Stato proletario e guerra (L)

Ieri

Il governo democratico borghese russo, succeduto nel febbraio 1917 a quello zarista, confermata l'alleanza di guerra con francesi, inglesi, americani, italiani, nei mesi di maggio e giugno pose al centro della sua politica la preparazione della "grande offensiva" contro gli eserciti austrotedeschi.

Su tale linea erano non solo i partiti, che fin dall'agosto 1914 avevano appoggiato la politica di guerra dello Zar con le parole di difesa della Patria e della unione sacranazionale, ma anche quei partiti che come i socialdemocratici e i socialrivoluzionari avevano, almeno in parte, fatta la campagna contro la guerra fin dai giorni in cui la Russia mobilitò in appoggio alla Serbia, e la Germania rispose a sua volta mobilitando? Alludiamo ai gruppi che furono alle conferenze internazionaliste in Svizzera: alla prima, Zimmerwald, settembre 1915, con Lenin era anche il menscevico Axelrod; alla seconda, Kienthal, aprile 1916, vi erano i due Comitati del Partito Socialdemocratico russo e la frazione internazionalista del Partito Socialista Rivoluzionario, oltre il Partito polacco, il Bund ebreo, etc. Tali elementi "centristi" dopo la rivoluzione di febbraio passarono a loro volta ad una politica di socialpatriottismo aperto.

Contro questa politica dell'offensiva militare si posero con estrema risoluzione i bolscevichi con Lenin e Trotzky.

Nello scritto Dalla rivoluzione di Ottobre al Trattato di Brest Litovsk il secondo espone le vicende di tutto questo conflitto. La campagna per l'offensiva fu una vera campagna contro i bolscevichi, definiti disfattisti e nemici della patria.

Il 18 giugno si svolse a Pietrogrado, indetta dal Primo Congresso Panrusso dei Soviet, nel quale tuttavia i bolscevichi erano piccola minoranza, una grandiosa dimostrazione operaia che si risolse in un grande successo politico dei bolscevichi stessi. Le masse dimostrarono per la pace, contro la guerra e contro l'offensiva.

Il governo di coalizione tra i borghesi "cadetti" (C.D., costituzionali democratici) e i socialisti di destra sentiva tremare il terreno sotto i suoi piedi: schiavo della borghesia, non fece che precipitare l'offensiva sul fronte, mentre il 19 per i corsi eleganti di Pietrogrado ufficialetti e signore ben vestite svolsero una dimostrazione patriottica e antibolscevica. Troppo poco da un lato per intimidire la forza militare tedesca, dall'altro per fermare il proletariato rivoluzionario. Marx avrebbe in quel momento ripetuto: i russi hanno bisogno di essere bastonati. Chi erano i russi? Il potere, il governo di quel giugno 1917, i politicanti cadetti socialtraditori manutengoli della borghesia, che definivano col termine ipocrita "elementi censiti" per dissimulare alle masse impazienti la collaborazione di classe.

Ben presto dal fronte giunsero le notizie dei rovesci, del ripiegamento disordinato, del rifiuto di obbedienza delle truppe, dello sterminio degli ufficiali soli tra i rivoltosi e il nemico. Il governo si dimise e mentre i socialisti di destra ancora una volta rivendicavano una politica di coalizione i bolscevichi proclamavano la parola del passaggio del potere ai Soviet.

Fin dal 3 giugno in una dichiarazione al Congresso essi avevano denunziato la politica dell'offensiva come controrivoluzionaria, e ciò al tempo stesso con gli evidenti argomenti offerti dalla contingente situazione, per lo scompiglio e la insufficienza tecnica dell'esercito e la certezza della sconfitta, e con quelli politici e di principio: "i circoli controrivoluzionari di Russia aspettano che l'offensiva conduca ad una concentrazione del potere nelle mani dei gruppi militari-diplomatici, dei gruppi cioè che sono alleati con l'imperialismo inglese, francese ed americano".

Dal 3 al 5 luglio i bolscevichi dettero nelle piazze una prima grande battaglia, ma non pervennero a rovesciare il governo. Questo nelle giornate del 3 e 4 luglio non poteva fare assegnamento sui reparti militari di guarnigione, ad eccezione degli allievi ufficiali. Gli altri reparti cominciavano a passare coi rivoluzionari, alla testa i marinai di Kronstadt che avrebbero voluto attaccare. L'ora non era ancora giunta, Kerensky poté riprendere fiato all'arrivo dal fronte di qualche reggimento "sicuro". Non fu una battaglia perduta ma rimandata, e intanto la sinistra rivoluzionaria guadagnava terreno in tutto il resto della Russia.

