Ricapitolazione del lavoro di partito sulla legge marxista della caduta tendenziale del saggio di profitto e sulla analoga tendenza nell'incremento relativo della produzione industriale

II testo che segue (e che avevamo preannunciato nel nr. 11) è il riassunto di un breve rapporto tenuto durante l'ultima riunione generale a Firenze e inteso a riprendere e ripresentare lo svolgimento del lavoro di partito sul tema della caduta tendenziale del saggio di profitto inquadrandolo negli studi di primaria importanza già compiuti sul corso e gli sviluppi della economia capitalista. E' un testo per necessità incompleto, perché si tratta di dare inizio ad un lavoro da completarsi ed integrarsi con dati statistici, teorici e storici, e destinato ad occupare diverse riunioni, mentre ora ci preme di ricapitolarne i termini essenziali in vista di un ulteriore sviluppo delle nostre ricerche.

Tali ricerche sono particolarmente utili ai giovani compagni o ai nuovi aderenti al partito, che non tutti hanno potuto prendere conoscenza diretta del colossale lavoro di restaurazione teorica in corso da più di 15 anni, quel lavoro, svolto su una linea di costante aderenza al marxismo invariante e alle lotte reali del proletariato internazionale, che ci ha permesso di riaffermare con sonori ceffoni sulle guance dei rinnegati la piena validità del marxismo nell'interpretare tutto il corso storico del modo di produzione capitalistico e di svelare la colossale mistificazione controrivoluzionaria imbastita intorno al ruolo rivoluzionario della Russia d'oggi. Ai fini del presente riassunto seguiremo tre linee: cioè riferiremo la questione alla III sezione del III libro del Capitale ("legge della caduta tendenziale del saggio di profitto") da una parte, e agli studi su "Il corso del capitalismo mondiale nella esperienza storica e nella dottrina di Marx" e "Traiettoria e catastrofe della forma capitalistica nella classica monolitica costruzione teorica del marxismo", pubblicati su "Programma comunista" nel 1957 (oltre che ai brevi resoconti comparsi sul n. 19 del 1956 e sui numeri 3 e 4 del 1957) dall'altra; infine, esporremo guanto ricordato a Firenze sulla reazione del capitalismo, nella sua fase imperialistica, alla legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. Il lettore ricolleghi quanto diciamo al rapporto sul "significato e il valore dei nostri studi sul corso dell'economia capitalistica", apparso nel nr. 10, di cui il testo presente è in certo modo l'appendice.

La legge marxista della caduta tendenziale del saggio di profitto

Come spiegato nel numero 10 del "Programma Comunista" e alla riunione di Firenze durante l'esposizione del tema e l'illustrazione del prospetto sull'economia marxista redatto dalla sezione di Napoli, il saggio del profitto è dato dal rapporto fra plusvalore, o profitto, e capitale complessivo anticipato (cioè capitale costante e variabile) ed è simbolicamente rappresentato dalla formula t = p/k dove k è uguale a c + v, a differenza dal saggio del plusvalore che è dato dal riferire la stessa grandezza p al solo capitale variabile v, e in cui perciò il rapporto simbolico diviene s = p/v. Ora Marx dimostra che tale saggio (o tasso) decresce storicamente e tendenzialmente (vale a dire non in modo semplice e rettilineo, ma attraverso un andamento irregolare) in rapporto all'aumentata composizione organica del capitale; vale a dire, alla relazione all'interno del capitale complessivo anticipato dal capitalista fra la parte costante e quella variabile. Come vedremo, la parte costante tende ad aumentare, aumentando quindi la composizione organica e la grandezza k, cui p va riferito nella determinazione del saggio di profitto; e questo in tal modo decresce. Ciò avviene per l'aumentata produttività del lavoro, per la diminuzione relativa di v, del lavoro vivo che mette in movimento, o valorizza, una maggior quantità di c, capitale morto, capitale costante. Cercheremo ora di chiarire e documentare quanto esposto in modo molto schematico, attraverso citazioni dalla sezione del Capitale sopra citata.

