Laicità e marxismo (XXIV)

Ieri

Segue il tentativo di utilizzare ai fini dei rapporti politici in Italia nel contrasto tra i partiti coeredi del fascismo l'effetto ricavabile dal gioco demagogico delle "tradizioni laiche", e per mobilitare questi che Pareto avrebbe detto "residui" si rimestano le acque, e l'onda di melma sale dal fondo ove sembrava precipitata.

Con pari tecnica di mestiere la parte opposta risolleva le suggestioni della "tradizione cristiana" su cui si fonda la civiltà romana ed europea, e i due opposti campi hanno di comune il vantato punto di arrivo, volendo entrambi con quelle risorse del passato correre alla salvezza della democrazia europea e mondiale, del popolo e della nazione italiana.

Mestatori e truffatori di più alta classe indubbiamente i primi, poiché quei mezzi e quegli scopi dichiarano ancora di voler conciliare con la posizione marxista, con la lotta di classe proletaria.

Adottare il metodo della lotta di classe e professare la teoria marxista significa porre tutte le tradizioni al di là della barricata, e con esse tutte le civiltà che di una tradizione dispongono. Per i marxisti se la civiltà ha un senso, essa è ancora da venire.

Il premio della incoerenza e della improntitudine spetta dunque ai comunsocialisti staliniani, nella attuale edizione libero pensatrice, e la più torbida melma, al fine di far smarrire la via alla classe operaia, è quella rimestata da loro.

Che cosa non viene a galla? Quel vecchiume non si sta spolverando? San Paolo che dà dell'impostore a San Pietro; il processo a Galilei e la falsificazione conformista dell'abile difesa dell'inerme matematico che assume doversi leggere la Bibbia in senso simbolico e non letterale nel tentativo dialettico di non rimangiare la tesi del moto della Terra, ma in sostanza assume chiaramente che l'indagine va fatta con osservazioni astronomiche e calcoli e non sulla lettura di sacri testi (laico lui non da burletta o da ricatto); le cortigiane romane il cui regime e servizio disciplina il papa con un decreto; il matrimonio che può farsi anche senza andare in chiesa ed è valido lo stesso, cosa ignorata oggi che "i socialisti non sono più tutti liberi pensatori"; la indignazione dei migliori scrittori cattolici perché la Chiesa non ammette che si sia credenti e comunisti insieme; al sommo di tutto la rivendicazione della festa del XX Settembre e l'invocazione alla nuova crociata contro il ritorno del potere temporale. I cristiani del medioevo europeo andarono se non sbaglio ad otto crociate, i sedicenti marxisti del tempo capitalistico non si vorranno fermare ad otto volte otto. Quell'insieme maleodorante e multiforme che abbiamo chiamato opportunismo, socialtradimento, difesismo, intermedismo, lo potremmo ben chiamare socialcrociatismo. Il grido di oggi, il dernier cri del rinnegatismo è dunque: Salviamo il Venti Settembre! Dio lo vuole!

Si tratta della crociata in difesa del pensiero laico, al quale postulato prezioso si opporrebbe oggi una sola forza delle tante organizzate nella società: la Chiesa, anzi la Chiesa di Roma, mentre alla difesa di esso dovrebbero convergere tutte le altre, dai partiti e organismi operai "rivoluzionari" fino allo Stato costituzionale, fino agli stessi credenti religiosi in Dio e nel vangelo di Cristo, purché contrari al clericalismo che sarebbe influenza sociale e politica della Chiesa.

Per rimettere in sesto questa questione basterebbe il solo rilievo che se è pensabile un insieme di uomini aventi una stessa opinione e professanti questa anche con atti esteriori sistematici, ossia una vera e propria organizzazione, ammettere che la stessa non abbia funzioni anche sociali e politiche significa aver buttato il marxismo fuor di bordo.

La lotta dei laici contro i chierici è anche essa una sovrastruttura delle lotte tra le classi divise da interessi economici opposti. Ma ad ogni rivoluzione di classe il campo dei laici e dei chierici si sposta, e i chierici dell'oggi sono i laici dell'ieri. Una sola rivoluzione non formerà chierici, quella che perverrà a sopprimere le classi. A questo non sono pervenuti in Russia, ed il loro è il più clericale dei partiti, filisteo al punto da saper porre sul palcoscenico la pièce antifarisaica.

Di fronte alla chiesa tradizionale ebraica ed allo stato teocratico oligarchico del tempo il movimento di Cristo fu movimento laico, in quanto si iniziò col tentativo di spezzare il monopolio della sinagoga e dei farisei sulla guida e la educazione delle masse, sulla enunciazione e il controllo di ogni tesi e richiesta secondo il conformismo dei testi sacri ossia secondo gli interessi costituiti della classe dominante. Ben possiamo usare il termine laico per la fase di critica teorica e di propaganda, per il Cristo che pretende, senza investirsi della carriera gerarchica di rabbini scribi e dottori, di sputare nel tempio, esercire medicina, parlare alle turbe, ordinare una scuola di discepoli fuor dalle reti ufficiali e dalle caste tradizionali. Useremo il termine di moto rivoluzionario quando la massa schiava deporrà il rispetto a Caifa, a Erode, a Pilato e a Cesare e darà mano alle armi.

