Bordiga a Gilodi

Ing. Amadeo Bordiga - Corso Garibaldi, 412 - NAPOLI
Napoli, 24 febbraio 1950

Caro Gilodi,

qualche tua notizia mi è sempre pervenuta da quando non ci vediamo. Con gran piacere ho vista la tua lettera. Certo è poco piacevole che nel piccolo giro della nostra vecchia corrente avvengano fratture ulteriori in gruppetti o persone... Ciò deriva dalla difficoltà di rispondere al problema di cui ti duoli, il recedere del proletariato dalla efficienza rivoluzionaria. Problema per cui non ci sono ricette ma che occorre guardare a nervi immobili.

Non ho nessuna difficoltà a "militare", ciò che non voglio fare è "generalare", Ogni soldato ha nello zaino il bastone di maresciallo, pare, ma il maresciallo non ha zaini ove portare la gavetta. "Ufficialmente nella vita politica" come dici non sono mai entrato e mi fa schifo. Sono un lavoratore e non voglio mangiare i soldi dei lavoratori.

Per il resto sono sempre stato lo stesso. Gli avvenimenti sono andati in modo che non mi hanno dato quelle scosse per il cravattino o spinte nel sedere che simpaticamente mi augurava Trotsky. Ovvero ho entrambe quelle parti a prova di bomba.

La rivoluzione non dà brevetti a nessuno e camminerà lo stesso, si troverà e lancerà nel fuoco i suoi strumenti, militi o se vuoi caporali, appena passerà ai proletari la mania dei padreterni. Dico sempre scherzando che essendo già sicuro di questo non mi considero come uno che ha pagato il biglietto e pretende di assistere al match, ovvero lo considera cosa di nessun conto se non fa parte proprio lui di una delle squadre sul terreno. Marx scoprì l'antagonismo di classe o meglio i suoi sbocchi storici, non ci ordinò l'agonismo o il tifo, cose alquanto di bassa lega.

Militiamo dunque, se questo in primo luogo significa far tacere i pruriti individuali e le bizze di ognuno.

Marionette per la grande scena politica ce ne sono tante a disposizione, cui negherei la stessa gavetta! Tanti cari abbracci.

Amadeo

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