Marx affronta il problema mettendo in particolare evidenza, nello sviluppo della produzione capitalistica, la diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante, e quindi al capitale complessivo valorizzato dalla classe proletaria: "Ciò significa soltanto che lo stesso numero di operai e la stessa quantità di forza-lavoro, divenuti disponibili per mezzo di un capitale variabile di una data entità, in conseguenza dei particolari metodi di produzione che si sviluppano nella produzione capitalistica, mettono in movimento, impiegano, consumano produttivamente, durante il medesimo periodo di tempo, una massa sempre crescente di mezzi di lavoro, di macchinario e capitale fisso di ogni genere, di materie prime e ausiliarie e, per conseguenza, un capitale costante di sempre maggiore valore. Questa progressiva diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante e per conseguenza al capitale complessivo, è identica al progressivo elevarsi della composizione organica del capitale complessivo considerato nella sua media. Del pari, essa non è altro che una nuova espressione del progressivo sviluppo della produttività sociale del lavoro, che si dimostra per l'appunto nel fatto che, per mezzo dell'impiego crescente di macchinario e di capitale fisso in generale, una maggiore quantità di materie prime e ausiliarie vengono trasformate in prodotto da un eguale numero di operai nello stesso tempo, cioè con un lavoro minore". (Il Capitale, Ed. Riuniti, 1954, III, I, p. 263). Più oltre, Marx spiega come anche di fronte al dilatarsi del capitale complessivo, il capitale complessivo stesso assorba una parte relativamente minore di pluslavoro e di lavoro vivo, benché lo sfruttamento proletario espresso dal tasso del plusvalore possa aumentare: "La legge del saggio decrescente del profitto, che si esprime con lo stesso saggio del plusvalore o anche con un saggio crescente, dice in altre parole: data una qualsiasi determinata quantità di capitale medio sociale, ad esempio 100, vi è un aumento continuo della parte di esso rappresentata dai mezzi di lavoro, e una continua diminuzione della parte rappresentata dal lavoro vivo. Dato che la massa complessiva di lavoro vivo aggiunto ai mezzi di produzione diminuisce in proporzione al valore di essi, anche il lavoro non pagato e la parte di valore che lo rappresenta diminuiscono in rapporto al valore del capitale complessivo anticipato. Ovvero: una parte sempre più piccola del capitale complessivo impiegato si converte in lavoro vivo, e quindi il capitale complessivo assorbe, in proporzione alla sua entità, una aliquota sempre più piccola di pluslavoro, benché il rapporto tra la parte non pagata e quella pagata del lavoro impiegato possa aumentare al medesimo tempo". (id., pag. 267).

Poco oltre, in una pagina vigorosa Marx dà la dimostrazione del fatto che la caduta tendenziale del saggio del profitto aggioga sempre più il proletariato alla follia produttiva del capitale, necessariamente spinto appunto dalla caduta del saggio di profitto alla invasione del mondo con le sue merci, cariche di sudore proletario e di profitto per il capitalista, che questi deve realizzare sul "libero mercato": "Il numero degli operai impiegati dal capitale, dunque la massa assoluta di lavoro che esso mette in movimento, quindi la massa assoluta di pluslavoro che assorbe, e perciò la massa di plusvalore e la massa assoluta del profitto che produce possono quindi aumentare, anche progressivamente, nonostante la progressiva diminuzione del saggio del profitto. Ciò non solo può, ma deve accadere — eccettuale le oscillazioni temporanee — sulla base della produzione capitalistica", (id., pag. 269).

La legge della caduta tendenziale deriva però anche da tutto il complesso fenomeno dell'economia capitalista e dai rapporti produttivi ad essa sottesi, per cui i capitalisti e i loro ideologhi, gli economisti, ne hanno una visione distorta, limitandosi alla superficie o all'apparenza e non volendo né potendo per ragioni di classe esaminare le cause profonde: "Il fenomeno derivante dalla natura stessa della produzione capitalistica, vale a dire che, aumentando la produttività del lavoro, diminuisce il prezzo della singola merce o di una determinata aliquota di merci, che il numero delle merci aumenta, e che la massa del profitto sulla singola merce ed il saggio del profitto sulla somma delle merci diminuiscono, mentre aumenta la massa del profitto sulla somma complessiva — questo fenomeno presenta alla superficie queste sole caratteristiche: diminuzione della massa del profitto per la singola merce, diminuzione del suo prezzo, incremento della massa di profitto sul maggior quantitativo delle merci prodotte dal capitale complessivo sociale o dal singolo capitalista. Da questo fatto viene comunemente dedotto che è il capitalista stesso a gravare a sua libera discrezione il singolo prodotto di una percentuale minore di profitto, coprendosi della perdita mediante la produzione di un maggior quantitativo di merci: concezione che si fonda sull'idea di profitto derivante dalla vendita (profit upon alienation, che a sua volta proviene dalla concezione del capitale commerciale). (id. p. 283).

La condanna storica del modo di produzione capitalistico

Proseguendo nell'esame della legge della caduta tendenziale del saggio del profitto, Marx pone l'accento appunto sulla tendenzialità di tale legge, e in due capitoli della III sezione dimostra che contro di essa agiscono fattori antagonistici (aumento del grado di sfruttamento del lavoro, riduzione del salario al disotto del suo valore, diminuzione di prezzo degli elementi del capitale costante, sovrappopolazione relativa, commercio estero, accrescimento del capitale azionario) e che questi ne rallentano la caduta, altrimenti destinata ad essere ben più rapida: "E così si è visto, in generale, che le medesime cause che determinano la caduta del saggio del profitto, danno origine a forze antagonistiche che ostacolano rallentano e parzialmente paralizzano questa caduta. E se non fosse per quest'azione contrastante non sarebbe la caduta del saggio del profitto ad essere incomprensibile, ma al contrario la relativa lentezza di questa caduta. In tale modo la legge si riduce ad una semplice tendenza, la cui efficacia si manifesta in modo convincente solo in condizioni determinate e nel corso di lunghi periodi di tempo". (id., p. 293).