Quando Paolo si oppone a Pietro oramai investito della carica di Capo, che vuole innestare la nuova dottrina e il nuovo organamento sulla tradizione mosaica pura e quindi derivare ogni catecumeno cristiano da un giudeo ortodosso e circonciso, e conclama, Paolo, che alla nuova dottrina e chiesa si può venire da ogni origine, anche barbara e pagana, perché essa ha rotto tutti i ponti col regime che ha rovesciato, evidentemente Paolo parla ancora da laico mentre già Pietro si comporta da chierico. Da qui l'epiteto di impostore che, come ricorda Ubertazzi nell'Avanti!, Paolo narra nell'epistola ai Galati di aver rivolto nel dibattito al capo degli apostoli.

Nello stesso senso sono antilaici e meritano lo stesso epiteto quegli ex marxisti che pretendono conciliare la nuova fede rivoluzionaria con la conservazione e la difesa di tradizioni proprie del regime che deve essere rovesciato, rivendicando come Togliatti il libero pensiero, come Nenni la festa della breccia di Porta Pia, escludendo dalle loro file quelli che rifiutano di concepire la rivendicazione socialista come subordinata alle loro parole farisaiche di democrazia di nazione e di patria.

Organatasi nei secoli di mezzo la vittoriosa scuola cristiana nella potente gerarchia dei chiercuti, fin dai tempi di Dante si levano i laici, ossia nuovi elementi di avanguardia, espressi da una nuova classe che sorge, colla pretesa di non essere esclusi dallo studio, dall'insegnamento, dalla critica, e in contrasto teorico con i dettami delle cristiane scritture e dei sinedri della Chiesa. Questa, che aveva monopolizzato ma non soppresso la cultura la scienza e la filosofia, compie un ordinamento capolavoro nella scolastica collegando i suoi testi con i risultati del pensiero classico e con la sapienza aristotelica trasmessa dai miscredenti traduttori arabi, e su questa trincea attende di piè fermo l'assalto, riflesso della lotta di classe tra la borghesia moderna e l'aristocrazia feudale. E allora schieriamo pure tra i laici di questa fase storica gli umanisti del Rinascimento, gli scienziati e i filosofi di Italia Francia e Germania, i capi religiosi della Riforma che introducono il diritto alla critica nella fede cristiana, potendo il singolo fedele svolgerla con interpretazione diversa da quella del clero, e tutto questo movimento tante volte ricordato.

Il costituirsi con le rivoluzioni borghesi del potere capitalistico nelle principali nazioni liquida storicamente questa grande lotta con la disfatta della Chiesa. La nuova classe dominante, passate le convulsioni della lotta, non si prefigge il divieto dei culti e la demolizione delle organizzazioni religiose, ma mano mano toglie ad esse l'influenza sulla scuola, sulla diffusione delle idee in tutte le forme, come la stampa la letteratura il teatro ecc.

Nei paesi delle chiese riformate già staccate dal papato romano il processo di sistemazione riesce più agevole, meno in quelli di religione cattolica, ove tuttavia mano mano Roma riconosce i nuovi regimi, mentre la borghesia pone il fatto religioso tra le risorse di difesa del suo dominio. Espressione di essa Napoleone, nelle parole di France, "Era troppo avveduto per non mettere nel suo gioco il vecchio Jahveh (il dio cristiano) ancora potente sulla terra e che gli rassomigliava nello spirito di violenza e di dominazione. Egli lo minacciò, lo adulò, lo accarezzò, lo intimidì. Gli imprigionò il Vicario, al quale domandò, col coltello alla gola, l'unzione, che fin dall'antico Saul rende forti i re; restaurò il culto del demiurgo (Jahveh stesso, nella terminologia dell'angelo ribelle che parla) gli cantò dei Te Deum e si fece da lui riconoscere Dio sulla terra, in piccoli catechismi diffusi in tutto l'Impero. Essi congiunsero i loro tuoni, e fu un bel fracasso".

Letteratura? ma quanto diversa da quella rancida e laica degli Hugo e dei Carducci!

Oggi

La laicità borghese nella presente società vale questo: guerra più deismo. Già al tempo della cagnara anticlericale uno dei cardini della nostra critica al fronte unico laico - primo e degno precursore di tutti gli altri fronti unici traverso i quali la bandiera della Rivoluzione è finita nel letame - fu quella che l'impostazione anticlericale, il comune denominatore dei residui laicistici, conduceva direttamente alla impostazione patriottica e nazionalistica, e ciò per il riflesso generale del tradimento alla autonomia di classe, e per i riflessi speciali della situazione italiana.

Una delle ragioni, non la sola, per cui tra i paesi cattolici l'Italia non si era organizzata in unità statale prima della rivoluzione liberale, era la esistenza in Italia e in Roma del centro della Chiesa cattolica. Il contrasto giuridico si doveva risolvere in un contrasto politico e militare, perché di natura territoriale, dato che proprio la capitale cercata dalla borghesia era nello stato temporale del papa.

