del boicottaggio del parlamento.

De dichiarare che, se la mia proposta non fosse accolta, dovendo tener conto che, per quanto non apertamente espresse, esistono posizioni profondamente divergenti da quelle fondamentali della sinistra, sarò costretto a prendere posizioni a carattere anche organizzativo, indipendentemente dal seguito che potrò ottenere fra i compagni.

Dopo breve discussione, alla quale intervengono anche i compagni La Camera e Maffi, esprimendo l'avviso che la soluzione proposta da Perrone non risolva il problema, e il comp. Damen per chiarire il concetto di 'partecipazionismo', il congresso accetta una mozione sostenuta dai comp. La Camera e Maffi che suona: "In attesa delle conclusioni a cui giungerà la discussione da tenersi in seno al partito sulla questione del partecipazionismo e dell'astensionismo, il Congresso decide che il Partito non parteciperà ad alcuna elezione".

Chiusura della discussione

Il relatore Damen:- l'intervento del comp. Vercesi è avvenuto come si desiderava che avvenisse; e ciò spiega a sufficienza il perché del mancato accordo nelle riunioni preliminari avvenuto a Milano prima del Congresso. Il tentativo, del resto assai confuso, di porre i problemi teorici e politici dal punto di vista del dissenso, è stato condotto dal comp. Vercesi sul piano dell'irritazione sentimentale, ciò che ha fortemente nuociuto alla chiarezza e alla linearità, direi quasi alla coscienza di questi problemi. Con questo stato d'animo si è portati a concludere non concludendo, come è capitato a Vercesi nel suo ultimo intervento in cui la sua anima è apparsa appagata forse dal ... brillante esito dell'infallibile provino - marxismo a parte - astensionista. Questo finale tutto vercesiano non dispensa però il relatore dal sottoporre ad un breve esame critico le più salienti affermazioni fatte in contradditorio dal comp. Vercesi. Lasciamo da parte l'estrema faciloneria e leggerezza con cui il nostro comp. definisce ma non dimostra opportunista la politica del partito, sol perché esso continua a vivere contro le nebulose alchimie delle nuove e più recenti premesse di Vercesi, in base alle quali nel blocco monolitico del capitalismo dopo la seconda guerra mondiale non ci sarebbe più ossigeno storico per dar vita ad un partito di classe: l'accento va invece posto sui problemi specifici dello "sciopero corno arma dell'imperialismo" e dell'alleanza del proletariato col capitalismo, per la gravità di certe evidenti e logiche conclusioni che era lecito aspettarsi, e che il congresso ha inutilmente atteso. Chi ha partecipato al convegno di Torino ricorderà con esattezza la posizione del comp. Vercesi, che fu di entusiastica adesione alle idee che erano state alla base della formazione del partito; in più c'era la previstene tutta personale di Vercesi che il corso degli avvenimenti, assai prossimi, fosse indirizzato verso la ripresa del Moto di classe e verso la rivoluzione. Ma gli avvinimenti si sono evoluti in modo alquanto diverso: da qui la giravolta radicele nelle prospettive; ora estremamente nere, e nella condotta politica del partito, in cui l'emotività e il sentimento hanno preso il sopravvento sulla serena interpretazione della storia, propria del marxismo. Nella mente del nostro comp. si è perciò fatta strada l'idea che sia venuto a mancare il terreno storicamente favorevole non soltanto allo sviluppo del partito di classe ma alla sua stessa esistenza: non rimaneva allora che trarne la logica conseguenza, anche sul piano strettamente organizzativo. Lo stesso schema ideale, la stessa impostazione politica, le stesse conclusioni pratiche e organizzative date da Vercesi di fronte ella Frazione nella seconda guerra mondiale.

Non è ormai una novità per nessuno di noi che il mondo cammina inesorabilmente verno la guerra; ma noi aggiungiamo che alla guerra si perverrà se il proletariato non si riavrà dalle sua sconfitta, approfittando delle condizioni favorevoli che potranno sorgere dalla crisi profonda ed insanabile che rode alle fondamenta l'eorganizzazione capitalista; se nel corso delle lotte sociali che precederanno il conflitto esso non riprenderà coscienza del suo ruolo di classe rivoluzionaria; se non esprimerà dal seno della sua esperienza il partito, la sua guida; se in una parola, non opera coma l'antagonista storico del capitalismo.