Ricordiamo ai teorici odierni dei salari legati alla produttività, della politica dei redditi, del salario "giusto", quanto dimostra Marx in questo passo essenziale: "La caduta tendenziale del saggio del profitto è collegata con un aumento tendenziale del saggio del plusvalore, ossia del grado di sfruttamento del lavoro. Nulla di più assurdo allora che spiegare la diminuzione del saggio del profitto con l'aumento del saggio dei salari, quantunque anche questo fatto possa presentarsi in via eccezionale [ha proprio ragione, il signor Wilson, di vantarsi di non aver mai letto il Capitale e di non cercare ispirazione nel cimitero di Highgatel!]. La statistica sarà in grado di intraprendere una vera analisi sul saggio dei salari per diverse epoche e per diversi paesi solo quando abbia compreso i rapporti che determinano il saggio del profitto. Esso diminuisce non perché il lavoro diviene meno produttivo, ma perché la sua produttività aumenta. L'aumento del saggio del plusvalore e la diminuzione del saggio del profitto non sono che forme particolari che costituiscono l'espressione capitalistica della crescente produttività del lavoro". (id., p. 294).

Ecco perché il mondo dell'economia, nonostante le montagne di statistiche elaborate e messe a disposizione degli "studiosi" da montagne di uffici-studi, appare sempre più incomprensibile ed oscuro ai capitalisti, e i loro teorici non possono né vogliono riconoscere la diagnosi di Marx, perché il riconoscerla significherebbe ammettere che il capitalismo è solo un modo di produzione storico, e come tale transitorio. La diretta riaffermazione della transitorietà del capitalismo, che equivale a un grido di lotta e di rivolta da parte delle masse sempre più sfruttate ed oppresse (noi giustamente dicemmo che il Capitale non è un libro di studio, ma un programma di battaglia), l'abbiamo nei passi che mettiamo a conclusione di questa prima parte: "D'altro lato, in quanto il saggio di valorizzazione del capitale complessivo, il saggio del profitto è lo stimolo della produzione capitalistica (come la valorizzazione del capitale ne costituisce l'unico scopo), la sua caduta rallenta la formazione di nuovi capitali indipendenti ed appare come una minaccia per lo sviluppo del processo capitalistico di produzione; favorisce infatti la sovrapproduzione, la speculazione, le crisi, un eccesso di capitale contemporaneamente ad un eccesso di popolazione. Gli economisti che, come Ricardo, considerano come assoluto il modo capitalistico di produzione, si rendono conto a questo punto che tale modo di produzione si crea esso stesso dei limiti, ed attribuiscono questi limiti non alla produzione ma alla natura (nella teoria della rendita). L'horror che essi provano di fronte alla tendenza a decrescere del saggio del profitto, è ispirato soprattutto dal fatto che il modo capitalistico di produzione trova nello sviluppo delle forze produttive un limite il quale non ha nulla a che vedere con la produzione della ricchezza come tale; e questo particolare limite attesta il carattere ristretto, semplicemente storico, passeggero del modo capitalistico di produzione; prova che esso non rappresenta affatto l'unico modo di produzione che possa produrre la ricchezza, ma al contrario, giunto a una certa fase, entra in conflitto con il suo stesso ulteriore sviluppo", (id., p. 297). E ancora: "Il limite del modo capitalistico di produzione si manifesta nei fatti seguenti: I) lo sviluppo della forza produttiva del lavoro, determinando la caduta del saggio del profitto, genera una legge che, ad un dato momento, si oppone inconciliabilmente al suo ulteriore sviluppo e che deve quindi di continuo essere superata per mezzo di crisi, II) L'estensione o la riduzione della produzione non viene decisa in base al rapporto fra la produzione e i bisogni sociali, i bisogni di un'umanità socialmente sviluppata, ma in base all'appropriazione del lavoro non pagato ed al rapporto fra questo lavoro non pagato ed il lavoro oggettivato in generale o, per usare un'espressione capitalistica, in base al profitto ed al rapporto fra questo profitto e il capitale impiegato, vale a dire in base al livello del saggio del profitto. Essa incontra quindi dei limiti ad un certo grado di sviluppo, che sembrerebbe viceversa assai inadeguato sotto l'altro punto di vista. Si arresta non quando i bisogni sono soddisfatti, ma quando la produzione e la realizzazione del profitto impongono questo arresto. ...Il saggio del profitto costituisce la forza motrice della produzione capitalistica; viene prodotto solo quello che può essere prodotto con profitto, e nella misura in cui tale profitto può essere ottenuto. Di qui l'angoscia degli economisti inglesi di fronte alla diminuzione del saggio del profitto. Il fatto che la sola possibilità allarma Ricardo, dimostra la sua profonda conoscenza delle condizioni della produzione capitalistica. Quello che è più significativo in lui è proprio quanto gli viene rimproverato, ossia di non dare alcuna importanza nel suo studio della produzione capitalistica agli 'uomini', per attenersi esclusivamente allo sviluppo delle forze produttive, per quanto grandi siano i sacrifici in uomini ed in valori-capitale che esso comporta. Lo sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale costituisce la missione storica e la ragione d'essere del capitale: é appunto mediante tale sviluppo che inconsciamente esso crea le condizioni materiali di una forma più elevata di produzione. Quello che inquieta Ricardo è che il saggio del profitto, forza motrice della produzione capitalistica, condizione e stimolo al tempo stesso dell'accumulazione, sia compromesso dallo sviluppo stesso della produzione. Ed il rapporto quantitativo è tutto qui. Ma vi è in realtà alla base del problema qualche cosa di più profondo che egli appena sospetta. Viene qui dimostrato in termini puramente economici, cioè dal punto di vista borghese, entro i limiti della comprensione capitalistica, dal punto di vista della produzione capitalistica stessa, che quest'ultima è limitata e relativa: che essa non costituisce un modo di produzione assoluto ma semplicemente storico, corrispondente ad una certa, limitata epoca di sviluppo delle condizioni materiali di produzione." (id., p. 315-16-17).

