Marxismo e questione militare (10)

Difesa di Parigi e guerra in provincia

II 18 settembre 1870 le armate tedesche provenienti da Sedan, senza incontrare resistenza, erano arrivate davanti a Parigi e la minacciavano d'assedio. II giorno dopo disperdevano le truppe francesi sull'altipiano di Chatillon, accerchiando così la città anche da sud , dove era meno difesa dei 16 forti distribuiti su un perimetro di 53 km. "Parigi mistificata dalla stampa vanagloriosa, ignora la grandezza del pericolo; Parigi fa abuso di fiducia", avverte Blanqui dal suo giornale (dalla Storia della Comune di P.O. Lissagaray).

Ma già dal 5 settembre alcuni uomini di avanguardia "ai fini della difesa e del mantenimento della repubblica, avevano invitate le assemblee pubbliche a nominare in ciascun circondario un comitato di vigilanza incaricato di controllare i sindaci e di accogliere i reclami. Ogni comitato doveva nominare quattro delegati; l'insieme dei delegati avrebbe costituito un Comitato Centrale dei 20 Circondari". Questo C.C. dei 20 Circondari non ha nulla a che vedere col Comitato Centrale delle guardie nazionali (C.C. Delle G.N.) che nascerà assai più tardi e che svolgerà un ruolo di primo piano nella Comune.

Il 30 settembre, alla notizia della capitolazione di Strasburgo, i repubblicani rivoluzionari (per i quali la Repubblica doveva avere un contenuto sociale e non essere solo una forma politica del vecchio Stato, come pensavano e volevano i repubblicani parlamentari), con alla testa blanquisti ed internazionalisti, comincino le loro agitazioni specie fra le guardie nazionali considerate già come la loro forza armata proletaria. Il 5 e l'8 ottobre si danno le prime manifestazioni armate: Flourens, comandante di un settore della difesa, scende a Parigi da Belleville con dieci battaglioni di g.n. Per chiedere la leva in massa e le elezioni immediate della Comune. Già altre volte si era fatta quest'ultima richiesta. Anzi, il "governo della Difesa Nazionale" l'aveva accettata quando gli operai gli avevano consegnato il potere il 4 settembre. Ma, come tante altre promesse (soppressione della polizia di Stato, leva in massa, amnistia politica, ecc.), anche questa dell'elezione era stata messa nel dimenticatoio; il G.D.N. Si comportava come il governo imperiale abbattuto; la repubblica doveva essere solo la continuazione dell'Impero. Né tale governo, che porterà alla capitolazione di Parigi, né quello "regolare" (in quanto emanazione di una "legale" Assemblea Nazionale eletta per volere di Thiers-Bismarck per sanzionare la futura "pace") eleggeranno mai la Comune veramente rivoluzionaria chiesta dagli operai. Essa nascerà solo il 26 febbraio 1871, dopo che il potere sarà stato strappato alla borghesia.

A ostacolare poi la creazione di Comuni in provincia ci pensò la delegazione del governo di Parigi, che ebbe la sua sede prima a Tours, poi a Bordeaux. Ovviamente, le ragioni per le quali si osteggiarono le elezioni "pacifiche" della Comune erano del tutto opposte a quelle che le facevano rivendicare agli operai.

Trochu e Gambetta (che reciterà la parte di primo attore nel governo di Tours) non vedevano di buon occhio questo concorrente del loro governo, il cui "piano di difesa" sarebbe andato in fumo. "Che la Comune, come nel 1792, salvi ancora la città e la Francia!": in questa forte invocazione, le masse proletarie lasciavano capire che la ragione militare della loro richiesta era la fondamentale e la più urgente. Quel "come nel ‘92" non deve trarre in inganno. Forse i Gambetta potevano pensare ad un ripetersi della tradizione di ottannt'anni addietro, quando la borghesia era rivoluzionaria ed ancora capace di eroismo. Ma da allora il proletariato aveva sempre avanzato rivendicazioni proprie e quando, come nel ‘48, deteneva di fatto il potere nelle mani, l'aveva ceduto solo dopo una lotta frontale con la borghesia. Gli operai ora possedevano il loro partito - l'Internazionale - ed esso aveva detto loro "che non si dovevano lasciar sviare dalle memorie nazionali del 1792". La guerra che il proletariato voleva non era, come spesso si scrive, motivata da orgoglio e sentimento patriottico tradizionale: non aspirava stalinianamente a raccogliere il tricolore lasciato cadere dalla borghesia, non gridava allo scandalo per la sua mancanza di patriottismo. Il proletariato voleva spingere la borghesia ad agire conformemente agli interessi della rivoluzione già in atto dal 4 settembre, per puntare verso le conquiste sociali poste all'ordine del giorno dallo storia ed indicate come meta finale dall'Internazionale: l'emancipazione del proletariato per mezzo di un governo della classe operaia.

I patrioti alla vecchia maniera, come ostentava di essere il Gambetta, erano ormai fuori tempo per le contraddizioni in cui si muovevano e che li costringevano a subire la volontà capitolarda del governo Trochu. Gambetta aveva infatti lasciato Parigi il 18 settembre per eseguire l'ordine del governo di bloccare le elezioni comunali in provincia e far rimanere al suo posto tutto quel personale bonapartista che avrebbe sabotato in mille modi la guerra affrontata suo malgrado, riunendo tutti coloro che affluivano per offrire il loro braccio ed il loro entusiasmo. Il tradimento si metteva in opera, da una parte, dichiarando di voler resistere ai prussiani "fino all'ultimo uomo" e facendo anzi sperare addirittura in una Jemappes, dall'altra operando in un senso del tutto opposto.

Ad un mese da Strasburgo, la capitolazione a Metz dell'armata del Reno comandata dal generale bonapartista Bazaine, è la prova lampante del tradimento del governo della controrivoluzione borghese. Gli approcci fatti poi sia dal Bazaine che dal Thiers presso Bismarck per "trattare" un armistizio, e che Bismarck respinse perché voleva restare arbitro assoluto in Francia, sono una prova della cospirazione antiproletaria del governo francese con quello prussiano. Ecco come quel traditore spudorato di Bazaine si prostituì al nemico per ottenere l'armistizio: "La società è minacciata da un partito violento... La mia armata è destinata ad essere il palladio della società; e la sola forza che possa domare l'anarchia ... Essa offrirebbe alla Prussia, per effetto di questa azione, una garanzia di pegni che la Prussia potrebbe reclamare, contribuirebbe all'aumento di un potere regolare e regale" (da La Comune di Parigi).

Se ben si riflette a queste parole, si vede che il tradimento della borghesia, dei suoi "uomini di stato" e dei suoi generali, non è un fatto del tutto volontario, ma è il prodotto della evoluzione storica e dei conflitti di classe da essa generati: reazione e rivoluzione procedono così verso la catastrofe con alterne vicende di vittoria dell'una sull'altra. Le ripercussioni della caduta di Metz non tardano infatti a manifestarsi con la memorabile giornata del 31 ottobre. Al grido di "abbasso Trochu! La leva in massa! Viva la Comune!" (idem) gli operai insorgono e fanno prigioniero quasi tutto il "governo dei Giuda" nell'Hotel de Ville. Giustamente il Lissagaray, che visse quegli avvenimenti, dice che "non esiste nella storia un più alto tradimento".

II 31 ottobre, però, gli insorti si lasciano ancora una volta scappar dalle mani i "Giuda", che riusciranno tra il 5 e il 7 novembre a ottenere perfino la fiducia da una maggioranza di elettori in un plebiscito-farsa di stampo imperiale con la formula: "coloro che vorranno mantenere il governo voteranno sì". Ancora una volta, la spiegazione del magro risultato di quella grande giornata e nella mancanza di coesione fra i rappresentanti degli operai: Blanqui, L. Blanc, Flourens, Delescluze ecc. e nella incapacità del C. C. dei 20 Circondari di esercitare funzioni dirigenti, oltre che nella bonarietà di coloro che, sperando ancora che la lezione riconduca i membri del governo all'osservanza dei propri doveri, risparmiano loro la vita. Con quale moneta essi ricambieranno più tardi (maggio 1871) questa bonarietà? Già fin da ora il generale Florens, come Marx lo chiama, che sarà assassinato dagli "eroi" della borghesia, è anzi arrestato, e non può, insieme a pochi altri della sinistra rivoluzionaria eletti nelle elezioni municipali fatte in regime di terrore dal 5 al 7 novembre, esercitare le funzioni di sindaco di uno dei circondari di Parigi.

Malgrado tutto, la situazione della Francia non era ancora del tutto disperata. Se si fosse riuscito a costringere il governo a fare sul serio la guerra sia a Parigi che in provincia, non solo si sarebbero potute migliorare le posizioni, ma si poteva sperare in una possibile vittoria. Risparmiamo al lettore la dimostrazione che Engels ne dà, sulla scorta di uno studio della situazione politico-militare di allora. Molti degli stessi capi della classe operaia a Parigi intuitivamente sentivano di poter ancora vincere e ciò, ripetiamo, giustifica il fatto che non vollero iniziare offensivamente la guerra civile il 31 ottobre. Vedremo che questa, quando avrà luogo in marzo '71, prenderà le mosse da una reazione difensiva.

II 13 dicembre Marx scrive a Kulgelman: "Tuttavia non è ancora detta l'ultima parola. La guerra di Francia può avere ancora delle svolte molto "scabrose". La resistenza dell'armata della Loira era "fuori" di ogni calcolo, e l'attuale dispersione delle forze tedesche a destra e a manca e solo destinata a incutere spavento, ma di fatto non ha altro successo che quello di chiamare in vita in tutti i punti la forza difensiva e di indebolire la forza offensiva. Anche il minacciato bombardamento di Parigi è solo un trucco. Secondo tutte le regole del calcolo della probabilità, esso non può assolutamente avere alcun serio effetto sulla città di Parigi stessa. Se venissero abbattute alcune opere avanzate, se venisse fatta una breccia, che gioverebbe tutto ciò nel caso in cui il numero degli assediati è maggiore di quello degli assedianti? E se gli assediati si batterono eccezionalmente bene nelle sortite, quando gli avversari si difendevano dietro agli entrenchments, non si batteranno meglio ancora quando le parti sono invertite? L'affamamento di Parigi è l'unico mezzo reale. Se però questo termine è ritardato sufficientemente per permettere la formazione di armate e lo sviluppo della guerra popolare nelle province, anche con questo non si guadagnerebbe altro che lo spostamento del centro di gravità. Inoltre Parigi che non può essere presidiata e mantenuta tranquilla con un pugno di uomini, immobilizzerebbe, anche dopo la capitolazione, una gran parte degli invaders. In qualunque modo però finisca la guerra, essa avrà allenato il proletariato francese nell'uso delle armi, e ciò è la migliore garanzia per l'avvenire".

Marx dunque, auspicando ancora la formazione di armate e lo sviluppo della guerra popolare, fa intendere che non è ancora giunto il momento di rovesciare il governo, ma che lo si deve obbligare a rispettare gli impegni senza farsene raggirare per mancanza di unità di intenti nella direzione delle forze rivoluzionarie. Purtroppo il "partito formale" non si era ancora organizzato e il governo Trochu proseguì la lotta solo a base di scaramucce e di finte sortite, che dovevano avere più che altro lo Scopo di umiliare lo spirito guerriero dei proletari, dei "sovversivi"

II 28 novembre il generale Ducret, che doveva guidare la "grande sortita" fuori Parigi e che aveva giurato di tornare indietro solo da vincitore, dopo aver esposto le guardie nazionali a inutili sanguinosi sacrifici ordina la ritirata ed entra per primo a Parigi. Non contento di ciò, il governo di questi eroi ha la sfacciataggine di "epurare" le guardie nazionali dei battaglioni "indisciplinati", e dar loro come nuovo capo il gen. Thomas, colui che aveva fatto sparare sugli operai nel giugno '48.

