Sulla via del "partito compatto e potente" di domani - I

Se sarebbe un errore ritenere che il partito, essendo in possesso fin dalla nascita di un patrimonio completo ed omogeneo di posizioni teoriche e programmatiche e di indirizzi tattici, abbia con ciò non solo tutto il necessario (il che è vero), ma anche il sufficiente per non mancare allo storico "appuntamento" con il movimento reale quando esso esploda sotto la spinta di determinazioni materiali, lo è altrettanto e forse più credere che non si possa parlare di partito in senso stretto, se non quando (e perciò non oggi) il movimento reale abbia polarizzato intorno ad esso un numero consistente di proletari e, soprattutto, abbia fatto convergere sostanzialmente sulla sua piattaforma teorica e programmatica, difesa e propagandata contro corrente, un insieme di forze tuttavie partite da posizioni diverse e perfino discordanti.

Il primo è un errore di origine meccanicista e fatalista, il secondo è un errore di origine idealista e spontaneista. Quello paralizza gli sforzi del partito per divenire, come fattore e non soltanto prodotto della storia, quel "partito compatto e potente" che non è nè può essere al suo atto di nascita; questo affida a un domani indipendente da noi se non in quanto "portatori di luce nelle tenebre", e legato a fattori imponderabili, la nascita stessa del partito. L'uno e l'altro concorrono nel privare la classe dell'organo destinato a guidarla sulla via della conquista del potere, e postosi in grado di farlo alla sola condizione di avere non solo rivendicato ma svolto - per quanto era in suo potere - anche nei periodi più sterili e negativi, tutte le attività proprie del partito rivoluzionario di classe nei periodi più favorevoli e fecondi. L'uno e l'altro non sono pure "deviazioni" dalle nostre "tesi caratteristiche"; significano il passaggio ad altre tesi, l'adozione di una rotta diversa. E poiché alla critica del primo errore abbiamo già dedicato largo spazio in anni recenti, e ci preme di controbattere il secondo come il più insidioso, non crediamo di poterlo fare meglio che risalendo alle origini lontane e vicine della nostra costituzione in partito.

La "Lettera a Korsch"

Nel novembre 1926, Amadeo Bordiga risponde all'invito giuntogli da Karl Korsch, a nome di una piccola e neo-costituita corrente "di sinistra" nel Partito Comunista di Germania, di prendere la testa di un'opposizione internazionale allo stalinismo in seno al Comintern. Non ci interessa qui, della lettera, né il giudizio sull'Opposizione Unificata in Russia - tema che abbiamo già trattato in altra sede -, né quello sulle prospettive di lotta nelle file della Internazionale Comunista (ritenute allora più favorevoli, a lunga se non a breve scadenza, di quanto non dovessero rivelarsi). Ci interessa il modo di porre la questione delle condizioni necessarie alla genesi di una corrente di opposizione intesa sia come possibile strumento di rigenerazione del Comintern, sia come eventuale embrione della nuova Internazionale, o del partito di classe su scala mondiale, in futuro.