Questa vibrante maledizione di Marx al mondo della merce, del mercato, della concorrenza o emulazione competitiva, e la rivoluzionaria affermazione del suo carattere transitorio, noi, legati allo stesso filo, rivendicando oggi come allora gli stessi obiettivi, le riprendiamo, buttandole in faccia alla classe dominante.

La caduta tendenziale del saggio d'incremento della produzione

Nel lavoro di partito pubblicato via via sulla nostra stampa, abbiamo ampiamente dimostrato la soggiacenza dell'economia capitalistica alla legge marxista della caduta tendenziale dell'incremento relativo verificandola in base agli indici della produzione industriale. La ragione di tale riferimento, che non è arbitrario, va cercata nella necessità di basarsi su dati statistici universalmente accettati, onde evitare ogni accusa di utilizzazione di dati di comodo: i nostri dati, infatti, provengono generalmente dalle statistiche o dell'ONU o degli istituti di statistica dei diversi paesi in esame. Ora la differenza più apparente fra questi nostri studi e quanto si è visto più sopra, sta nel fatto che Marx, nella sua opera teorica, parla di caduta del saggio del profitto, mentre noi verifichiamo l'efficacia della stessa legge sui dati della produzione industriale. In realtà tale riferimento, nel reperire la tendenza alla decrescenza, è pienamente legittimo e risponde all'esigenza di servirsi di punti di riferimento costanti nella impossibilita di ottenere dati sicuri sulla composizione organica e sulle sue variazioni nell'ambito del capitale sociale complessivo.

Indichiamo con k' = c' + v' il capitale totale anticipato nell'anno 1 e con p' il plusvalore totale: supponendo che tutto questo plusvalore sia reinvestito invece di essere consumato dai capitalisti (il che evidentemente è un caso teorico estremo) il capitale totale anticipato nell'anno seguente diviene k" = c' + v' + p'; la parte variabile di questo capitale (rappresentata da v' al quale si è appena aggiunta una frazione di p') produrrà un nuovo plusvalore, p". Il tasso di profitto per questo secondo anno sarà quindi:

Consideriamo ora le cose sotto l'angolo materiale, e non più dal punto di vista dei valori. La produzione fisica dell'anno 1 può essere raffigurata mediante un indice (l'indice della produzione industriale fornito dai diversi uffici di statistica) che rappresenta lo stock di merci prodotte il cui valore corrisponde appunto a c' + v' + p'. Lo stesso ragionamento per l'anno successivo mostra che l'indice delle quantità fisiche corrisponde al valore k" + p", cioè c' + v' + p' + p". Ora, che cosa si chiama aumento relativo della produzione industriale? L'aumento bruto di un anno su un altro riferito all'anno di partenza; cioè, nel nostro esempio:

Paragonato con ciò che si è detto più sopra, si vede che ciò corrisponde (purché tutto il plusvalore sia capitalizzato e la composizione organica del capitale non cambi da un anno all'altro) a:

Pur non potendosi affermare che esiste identità perfetta fra l'evoluzione storica dell'aumento relativo della produzione industriale e quella del tasso di profitto, date le ipotesi semplificatrici che ci sono state necessarie, si può quindi dire che queste due grandezze sono legate fra di loro, e che l'evoluzione dell'una, che si può facilmente seguire grazie alle abbondanti statistiche di fonte borghese, informa sull'evoluzione dell'altra che la statistica borghese avvolge invece di mistero.