II 21 dicembre si ha un'altra azione "eroica" del genere di quella precedente: il "piano Trochu" si dimostra sempre più un piano per la difesa di classe. Di qui altre manifestazioni operate e il "manifesto rosso" fatto affiggere il 6 gennaio dal C.C. dei 20 circondari.

II 20 gennaio, Trochu dà l'ultimo spettacolo: nuova "sortita torrenziale", nuova ritirata che si trasforma in rotta; per reazione nuova giornata del 22 gennaio contro il governo, e quindi altro sangue versato dagli operai che non vogliono assolutamente la capitolazione (che però, sei giorni dopo, è già un fatto compiuto). "Trochu riteneva assai più importante tenere a bada i rossi a Parigi con la sua guardia del corpo bretone, che gli rendeva gli stessi servigi resi a L. Bonaparte dai corsi, anziché battere i prussiani. Questo è il vero segreto delle sconfitte non solo a Parigi, ma ovunque in Francia, dove la borghesia ha agito secondo lo stesso principio, d'accordo con la maggioranza delle autorità locali".

In provincia, dove finora non vi era stata nessuna Vandea, lo spirito conciliatore di Gambetta ottiene anche di più! Non solo fiacca la volontà di lotta popolare, ma crea le condizioni per far rialzare la testa a tutti i reazionari, e a Thiers, loro capo politico. Di fronte alla timidezza iniziale dei prefetti, Gambetta assume le arie di dittatore, ma in realtà manca di qualunque audacia giacobina. "Dietro il tribuno si nascondeva l'irresoluto": alza ogni tanto la voce contro Trochu, ma finisce sempre per subire la volontà capitolarda.

La guerra civile - Rivoluzione e controrivoluzione

"La capitolazione di Parigi, consegnando alla Prussia non solo tutta Parigi, ma tutta la Francia, concluse la lunga serie degli intrighi col nemico e dei tradimenti che gli usurpatori del 4 settembre avevano incominciato, a detta dello stesso Trochu, in quello stesso giorno. D'altra parte, essa dette inizio alla guerra civile che costoro stavano per impegnare, con l'aiuto della Prussia, contro la repubblica e contro Parigi. La trappola era stata preparata nei termini stessi della capitolazione" (Marx).

Infatti era stato stipulato che "un'Assemblea Nazionale doveva essere eletta entro 8 giorni" e "al solo scopo di decidere della pace e della guerra".

La fretta imposta alle elezioni dell'8 febbraio doveva servire al trionfo di quello "strumento della controrivoluzione" che era il partito di Thiers, nel cui seno si rifugiarono i "rurali" della provincia, ossia orleanisti e legittimisti.

"Appena si riunì a Bordeaux questa assemblea di "rurali" Thiers le fece intendere chiaramente che i preliminari di pace dovevano essere ratificati subito, senza nemmeno gli onori di un dibattito parlamentare, perché questa era la sola condizione alla quale la Prussia avrebbe permesso loro di aprire le ostilità contro la repubblica e contro la sua cittadella, Parigi. E in realtà la controrivoluzione non aveva tempo da perdere ... La guerra aveva gonfiato le passività in modo spaventevole e devastate senza pietà le risorse della nazione". Come si vede, alla causa politica si aggiungeva quella economica a spingere la borghesia ad affrettarsi nel passare all'attacco. Ma la "trappola" aprì gli occhi ai proletari come non mai. Essi non avevano più davanti e contro il solo nemico esterno; a questo, nella "pace", si era alleato quello interno. Ormai nessuno ne dubitava più e perciò occorreva stare all'erta e serrare le file. Sotto la pressione di queste gravi ed urgenti necessità, i battaglioni delle guardie nazionali si federarono. Gli errori del passato, causati dalle divisioni interne, insegnarono che bisognava organizzarsi per avere una volontà unica e decisa. "La guardia nazionale si era riorganizzata ed aveva affidato il proprio controllo supremo ad un Comitato Centrale eletto da tutto il corpo, eccetto alcuni residui delle vecchie formazioni bonapartiste" (Marx).

Un fatto senza precedenti

E' vero che, nei termini della capitolazione, c'era la "trappola", ma è anche vero che in essi era contenuto il riconoscimento della forza del proletariato, della sua realtà di classe rivoluzionaria. Così Engels scriveva vent'anni dopo la Comune: "Il 28 gennaio 1871, Parigi, sfinita dalla fame, capitolò: ma con onore senza precedenti nella storia delle guerre. I forti furono consegnati, le trincee di circonvallazione disarmate, le armi dei reggimenti di linea e della guardia mobile consegnate, ed i soldati ed i militi furono considerati prigionieri di guerra. Ma la Guardia Nazionale mantenne le sue armi ed i suoi cannoni, e di fronte ai vincitori si considerò solo in stato di armistizio, mentre questi non osarono neanche penetrare trionfalmente in Parigi. Essi osarono occupare solo un piccolo angolo di Parigi, che per giunta consisteva in parte di parchi pubblici; ed anche questo solo per alcuni giorni! E durante questo tempo essi, che avevano stretto d'assedio Parigi per 131 giorni, erano a loro volta assediati dagli operai parigini armati, i quali vigilavano accuratamente perché nessun "prussiano" varcasse i ristretti confini di quell'esigua area ceduta al conquistatore straniero. Tale era il rispetto che gli operai parigini ispiravano all'esercito davanti al quale tutte le truppe dell'Impero avevano deposto le armi; e gli Junker prussiani, che erano venuti per soddisfare la loro vendetta al focolare stesso della rivoluzione, dovettero fermarsi con deferenza a fare il saluto proprio alla rivoluzione armata!".

Il comportamento che le guardie nazionali dovevano tenere all'entrata dei prussiani a Parigi fu deciso e voluto, contro la loro prima e non saggia decisione di opporsi con le armi a tale ingresso, da tutta la "Corderie", ossia dall'Internazionale, dai Sindacati e dal Comitato centrale dei venti Circondari. E' questo uno dei pochi esempi di come una volontà politica unica, sia pure risultante da tre forze proletarie diverse, abbia agito sugli eletti delle guardie nazionali.

Il piano Thiers, ovvero "la rivolta dei negrieri"

Il "piano Thiers" che non era altro che la diretta continuazione del "piano Trochu", mirava dunque "a farla finita" con gli operai di Parigi, cioè a disarmarli.

Seguendo la tattica già sperimentata nel 1848, la borghesia reazionaria incominciò a mettere in esecuzione il suo piano con una serie di provocazioni: decapitalizzando Parigi, rendendo esigibili subito certi effetti commerciali scaduti, sopprimendo il soldo alle guardie nazionali e i giornali repubblicani, condannando a morte in contumacia Blanqui e Flourens per aver preso parte alla giornata del 31 ottobre.

Gli uomini della Borsa, che volevano la ripresa degli affari solo dopo aver spazzato via gli "scellerati" e i "rurali" che volevano riunire la loro Assemblea a Versailles per il giorno 20 marzo "senza temere la rivolta delle piazze", imposero a Thiers una scadenza. Non la classe ed il partito rivoluzionario fissava dunque la data dell'insurrezione, ma erano la classe ed il partito controrivoluzionario a stabilire il momento dell'attacco.

Se si guarda alla legalità del regime esistente come ad un fatto che riposa su una reale forze politica e militare, si deve affermare, con Marx, che i "ribelli" erano Thiers e C. "Il sequestro dell'artiglieria avrebbe dovuto servire evidentemente solo come preludio al disarmo generale di Parigi, e quindi alla rivoluzione del 4 settembre. Ma questa rivoluzione era diventata il regime legale della Francia. La repubblica, opera sua, era stata riconosciuta dal vincitore ai termini della capitolazione; dopo la capitolazione fu riconosciuta da tutte le potenze straniere e nel suo nome fu convocata l'Assemblea Nazionale. La rivoluzione degli operai di Parigi del 4 settembre era il solo titolo legale dell'Assemblea Nazionale di Bordeaux e del suo Esecutivo ... L'Assemblea Nazionale, con i suoi poteri notarili per fissare e condizioni della pace con la Prussia, non era che un episodio di quella rivoluzione, la cui vera incarnazione era pur sempre Parigi in armi, che l'aveva iniziata, aveva subito per essa un assedio di 5 mesi con gli orrori della fame, ed aveva fatto della sua resistenza, prolungata a dispetto del piano di Trochu, la base di una ostinata guerra di difesa nelle province".

Questa esaltazione della forza rivoluzionaria da parte di Marx come di Engels non è inutile retorica: è su di essa, solo su di essa, che riposa la rivoluzione del proletariato. Per i nostri Maestri, la questione militare è, di questa, la conditio sine qua non.

La grande alternativa

Continuiamo la citazione di Marx (queste e le seguenti sono tratte dall'Indirizzo sulla Guerra Civile): "E ora Parigi doveva o deporre le armi di fronte alla tracotante ordinanza dei negrieri ribelli di Bordeaux, e riconoscere che la sua rivoluzione del 4 settembre non significava altro che il semplice passaggio del potere da L. Bonaparte ai suoi concorrenti realisti, oppure affrontare il sacrificio come campione della Francia, di quella Francia che era impossibile salvare dalla catastrofe e rigenerare senza il rovesciamento rivoluzionario delle condizioni politiche e sociali che avevano generato il Secondo Impero, e che sotto la sua vigilante protezione erano maturate fino all'imputridimento completo. Parigi, stremata da una carestia di 5 mesi, non esitò un istante. Decise eroicamente di affrontare tutti i rischi che comportava una resistenza contro i cospiratori francesi, nonostante che i cannoni prussiani la minacciavano dai suoi stessi forti".

Il 18 marzo 1871

Politicamente il governo Thiers e l'Assemblea dei rurali avevano fatto tutto quello che era necessario per provocare non solo il proletariato ma anche la piccola borghesia. Basta ricordare che dalla stessa Assemblea si dimisero i pochi rivoluzionari che Parigi era riuscita a inviarvi, e si dimisero i radicali gambettiani che erano ancora per la repubblica e contro la pace con Bismarck. Militarmente Thiers era ancora meno forte. Con la sola divisione permessa dai prussiani, 3000 poliziotti e 15000 soldati, come poteva pensare a far fronte a 300.000 guardie nazionali raccolte intorno al loro C.C.? Forse egli si illudeva di avere già dalla sua parte la maggioranza delle G.N. o di riuscire a guadagnarle parlando ancora di patria e di repubblica.

Nell'ultimo proclama ad esse indirizzato, il governo smentisce le voci del colpo di stato militare che si prepara a fare e sostiene che, con le misure già prese, è deciso a mantenere "l'ordine". "Esso ha voluto e vuole finirla con un comitato insurrezionale, i cui membri, quasi tutti sconosciuti alla popolazione, non rappresentano che le dottrine comuniste e metterebbero Parigi e la Francia al saccheggio se la G.N. e l'esercito non si levassero per difendere di comune accordo la Patria e la Repubblica".

In quanto alla Parigi operaia e rivoluzionaria inquadrata nelle g. n., c'è da dire che il suo C.C. non è la direzione di un partito veramente all'altezza della situazione: "Quello che noi siamo, l'hanno fatto gli eventi ... noi siamo la barriera inesorabile eretta contro ogni tentativo di rovesciare la repubblica". Così esso si esprime in una sua relazione all'Assemblea generale dei delegati delle G.N. del 10 marzo.