Alla fine di agosto 1917 gli elementi controrivoluzionari approfittano della pausa per tentare una restaurazione: è il famoso colpo di Kornilov. Ma il proletariato era divenuto troppo forte, tanto al fronte che nella capitale. Fu costretto Kerensky a fingere di volersi difendere da Kornilov e chiamare i reparti di fucileria di marina da Kronstadt: questi fecero sul serio e spazzarono via in breve i kornilovisti.

L'episodio valse tra l'altro a svelare il patriottismo dei borghesi. I tedeschi avanzavano in modo travolgente, e Kornilov aveva loro ceduto Riga, capitale della Lettonia. L'ex presidente della Duma, Rodzianko, giunse a dichiarare, per orrore della rivoluzione, che non era un gran male la caduta della flotta del Baltico, e della stessa Pietrogrado, in mano ai tedeschi. Il fronte, alla vigilia di un nuovo inverno di guerra, di disfaceva; la sezione soldati del Soviet di Pietrogrado si riuniva al grido: "È il governo incapace di difendere Pietrogrado? Ebbene, si faccia la pace! Non è in grado di concludere la pace? allora, se ne vada al diavolo".

Il grande conflitto che condusse alla conquista del potere i rivoluzionari, scoppiò proprio sul terreno della guerra, per la guarnigione di Pietrogrado. Il 25 ottobre si prevedeva che il nuovo Congresso Panrusso dei Soviet avrebbe fatta propria la parola del potere, sostenuto dalla massa operaia della capitale nella sua sostituzione ai ministeri "parlamentari". Il governo fece allora il piano di allontanare dalla città i due terzi della guarnigione militare, richiesta dallo Stato Maggiore per contribuire ad arginare l'invasione tedesca. Immediatamente i bolscevichi presero posizione, e sorse quel Comitato Militare Rivoluzionario che, in diretto collegamento col Comitato Esecutivo del Partito, fu lo strumento dell'azione insurrezionale. Lenin rientrava dalla Finlandia, ove si teneva sin dalle persecuzioni antibolsceviche di luglio, decide gli esitanti, le masse sono in azione: Abbasso la guerra! Tutto il potere di governo ai Soviet! Mentre ancora il governo siede nel Palazzo d'Inverno, i reparti militari del Comitato Rivoluzionario, che siede all'Istituto Smolny, occupano, spesso senza lotta, i punti decisivi della città. La sera del 25 Ottobre, nella sala ove è riunito il Congresso dei Soviet, si annunzia: Il Palazzo d'Inverno è preso, Kerensky è fuggito, gli altri ministri arrestati. La rivoluzione ha vinto, un decimo dei delegati al congresso lascia la sala. I Soviet assumono ogni potere.

Come nella Comune di Parigi, anche in quella di Leningrado la rivoluzione ha vinto marciando in direzione opposta al fronte di guerra, non sparando sul nemico straniero nella lotta militare e nazionale, ma volgendo gli stessi uomini e le stesse armi contro il nemico interno, contro il governo della capitale, contro il potere di classe della borghesia; "volgendo la guerra nazionale in guerra civile". Né, oltre questi, la storia ci ha dato altri esempi.

Il proletariato prese dunque il potere e il partito bolscevico di Lenin dette subito corso al suo postulato: finire la guerra.

Già il 26 ottobre, nella storica seduta notturna, il Secondo Congresso Panrusso dei Soviet vota unanime un decreto che stabilisce la conclusione della pace. Il 7 novembre il Governo dei Commissari del Popolo, col suo primo atto di politica estera, propone formalmente a tutti gli Stati belligeranti immediate trattative per la pace. I governi alleati rispondono non solo col rifiuto, ma colla aperta minaccia che, se il governo russo farà la pace separata, attaccheranno militarmente la Russia! L'11 novembre il governo proletario risponde con un "Proclama agli Operai Soldati e Contadini".

Che cosa dissero in quel proclama i bolscevichi? Annunziarono la pace separata, la pubblicazione dei trattati diplomatici segreti, e conchiusero: "in nessun caso tollereremo che il nostro esercito versi il suo sangue sotto la frusta della borghesia straniera".

La portata di questo storico impegno è incalcolabile. Quelle parole sono fondamentali per vagliare la situazione di oggi. Si afferma che vi è in Russia uno Stato proletario, e che il suo esercito si batterebbe come esercito proletario nella guerra contro l'America. Ma l'esercito di uno Stato proletario non avrebbe potuto battersi negli anni 1941-'45 al fianco di questa stessa capitalistica America, e praticamente "sotto la frusta della borghesia straniera".