L'invito giunge alla nostra corrente non da un'ala qualsiasi del movimento operaio europeo - poniamo dal consiglismo dei Gorter e dei Pannekoek, o dall'anarcosindacalismo dei Rosmer e dei Souvarine, cioè da gruppi solo contingentemente avvicinatisi all'Internazionale nel 1919-1921 ma rimasti più o meno a lungo nel suo seno come corpi irriducibilmente estranei, e neppure dal vespaio di eclettica e saltuaria "contestazione", alternativamente di "sinistra" e di destra a seconda del volgere degli eventi, dei Maslow e Fischer. Gli giunge - e quindi rende insieme necessaria e possibile una risposta - dalla sola corrente che nell'Internazionale abbia espresso sul piano tattico, in quella congiuntura, posizioni analoghe a quelle costantemente proclamate e difese dalla sinistra del PCd'I nei grandi dibattiti a Mosca, e che, dunque, si trovi a convergere su una piattaforma tendenzialmente affine sia per l'appartenenza ad una comune matrice teorica, sia per la maturazione di orientamenti tattici simili. Esclude Bordiga nella sua risposta che, in teoria, una convergenza delle due correnti a un certo stadio sia possibile? No. Ritiene sufficiente questa possibilità per non giudicare prematura - in linea di principio e in linea di fatto - la nascita di una non fittizia, non episodica, non asfittica opposizione internazionale di sinistra? A maggior ragione, no. E non perché il corso del movimento non la renderebbe augurabile (lo scambio epistolare coincide con l'estrema battaglia dell'Opposizione Unificata in Russia, alla quale, malgrado ogni divergenza sull'indirizzo e sul modo di conduzione dell'Internazionale, dev'essere dato tutto l'appoggio dei rivoluzionari marxisti), ma perché, se un insegnamento (o, per noi, una conferma) si deve trarre dal breve ciclo di vita della III Internazionale, è che non si costruisce il partito mondiale unico della rivoluzione proletaria sulla fragile base di "un 'blocco di opposizioni' locali e nazionali", soltanto avvicinate dalla"suggestione di una situazione oggettiva": lo si costruisce, o si può ricostruirlo, solo ponendosi come obiettivo prioritario e inderogabile - anche a costo di andare in senso inverso al "movimento reale" nelle sue manifestazioni immediate - "la costruzione di una linea di sinistra veramente generale e non occasionale, che si ricolleghi a se stessa attraverso fasi e sviluppi di situazioni distanti nel tempo e diverse, fronteggiandole tutte sul buon terreno rivoluzionario", senza per questo "ignorarne i caratteri distintivi oggettivi". E a tanto si può pervenire - come aveva fatto Lenin di fronte al crollo della II Internazionale, e come si era sforzata di fare, in un ambito, certo, più modesto, la nostra corrente - solo ristabilendo nella loro integralità i cardini della dottrina marxista e poggiando sulla loro base il bilancio del movimento operaio nelle sue alternanze di avanzate e rinculi, fino alle sue manifestazioni più recenti e, nella loro immediatezza, più drammatiche.

L'adesione di partiti o tronconi di partiti già socialisti all'Internazionale di Mosca nel 1919-1921 era avvenuta a rimorchio del movimento oggettivo anziché come frutto dell'elaborazione "spontanea", in risposta ad esso e con buon anticipo, di "una linea di sinistra generale e non occasionale", e il tentativo di Lenin di "raggruppare materialmente, e poi dopo soltanto fondere omogeneamente i vari gruppi al calore della rivoluzione russa" per colmare il vuoto esistente fra le spinte oggettive del primo dopoguerra e il loro inquadramento "soggettivo" nel Partito comunista mondiale unico, era "in gran parte" fallito.

Nel 1926, spentosi il "calore" dell'Ottobre, il primo dovere di chi si poneva sinceramente il problema di opporre un'argine internazionale di sinistra allo stalinismo, non escludendo (ma neppure affermando a priori con la precipitosa impazienza dei "creatori" di partito a tavolino) che sulla sua base potesse rinascere l'Internazionale, era di fare esattamente ciò che l'enorme maggioranza dei partiti o gruppi o frazioni accorsi a Mosca sei o sette anni prima per battere alla porta del Comintern non avevano fatto nei confronti del loro passato, e di cui il ciclo storico in via di esaurirsi forniva, a condizione di ripercorrerlo fino alle origini, i presupposti: aveva cioè il dovere di partire non da valutazioni immediate della situazione contingente per derivarne l'indicazione di una linea anch'essa forzatamente occasionale, ma, proprio all'opposto, di dedurre una linea per ciò stesso non occasionale da un bilancio critico generale del movimento operaio e, nel suo ambito, delle "deficienze - non teoriche ma tattiche, organizzative, disciplinari - che avevano fatto la Terza Internazionale ancora suscettibile di pericoli degenerativi", e che andavano esponendo a pericoli analoghi e sempre più minacciosi la stessa dittatura proletaria in Russia.

A questo "lavoro di elaborazione "spontaneo", cioè non bloccato da preventive operazioni di "raggruppamento materiale" di forze eterogenee, e svolto sulla base di un bilancio globale del passato, la nostra corrente invitava non il "movimento in generale" non qualunque opposizione genericamente di sinistra nel suo seno, ma le sole correnti in seno alla III Internazionale che il nodo cruciale del 1926-1927 sembrava avvicinare nella prospettiva di qualcosa di ben più serio, profondo e radicale, del comun denominatore negativo dell'opposizione allo stalinismo. Facesse ognuno il proprio dovere in questo senso e su questo piano dando il suo contributo non solo di formulazioni teoriche, ma di esperienze vissute nella propria area storico-geografica, alla miglior soluzione dei problemi di indirizzo generale rimasti insoluti: solo il punto di approdo di un simile lavoro avrebbe deciso della possibilità o meno che dal travaglio di anni sciagurati nascesse un nuovo organismo dotato del requisito essenziale della cui mancanza aveva sofferto l'Internazionale Comunista - l'omogeneità di origine, di indirizzo, di organizzazione; quindi, la continuità di azione nel tempo e nello spazio.