II C.C. si riconosce dunque un prodotto degli ultimi avvenimenti e, necessariamente, il suo programma deve essere di una estrema semplicità: fungere da sentinella a guardia della repubblica - un compito militare puramente difensivo. L'ultima citazione di Marx sull'"alternativa" così continua: "Pure, ripugnando alla guerra civile a cui Parigi doveva essere istigata, il C.C. continue a mantenersi in una posizione puramente difensiva, malgrado le provocazioni dell'Assemblea, le usurpazioni del potere esecutivo e la minacciosa concentrazione di truppe in Parigi e dintorni". (II corsivo e nostro).

Naturalmente sarebbe puerile negare alle G.N.. e ancor più al suo C.C. la coscienza dell'importanza della loro azione in difesa dell'ordine repubblicano. Quando c'è una volontà tanto ferma e risoluta, non può non esserci la coscienza di ciò che si vuole ottenere o si vuole evitare. E questa coscienza, lo si voglia o no, e insieme il prodotto degli avvenimenti, e del lavoro che da 7 anni aveva svolto il partito rivoluzionario della classe operaia. Per le g. n. e per il loro C.C. la repubblica doveva possedere un contenuto sociale: doveva essere una Repubblica del Lavoro e non una Repubblica del Capitale. Quel che manca al C.C. delle G.N. è la chiara visione strategica di una giusta politica rivoluzionaria, per cui ciò che di positivo esso farà sul piano militare sarà in parte merito degli eventi e degli errori del nemico di classe. I membri del C.C. sapevano di riscuotere la fiducia popolare, ma non si rendevano abbastanza conto che, nella "crisi di potere " esistente, essi erano già depositari di un forte potere. Si trattava anzi di afferrarlo tutto nelle mani spazzando via gli "usurpatori". Invece, quando fra poco ciò avverrà, essi avranno una fretta incredibile di disfarsene, come se sentissero di essere schiacciati. sotto il suo peso. " Thiers aprì la guerra civile, mandando Vinoy, a capo di una moltitudine di guardie di città e di alcuni reggimenti di fanteria, in spedizione notturna contro Montmartre, per impadronirsi di sorpresa della artiglieria della G.N. E' noto come questo tentativo sia andato a monte per la resistenza della g. n. e la fraternizzazione della fanteria col popolo".

Omettiamo anche noi la descrizione particolareggiata della fallita operazione Thiers-Vinoy. Conviene invece rilevare che, dopo questa sconfitta militare, il "piccolo uomo" riportò una sconfitta politica non meno cocente. Non avendo potuto con le sue forze armate strappare i cannoni, Thiers tentò la carta della adulazione: "... Rese nota la sua magnanima decisione di lasciare la G.N. in possesso delle sue armi, con le quali, diceva, essa si sarebbe sicuramente raccolta attorno al governo contro i ribelli. Su 300 mila G.N. solo 300 risposero a quest'appello di raccogliersi, contro se stesse, attorno al piccolo Thiers". Fu a questo punto che costui decise di far fagotto e scappare a Versailles senza ascoltare quegli altri membri del governo che ancora si illudevano che la partita non fosse persa. Invece l'insurrezione si era propagata in ogni parte della città dando luogo a varie battaglie locali.

Uno di questi episodi e l'uccisione dei generali Lecomte e Thomas in via del Rosters. Barricate erano sorte in più parti e, verso sera, resesi conto che Thiers e parte delle sue truppe avevano lasciato Parigi, le G.N. passarono alla "offensiva" ovunque" occupando uno dopo l'altro gli edifici importanti e i posti chiave per far fronte a eventuali ritorni controffensivi. La sera il C.C. si riunisce a Palazzo di Città e prende in mano le redini del potere. "La gloriosa rivoluzione operaia del 18 marzo stabilì su Parigi il suo dominio incontestato. II C.C. fu il suo governo provvisorio ". E Marx continua: " L'Europa parve per un istante dubitare se quei sensazionali spettacoli politici e militari avessero una qualche realtà o non fossero il sogno di un passato da lungo tempo scomparso".

Se si guarda più da vicino all'azione di resistenza proletaria di quella grande giornata, non si può negarle una certa spontaneità: lo stesso C.C. ha funzionato più come organo ricettivo che direttivo. E' vero che esso ormai era all'erta e vigilava sulle imminenti mosse di Thiers, ma è anche vero che non apprestò un piano di attacco preventivo e nemmeno un piano di difesa con istruzioni particolari ai vari battaglioni. Si era solo pronunciato genericamente nel senso che "il primo colpo non sarebbe partito mai dal popolo"

Tattica offensiva per una strategia difensiva

La "offensiva" di cui abbiamo parlato l'abbiamo messa tra virgolette per sottolineare il fatto che non si inquadrava in una mutata strategia. L'offensiva era solo un fatto di natura tattica, e ciò non contraddice alla "posizione puramente difensiva" che abbiamo messo in corsivo nella citazione di Marx. E che una tattica offensiva non sia inconciliabile con una strategia difensiva è lo stesso Marx che ce lo insegna. Parlando infatti del carattere della guerra che i prussiani conducevano all'inizio, egli, nel secondo Indirizzo su tale guerra, giustificava così che la Prussia oltrepassasse i confini della Francia: "una guerra di difesa non esclude, naturalmente, le operazioni offensive imposte da circostanze militari". Dialetticamente sono da ritenere conciliabili operazioni tattiche difensive nel quadro di una strategia offensiva.

Che l'"offensiva" non avesse nulla di strategico, lo prova il fatto che non si pensò di prendere un provvedimento piuttosto ovvio: quello di chiudere le porte della città per non permettere a ministri e generali di evacuare, e farli anzi prigionieri.

L'adozione di una strategia difensiva al posto di una strategia offensiva da parte del C.C. della G.N. sarà purtroppo continuata dal governo della Comune e porterà alla sua sconfitta militare.

La "bonarietà"

Malgrado tutto, abbiamo visto che la rivoluzione riuscì ugualmente vittoriosa. Ma è amaro constatare che, mentre gli errori e la sconfitta del nemico stimolano la controrivoluzione a preparare la sua rivincita, la vittoria relativamente facile e quasi senza spargimento di sangue da parte proletaria non solo non incita il C.C. ad un rapido esame critico delle azioni svolte, ma, cosa ancor più grave, favorisce errori che si riveleranno presto "fatali".

Prima di parlare di questi, conviene accennare al fatto che il C.C., nella sua qualità di governo della rivoluzione, ha ripetuto gli errori del passato - errori di indulgenza ingiustificata e di "bonarietà". Infatti esso non ha materialmente punito gli "uomini dell'ordine": "il loro panico fu la loro sola punizione". La sacrosanta vendetta operaia, che essi temevano per gli assassinii da loro compiuti "dal giugno 1848 al 22 gennaio 1871" in effetti mancò al punto che "gli uomini dell'ordine non solo non furono molestati, ma si permise loro di riunirsi e di occupare tranquillamente più di una posizione forte nel centro stesso di Parigi. Questa indulgenza del C.C., questa magnanimità degli operai armati, in così singolare contrasto con le abitudini del "partito dell'ordine" furono da quest'ultimo interpretate a torto come sintomi di debolezza. Di qui il loro stupido piano di tentare, sotto la maschera di una dimostrazione pacifica, quello che Vinoy non era riuscito a fare con i suoi cannoni e con le sue mitragliatrici. II 22 marzo una turba sediziosa di bellimbusti si mosse dai quartieri eleganti con tutti gli zerbinotti nelle sue file ... Col pretesto codardo di una manifestazione pacifica, nascondendo però le armi, quelle tipiche usate dai farabutti, questa marmaglia avanzò in ordine di marcia... tentò... di espugnare così di sorpresa il quartier generale della G.N. in piazza Vendome". E' vero poi che "una sola salva mise in fuga disordinata gli stupidi zerbinotti i quali speravano che la sola esibizione delle loro "rispettabili persone" avrebbe avuto sulla rivoluzione di Parigi lo stesso effetto che le trombe di Giosuè sulle mura di Gerico", ma non si può disconoscere che certi idealismi di tipo liberale e di ordine sentimentale non hanno ragione di essere in un partito e in un organo di direzione rivoluzionaria, specie quando è in gioco tutto un avvenire storico.

Non che si voglia qui teorizzare come giusto lo spirito di vendetta "in sé", ma, se la vendetta può essere - com'è in realtà - uno strumento di lotta proletaria, si ha il dovere di farne uso. Se è vero che i borghesi ne abuseranno dopo il trionfo della loro controrivoluzione, se è vero che la loro vendetta oltrepasserà ogni limite giustificabile dal cosiddetto "stato di necessità", se è vero tutto ciò, non è giustificabile che il proletariato disdegni questo mezzo di agitazione e di azione rivoluzionaria. In guerra, anche per il proletariato deve vigere la morale di guerra e non è ammissibile bonarietà di sorta.

Gli errori fatali del C.C. della Guardia Nazionale

Ma i gravi errori rilevati da Marx e ripresi e sviluppati da Trotsky si riducono essenzialmente a due: uno militare, l'altro politico.

"Riluttante a continuare la guerra civile della brigantesca spedizione di Thiers contro Montmartre, il Comitato Centrale si rese allora colpevole di un errore fatale non marciando subito contro Versailles, allora completamente indifesa e non ponendo così fine ai complotti di Thiers e dei suoi rurali". Di tale errore militare Marx aveva già parlato scrivendo a Kugelmann il 12 aprile 1871, dove continuava così: "Secondo errore: il C.C. ha deposto il suo potere troppo presto, per cedere il posto alla Comune. Ancora una volta per scrupolo di "onore" esagerato!".

Come si vede, Marx, come già nel '48, sostiene energicamente la strategia offensiva. Per questa strategia si orienterà Lenin dal febbraio all'ottobre 1917.

La Comune e le sue ultime grandiose lotte

Negli otto giorni che seguirono il 18 marzo non si pensò che a fare le elezioni per la Comune, la quale, usando le parole di Vermorel, doveva essere "un governo legale riconosciuto e rispettato da tutta la popolazione di Parigi".

Se si tiene presente il concetto marxista di legalità, al quale abbiamo già accennato, non si può non notare la contraddizione in cui cadevano i dirigenti del C.C. con la loro eccessiva ed errata preoccupazione della legalità. Essi davano importanza alla forma e dimenticavano la sostanza in base alla quale essi avevano già agito: ciò era certo una eredità funesta delle concezioni borghesi e delle loro finzioni in materia: si era dimenticato che "la rivoluzione (del 4 settembre) era diventato il regime legale della Francia". E se pure quella non ci fosse stata, la sola rivoluzione del 18 marzo — aggiungiamo noi — sarebbe stata più che sufficiente a dare titolo legale a quel governo che era il C.C., e perciò esso non doveva avere alcuna fretta a sbarazzarsi del potere.

II problema militare si poneva allora assai al di sopra di quello politico ed amministrativo, e pensare a fare le elezioni, come sempre del resto, da allora, significava solo perdere tempo prezioso nell'assolvere quel compito primario. Ma la debolezza del C.C. risiedeva in realtà nel fatto che esso non era la testa di un partito omogeneo. Sulla volontà di pochi dei suoi membri di marciare su Versailles, si affermò e prevalse la volontà politica di compromesso e di riconciliazione degli elementi piccolo-borghesi.