Le trattative coi tedeschi cominciarono il 9 dicembre, ma solo il 25 i tedeschi formularono le loro proposte, comprendenti brigantesche richieste di annessione. La delegazione russa non poteva accettarle; la situazione era stata resa difficile dal fatto che l'Ucraina non era ancora passata coi bolscevichi, e la "Rada" di Kiev stipulava separatamente la pace coi tedeschi il 9 febbraio. Ma intanto a Vienna, a Berlino, si hanno scioperi politici, moti operai. I russi non possono dichiarare la guerra, non possono accettare condizioni capestro, essi interrompono le trattative rifiutando di firmare la pace, ma, annunziando al mondo che l'esercito russo non opporrà resistenza all'invasore, fanno appello al proletariato tedesco e di tutti i paesi perché si levi contro i governi imperialisti e la guerra.

Dunque abbiamo avuto un esempio storico di questo metodo della non resistenza dello Stato proletario all'invasione. Intendiamoci bene. Non eleviamo un tale esempio a principio generale e tanto meno sulla base di una generale avversione filantropica allo spargimento di sangue. Vogliamo solo ricordare che questo esempio storico non ha avuto conclusione sfavorevole. Sono proprio i fautori dello Stato russo di oggi, ultramilitare, ultranazionale, che mobilitano per la loro campagna le ipocrisie tutte di un pacifismo "in generale".

I tedeschi denunziarono l'armistizio e ripresero, con cinque giorni in anticipo sul termine, la marcia in avanti. La situazione era tremenda. I controrivoluzionari ucraini e finlandesi, premuti dai bolscevichi, inviavano appelli alle forze militari tedesche. I proletari rivoluzionari oscillavano tra la furente indignazione e l'abbattimento totale. Nelle stesse file dei bolscevichi si aprì il dissidio: chiedere ancora di trattare per la pace e capitolare del tutto, o cadere in una disperatissima resistenza? È noto che Lenin dovette lavorare assai, soprattutto contro Bucharin che era "per la guerra".

Lenin guardava, come sempre fece senza un attimo di interruzione, al cammino della rivoluzione mondiale. Non vi era che da prendere tempo utilizzando il contrasto tra gli imperialismi nemici, tutti egualmente pronti a tentare di strozzare la rivoluzione di Russia. Al Congresso del Partito come al IV Congresso dei Soviet vinse la tesi della pace.

La delegazione dei Soviet tornò a Brest Litovsk, vi trovò condizioni ancora più inesorabili. Le firmò "senza neppure leggerle". La guerra era finita.

Il 16 marzo il Congresso ratificava con 724 voti favorevoli contro 276 contrari e 118 astenuti. "Non aspettiamo un cambiamento di queste condizioni da forza bellica, ma dalla rivoluzione mondiale".

Nella polemica con Kautsky Lenin rivendica quanto il primo designava come errore: aver puntato sulla rivoluzione europea e mondiale. Come Stato e Rivoluzione chiude bruscamente con l'annunzio dell'Ottobre 1917, così l'Antikautsky chiude con l'annuncio della rivoluzione tedesca a Kiel e Berlino del 9-10 novembre 1918. Pochi mesi sono trascorsi dalla prepotenza dei generali tedeschi, e già il fronte e la frontiera di Brest Litovsk sono crollati.

La rivoluzione tedesca fermerà la guerra, ma sarà a sua volta fermata dagli sbirri socialtraditori nel tentativo di affiancarsi alla dittatura bolscevica. Nel 1919 lo Stato rivoluzionario russo, riorganizzata la guardia rossa e l'esercito, condurrà la lotta su nuovi fronti: Siberia, Kuban, Don, Odessa, Arcangelo, ecc., contro le spedizioni dell'imperialismo franco-inglese, battendole in una lunga lotta nel suo territorio. Non vi sarà vera guerra dichiarata fra gli Stati, salvo che nel 1920 contro la Polonia fortemente sostenuta dalle potenze capitalistiche, e si conchiuderà senza la conquista di Varsavia, mentre la rivoluzione in Europa va ripiegando.

Oggi

Da allora i problemi che si ricollegano alla Russia, alla sua forza militare, e alla guerra, girano intorno a questa contestazione: la prospettiva di Lenin è caduta, la Rivoluzione si è fermata alla Russia. Dato ciò, non restava allo Stato dei Soviet che organizzare il suo esercito in modo da poter contrastare una spedizione punitiva e restauratrice del capitalismo.