Ecco come, nel n. 17-1957 di Programma Comunista, precisavamo i limiti del riferimento alla sola produzione industriale: "La quantità del prodotto globale industriale non è quella essenziale in uno studio marxista, e per evidenti ragioni, di cui ricordiamo le principali, che risulteranno meglio esaminate nel seguito dello studio. Anzitutto la sola economia industriale è insufficiente allo studio di un modo storico di produzione, in quanto lascia da parte le vicende cronologiche della produzione delle derrate agrarie, che, quando considerata, leva squilli assai meno gloriosi di quelli della produzione dei manufatti, e specialmente ove sia messa in rapporto agli incrementi di popolazione. Questi dall'altro lato, anche per l'industria, andrebbero composti con quelli della produzione globale, formando le tabelle e le curve di indici non per tutto il prodotto, ma per il rapporto di esso alla popolazione dell'anno corrispondente.... Nella produzione industriale capitalista non vie ne nemmeno compresa quella della parte di economia agraria condotta come industria capita lista, ossia da affittuari imprenditori, ed in genere con lavoro in massa di salariati. Un tale criterio andrebbe a vantaggio dell'Inghilterra e anche dell'Italia, ove considerato. E darebbe un'idea maggiore dello sviluppo della forma borghese in molti paesi ultraoceanici.

"Inoltre, l'indice del gettito industriale di manufatti riunisce in sé in modo indistinto lavoro morto e lavoro vivente nel senso di Marx, ossia capitale che attraversa inerte la produzione e ricompare immutato, e capitale più consumo aggiunti ad esso nella produzione della forza lavoro, che a denti stretti da alcuni decenni gli economisti borghesi hanno cominciato a chiamare valore aggiunto, usurpando a fine di falsi la nostra terminologia. Questa confusione, che rimane intatta nella determinazione subdola del 'reddito pro-capite' come vi rimarrebbe nella determinazione di indici della produzione globale industriale ridotti a pari popolazione, serve a celare l'esistenza delle classi e il monopolio del lavoro morto, sia esso esercitato da una classe fisica o da uno Stato capitalista e gestore della forma mercantile aziendale, favoreggiatore di classi straniere o indigene".

Ciò detto, l'obiettivo che le nostre ricerche in questo campo hanno perseguito e perseguono, è chiaro: 1) Dimostrare, sulla scorta degli stessi dati statistici forniti dai borghesi, la piena validità della legge marxista della caduta tendenziale del saggio di profitto, in cui è implicita anche la condanna storica del capitalismo; 2) Smentire la tesi staliniana secondo cui il carattere socialista della struttura economica sovietica sarebbe dimostrato dagli alti e sempre crescenti ritmi di incremento della produzione in confronto a quelli che si registrano in Occidente provando, statistiche alla mano, che la stessa tendenza alla caduta dei tassi annui di incremento produttivo vige nell'URSS. Dalla tribuna del XX congresso Krusciov gridò che nel 1965, in forza appunto degli alti indici d'incremento della sua produzione, la Russia avrebbe raggiunto l'America. Sin d'allora noi predicemmo l'infondatezza di tale asserzione (e i fatti dovevano darci clamorosamente ragione) e accusammo i post-stalinisti di essere peggiori del loro padre spirituale, perché tutto puntavano sulla pretesa gara economica con l'Occidente capitalistico, mentre Stalin vedeva nei suoi sogni, peraltro deformi, l'armata rossa dell'URSS, economicamente ingigantita, dilagare nelle piaghe di un mondo borghese decadente e asfittico. Le previsioni di Stalin e di Krusciov non si sono avverate, né lo potevano; ed ora sia l'uno che l'altro blocco mondiale soggiace alla legge marxista dell'incremento decrescente, operante ad Est come ad Ovest in quanto unica è la radice economica delle due macchine produttive e statali che, come gendarmi della controrivoluzione, si dividono il controllo sul mondo. Unica sarà anche la crisi da cui, sempre in forza della fondamentale legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, il mondo della merce e del lavoro salariato sarà investito, ad Est e ad Ovest.

Riportiamo a questo proposito alcune citazioni degli studi apparsi in continuità sul nostro giornale in merito al corso delle economie capitalistiche sia in Occidente che in Oriente.

Programma Comunista n. 16-1957: "Si è cercata la prova della forma socialista nella pretesa maggiore produzione ottenuta in Russia, confondendo la massa bruta del prodotto col rapporto tra la quantità sociale ottenuta e lo sforzo sociale impegnato, e confondendo con questo concetto — la cui unità di misura marxista è una sola: il tempo; ossia nel capitalismo al lavoratore resta un quarto della sua giornata, nel socialismo una proporzione drasticamente maggiore, almeno del doppio, e ciò a pari 'produttività tecnica', che è un altro paio di maniche — il ritmo di aumento della produzione annua. Si affermò che in questo confronto la Russia batteva lo Occidente. A questa colossale menzogna base di tutta la propaganda staliniana e dei vari discendenti, rispondemmo anche negli scritti detti 'Dialogato con Stalin' e 'Dialogato coi morti' che era falso il fatto, e la sua spiegazione. Che il capitalismo in generale accelera rapidamente di anno in anno la sua produzione bruta quando è "giovane" quando esce da una guerra, specie se perduta, quando esca da un crisi, ed in generale quando ha l'agio di maciullare di più la forza operaia sotto la macchina salariale. Provato questo guardando verso est, si tratta di provarlo guardando verso ovest. L'avversario è diverso ma dice la stessa cosa: il modo di produzione capitalista è in grado di accrescere il benessere sociale illimitatamente, diminuendo lo sforzo medio, evitando le guerre e le crisi, e quella che da esse aspettiamo, la Rivoluzione."