Purtroppo, nemmeno i membri della Comune capirono che essa, cioè la Comune, "era una barricata e non un'amministrazione". Ad essi, come già ai membri del C.C. delle g. n., fece difetto la scienza militare e rivoluzionaria, e la sua strategia offensiva. Non si dedicarono grandi cure alla organizzazione dell'armata comunale in ciò che era amministrazione, disciplina, formazione di quadri ecc., né si prepararono piani accurati per combattere in modo efficace l'esercito della controrivoluzione.

Ad aggravare questo stato di cose vi fu una ingiustificata duplicità di poteri in materia militare. Ancora il 3 maggio infatti il C.C. osava chiedere che il ministro della guerra della Comune si mettesse sotto il suo controllo. Dunque, mentre in un primo tempo il C.C. si era voluto disfare del potere che la rivoluzione gli aveva consegnato, in un secondo tempo non volle più rinunciavi completamente. Questa contraddizione non poteva non avere i suoi effetti nocivi sulla condotta della guerra contro Thiers, la cui forza militare, del tutto nulla per i primi 15 giorni seguenti alla sua fuga, era ancora trascurabile un mese più in là. La sua tattica "oltranzista", secondo la quale erano da considerare delitti "gli appelli alla riconciliazione", non gli aveva fruttato approvazione da alcuno, e nessuno degli sperati aiuti militari gli era pervenuto dalla provincia. Perciò, dal 30 aprile egli iniziò la "commedia di conciliazione" (come fanno oggi gli americani col Vietnam e Israele), mentre si preparava alla guerra di brigantaggio contro Parigi. Ma nemmeno questa tattica nuova frutto aiuto materiale e morale all'Assemblea dei rurali, il cui esercito controrivoluzionario era ancora "una accozzaglia variopinta di marinai, zuavi pontifici, gendarmi di Valentin, sergents de ville e mouchards di Pietri. Questo esercito sarebbe stato impotente fino al ridicolo senza l'aggiunta dei prigionieri di guerra dell'esercito imperialista, che Bismarck fornì esattamente in numero sufficiente ad alimentare la guerra civile e a tenere il governo di Versailles servilmente prostituitosi ai Prussiani". Verso i primi di maggio Thiers era completamente nelle mani di Bismarck che, in cambio, "offriva di lasciar libero, per lo sterminio di Parigi, l'esercito bonapartista prigioniero e di dargli l'aiuto diretto delle truppe dell'imperatore Guglielmo". E quando poi "Mac Mahon fu in grado di assicurargli che in breve tempo sarebbe potuto entrare in Parigi", a quel pigmeo di Thiers fu dato di "recitare la parte di un Tamerlano".

II 21 maggio il tradimento aprì le porte di Parigi all'esercito della controrivoluzione borghese franco-tedesca che doveva macchiarsi di crimini innominabili. "Persino le atrocità dei borghesi nel giugno 1848 scompaiono davanti all'infamia indicibile del 1871. L'eroico spirito di sacrificio col quale la popolazione di Parigi - uomini, donne e bambini - combatté per otto giorni dopo l'entrata dei versagliesi, rispecchia la grandezza della loro causa, quanto le imprese efferate della soldatesca rispecchiano lo spirito innato di questa civiltà di cui essi sono i mercenari e i difensori". E con questa "settimana di sangue" (21-28 maggio) ebbe termine il "tremendo avvenimento storico" della Comune.

Non è questa la sede per dilungarci sul grandiose significato storico di questa prima dittatura proletaria. Con la Comune "un nuovo punto di partenza di importanza storica universale e conquistato". Di tutta la grandiosa opera positiva del governo della Comune vogliamo ricordare qui il suo primo decreto: "la soppressione dell'esercito permanente e la sostituzione ad esso del popolo armato". Abbiamo segnalato solo e volutamente gli errori vitali commessi dalla direzione della armata comunale, per mettere in rilievo il ruolo insostituibile di un partito di classe la cui organizzazione si elevi al livello del partito storico e ne applichi gli insegnamenti su tutti i settori dell'attività a cominciare da quello militare. Ma non possiamo terminare questo lavoro di partito senza additare ai proletari di oggi e di domani l'esempio dei loro valorosi precursori parigini.

Questa consegna vale per gli operai di tutto il mondo, perché la Comune fu un governo anche internazionale che "annette alla Francia gli operai di tutto il mondo" e "ammise tutti gli stranieri all'onore di morire per la sua causa immortale". Nell'augurio che la nostra dura opera teorica e pratica possa vedere presto

Il proletariato organizzato su scala mondiale e con forza tale da far tremare le vene e i polsi alla borghesia più che mai sfruttatrice, oppressiva e sanguinaria, noi ripetiamo con Marx: "Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno, come splendida manifestazione di una società nuova. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia. I suoi sterminatori la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna, dalla quale non riusciranno a riscattarsi tutte le preghiere dei loro preti ".

Prendere i difetti per meriti

Dopo quanto abbiamo detto nel primo resoconto della riunione di Milano dell'1 e 2 aprile (nel n. 7 di questo giornale), non è necessario spendere troppe parole sulle ragioni che ci portano a esaminare ancora la Comune di Parigi 1871 per ciò che riguarda la questione militare del proletariato, cioè per comprendere l'uso della violenza organizzata del nuovo potere statale eretto dalla classe rivoluzionaria dopo di aver distrutto la macchina statale borghese.

E' ben noto che questa storica esperienza, in cui il proletariato per la prima volta si ergeva in classe dominante, è stata attentamente seguita da Marx e da Engels. Il loro intervento pratico e lo studio teorico che avvinse profondamente la loro attenzione nel corso stesso delle lotte e negli anni seguenti ci hanno lasciato un ricco patrimonio di critica in ogni settore di attività svolta dalla Comune. Di questo materiale prezioso, e di quello che Lenin e Trotsky elaborarono in seguito, cercheremo qui di raccogliere la parte che riguarda più da vicino le vicende militari in cui la Comune fu impegnata. Non è la prima volta che ci si volge a questi problemi: basta citare l'importante lavoro apparso sull'Unità del 1924, perfettamente intonato alla linea seguita nei movimenti rivoluzionari dal proletariato, e destinato allo stesso scopo: orientare l'azione rivoluzionaria comunista nella sua politica militare prima e dopo la presa del potere, onde evitare il ripetersi di errori già pagati col sangue degli eroici comunardi e assicurare il trionfo della rivoluzione. Assodato che la Comune ha tenuto alto il principio della violenza rivoluzionaria, principio vitale del marxismo, si tratta di vedere, anzi rivedere, sulla base dei fatti concreti, quali debolezze ed errori vi siano stati nell'applicazione di tale principio. La nostra posizione critica di fronte alla Comune è quindi del tutto opposta a quella degli opportunisti tipo Kautsky e Plekhanov, che considerarono meriti della Comune proprio quelli che per noi sono difetti. Costoro, e gli opportunisti odierni che vi si ricollegano, vantarono della Comune le apparenze di democrazia formale, i residui metodi parlamentaristici, la spontaneità nell'azione politica e militare: tutto ciò che il marxismo rivoluzionario ha sempre considerato funesta eredità della teoria e pratica borghese e che si rivelò come il fattore essenziale della sconfitta sanguinosa di Parigi in lotta contro Versailles. Dimostrandolo, abbiamo più volte negato che la Comune sia stato il frutto della sola "spontaneità". Lasciamo pure gli opportunisti all'ammirazione per questa "naturalezza" e alla disapprovazione delle "artificialità" dell'azione militare dell'ottobre rosso, in quanto prodotto - a loro parere - di tutta e sola "organizzazione".

Queste loro critiche rappresentano per noi la riprova della giustezza del nostro esame della Comune, dal quale discende il seguente fondamentale insegnamento: condizione necessaria per la vittoria politico-militare e sociale della rivoluzione proletaria è l'organizzazione della classe costituita dal partito comunista, capace di estrinsecare tutta la sua energia sul moto delle masse in rivolta e guidarle secondo la sua decisa volontà, incarnante tutta l'esperienza storica delle lotte proletarie.

Può sembrare una contraddizione quella del marxismo che, da una parte, rileva deficienze di tipo democratico, e dall'altra afferma con forza il giudizio teorico che la Comune fu nella sua essenza una dittatura rivoluzionaria del proletariato in azione verso la trasformazione socialista della società. Ma, trattando già del rapporto tra Comune e Partito, abbiamo mostrato che questa è solo una contraddizione apparente, che il pensiero marxista non ha alcuna difficoltà a risolvere e superare. Perciò non ci tratteniamo oltre su questo punto e diamo un quadro sommario dei fatti accaduti durante la Comune dal 18-3 al 28-5-1871 in modo che il lettore possa meglio seguirci nell'esame di questioni più limitate, in cui, seguendo le lotte dei comunardi, metteremo in luce i difetti e gli errori che portarono alla sconfitta finale.

Dalla presa del potere alla caduta della comune

Infranta ogni resistenza dell'esercito di Thiers il 18-3, il potere è tutto nelle mani del Comitato Centrale delle guardie nazionali (C.C.G.N.). Questo Comitato non provvede a chiudere le porte di Parigi e ad arrestare Thiers e tutti gli altri ministri, che così possono fuggire a Versailles. II C.C. pensa subito a trasmettere il potere alla Comune eletta da tutto il popolo. A tale scopo intavola trattative con una parte dei sindaci e deputati rimasti in Parigi, che gli contestano di rappresentare il potere "legale".

Dopo aver sventato un attacco controrivoluzionario e avere infranta l'agitazione dei sindaci e deputati, il C.C. fissa le elezioni per il 26 marzo. Sul piano militare sono da ricordare il provvedimento preso dal C.C. di sostituire l'inetto Lullier a capo delle G.N. con i tre generali li Brunel, Duval ed Eudes, e l'occupazione di alcuni forti fuori la cinta di Parigi avvenuta il 23. II giorno seguente però era già troppo tardi per occupare lo strategico Mont Valerien fuori le mura lato ovest, perché Vinoy vi si era già installato con le sue truppe. Il 28 marzo la Comune viene solennemente proclamata. Intanto, il movimento comunardo si estende nel sud e nell'est della Francia. II legame tra la rivoluzione parigina con il resto del paese è tale che i due moti si influenzano a vicenda.

Le conseguenze degli errori iniziali commessi dal C.C. sono più gravemente avvertite dalla provincia, per cui le comuni ivi formatesi hanno breve durata. E ciò naturalmente ha riflessi negativi sulla stessa Parigi.