Non si vuol capire che i motivi del lento ritorno alla lotta di classe, alla coscienza di classe e all'azione rivoluzionaria, non risiedono tanto nella mancanza delle condizioni obiettive del corso rivoluzionario nella crisi borghese, quanto nel fatto che sono mancate e ancora mancano le condizioni soggettive della lotta rivoluzionaria, è mancata cioè la guida, il partito di classe; e va riconosciuto obiettivamente che tale risultato è dovuto alla forza e all'intelligenza della conservazione che è riuscita a modificare i rapporti di forza tra le due classi in conflitto e combattere il socialismo con le forze politiche, il metodo e le armi attinte alla prassi del proletariato. La constatazione di questa esperienza politica, che ha riempito di sé la storia di questo secondo dopoguerra, impronta l'opera critica e l'azione del nostro Partito. E' troppo semplicistico e astratto attribuire alla volontà e all'interesse del capitalismo le lotte sociali che scaturiscono dalle contraddizioni del suo sistema economico e il loro dinamismo: è troppo semplicistico e astratto legare conseguentemente alla politica dei due complici dell'imperialismo tutte le agitazioni, gli scioperi che si sono avuti e si avranno in questa fase della storia del capitalismo, anche se Vercesi, con quel fiuto politico che lo distingue, prevede che è molto probabile che di scioperi... si parli sempre meno! Una tale impostazione ci riporta all'altra altrettanto semplicistica ed astretta dello stesso compagno in cui il proletariato appare come alleato del capitalismo, aprendo così un nuovo capitolo al revisionismo del pensiero marxista. Ma dovrebbe essere ovvio che l'alleanza presuppone la scomparsa del proletariato come entità economica, sociale e politica di classe; presuppone un coincidere di interessi materiali cd ideali fra proletariato e borghesia e un comune loro divenire storico. L'alleanza postula la coscienza totale del legame, e un apporto, se non pari, almeno proporzionale di forze, di stimoli, di interessi che presupporrebbe il proletariato come sradicato dall'ambiente storico che lo ha dialetticamente espresso, come non più antagonista al capitalismo, ma sua parte storicamente integrante. Questo supposto suicidio del proletariato, se non fosse un'astrazione, segnerebbe la fine del marxismo in quanto dottrina esprimente le leggi della dialettica rivoluzionaria nell'epoca del capitalismo. Il partito pensa invece che il proletariato italiano, che tante pagine ha scritto nella storia delle lotte del lavoro e della sua emancipazione, è stato sconfitto e piegato nello spazio di qualche decennio al fascismo, alle guerra e alla ricostruzione. Non può trasformarsi di punto in bianco in alleato del capitalismo un proletariato che appena due anni fa, a Torino, il comp. Vercesi poneva al centro delle sue prospettive di una ripresa di classe e dello sbocco rivoluzionario della crisi italiana. Questi improvvisi capovolgimenti non riflettono la realtà obiettiva ma soltanto la particolare "forma mentis" di cui troppo spesso e troppo facilmente si lascia prendere dal sacro fuoco dell'apocalisse quando la situandone sembra montante, e dal pessimismo liquidazionista quando la situazione è in fase calante.

Il vero e più pericoloso "stalinismo di sinistra" è facilmente individuabile non in quei compagni che vanno, non da ieri, compiendo lo e sforzo di assicurare la continuità anche fisica del partito, pur in periodi di stasi e nella ritirata, ma in chi vorrebbe spezzare tale continuità favorendo, forse inconsciamente, l'opera dello stalinismo che, non disturbato dalla serrata critica e dall'azione di classe, può rinsaldare, dietro il paravento socialista, il fronte della controrivoluzione. Il partito riconosca inoltre che il proletariato, per quanto sconfitto e violentemente piegato al giogo del più intenso sfruttamento economico e politico, è già, e sarà ancor più squassato dal ciclone della crisi economica, e dovrà muoversi e agitarsi a lottare se vorrà assicurarci un minimo vitale oltre il quale c'è l'indigenza più disperata e la fame fisiologica. Questo à il fondo reale delle agitazioni economico-sociali che il nazionalcomunismo va utilizzando come ottimo potenziale agitatorio e sfrutta ai propri fini sul fronte dalla battaglia imperialista. E' un fatto che il comp. Vercesi non ha avuto il coraggio, ad [onta] dell'asprezza del tono, di trarre logiche conseguenze sul piano politico del suo modo di concepire, oggi, la natura e la funziono degli scioperi operai, so, come egli pensa, gli scioperi come ogni altra manifestazione delle masse operaie sono manifestazioni della politica imperialista, dovremmo dire apertamente agli operai non solo di non scioperare, ma di sabotare lo sciopero. Questa, penso, è la convinzione anche se non espressa dal comp. Vercesi, ma noi abbiamo il dovere di ricordargli che proprio alla determinazione di muoversi con le mosse in agitazione, [..] di un piano preciso di critica antirivendicativa e per una lotta frontale e spietata contro la direzione opportunista, [patriottarda] e [...rialista] del nazionalcomunismo, il nostro partito deve la possibilità della sua affermazione così nella fase antifascista della guerra di liberazione, così nel periodo della ricostruzione, così ora, in questa torbida fase di preparazione della III guerra mondiale.