Ancora da Programma Comunista n. 17-57: "L'apologia del preteso socialismo sovietico viene da decenni condotta sulla base del confronto tra gli indici di sviluppo della produzione industriale, diffondendo la tesi falsaria che con uno stesso termometro si possa misurare il calore vitale della forma borghese e di quella socialista, ossia sempre più affondando nella dottrina dell'emulazione concorrente tra Stati e 'sistemi'."

"La stessa verifica della 'velocità nella corsa alla produzione' viene dagli opportunisti applicata alle economie dei diversi paesi per dimostrare che questa gara è vinta dalla moderna Russia, e che di conseguenza, la sua struttura economica è socialista. Partendo dalla dimostrazione che un simile verdetto del giudice di arrivo è contestabile per falsità palese, noi vogliamo giungere a ricordare ai proletari che la velocità folle della corsa al produrre non è che la massima delle vergogne del sistema borghese, e insieme la massima prova scientifica della sua necessaria fine storica, e che questa corsa non sarà accelerata, ma spezzata e frenata, dalla vittoria della rivoluzione socialista".

Nella univocità della corsa al produrre, possiamo riconoscere come sia unica l'anima capitalista dei due pretesi blocchi contrapposti.

Nel corso degli anni dal '57 in poi, dimostrammo per i quattro maggiori paesi occidentali (Inghilterra, Francia, Germania, USA), a partire dal 1859, la validità dell'incremento relativo storicamente decrescente e fornendo per la sola Russia un prospetto con partenza dal 1913, il ripetersi dell'analoga legge di decrescenza. Fornimmo poi un altro prospetto raggruppante non più -1 ma 7 paesi (oltre ai quattro sopraccitati, Russia, Giappone ed Italia),e potemmo dimostrare che nel periodo postbellico il ritmo di incremento russo poneva l'industrialismo dell'URSS al solo 8° posto dietro le borghesi Germania e Giappone, smentendo la prova staliniana del carattere socialista della produzione, a meno di voler assegnare un "contenuto" socialista all'economia giapponese o tedesca! Tali riprove ci permettevano di affermare con vigore dinanzi al proletariato mondiale, nello stesso tempo il carattere capitalistico dell'URSS e la soggiacenza del capitalismo mondiale alla legge di decrescenza dell'incremento relativo: legge che, nel concludere il nostro studio, verificammo per il complesso dell'economia capitalistica mondiale. Ripartendo il periodo studiato in quattro cicli della durata rispettiva di 33, 21, 16, 27 anni ottenemmo l'indice medio rispettivamente di 4,9; 5,1; 2,4; 4,1. Questo indice è ancora discontinuo e solo tendenzialmente decrescente, perché in esso agisce come potente freno alla caduta lo sviluppo tumultuoso del capitalismo in Russia. La tendenza alla decrescenza si afferma invece in modo inequivocabile se dividiamo il periodo 1859-1956 in due lunghi cicli di 54 e 43 anni, che danno i due indici di 5 e 3,5 per tutto il mondo.

Così noi commentavamo tali dati: "Nessuna gloriosa industrializzazione è offesa quando le scopriamo nella sua corsa in avanti la legge inesorabile del decrescente incremento, propria di ogni crescenza fisica ed organica". Tale era ed è la nostra veemente affermazione del carattere "fisiologico" della legge di cui gli stalinisti credevano di aver dato una smentita e che sono stati invece costretti a subire. Programma Comunista, n. 23-1957 "La decrescenza dell'incremento relativo è del resto propria di ogni fenomeno di sviluppo nella natura, e non solo negli esseri organici. Nelle esposizioni orali fu preso l'esempio di una sfera che si ingrossi attorno al suo centro di uno strato di uguale spessore in uguale unità di tempo, come in una metallizzazione galvanica o simile. Dal raggio uno al raggio due al raggio tre. le superfici della sfera divengono uno, quattro, nove, ed i volumi uno, otto, ventisette... La sfera quindi cresce. E in ogni tempo la sua crescita bruta è sempre maggiore; basta fare le sottrazioni: sette, diciannove, trentasette... Ma l'aumento relativo è altra cosa, ossia è l'aumento bruto diviso per il volume (o la massa) precedente. Se faccio i rapporti della nuova serie sette diviso uno; diciannove diviso otto; trentasette diviso ventisette, ecco una bella serie indietreggiarne, che scrivo in cifre decimali: 7,00; 2,38; 1,47; 0,95... La sfera ingrossa? Certo. Il suo peso ad ogni ora che passa aumenta di una maggiore quantità di metallo? Certo. Ma l'incremento percentuale va diminuendo senza posa dal settecento per cento della prima ora al novantacinque per cento della quarta… Pretendendo che la loro industria si gonfiasse violando questa legge i russi hanno detta una prima buaggine; pretendendo che questo sia il sintomo del passaggio dal capitalismo al socialismo, una seconda ancora più scema; e dopo tanto assumono che sono esponenti di un progresso enorme della cultura delle masse! L'incremento della produzione esplode una volta sola nella storia; quando la produzione parcellare cede il posto a quella aziendale di massa. Poi inesorabilmente va rinculando. Quando sorgerà la produzione socialista esploderà invece la riduzione delle ore quotidiane di lavoro, ed il volume di prodotto si fermerà nella moderna follia dei suo aumento."