Il 3 aprile, in uno scontro armato con le truppe versagliesi, le G.N. parigine, per ragioni varie, vengono sconfitte e, per la prima volta, una parte degli arresti o prigionieri vengono passati per le armi dai soldati di Vinoy. II fatto provoca una sana reazione a Parigi ove la Comune emana il decreto sugli ostaggi che però rimane lettera morta fino al 25 maggio, quando tardivamente si risponde col terrore rosso al terrore bianco di Thiers. Questi fatti mostrano a sufficienza che nessuna conciliazione tra Parigi e Versailles è possibile e che la lotta deve finire necessariamente con la distruzione o del potere rivoluzionario o di quello controrivoluzionario. E' a questo punto che la parte più indecisa e vile dei sindaci e deputati che erano stati eletti consiglieri, e altri gruppi di "conciliatori", abbandonano il Consiglio Municipale di Parigi, e questo, per rimpiazzare i vuoti, indice delle elezioni suppletive il 16 aprile, venendo così incontro ai più arrabbiati partigiani della legalità: altro errore politico che, oltre a mostrare un certo apparente isolamento della Comune per lo scarso numero di votanti accorsi alle armi, sarà fonte di dissensi e polemiche e di una frattura nella Assemblea parigina, in cui cominciano a delinearsi una maggioranza giacobina e una minoranza socialista, ognuna composta da elementi moderati e radicali che si ricollegano alle concezioni più diverse. Queste crepe all'interno dell'Hotel de Ville influenzano negativamente il morale dei proletari combattenti. Non c'è quindi da meravigliarsi che, in questa situazione confusa, le interpretazioni della rivoluzione del 18 marzo e i limiti ad essa assegnati fossero tanti e differenti. Si doveva attribuirle un carattere comunale, o nazionale, o internazionale? Le sue cause profonde dovevano considerarsi patriottiche o classiste? I suoi scopi dovevano essere politici o sociali? La "libera comune" che si voleva creare in tutta la Francia doveva costituire la cellula organica di uno stato unitario e centralizzato, o piuttosto l'atomo di una federazione di stampo girondino, o peggio, il ripristino del comune medioevale?

Non c'è dubbio che l'eterogeneità di vedute, la diversa formazione politica dei membri della Comune e la loro diversa esperienza rivoluzionaria, non potevano creare una volontà unica, decisa, e capace di valutare la situazione e farvi fronte nel migliore dei modi, dando cioè preminenza assoluta ai problemi più urgenti e utilizzando tutte le energie in quella direzione.

La mancanza di un programma chiaro e comune a tutti, che orientasse l'azione rivoluzionaria di Parigi e della Provincia, era dunque una conseguenza dell'assenza di un partite forte ed egemonico. Perfino l'importanza capitale di possedere un tale programma era, salvo in poche eccezioni di internazionalisti marxisti, mal compresa: tanto che, quando si tento di abbozzarlo nella seduta del 19 aprile, il tempo che vi si dedicò fu irrisorio e il risultato deludente: tra l'altro, non fu definito il primordiale compito della Comune, che era ancora quello militare. Di qui la mancanza di un piano vero e proprio per la guerra contro Versailles e le altre deficienze militari.

Malgrado tutto, e contro tutte le apparenze di democrazia, la realtà di dittatura rivoluzionaria della Comune si andava affermando sotto la spinta dei fatti. Nel tempo stesso che amministrava Parigi e ne organizzava i servizi pubblici, la Comune legiferava per l'intera Francia. Essa era un organismo che s'allontanava sempre più dal parlamentarismo e dalla sua falsa divisione dei poteri, perché diventava ogni giorno più un organismo al tempo stesso legislative ed esecutivo. Col suo primo decreto, col quale aboliva l'esercito permanente, la Comune, come diceva un suo giornale, "dava alla città una milizia nazionale che difendeva i cittadini contro il potere, invece di un esercito permanente che difende il potere contro i cittadini, e una polizia municipale che persegue i malfattori invece di una polizia politica che persegue uomini onesti".

Rendendo poi revocabili ad ogni momento i suoi membri, e attribuendo loro il salario di un operaio, la Comune aveva spezzato i due pilastri del vecchio Stato borghese: la burocrazia militare e quella civile. La Comune era insomma uno Stato del tutto nuovo per la storia: era la prima dittatura proletaria, che, per essere uno strumento della maggioranza del popolo sfruttato per schiacciare la resistenza della minoranza sfruttatrice, non era già più uno Stato nel senso proprio della parola, ma una Gemeinwesen, parola tedesca che non indica una distinta comune, ma una comunità, un sistema organico di comuni.

Dieci commissioni in seno all'Assemblea comunale svolgevano l'opera legislativa la cui esecuzione era coordinata dalla Commissione Esecutiva (C. E.), la prima fra le dieci, che aveva un suo delegato nelle altre. Grandi responsabilità ai fini militari aveva il delegato alla guerra, cioè alla seconda delle dieci commissioni: quella militare.

Purtroppo, per le accennate divergenze interne e sotto la spinta delle dure necessità, sia nella C. E. che nella C. M. (le più importanti) si verificheranno spesso mutamenti di personale. La prima C. E. sarà infatti sostituita da una seconda il 19 aprile e questa, dopo i rovesci militari subiti intorno al forte Issy il I maggio, da un Comitato di Salute Pubblica (C.S.P.), e Cluseret, suo delegato alla guerra, sarà arrestato e sostituito da Rossell. Ma né costui né il C.S.P. si dimostreranno più idonei a eliminare la divisione dei comandi e i conflitti di potere tra Comune e C.C. e tra questi e il C.S.P., per cui altri rovesci si verificheranno: il 4 maggio la ridotta di Moulin-Saquet cade in mano ai versagliesi, che il giorno dopo attaccano i federati anche a Clamart costringendoli a ripiegare sul villaggio di Issy, e il 6 maggio li disperdono presso Vanves.

Con la caduta del forte Issy, avvenuta l'8 maggio, Rossel si dimette e viene sostituito da Delescluze, mentre al primo C.S.P. ne succede un secondo rinnovato nei suoi componenti. In una incessante lotta contro le divisioni interne, favorite dagli immancabili cattivi geni del tipo di F. Pyat, tra esitazioni e audacie disperate, tra spie e cospiratori, tra conciliatori e traditori, fra errori politici (il non aver messo le mani sulla Banca di Francia) ed errori militari, e tra successi momentanei e dure sconfitte, la Comune si avvia verso il suo epilogo sanguinoso.

II 13 maggio anche il forte di Vanves cade, e con le perdite del 19-5 la guerra fuori le mura di Parigi si può considerare finita. Incomincia il secondo assedio della grande capitale: non sono più i soli prussiani ad accerchiarla come nel primo lungo assedio. Essi ne circondano il semicerchio orientale, mentre l'esercito di Versailles ne controlla tutta la parte occidentale. Ma questo secondo assedio dura solo otto giorni: quelli della settimana di sangue. Il 21 maggio, infatti, grazie a un tradimento, l'esercito di Thiers riesce ad entrare attraverso la porta Saint-Cloud e a iniziare l'invasione della città, che resiste eroicamente per questi otto giorni in combattimenti di strada e sulle barricate e, fra le esecuzioni in massa che l'insaziabile sete di sangue dei controrivoluzionari fa succedere alle esecuzioni, il sangue scorre a rivoli e le fiamme delle Tuileries e di altri edifici innalzano nella notte sinistri bagliori. Uomini, donne e fanciulli danno esempi di eroismo senza fine mentre molti capi delle guardie nazionali e dirigenti della Comune, con la più grande abnegazione, dedicano i loro ultimi sforzi alla resistenza disperata e con il più grande disprezzo della morte offrono il petto sulle barricate o davanti ai plotoni di esecuzione gridando: Viva la Comune!

Le gravi conseguenze dei primi errori politico-militari

Abbiamo più volte chiarito quali furono questi errori: resta da dire qualcosa di più per dimostrare perché essi, prima nella mente di Marx e poi nei fatti, si rivelarono "fatali".

Dal 18 al 26 marzo 1871 passarono dieci preziosissimi giorni, durante i quali non il C.C. delle G.N. (Comitato Centrale delle guardie nazionali) pensò a preparare l'offensiva militare contro Thiers (che aveva lasciato scappare a Versailles) ma fu costui che cercò di concentrare le poche forze rimastegli e di ricostituire un esercito per la riconquista di Parigi.

Giustamente Trotsky fa osservare che la trattativa tra il C.C. e il gruppo dei sindaci e deputati avrebbe potuto essere una astuzia di guerra se fosse servita a coprire una seria preparazione delle forze militari da inviare contro Thiers, per farla finita per sempre con quel mostriciattolo odioso. Purtroppo, invece, essa si risolvette in una astuzia più o meno cosciente e volontaria del nemico, che ebbe il tempo di occupare anche quel Mont Valerien la cui importanza strategica sarà compresa dai comunardi solo il 3 aprile, sotto il fuoco dei suoi obici. Fin dai quei primi giorni Thiers si preoccupa di stendere un cordone poliziesco intorno a Parigi per ostacolarne al massimo il contatto con la periferia vicina e lontana della Francia.

Se ci si vuole spiegare come e perché siano stati commessi errori tanto gravi, bisogna anzitutto ricordare che "nel marzo 1871 la battaglia decisiva fu imposta agli operai" (Lenin Stato e Rivoluzione) i quali l'accettarono sebbene non vi fossero preparati in quanto non erano ancora riusciti a creare la forte organizzazione richiesta negli indirizzi dell'Internazionale. Gli operai possedevano solo un'organizzazione immediata: il C.C. delle G.N. Questo Comitato, secondo la giusta definizione data da Trotsky, non era che "un Consiglio dei deputati degli operai armati e della piccola borghesia"; ora, tale organo eletto direttamente dalle masse rivoluzionarie può essere uno splendido apparato di azione, ma nello stesso tempo, e proprio a causa del suo legame diretto e originario con le masse che si trovano nello stato in cui la rivoluzione le ha sorprese, esso rispecchia non solo i punti forti ma anche tutti i punti deboli delle masse, anzi i punti deboli ancor più di quelli forti; in esso si riconosce lo spirito dell'indecisione, dell'attesa, della tendenza alla passività dopo il primo successo. E Trotsky aggiunge: "Il C.C. aveva bisogno di una guida" (Gli Insegnamenti della Comune). Naturalmente, questa "guida" non poteva essere che il partito, quel partito formale che Marx aveva incitato a organizzare e che avrebbe potuto servirsi del C.C. come di una cinghia di trasmissione per mobilitare la Francia insieme a Parigi. In assenza di questa organizzazione forte e disciplinata, capace di imporsi a tutte le altre forze politiche, la voce dei pochi internazionalisti marxisti appartenenti alla Comune non poteva non essere soffocata dalla eterogeneità degli altri. E' pure spiegabile che, senza l'egemonia di un partito forte, la piccola borghesia cittadina, che pure si era unita ai rivoluzionari, facesse pesare tragicamente la sua volontà di compromesso. Un partito centralizzato avrebbe potuto servirsi dei suoi membri per assolvere due compiti importanti: spezzare il legame già molto allentato tra soldati e ufficiali controrivoluzionari dell'esercito che Thiers andava organizzando, e sollevare la campagna contro Versailles facendo contrappeso con la propria propaganda a quella nemica, e soprattutto a quella di certa "sinistra" che vergognosamente sedeva accanto ai più smaccati "rurali" dell'Assemblea controrivoluzionaria.

II non apprezzare a fondo l'importanza di possedere nelle proprie mani tutta la forza ebbe conseguenze disastrose. Thiers, la cui scienza politica si riduceva a quella di saper opprimere il proletariato, se ne rendeva conto. Ecco perché, insieme alle infami calunnie contro Parigi, egli sbandierava di avere ancora dalla sua parte tutto l'esercito e il suo stato maggiore. Ciò era falso in quei primi giorni, ma la menzogna gli rendeva; il segreto primordiale del potere sta nel far sentire di possedere una forza armata, non importa se mentendo. Come un semplice telegramma poteva bastare a Parigi per trasmettere il potere al movimento rivoluzionario dell'intera Francia (togliendo con ciò ogni dubbio sul suo carattere "solo comunale"), se Thiers fosse stato annientato all'indomani del 18 marzo, così, viceversa, occorreva ben altra forza alla periferia per scrollarsi definitivamente di dosso i poteri rimasti aggrappati al centro ancora non morto di Versailles, al quale poi doveva fornire appoggio per rituffare Parigi nel sangue dei suoi operai e nel passato da cui si era destata per rigenerare se stessa, la Francia e il mondo intero.