Ma, posti così - non volontaristicamente, ma in modo rigorosamente deterministico - i termini del problema, erano anche poste le premesse di una selezione inevitabile: se nel 1926 Bordiga non oppone rifiuti aprioristici all'invito del militante Korsch, ma guarda con fermo e non dissimulato distacco alla possibilità di un incontro con la sua corrente, è nella sicura previsione che, sulle basi attuali, le forze di opposizione allo stalinismo seguiranno il corso segnato dai loro presupposti storici e dottrinari: l'opposizione trotskista, sostenendo una coraggiosa battaglia di retroguardia, ma non riuscendo a svincolarsi dal grosso dell'esercito in rotta fino a poter "rigettare chiaramente gli elementi dissolventi della tattica "manovristica" falsamente definita come bolscevica e leninista" (come dirà nel 1946 il nostro Tracciato d'impostazione ); l'esile e meteorica opposizione tedesca, ripetendo le fatali oscillazioni da un polo all'altro, e viceversa, che erano state fin dalle origini proprie del contingentismo immediatista del KPD, e concludendo la sua accidentata parabola in seno a madre chiesa democratica. Nessuna delle due, nel tentativo di rispondere al quesito 1926 (ma destinato a pesare sui decenni successivi): "Dove va la Russia?", si spingerà oltre la formula dello Stato operaio degenerato l'una, dell'apparato dittatoriale di potere corrispondente alla "natura borghese" della rivoluzione d'Ottobre, l'altra, con tutte le conseguenze sul piano strategico e tattico che in ambo i casi dovevano ineluttabilmente discenderne; Luna e l'altra, benché in vario modo, seguiranno il movimento reale nel suo ciclo di riflusso, invece di affermarsi come la sua coscienza critica, e così prepararsi a prenderne la guida nel ciclo, per lontano che fosse, della sua ripresa.

È a questa coscienza critica integrale che la nostra corrente è potuta giungere nel corso della sua storia (di cui è parte integrante, pur nei suoi limiti oggettivi, e lo vedremo, la "Frazione di sinistra all'estero") in forza della continuità della sua battaglia in difesa di una "linea veramente generale e non occasionale" e dell'applicazione rigorosa del metodo marxista all'analisi della controrivoluzione in Russia e nel mondo. È per esservi giunta che ha potuto (in quali condizioni e in base a quali presupposti lo si vedrà: non certo, lo diciamo subito, sull'onda di un movimento reale di classe in ascesa; anzi precedendolo di lunga mano) costituirsi in coscienza critica organizzata, in milizia operante, in Partito, venticinque anni dopo. È con il blocco unitario di posizioni teoriche, programmatiche e tattiche, ricostituito dal piccolo, "microscopico" partito del 1951-1952 o di oggi, e nelle sue file, che si tratta di proseguire nel compito di "preparare il vero partito, sano ed efficiente al tempo stesso, per il periodo storico in cui le infamie del tessuto sociale contemporaneo faranno ritornare le masse insorgenti all'avanguardia della storia" (preparazione che non sarà mai possibile ponendosi sul piano dei due postulati erronei dai quali abbiamo preso le mosse), il partito "compatto e potente, organo indispensabile della rivoluzione" che ancora non siamo. A quella condizione, o in nessun modo.

(1 - continua)

Note

[1] Cfr. La crise de 1926 dans le P. C. russe et l'Internationale, in "Programme Communiste". nr. 68, ott. dic. 1975. pp. 27 sgg.

[2] Il tentativo poggiava su condizioni materiali oggettive; non era dunque, in sé (come si pretende da molte parti) volontaristico, tanto è vero che da quelle condizioni materiali non poté prescindere neppure la scissione di Livorno. Fu nel non avergli fissato un limite il più possibile rigoroso il germe di successivi cedimenti - come fin dal 1920 avevamo previsto.

[3] Tracciato d'impostazione - I fondamenti del comunismo rivoluzionario, Reprint II Programma comunista, 1969. p. 8.

[4] Tesi supplementari sul compito storico, l'azione e la struttura del partito comunista mondiale, 1966. Ora in In difesa della continuità del programma comunista, ediz. Il Programma comunista. 1970. p. 183.

Da "Il programma comunista" n. 18, 1 ottobre 1977.

Indice de Il programma comunista - 1977