Come risulta dalla citazione l'errore dei russi era doppio. Non solo essi pretendevano di aver smentito la legge dell'incremento decrescente, ma sostituivano ad essa una visione gradualista, riformista, antirivoluzionaria, del passaggio dal capitalismo al socialismo. Essi negavano un punto saldo del marxismo: il catastrofismo rivoluzionario. Essi accettavano il "confronto", l'imbelle teoria dei modelli; riaccettavano tutto il ciarpame riformista che la III Internazionale, rompendo violentemente col riformismo socialdemocratico, aveva combattuto; fornivano quindi una prova ulteriore di avere abbandonato le trincee della rivoluzione; di sognare come eterno, progressivo, illimitato, il sistema sociale che parlava attraverso le loro bocche, e di condividere lo stesso horror dei capitalisti inglesi del tempo di Marx di fronte all'abbassarsi del saggio del profitto. Abbandonavano il catastrofismo e la teoria delle crisi che noi abbiamo sempre rivendicati come cardinali in tutto il marxismo, e le cui radici non sono da ricercare in un nostro "pallino" teorico, ma nel carattere stesso della produzione capitalistica, come la vediamo delineata dalle parole di Marx (sempre nella III sez. del III libro): "Il guadagnare questo plusvalore costituisce il processo di produzione immediato che, come si è già detto, non ha altri limiti oltre quelli sopra menzionati. Il plusvalore è prodotto non appena il pluslavoro che è possibile estorcere si trova oggettivato nelle merci. Ma con questa produzione del plusvalore si chiude solo il primo atto del processo di produzione capitalistico, la produzione immediata. Il capitale ha assimilato una quantità determinata di lavoro non pagato. Contemporaneamente allo sviluppo del processo, che si esprime in una diminuzione del saggio del profitto, la massa di plusvalore così prodotta si gonfia all'infinito. Comincia ora il secondo atto del processo. La massa complessiva delle merci il prodotto complessivo, tanto la parte che rappresenta il capitale costante e variabile, come quella che rappresenta il plusvalore, deve essere venduta. Qualora questa vendita non abbia luogo, o avvenga solo in parte oppure a prezzi inferiori a quelli di produzione lo sfruttamento dell'operaio, che esiste in ogni caso, non si tramuta in un profitto per il capitalista e può dar luogo ad una realizzazione nulla o parziale del plusvalore estorto, ed anche a una perdita parziale o totale del suo capitale". (Capitale, luogo cit. Pag-299-300)

I limiti della dannazione produttiva del capitale

La dannazione produttiva del capitale cozza con violenza contro i limiti del mercato. Il plusvalore deve essere realizzato sul mercato. A questo varco attendiamo il capitale turgido di merci fino a scoppiarne e lo attenderemo per vibrargli il colpo decisivo. Di fronte a un capitalismo giunto alla sua fase estrema, compito del partito non è di soggiacere all'ideologia produttivistica, ma di tagliare violentemente nelle radici materiali di essa. Noi rivendicammo il completo programma marxista anche per la parte "immediata", della sua realizzazione ad opera della dittatura proletaria vittoriosa in più paesi, il cui compito non può essere oggi di accettare il produttivismo o di vantarsi degli alti incrementi della produzione ma di tagliare drasticamente proprio in essa eliminando branche produttive inutili e nocive fonti di sciupio sociale; aumentando i costi di produzione; diminuendo le ore di lavoro; disinvestendo dall'industria; controllando i consumi; esercitando un controllo dittatoriale sui mezzi di comunicazione di massa: agendo cioè, in senso inverso a quello che si fa oggi nell'URSS vantata socialista.