Si spiega quindi come, pur avendo preparato la "condizione preliminare" per una salda alleanza con i contadini, la Comune non vi riuscì. "fu noto che la Comune di Parigi si era aperta una strada verso questa alleanza, ma non raggiunse il suo scopo per ragioni di ordine interno ed esterno". (Lenin, Stato e Rivoluzione). La sua politica rivoluzionaria aveva creato le condizioni base per tale alleanza distruggendo la macchina statale borghese che aveva sempre sfruttato i contadini non meno degli operai; ma, pur necessaria, quella condizione non fu sufficiente. Occorreva sviluppare l'azione militare nella stessa giusta direzione dell'azione politica, non fosse che per far conoscere quegli atti di politica rivoluzionaria a tutta la provincia, che andava inoltre illuminata con un chiaro programma politico, reso tanto più necessario per smascherare le menzogne di Versailles.

Sulla necessità di rendere più "popolare" la rivoluzione parigina mediante l'alleanza fra operai e contadini, basta considerare il rapporto tra le due classi a quel tempo, in Francia e in tutta Europa, rapporto che Marx tenne ben presente e che Lenin ricorda agli scolastici del marxismo, per i quali non esistono che le forze borghesi e quelle proletarie e non hanno nessun peso, negative o positive, gli strati intermedi.

La sortita di aprile: primo grande scontro in campo aperto

La sortita delle guardie nazionali parigine del 3 aprile non fu un'iniziativa presa in modo autonomo dalla Comune. Essa è piuttosto da considerarsi come la reazione agli attacchi che il giorno precedente, per la prima volta, i versagliesi avevano osato sferrare contro Courbevoie iniziando quella guerra contro Parigi che Thiers aveva già dichiarato il 1° aprile. C'è di più: la decisione non fu presa in modo unanime dalla C.E., i cui quattro membri civili non erano d'accordo con i tre membri militari più favorevoli ad essa, cioè Bergeret, Duval, Eudes, ai quali affiancarono Cluseret come loro delegato. Da tutto ciò dovevano necessariamente derivare grosse deficienze militari e, in primo luogo, l'assenza di preparazione delle forze combattenti. II piano della sortita si fondava d'altra parte sull'illusione di una "passeggiata" a Versailles su tre colonne: una di destra, una di centro e una di sinistra, al comando, rispettivamente, di Bergeret, Eudes e Duval, che a un certo punto dovevano ricongiungersi. Dei 100.000 uomini di cui si era parlato in un primo momento non si riuscì a mobilitarne che 23 mila, divisi in parti quasi eguali fra le colonne, di cui però solo quelle di destra e di centro dovevano essere armate di otto cannoni, forniti di pochissimi colpi. Così, quando incominciarono a piovere le prime cannonate del Mont Valérien, fra le G.N. della colonna di destra incominciò lo scompiglio e, mentre Bergeret con il grosso era costretto a ripiegare verso Parigi, l'ardito Flourens con pochi coraggiosi continuava la marcia verso Reuil trovandovi una morte eroica in seguito all'arrivo degli enormi rinforzi mandati da Vinoy.

Altra sconfitta toccò alla colonna di sinistra, del tutto incapace di rispondere al fuoco nemico e quindi costretta alla ritirata su Chatillon. Duval, che si comporta come Flourens, troverà la morte al grido di "Viva la Comune" di fronte al plotone di esecuzione dei Versagliesi. Infine, la colonna di centro è costretta a ritirarsi sul forte Issy perché impotente a rispondere all'artiglieria nemica.

Dunque, gli insuccessi patiti dai federati sono il frutto della cattiva direzione centrale e della disorganizzazione. Non si possono compensare le deficienze logistiche e di armamento con la sola volontà di battersi delle masse e con l'eroismo dei capi, per quanto importanti siano questi fattori.

Le conseguenze della sconfitta furono assai gravi. La presa del ponte di Neuilly ad ovest e dell'altipiano di Chatillon a sud di Parigi da parte dei versagliesi garantì meglio Thiers da altri attacchi e gli dette ossigeno e maggior volontà di ritornare alla offensiva, che viceversa sarà da quel momento messa da parte dai comunardi, sui quali, oltre che le perdite materiali, influivano i deleteri effetti psicologici della sconfitta. Questi però furono di breve durata: le esecuzioni dei prigionieri e dei coraggiosi capi come Flourens e Duval esaltarono l'odio contro Versailles, e il 6 aprile si ebbe il famoso decreto sugli ostaggi che al suo articolo 5 stabiliva che alle future esecuzioni di comunardi si sarebbe risposto con l'esecuzione di tre elementi accusati di complicità con Versailles. Anche questa legge, tuttavia, rimase a lungo senza effetti pratici nella vana attesa che Thiers accettasse lo scambio di Blanqui con l'arcivescovo Darboy. A Thiers, capo della controrivoluzione, Darboy, come dice Marx, serviva più da morto che da vivo!

Lo schieramento dei due eserciti

Dopo il tre aprile Parigi era circondata per metà circa dai prussiani a nord e ad est, per 1'altra metà dall'esercito versagliese a sud e ad ovest - come è mostrato nelle cartine allegate.

All'inizio i federati tenevano i cinque forti a sud: Ivry, Bicetre, Montrouge, Vanves e Issy, nonché le trincee e gli avamposti che li univano e, inoltre, i Moulineaux. A nord-ovest tenevano nelle loro mani i villaggi di Neuilly, Asnieres e Saint-Ouen.

Punto vulnerabile della cintura che difendeva questo lato occidentale di Parigi era il saliente del Point-du-Jour, difeso da forte Issy e dalle cannoniere della Senna (la marina dei federati), ma minacciato insieme allo stesso forte Issy dalle alture di Bellevue, Meudon e Chatillon, che dopo il 3 aprile sono nelle mani dei versagliesi i quali subito provvedono a dotarle di potente artiglieria. Diamo ora uno sguardo ai due eserciti.

L'esercito controrivoluzionario

Consistenza numerica: Da circa 22 mila dell'inizio si passò, Bismarck aiutando, a 63 mila, a 80 mila e a 170 mila, di cui 130 mila combattenti. II comando, all'inizio affidato a Vinoy, fu poi trasmesso a Mac Mahon. Dei cinque corpi di armata combattenti, due furono formati da ex prigionieri liberati dai prussiani: Bismarck per aiutare Thiers mise sotto i piedi la convenzione d'armistizio che stabiliva il massimo contingente di truppe a 40 mila e, naturalmente, in seguito si fece pagare molto caro il favore nel trattato di pace del 10 maggio.

Potenza di fuoco: Thiers pose molta cura ad armare di grossi pezzi di artiglieria d'assedio l'esercito, conoscendo il valore delle fortificazioni, e le 293 bocche da fuoco di cui dispose le fece arrivare da Toulon, Cherbourg, Lyon, ecc.

Disciplina: molto allentata all'inizio, fu ricostruita a poco a poco attraverso provvedimenti vari: si cercò di vestire, nutrire e pagare bene i soldati (di provenienza rurale) e si fece attenzione a evitare contatti con l'esterno.

II piano militare: dopo il 25 aprile è il seguente: battere i forti di Issy e di Vanves e sfondare poi su Point-du-Jour per entrare poi in Parigi; a nord-ovest impedire ai parigini di giungere a Courbevoie.

L'esercito della Comune

Consistenza numerica: Poteva essere superiore a quella nemica secondo quanto si vociferava a Parigi, ma invece non si riuscì a raggiungere nemmeno la metà dei versagliesi. Da Saint-Ouen a Ivry si schierarono solo da 15 a 16 mila guardie nazionali. Per giunta, a causa di cattiva organizzazione, si trascurò quasi del tutto l'avvicendamento, per cui alcuni battaglioni restavano per 20 o 30 giorni in trincea e altri erano quasi sempre di riserva. Anche l'equipaggiamento difettava, non tanto per difetto di materiali quanto di servizi organizzati.

Potenza di fuoco: tra cannoni, obici e mortai a Parigi, v'erano più di 1.200 bocche da fuoco. Il dipartimento alla guerra non ne utilizzò che 200. L'armamento dei forti era pressoché il seguente: Issy e Vanves, una guarnigione di 500 uomini e 20 cannoni. Montrouge 350 uomini e 10-15 bocche da fuoco; Bicetre, armata come i primi due forti, era appoggiata da tre notevoli ridotte con una media di circa 500 uomini e 12 cannoni. Forte Ivry aveva gli stessi uomini e 40 cannoni. I villaggi in mezzo a questi forti erano occupati da circa 2000 federati. Il comando generale dei forti, all'inizio in mano ad Eudes, passò poi a La Cecilia e infine a Wetzel.

Disciplina: Lasciò sempre molto a desiderare sia nei soldati che negli ufficiali. Non sempre i comandanti dei forti fecero quello che avrebbero dovuto. Mentre dei coraggiosi non accettavano rinforzi o sostituzioni, altri invece si sottraevano al servizio. Mancavano esempi di punizione: la corte marziale istituita per assicurare la disciplina di guerra non funzionò. Sull'esercito si ripercuotevano i conflitti interni dei vari centri di potere esistenti: Comune (cioè consiglio municipale), Commissione Esecutiva (C. E.), Comitato di Salute Pubblica (C.S.P.) e ancora il C.C. delle G.N. che non aveva più ragione di esistere dopo il 28 marzo e nondimeno non si riuscì mai a sciogliere. Gli ordini provenivano da varie autorità, non si sapeva a quali di esse occorreva chiedere armi e munizioni, o rinforzi di uomini. Senza unità e senza accentramento del comando che convogli gli sforzi in determinate precise direzioni, a nulla possono valere lo sforzo eroico e l'abnegazione dei combattenti: la loro energia è destinata ad esaurirsi senza produrre lavoro utile. Un'altra fonte di indisciplina risiedeva nel criterio esclusivo della eleggibilità degli ufficiali a tutti i gradi delle guardie nazionali.

Rivendicare sotto Thiers, cioè prima del 18 marzo, il criterio dell'elezione dal basso era un compito politico rivoluzionario, perché si sarebbe liberata la guardia nazionale dal comando degli ufficiali ligi alla borghesia. Estendere questa parola d'ordine, sempre prima del 18 marzo, anche all'esercito permanente, avrebbe portato a distinguere i suoi membri secondo l'origine di classe, e quindi anche l'esercito sarebbe stato sbarazzato dagli ufficiali fedeli a Thiers. Ma, dopo la rivoluzione del 18 marzo, in cui la G. N. era stata del tutto liberata dai suoi capi borghesi e una parte dei soldati dell'esercito di Thiers rimasto a Parigi era stata assimilata alla G. N., il criterio esclusivo della eleggibilità dei comandi della G.N. non aveva più ragione di esistere: il compito militare doveva prevalere. "I1 comando eletto è in genere, dal punto di vista tecnico-militare, piuttosto debole, e anche l'ordine, la disciplina, facilmente si allentano". (Gli insegnamenti della Comune). Questo meccanismo democratico di organizzazione militare è "un feticcio", dice Trotsky, e aggiunge: "Bisogna combinare i metodi della eleggibilità con quelli delle nomine".

Il piano militare: Non vi fu mai un vero e proprio piano generale offensivo e difensivo. Tanto meno quindi si apprestarono servizi atti alla sua realizzazione. Soprattutto verso la fine, la parola d'ordine generale data era quella di difendersi ad ogni costo.