In effetti, rinunziando alla prospettiva della diffusione nel mondo della rivoluzione proletaria, i russi hanno rinunziato a sviluppare la loro propria rivoluzione, che poteva attendere pochi anni, come sostenne Lenin contro Kautsky, ma poi non aveva altra sorte storica che avanzare o retrocedere. Lo stalinismo è l'espressione politica di questa retrocessione.

Lenin era giunto a dire: "Se domani l'imperialismo mondiale, attraverso un accordo, poniamo, tra l'imperialismo tedesco e quello anglo-francese, schiacciasse il potere sovietico in Russia, anche in questo caso, che sarebbe il peggiore, la tattica bolscevica avrebbe tuttavia recato la massima utilità al socialismo e avrebbe promosso l'avanzata dell'invincibile rivoluzione mondiale".

La tattica che Lenin difende è quella che nel 1941 è stata sfacciatamente tradita: nessuna alleanza con uno dei due imperialismi! È la tattica che fece rifiutare la continuazione dell'alleanza nel 1917, e trionfò con la rovina della Germania e l'impotenza dei franco-inglesi a debellare la Russia dei Soviet.

La tattica opposta, quella dei menscevichi e cadetti nel 1917, quella di Stalin nella Seconda Guerra Mondiale, non è disfattista solo della Rivoluzione, ma lo è perfino nel senso nazional-militare. È per questo che resterebbe inesplicabile, se non fosse seguita parallelamente dalla constatazione del ritorno dell'economia interna sotto le influenze capitalistiche mondiali.

Nel combattere contro la tattica dell'alleanza, nel 1918, Trotzky aveva chiaramente detto: "Se anche la vittoria avesse arriso a quel campo, in cui la Russia era stata trascinata dalle combinazioni dello zarismo e della borghesia, ciò non avrebbe ancora significato che il nostro paese ne sarebbe uscito vittorioso. Continuando la guerra, la Russia sarebbe stata, entro il vittorioso campo dell'Intesa, ancora più esausta, ancora più devastata di quel che è adesso. I padroni di questo campo, cioè l'Inghilterra e l'America, avrebbero impiegato a nostro riguardo gli stessi metodi, di cui si servì la Germania durante le trattative di pace. Nel valutare la politica dei paesi imperialistici sarebbe insensata e sciocca puerilità il lasciarsi guidare da altre considerazioni che quelle dei puri interessi e della brutale potenza".

Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, quanto si è svolto, dal contributo immane di vite umane e di risorse alla causa anglo-americana fino al piagnucolamento pacifista sulle "aggressioni imperialiste" di oggi, corrisponde, in sostanza, a quella possente prospettiva di Trotzky, nel lontano febbraio 1918.

Non può l'analisi sboccare nella interpretazione che si tratti di uno stato maggiore del proletariato, avente commesso l'enorme errore di credere che i poteri capitalistici anglo-americani combattevano seriamente contro l'imperialismo e per le cento libertà popolari, talché era sacro per loro l'impegno di rispettare l'alleato! Sarebbe cosa tanto enorme da non poter trovare diversa definizione che nella stessa parola di tradimento.

L'analisi sbocca invece nella dimostrazione che lo Stato e il governo di Mosca non esprimono interessi del proletariato russo e della rivoluzione mondiale, ma dipendono, da tempo, da influenze dell'imperialismo capitalista, e il rapporto di forza che esprimono non è quello della lotta di classe nei vari paesi, ma quello tra le forze economiche diplomatiche e militari nel campo capitalistico.

Come possono con queste o con gruppi di queste venire in contrasto, così nessun motivo di natura sociale pone, allo Stato e al regime di Mosca, limiti alle possibilità di compromesso e anche di subordinazione coi centri imperialistici.

Se oggi uno Stato proletario vi fosse, e se esso avesse un esercito di efficienza paragonabili a quelli borghesi, ove il rapporto di forze lo suggerisse, esso non escluderebbe di adoperarlo per varcare le frontiere in aiuto di una rivoluzione operaia, non escluderebbe l' "aggressione" rivoluzionaria; non sentiremmo ridurre la sua propaganda estera alle ignobili parole opportuniste: evitabilità della guerra - lotta per la pace - esercito formato per la sola guerra di difesa e per respingere l'aggressione!

I Saragat e i Togliatti parlano lo stesso linguaggio: preleninista, precomintern. Nessuno dei due vuole la guerra per la lotta proletaria, ma solo per la difesa. Difesa di che? Di quello che hanno insieme difeso nella Seconda Guerra, difesa di regime e di principi borghesi. Solo per questo, o proletari, essi vi consentirono e vi consentiranno di uccidere e di farvi uccidere.

Da "Battaglia Comunista" n. 14 del 1950

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