Muoversi col proletariato, sospinto alla lotta dalla fame e dalla disoccupazione per porre dialetticamente i problemi fondamentali della sua classe che sono i problemi della rivoluziono, è fare delle lotte operaie la base per una presa di posizione politica del partito rivoluzionario contro i sindacati asserviti allo Stato e contro i partiti del tradimento che sono alla loro direzione, è il solo modo di muoversi, offerto dalla situazione sulla via di un marxismo vivo e operante. Non si tratta di influenzare oggi questa o quella situazione, ma di operare nei limiti imposti alla lotta da una realtà tuttora fascista e reazionaria per influenzare un settare sempre più vasto del proletariato, tenendo conto e delle situazioni obiettive e del loro eventuale modificarsi.

Il partito si è mosso e si muove su questo terreno e con queste direttive: se di opportunismo vogliamo proprio parlare, esso va ricercato in chi nella teorizzazione di un metaforico assoluto capitalistico tanto in sede economica che in sede politica, afferma la fine di ogni contraddizione di classe, e con la classe storicamente intesa è portato non solo alla sottovalutazione, ma alla liquidazione dal partito oggi, della frazione domani. Su questa linea teorica, su questo terreno di prassi politica e organizzativa il comp. Vercesi he fatto una sua esperienza del tutto negativa: noi non intendiamo che questo nostro compagno possa ripetere l'esperienza sul corpo del nostro partite sulla soglia della terza guerra imperialistica.

Sulla questione dell'intervento dal partito ai comizi elettorali con lista propria sulla base del boicottaggio del parlamento e della stessa macchina elettorale, come ho già dotto nel mio rapporto, essa è una pagina aperta che attende d'essere presa in esame o criticata al lune della ideologia del partito di Lenin, ciò cha nessuno fin qui ha seriamente tentato. In considerazione di ciò, non soltanto ho accettato, ma ho fatto mia la proposta del non intervento del partito alle elezioni con liste proprie, finché un adeguato dibattito sul problema dello astensionismo non abbia definitivamente indicato al partito la via da seguire, ciò che deve essere fatto, e al più presto.

Compagni, so che questo dibattito, che ha messo bruscamente il congresso di fronte alla crudezza di posizioni diverse esistenti fra noi su problemi non secondari, potava essere evitato: ora è evidente che è stato opportuno e necessario che non fossa evitato, ma alla sola condizione che i protagonisti del dibattito siano stati i portavoce di problemi che vanno oltre i limiti della loro persona, per essere in realtà parte viva e faconda nella preparazione dell'avanguardia rivoluzionaria. Perciò va detto in modo chiaro e inequivocabile che il partito non deve ridursi per nessuno ad argomento su cui si possono anche avere opinioni diverse: non deve neppure ridursi ad una disputa su cui sia lecito bizentiggiare a piacere, ma rappresenta una realtà, somme lotte e di sacrifici comuni, che impone a tutti noi, tanto più se i tempi si fanne difficili, senso di responsabilità, e di disciplina, idee chiare e preciso, e una linea di condotta che non conosce deragliamenti e crisi di coscienza, né d'ordine ideologico né d'ordine tattico né d'ordine organizzativo. Il comp. Vercesi, in coerenza alla sua particolare visione della storia e del partito, può assumere l'atteggiamento che vuole; è affar suo; noi che siamo sul piano dell'ideologia e della prassi del partito, siamo coerenti e conseguenti a questa nostra impostazione e abbiamo perciò precisato i compiti che ci prefiggiamo di raggiungere col partito e per il partito, in quanto strumenti della lotta rivoluzionaria.

Sappiamo che l'attuale clima storico appresta un terreno quanto mai fertile alle tendenze intonate al pessimismo e alla revisione; più grave e più impegnativo si è fatta perciò il compito per il Centro del partito di difendere con accorgimento e durezza l'opera lenta, faticosa e difficile della fondazione, dei suoi quadri di combattimento.

Note

(1) Prima di abbandonare per impegni personali il Congresso, il comp. Vercesi aveva dichiarato, subito dopo la votazione della mozione sul partecipazionisma: "Costretto ad abbandonare il Congresso, desidero dire due parole perché i compagni non deducano dall'asprezza dei miei interventi, che esista un'uguale asprezza anche nelle divergenze politiche. Affermo prima di tutto che queste divergesse sono inevitabili nell'attuale momento storico: noi non possiamo non riflettere, nel nostro seno lo stato di decomposizione nel quale si trova il proletariato. Il fatto che questo si sia rivelato anche nel nostro Congresso è sintomo non negativo ma positivo.

Affermo inoltre che la riunificazione prodottasi intorno alla proposta del comp. La Camera e in una votazione unanime, prova che mal grado la situazione sfavorevolissima, sappiamo ricostruire le fondamenta della nostra lotta rivoluzionaria.

Nella misura in cui questa riunificazione reggerà alla prova dei duri avvenimenti che ci attendono, potremo procedere in grande fraternità sulla via che conduce alla vittoria del proletariato".

Ciclostilato inviato a tutte le sezioni, 19 aprile 1979

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