In qualunque paese la formula di Cavour: libera Chiesa in libero Stato, teorema di Pitagora del laicismo oggi riaffiorante, andava presa di fronte dai marxisti rivoluzionari. Se il proletariato non può vincere che uccidendo la libertà per la borghesia di conservare il suo Stato, tantomeno può farlo lasciando libera di vivere e di agire la Chiesa, che questo moderno Stato borghese difende, non solo, ma ha perfino difeso i poteri cui esso si surrogò.

Quanto alla questione della capitale statale del nuovo regno la posizione del proletariato in quanto classe nulla poteva avere di comune con la borghese, romantica, democratesca tradizione di "Roma o morte!".

Era fin da allora il caso di dire, col noto epigramma, che se Torino piange disperata per la partenza della Corte, come tripudierà Roma dieci anni dopo al suo arrivo, "Firenze, la gentil culla de l'arte sen frega quando arriva e quando parte".

Le sbornie laicisticoidi di ogni XX Settembre non solo ebbero sicuro effetto anticlassista e controrivoluzionario, non solo servirono di alimento al paccottigliame socialpatriottico della "anticlericale" guerra 1915 - quindi ben demandato il mai-marxista Nenni, guerraiolo di allora e padrino delle velleità antipretesche dei primi fasci mussoliniani, a fare l'attuale campagna di imbonimento con frasi di questo calibro: Mussolini, il più anticristiano degli italiani! - ma andavano diritte alla apologia della casa sabauda. I meriti di questa furono storicamente infiniti; come Pippetto buon anima voleva stroncare Benito con lo stato d'assedio, il nonno, sorpreso tra i cavalli dalla notizia di Porta Pia, sbatté il berrettaccio nel sedere di una giumenta e proruppe nella lingua che possedeva meglio non solo dell'italiano ma dell'avito francese: "fina sta balossada l'an fame fé...!". La storia determina tutti questi pagliacci di re presidenti e capi partito a recitare le parti che mai si sono sognate.

E tutto questo pattume dovrebbe oggi tornar su come rivendicazione di classe degli operai, e questi smungere le magre tasche per mantenere fogli che trattano di queste robe! E tutto questo pedestre emetico conformismo sarebbe il pensiero laico del nostro tempo!

Come laico fu Paolo per Pietro e Dante per la Curia Romana, laico come studioso critico e interprete rivelatore di una nuova classe è stato per il tempo nostro Marx, che ha osato studiare, indagare e proclamare la critica delle tradizioni senza posti, titoli, né prezzo dell'opera. Chierici di oggi non sono più i Pii i Leoni e i Benedetti ma gli Smith i Ricardo i Pareto gli Einaudi mantenuti nella loro sufficienza pseudo scientifica dalle società industriali dalle università borghesi e dalle repubbliche democratiche.

Laico e combattente della rivoluzione fu Lenin coi suoi, che non solo spazzò trono ed altare, dio e padroni, ma ruppe la menzogna dell'inganno democratico e del libero pensiero realizzando la prima dittatura di classe. E Lenin nel campo critico ribadì per sempre il non senso della libertà di pensiero di opinione di scienza e di insegnamento. Libero di pensare sarà il proletariato quando non dipenderanno dall'ordinamento e dal potere capitalistico, Lenin scrive, le sale di riunione, le sedi delle associazioni, le scuole, le università, le tipografie dei giornali, i teatri, i cinema. Non si tratta di liberare gli spiriti, ma di prendere tutte queste posizioni, colle armi alla mano, vietandone l'impiego e l'uso ai difensori di dottrine tradizionali, ai sacerdoti di Jahveh quanto a quelli del Pluto capitalistico, e del prostituito Demos.

Non si può tornare sotto l'ombra della tradizione laica borghese senza rinnegare tutto questo, senza tradire il socialismo. Ben può stare sotto questa equivoca ombra chi, come Nenni, non ha tradito, poiché socialismo non ha mai professato. Perché, se prova occorresse che rivendicando il laicismo si diventa borghesi, basterebbe il suo linguaggio che esplicitamente lamenta nell'oblio del XX Settembre l'umiliazione dello Stato italiano, il tradimento della funzione e della missione della Nazione.

Come potrebbe sapere chi nelle sezioni socialiste di allora non è mai stato, che si vietava di andare alla festa laicissima tra le laiche, proprio perché si pensava di spezzare in due la Nazione, di sabotarne la funzione e la missione, sognando di arrivare a svolgere la nostra funzione e missione internazionale di classe, nella umiliazione dello Stato di Roma, di Roma 1870?

Da "Battaglia Comunista" n. 36 del 21-28 settembre 1949

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Chiesa e fede, individuo e ragione, classe e teoria

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"La posizione dei marxisti dinanzi al problema religioso è stata troppo confusa con quella propria una volta della borghesia nascente e rivoluzionaria, e considerata una semplice sottoclasse di un generale razionalismo e ateismo, con relativi sviluppi anticlericali, sotto il cui ombrellone borghesi 'progressivi' e proletari socialisti stavano fianco a fianco".

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