I combattenti fuori le mura

Non ci soffermeremo a esaminare episodio per episodio la guerra che l'esercito della Comune combatté in campo aperto per oltre un mese e mezzo, anche perché al lettore non è agevole seguirci senza 1'ausilio di carte che oltre a segnalare i vari teatri dei combattimenti, mostrino l'arretramento finale del fronte comunardo.

Ci limiteremo ad elencare i principali scontri senza insistere sui rilievi critici, che del resto non si discostano da quelli già fatti parlando delle battaglie in generale e della sortita del 3 aprile in specie. Tutti i combattimenti verificatisi fino al giorno precedente all'entrata a Parigi dei versagliesi non si svolgono con grandi spostamenti di masse. La loro manovra è piuttosto limitata, prevalendo la lotta dalle trincee e i cannoneggiamenti dai forti e contro i forti. Data l'inferiorità delle loro artiglierie, le fortezze in cui si difendono i parigini saranno a mano a mano smantellate e infine evacuate ed espugnate dal nemico.

Dopo i rovesci del 3 aprile i federati fanno un grande sforzo e, utilizzando al massimo i cannoni fatti accorrere sul posto, riescono a conseguire un notevole successo: scacciano i versagliesi dall'altopiano di Chatillon, che sarà tenuto fino al 29 aprile. E, mentre fino a questa data la situazione militare a sud non subisce mutamenti e gli scontri sono deboli e limitati, nella zona occidentale compresa tra M. Valerien, Neuilly, Porta Maillot, Courbevoie ed Asnieres, attacchi e contrattacchi si avvicendano senza sosta. II 4 aprile i federati rioccupano Courbevoie che, cannoneggiata in seguito da Mont Valerien, viene ripresa dai versagliesi il 6-4. II giorno dopo Neuilly, dove si erano ritirati i comunardi, viene presa di mira. Dombrowsky sostituisce Bergeret accusato di aver condotto i federati sotto il fuoco di M. Valerien il 3 aprile. Accompagnato da Vermorel, Dombrowsky miete un successo il 9 scacciando i nemici da Asnieres. II 12 i versagliesi tentano di conquistare il castello di Becon, tra Courbevoie e Asnieres, ma sono ricacciati indietro. Ma dal 14 al 17 i federati sono costretti a sloggiare da quel castello bombardato dall'artiglieria nemica, e a riparare ad Asnieres, dove resistono per un giorno sotto il comando di Okolowitz.

Durante queste giornate di lotta accanita, l'eroismo delle guardie nazionali e il coraggio e la capacità di direzione e organizzazione del polacco Dombrowsky non compensano gli errori e la confusione nella direzione centrale e di Cluseret, di cui le dichiarazioni in materia strategica fatte in questo stesso periodo a Parigi mostrano chiaramente la inettitudine. Gravi poi i suoi errori in materia di reclutamento, che escludeva elementi energici ed esperti. Così, mentre in seno alla Comune spesso si discute di cose relativamente poco importanti e si trascura di inviare rinforzi di uomini, armi e munizioni, Dombrowsky, che ai suoi reiterati appelli aveva ricevuto appena 300 uomini in aggiunta ai 2500 iniziali, è costretto ad abbandonare Asnieres. Una settimana dopo, il 25 aprile, anche Neuilly distrutta e affamata viene evacuata dopo un armistizio (l'unico) di 8 ore, durante il quale parte della popolazione è trasferita a Parigi per ricevere assistenza.

Altro importante evento militare matura verso sud, dove il 26 i versagliesi occupano i Moulineaux e il 27 concentrano il fuoco su Issy, Vanves e Montrouge e sulle cannoniere della Senna. Il 29 moltiplicano il fuoco su forte Issy e circondano le trincee difese da Wetzel. Il 30, anche Megy, comandante del forte Issy, è circondato e, non avendo ricevuto rinforzi, decide la sua evacuazione. A tale ordine risponde in un primo momento solo una parte della guarnigione, che però rientra subito dopo vedendo giungere La Cecilia con qualche compagnia.

La situazione critica in cui viene a trovarsi questo importante baluardo della difesa parigina ha ripercussioni in seno alla Comune che toglie di mezzo Cluseret accusandolo in un primo momento di aver ordinato l'evacuazione, e lo sostituisce con il suo capo di stato maggiore Rossel. Altra grave conseguenza politica, che avrà effetti scoraggianti sulla situazione militare, è la creazione di un nuovo potere in sostituzione della C .E.: il Comitato di Salute Pubblica. La sua denominazione è di per se fonte di attriti notevoli in seno all'Assernblea dell'Hotel de Ville, che anzi da questo momento appare più divisa che mai: infatti, il C.S.P. è votato con 34 sì e 28 no. Gli elementi contrari lo consideravano una romanticheria anacronistica e un pasticcio rivoluzionario, che "suonava stridente in questa rivoluzione proletaria" Non è il caso qui di discutere se avessero più ragione i fautori di parte radicale o gli oppositori di parte socialista.

Quello che dobbiamo rilevare è ancora e sempre il fatto che, mancando un partito assolutamente dominante, certi fenomeni di crisi sono inevitabili. Inoltre, il "nuovo potere" nacque senza autorità, e in campo militare sia esso che il nuovo delegate alla guerra non poterono evitare altri rovesci, come quello accaduto alla ridotta Moulin-Saquet, dove 500 uomini vennero sorpresi e in parte trucidati dalla soldataglia nemica e in parte avviati a Versailles. Tra il C.S.P. e Rossel segue uno scambio di accuse, come quella secondo cui il C.S.P. avrebbe dato ordine a Dombrowsky e Wroblewski di lasciare la zona in mano a gente non all'altezza della situazione. Rossel a sua volta non dava alcuna indicazione di attacco e di difesa e, se pensò alla costruzione di una seconda cinta interna alle mura di Parigi e formata di barricate da incernierare a Montmartre, al Trocadero e al Pantheon, non vi mise mano. Così, la situazione negli avamposti e nelle trincee, sia nella zona di Neuilly che in quella dei forti di Issy e di Vanves, non poteva che peggiorare, specialmente a Issy, che non era ormai più una fortezza, ma solo un ammasso di pietre, in cui dieci pezzi rispondevano a sessanta. Nonostante questa disperata situazione, dovuta anche all'enorme sproporzione dei mezzi, i federati opposero più volte il rifiuto ad arrendersi. L'onore di questa strenua difesa va essenzialmente ai proletari e a due oscuri capi, dopo che La Cecilia si era dileguato. Solo il 9 maggio essi decidono di evacuare il forte protetti dall'azione di pochi valorosi.

Naturalmente l'evacuazione definitiva del forte Issy condusse Rossel a dimettersi per scaricarsi di ogni responsabilità. E così quel "soldato di ventura" (Lissagaray), che aveva dichiarato di non capire un'acca di questioni politiche e sociali, sparì dalla scena e fu sostituito da Delescluze che, è vero, non era neppure lui un genio militare, ma resta una delle figure più belle tra i capi della Comune per la passione sacra con cui si mise al suo servizio e che terminerà morendo sulle barricate. Anche il C.S.P. viene ora rinnovato e ciò dimostra che la Comune resta sempre la più forte autorità. Anche l'attività di questo secondo C.S.P. sarà contrastata dal C.C. delle G.N. i cui ordini interferiranno di continuo con i suoi; a nulla varrà quindi il prodigarsi di Delescluze o l'attività del bravo e coraggioso Wroblewsky (polacco come Dombrowsky) e di Brunel. Quando infatti si riunisce il consiglio di guerra (uno dei pochi), al quale partecipano anche Eudes e La Cecilia, il 20 maggio anche il forte di Vanves e stato evacuato, e occupato dall'esercito di Thiers.

La settimana di sangue

21 maggio:

Col 21 maggio inizia per Parigi rivoluzionaria la grande settimana di passione.

Dopo la tormentosa guerra contro i prussiani, e il lungo assedio che l'aveva letteralmente affamata, era sopraggiunta la guerra civile a portarle altri sacrifici e lutti. La situazione era pressoché disperata e la stanchezza non permetteva più la vigilanza necessaria specie nei punti più battuti dall'artiglieria nemica, come il Point-du-Jour. In queste condizioni non deve meravigliare che a favorire la controrivoluzione si mettesse anche il tradimento. Fu grazie ad esso che la porta St. Cloud venne aperta il pomeriggio del 21 maggio alla soldatesca di Versailles: trionfo davvero inatteso per Thiers, che senza colpo ferire può violare i formidabili bastioni che circondano Parigi! E l'Hotel de Ville (sede della Comune) è informato molto in ritardo del tragico evento, e quando lo sa non decide di sedere in permanenza per provvedere centralmente alla bisogna: lascia che i consiglieri raggiungano ognuno il proprio circondario per apprestarne la difesa, staccata da ogni collegamento con l'azione degli altri, così come avrebbe voluto un piano di difesa comune.

La sera di quel giorno inizia dunque l'invasione di Parigi: una colonna, da sinistra, marciando lungo le mura, punta verso la Porte de la Muette; un'altra, da destra, si spinge lungo la Senna in direzione del Trocadero.

Lunedi 22 maggio:

La mattina del 22 le porte di Passy, Auteuil, S. Cloud, Sevres e Versailles sono già in mano nemica. I soldati di Dombrowsky dalla Muette sono costretti a ritirarsi verso i Campi Elisi. L'ala sinistra avanza dall'esterno e dall'interno lungo i bastioni, prendendo in trappola i federati. Colti alle spalle e di sorpresa, essi si difendono eroicamente: disperata la resistenza di quella porta Maillot che già quando si combatteva per Neuilly era divenuta leggendaria. Le guardie nazionali si fanno uccidere dalla prima all'ultima sui pezzi. Superati i pochi punti in cui è possibile apprestare una difesa, l'avanzata nemica precede senza difficoltà e, verso le tredici, i Batignolles sono raggiunti. Intanto Montmartre che, all'interno di Parigi, potrebbe svolgere lo stesso ruolo strategico di Mont Valerien all'esterno, incredibilmente tace: i suoi cannoni non sono ancora pronti per l'azione! chi poteva sperare in una resistenza così flebile? Il nemico stesso stenta a crederlo e nel pomeriggio fa una battuta d'arresto. La stessa facilità con la quale ha avanzato lo insospettisce, gli fa temere insidie. Che succede invece da parte comunarda? Destati ormai dalla sorpresa i parigini si lanciano in un grande fervore d'opere: dappertutto sorgono barricate alla cui costruzione contribuiscono uomini e donne, vecchi e giovani, perfino bambini. Insomma si ricrea un clima di lotta rivoluzionaria, che i proclami di Delescluze rendono ancora più ardente. AIl'Hotel de Ville si vivono momenti di tensione e di grande attività.

Ma alla concentrazione dei poteri e dei servizi militari che subito si realizza non può accompagnarsi la preparazione di un piano di difesa organizzato, capace di tradursi in un'azione efficace a carattere offensivo. Impossibile dunque un fuoco coordinato che incroci e sbarri la strada al nemico e vi getti lo scompiglio e il panico. E questo perché esplicitamente si rinunzia al ruolo di direzione cosciente da parte dei capi. Gli stessi proclami di Delescluze teorizzano la "autonomia" delle difese di quartiere come la sola giusta soluzione militare, e criticano le " dotte manovre" dei militari di professione. Come si vede, non si avevano le idee chiare sul militarismo, perché si confondeva con esso ogni disciplina di organizzazione della lotta: disciplina inevitabile se non ci si vuole affidare alla spontaneità che è, questa sì (specie quando è esclusiva) fonte di sicura sconfitta.