Se, come abbiamo visto la caduta tendenziale del saggio di profitto e dell'incremento relativo della produzione industriale è legge insopprimibile del sistema produttivo attuale, e conseguenza dell'aumentata composizione organica del capitale, dell'asservimento della scienza e della tecnica agli imperativi della macchina produttiva, se tale tendenza batte alle porte del capitale, la sua reazione sarà di cercar di aumentare, la massa del profitto aumentando la massa delle merci prodotte; sarà di inondare tutto il mondo con le sue merci. Il capitale cercherà di reagire alla caduta del suo fuoco vivificatore aumentando lo sfruttamento proletario (aumento del plusvalore relativo), e asservendo vieppiù a sé stesso scienza e tecnica per accrescere ulteriormente la produttività del lavoro; ma, in tal modo, egli potrà solo dare energia alla tendenza naturale all'aumento del rapporto c/v e quindi si ritroverà di fronte agli stessi problemi su scala più vasta. Tale sbocco è presente alla stessa coscienza dei capitalisti, seppure in modo distorto; essi scrivono e dicono che per ogni nuovo posto di lavoro da essi creato (!) sono sempre maggiori gli investimenti di capitale necessario; e lo sono quanto più moderno ed avanzato è il ramo produttivo o la nazione cui si riferiscono. Riconoscono quindi essi stessi la tendenza al dominio del capitale morto all'aumento della produttività del lavoro, alla diffusione necessaria del capitalismo in tutto il mondo. E' da queste radici che si origina la vitalità del capitale, la sua spinta grandiosa, l'imperativo categorico che gli ordina di produrre, e a cui sta dietro come ineluttabile termine del circolo la necessità di vendere.

Ecco allora sorgere la politica di potenza, il minaccioso imperialismo, il totalitarismo statale la spartizione del mondo, le crisi, le guerre. I caratteri economici dell'imperialismo non sono delle novità; esse rappresentano l'estensione parossistica dei caratteri del capitalismo classico; sono insiti nello sviluppo del modo di produzione capitalistico; sono le risorse del capitalismo per prolungare la propria vita nell'atto in cui le sue contraddizioni divengono sempre più esplosive sempre più incontrollabili, ed ogni crisi, ogni perturbamento mette in discussione la stessa esistenza del sistema.

Ecco come noi descrivevamo il fenomeno. Programma Comunista, n. 17-1957: "La dottrina delle crisi è già in Marx ed egli ravvisò in esse un periodo decennale (gli anni da lui studiati sono all'incirca 1846, 1856, 1866 e ciò sarà esposto in seguito) ma queste crisi del giovane capitalismo sono di incidenza assai minore e hanno più carattere di crisi del commercio internazionale che della macchina industriale. Esse non intaccano la potenzialità della struttura industriale, che oggi si chiama capacita produttiva, e che è il limite della produzione globale se tutti gli impianti esistenti funzionassero in pieno. Quelle erano crisi di 'chômage' ossia di chiusura, serrata, delle industrie; queste moderne, crisi di disgregazione di tutto il sistema, che deve dopo faticosamente ricostruire le sue ossature avariate" Lenin intitolò un capitolo conclusivo dell' Imperialismo proprio a questo suo carattere: "Parassitismo e putrefazione del capitalismo". Qui troviamo il legame perfetto tra l'oggi e l'ieri, l'identità di posizioni e di programma e quindi l'identità di azione del partito.

Nella fase imperialistica, tutte le contraddizioni del capitalismo si presentano collegate, formando un inestricabile nodo gordiano. Hic Rhodus hic salta. L'imperialismo, nella sua realtà economica e politica, nega con la sua semplice esistenza ogni rivendicazione spuria e riformista e ripropone in tutta la sua evidenza il vigore della teoria e dell'azione marxista viventi nel Partito Comunista internazionale.

Oggi il capitalismo, concluso l'affare della II guerra mondiale, vede richiudersi le sue valvole di sfogo. Si afferma la necessità di dominare ferreamente la spartizione del mondo contro chi la rimette in discussione; si martirizzano i popoli che lottano per l'indipendenza nazionale; mentre 1'antimperialismo piccoloborghese, filorusso o filocinese, che costituisce solo "la buona coscienza" dell'imperialismo reale, dà fondo alle sue batterie pacifiste, democratiche e umanitarie. Se un problema oggi esiste, è quello della rivoluzione comunista in tutto il mondo. Noi non chiudiamo gli occhi di fronte al Vietnam o al Medio Oriente (e constatiamo la ridicola impotenza del pacifismo antimperialista di fronte a queste tragedie infami), al martirio dei popoli ex coloniali all'oppressione economica e militare del cosiddetto Terzo Mondo ma ripetiamo che l'unico vero reale, compito immediato è di lottare per la ricostruzione del partito proletario comunista rivoluzionario in tutto il mondo; unico modo per risolvere, annientando 1'imperialismo, i problemi da esso suscitati. Solo la dittatura rossa nei paesi sviluppati potrà risolvere le questioni nazionali che, imputridiscono sotto il dominio imperialistico. Non vi sono più obiettivi intermedi, riforme da raggiungere, compagni di compagni di strada con cui viaggiare, azioni comuni da condurre; c'è da porre sul piano della storia, come esigenza collettiva, l'avvento su tutto il pianeta di una forma sociale superiore: il comunismo.

Da "il programma comunista" n. 13, del 13-27 luglio 1967.

Copertina Scienza economica marxista
Scienza economica marxista come programma rivoluzionario

Quaderni di n+1 dall'archivio storico.

Una importante relazione del Partito Comunista Internazionale sulle "questioni fondamentali dell'economia marxista" nella quale si indaga intorno alla teoria della dissipazione capitalistica.

Indice del volume

Indice de Il programma Comunista - 1967