Ritornando alle azioni degli invasori, con questo giorno essi hanno ripreso la criminale pratica delle esecuzioni, che non si limitano ai soli combattenti arresi o fatti prigionieri, ma si estendono alla popolazione di entrambi i sessi e di ogni età e continuano con ritmo crescente finche l'ultima barricata è in piedi. Da questo giorno cominciano pure gli incendi di edifici: a provocarli per la prima volta sono gli obici di quei versagliesi che poi ne attribuiranno la colpa alle "petroleuses" parigine.

La sera dello stesso giorno 22 i soldati di Thiers sono schierati lungo la linea che, partendo da P.te d'Asnieres, passa per la Gare Saint-Lazare, gli Invalidi e la Gare de Mont-Parnasse e raggiunge la P.te de Vanves, anch'essa caduta nelle loro mani.

Prima di parlare della terza grande giornata di lotta, val la pena di riportare alcuni rilievi critici di natura militare, che riteniamo degni di attenzione specie per quanto riguarda i criteri di costruzione delle barricate. Questi si basavano su un'esperienza passata e ben diversa, come quella del 1848. Se ammassare uomini dietro le barricate era allora giusto perché l'unico modo di conquistarle era l'attacco frontale, nella mutata situazione stradale e di movimento del 1871 sarebbe stato meglio affidare le barricate all'artiglieria, e servirsi degli uomini come franchi tiratori per prendere alle spalle i nemici con azioni di sorpresa e atti terroristici di ogni genere. E' vero che il C.S.P. aveva ordinato di occupare tutte le case necessarie alla difesa, ma quest'ordine non poteva essere facilmente eseguito, perché occorreva rendere intercomunicanti gli edifici mediante aperture nei muri, e si verificherà purtroppo che le manovre aggiranti saranno la caratteristica dominante dell'esercito controrivoluzionario per circondare le barricate, isolarle e batterle separatamente. Per impedire tali aggiramenti si poteva, pensandoci in tempo, dar mano alla costruzione di barricate strategiche formanti cioè una cintura interna alle mura di Parigi e imperniata sui punti nevralgici della città. Un terzo assedio a questa nuova cintura sarebbe stato difficile se non impossibile, e le guardie nazionali, non molto adatte per la lotta in campo aperto contro un esercito regolare, avrebbero trovato un terreno più propizio.

Martedi 23 maggio:

Giornata di lotta senza quartiere e senza sosta. La Comune e il C.C. delle G.N. lanciano ancora proclami invitando i soldati di Thiers a fraternizzare. Ma tutto è vano, nell'ora in cui la stella della rivoluzione volge al tramonto e la marea controrivoluzionaria minaccia di sommergere tutto. I nemici borghesi della Comune che finora sono rimasti tappati in casa, cominciano ad alzare la testa e dalle finestre si concedono il lusso di sparare addosso ai rivoluzionari. Di qui il provvedimento della Comune di requisire ogni cosa utile alla lotta e di far tenere le finestre delle case sempre aperte. Di qui ancora l'altra reazione di dare alle fiamme il quartiere di Saint-Germain dove i borghesi avevano cominciato a sparare per la prima volta. Gli episodi di lotta armata di questa giornata sono innumerevoli. Ricordiamo quello in cui furono impegnate 120 donne, che soverchiate dopo quattro ore di sparatoria su una barricata della Place Blanche, passano in quella di Place Pigalle e, quando dopo altre tre ore questa sta per cadere, le poche superstiti vanno a morire sulla barricata del Boulevard Magenta. Siamo qui su uno dei lati dai quali si accerchia Montmartre che, attaccato alle sette del mattino, capitola a mezzogiorno. Infatti, da nord le truppe del gen. Montandon, avanzando dall'esterno della città nella zona neutra (in accordo con Bismarck), aggirano anche da nord Montmartre ed entrano dalle porte Saint-Ouen e Clignancourt sorprendendo i federati, i quali, credendosi traditi, costringono il loro comandante La Cecilia a ordinare la ritirata e a lasciar quindi cadere senza combattere la fortezza. Subito dopo questo altro grosso colpo, i controrivoluzionari procedono a esecuzioni in massa la dove i loro generali Lecomte e Thomas erano stati giustiziati il 18 marzo.

Altri combattimenti si hanno presso la stazione di Montparnasse dove, con la solita manovra di aggiramento, si prende alle spalle più di una barricata. La sera, la linea del fronte che avanza su tre colonne passa per Montmartre, la nuova Opera, i Corpi Legislativi, Croix Rouge e la stazione dei Sceaux. Ma la sera la lotta non accenna ad arrestarsi: una grandiosa battaglia notturna tiene desta Parigi con gli ottanta pezzi di artiglieria che sparano su P.za della Concordia e sulle Tuileries, dove la resistenza comunarda ha qualcosa di formidabile, di fantastico. A mezzanotte, però, tutta la linea di difesa deve essere abbandonata dopo che Place de la Concorde e Place Vendôme cadono con le loro barricate nelle mani dei nemici. E, mentre le G.N. combattono un po' ovunque, all'Hotel de Ville si veglia tutta la notte: membri della Comune, del C.S.P. e del C.C. continuano a organizzare altri punti di resistenza e firmano ordini su ordini. Pur senza speranza, essi mantengono una calma ammirevole e, mentre Ranvier fa sentire la sua energia indomabile, Delescluze, spezzato nella salute, è sostenuto dalla volontà. Dombrowsky, uno dei più valorosi capi della Comune, portato qui gravemente ferito, giace ormai cadavere avvolto nella bandiera rossa. E' giunta l'ora di pensare ad abbandonare I'Hotel de Ville e ad iniziare il suo trasferimento al municipio dell'XI circondario. Ma si può dire che la Comune abbia resistito fin troppo, mandando in aria le previsioni di Thiers che bastasse mettere il naso entro Parigi per vedersi arrendere i proletari. Questi invece hanno sempre dimostrato di preferire la morte alla resa, e quando proprio non possono evitare l'abbandono di qualche caposaldo lo danno alle fiamme. Le Tuileries, il Palais Royal, Legion d'Honneur e la Corte dei Conti bruciano illuminando con i loro bagliori la terribile notte.

Mercoledi 24 maggio:

è vero che Thiers s'era sbagliato di grosso nel ritenere facile la resa di Parigi rossa, ma è anche vero che per questa eroica città non esistono più speranze di vincere. Dunque, il Sig. Thiers avrebbe potuto fare alla Comune la sua offerta di resa.

Invece, mentendo come al solito, disse alla provincia di averlo fatto, ma in realtà non si mosse mai. E' vero che la Comune non avrebbe accettato la resa, ma ciò dimostra l'insaziabile sete di vendetta e di sangue della classe che aveva subito l'onta di essere defenestrata dal potere il 18 marzo dagli umili proletari di Parigi. Thiers non voleva solo vincere quei proletari; voleva annientarli al punto di scoraggiare per sempre ogni tentativo di rivolta. E, siccome Cavaignac nel '48 si era già comportato così, egli doveva essere molto più distruttivo e spietato. Questi i termini duri della lotta che si combatteva accanitamente per le strade di Parigi. La strategia distruttiva è in questa giornata capita in pieno dai proletari, che reclamano e ottengono di vendicare prima che sia troppo tardi la sorte che li attende, dando finalmente esecuzione al decreto sugli ostaggi rimasto fin allora lettera morta. Costretti poi ad evacuare altre zone ed a spostarsi verso i bastioni dell'est, ''essi danno alle fiamme l'Hotel de Ville, che già alle dieci del mattino non è più che un braciere ardente. La nuova sede della Comune e del Ministero della Guerra è trasferita alla Mairie de l'XI arrondissement, divenuto punto centrale della resistenza specie dopo la presa del Lussenburgo e del Pantheon e dopo la fantastica resistenza di Rue Vavin e quella ancora più tenace ed eroica sostenuta sulla collina di Cailles.

La sera, l'esercito versagliese, avanzante su cinque linee di fronte, sbocca da ogni parte sulla piazza del Chateau d'Eau. I federati, che nella giornata hanno subito i soliti massacri, non possiedono più che i circondari XI, XII, XIX, XX e una parte del IV, III e X.

Giovedi 25 maggio:

Al solito, anche per questa nuova giornata di lotte sanguinose, non citeremo che qualche episodio. Ridotti ormai di numero, i federati non possono più difendere la linea del fronte e si attestano su Chateau d'Eau, contro cui l'artiglieria nemica si accanisce. Altri punti di resistenza sono la valorosa Bastiglia e la citata Butte-aux-Cailles, difesa dall'energico Wroblewsky che comanda anche il leggendario battaglione 101. Quando, scoperto sulla destra, questo bravo generale polacco al servizio della Comune perde anche la protezione sulla sinistra offerta dai forti di Montrouge e Bicetre (caduti pure loro a causa della caduta di forte Ivry), la Butte-aux-Cailles, soverchiata dalla strapotenza dell'artiglieria, è costretta a cedere, e Wroblewsky a ritirarsi verso 1'XI e XII circondario. Ormai l'attacco versagliese si concentra tutto su Chateau d'Eau, dove il valoroso Brunel sarà ferito gravemente insieme a Lisbonne e Vermorel e dove Delescluze va ad offrire il suo ultimo sangue in difesa di quella Comune che egli, come tanti e tanti altri, aveva servito con abnegazione ed entusiasmo come l'aurora di un'era umana degna d'essere vissuta. Alla fine di quest'altro giorno di passione rivoluzionaria, alla Comune non restano che il XIX e XX arrondissement e la metà dell'XI e XII. Chateau d'Eau e la Bastiglia non sono ancora caduti ma il municipio dello XI deve essere pure esso abbandonato.

Venerdi 26, Sabato 27 e Domenica 28 maggio:

II dramma volge ormai alla fine: le ultime barricate cadono. Ma, finche c'è ancora un operaio armato con qualche cartuccia da sparare, la lotta non cessa.

La Gare de Lyon, la prigione Mazas, la Bastirglia e il Faubourg St. Antoine cadono uno dopo l'altro, e insieme alle guardie nazionali trovano la morte altri loro capi e dirigenti della Comune Milliere fra questi. E' giorno di pioggia. La Villette, nel XX, è ancora contesa: la difende Ranvier insieme a Belleville, centro dell'ultima resistenza e, come Menilmontant, battuta dall'artiglieria che i nemici hanno messo in azione su Montmartre. Si stampa l'ultimo manifesto della Comune per incitare la popolazione del XX alla lotta e alla difesa di Belleville sempre più minacciata.

Altro rivoltante delitto di Thiers: costui s'accorda con i prussiani per impedire la fuga di qualche scampato dell'ultima ora, perché vuole controllare tutta la selvaggina umana che poi si vanterà di aver sterminato con l'aiuto dell'altro boia, Galliffet. Siamo ormai alla vigilia della fine: la Villette è circondata da ogni lato e gli obici battono le colline di Chaumont. Piove ancora forte, e la Villette è in fiamme. Belleville è bombardata. La sera non resta che una parte dell'XI e del XX. Alle undici della domenica, la resistenza si è ridotta a una piccola zona del XXI. Fra gli ultimi combattenti risoluti e coraggiosi ricordiamo Varlin, uno dei pochi dirigenti marxisti della Comune.

FINE

Da "Il programma comunista" nn. 23 del 1961, 1-9-10 del 1962, 5-12-13-23 del 1963, 1-2-13-14 del 1964, 6-7-8 del 1965, 2-3-4-1-12-13 del 1966.

Archivio storico 1952 - 1970