Sulla via del "partito compatto e potente" di domani - III

"Questo è un momento di depressione massima della curva del potenziale rivoluzionario", fu scritto senza fame mistero in quegli anni a cavallo fra il 1951 e il 1952 dai quali propriamente data la nostra costituzione in partito, "e quindi è lontano mezzi secoli da quelli adatti al parto di originali teorie storiche. In tale momento privo di vicine prospettive di un grande sommovimento sociale, non solo è un dato logico della situazione la politica disgregazione della classe proletaria mondiale, ma è logico che siano gruppi piccoli a saper mantenere il filo conduttore storico del grande corso rivoluzionario, teso come grande arco tra due rivoluzioni sociali, ALLA CONDIZIONE che tali gruppi mostrino di nulla voler diffondere di originale e di restare strettamente attaccati alle formulazioni tradizionali del marxismo", della cui teoria e della cui previsione "tutti i grandi ultimi eventi", per quanto rovinosi, "sono altrettante recise e integrali conferme". .

Una polemica su due fronti

La polemica non era diretta soltanto contro chi tendeva a "diffamare e disertare il lavoro dottrinale e la restaurazione teorica, necessaria oggi come lo fu per Lenin nel 1914-1918, assumendo che la vita e la lotta sono tutto" per "sostituire alla immensa ricerca storica dei rari momenti e punti cruciali su cui fare leva, uno scapigliato volontarismo, che è poi il peggiore e crasso adattamento allo status quo e alle sue immediate e misere prospettive". La polemica - per noi essenziale - contro "la falsa risorsa dell'attivismo" era diretta nello stesso tempo contro chi pretendeva (e, da allora, quanti non hanno preteso e non pretendono!) di trarre dalla situazione immediata del movimento avvolto nella spirale della controrivoluzione "idee" e "teorie" innovatrici a complemento o rimedio di pretese carenze del marxismo, e non già conferme ma smentite delle conquiste luminose di interi decenni di splendida ascesa, come se un periodo controrivoluzionario potesse mai partorire dal suo seno altro che idee e teorie controrivoluzionarie, e come se a questa sorte oggettiva, perché materialisticamente determinata (nessuna controrivoluzione smentirà mai se stessa!), fosse dato sottrarsi altrimenti che riallacciandosi al filone storico della dottrina non mutilata né comunque adulterata e, con essa, al patrimonio di esperienze/conferme trasmesse dalle epoche più feconde della storia. Era a questo patrimonio - non ad una "particolare teoria" tirata fuori dal cappello - che bisognava rifarsi, per attingerne "la ripresentazione della visione marxista integrale della storia e del suo procedere, delle rivoluzioni che si sono succedute finora, dei caratteri di quella che si prepara e che vedrà il proletariato moderno rovesciare il capitalismo e attuare forme sociali nuove" , e per proiettarla in un futuro previsto come certo nell'atto stesso in cui il movimento gli volgeva, nella sua immediatezza, le spalle. Immediatismo dell'azione da un lato, immediatismo del pensiero dall'altro, entrambi distruttori dei presupposti soggettivi della ripresa rivoluzionaria perché negatori del compito che, dal Manifesto del 1848, i comunisti sanno essere loro proprio: quello di "rappresentare nel presente [che, nella contingenza, può essere il più ferocemente controrivoluzionario] l'avvenire del movimento": erano questi i due poli di un medesimo vicolo cieco dai quali era, come è sempre, necessario guardarsi.

Il compito che così ci si prefisse, "lungo e difficile" perché svolgentesi in un rapporto di forze della situazione mondiale che si sapeva non si sarebbe capovolto "prima di decenni", non fu né poteva essere affidato a nessun "raggruppamento di sapienti e di illuminati" , né si decretò, anzi si decretò il contrario, che ad esso doveva e poteva ridursi il Partito rinato sulle sue fondamenta indiscusse e, proprio perché non legato alla contingenza dell'anno x, indiscutibile.

Per il marxismo, come non esistono diaframmi fra rivoluzione e controrivoluzione, così non ne esistono fra teoria e prassi; se è vero che, in dati svolti della storia, la difesa della prima prevale sull'esercizio della seconda, essa tuttavia non l'annulla, anzi, per modesta che essa sia nell'immediato, se ne nutre (se calassimo "una barriera fra teoria e azione pratica, oltre un certo limite distruggeremmo noi stessi e tutte le nostre basi di principio" così come, d'altra parte, nelle grandi situazioni storiche in cui la seconda predomina necessariamente sulla prima, il compito della difesa e dell'affinamento del patrimonio dottrinale del partito non solo non cessa, ma, nel risalire alle massime questioni di principio per illuminare con esse le questioni strategiche e tattiche urgenti, attinge vertici ineguagliati come "Stato e rivoluzione" alla vigilia di Ottobre, "Il rinnegato Kautsky" e "Terrorismo e comunismo" in piena guerra civile, o la serie "Partito e classe", "Partito e azione di classe" e "Il principio democratico" nel primo e pugnace anno di vita del PCd'I. Ma questa difesa, in cui si condensa e si rafforza la "coscienza della classe", non si realizza né nelle scatole craniche di soggetti pensanti, per geniali che siano, né in gruppi generosi ma amorfi di audaci; si realizza entro "un tessuto ed un sistema, che nel seno della classe ha organicamente la funzione di esplicarne il compito rivoluzionario in tutti i suoi aspetti e in tutte le complesse fasi" della storia ; e questo tessuto è e può essere soltanto il partito, milizia operante, teoria e volontà della rivoluzione anche quando la rivoluzione è lontana e si tratta di prepararne, se non l'avvento, certo lo sbocco risolutivo, impossibile senza un organo -guida forgiatosi in una lunga e tormentata vigilia.

Come dunque si rivendicò l'esigenza primaria della ricostruzione della teoria in quanto possesso esclusivo ed arma indispensabile dell'avanguardia proletaria organizzata, così si respinse la concezione del tutto idealistica del "gruppo di lavoro", del cenacolo di studiosi, della setta di vestali della dottrina chiuse nella loro rocca in attesa d'essere chiamate in scena dal movimento in ripresa ; insomma, dell'"élite": si pose, anzi, a quello che non certo per amor di etichetta o per stupido volontarismo si chiamò il partito questa precisa direttiva (e clausola condizionante l'adesione ad esso): "gli eventi, non la volontà o la decisione degli uomini, determinano il settore di penetrazione delle grandi masse, limitandolo ad un piccolo angolo dell'attività complessiva. Tuttavia, il partito non perde occasione per entrare in ogni frattura, in ogni spiraglio, ben sapendo che non si avrà la ripresa se non [il lettore non dimentichi questo "se non"] dopo che questo settore si sarà grandemente ampliato e divenuto dominante" . È la piena consapevolezza di doversi conquistare un'influenza (che possiede solo potenzialmente) nella classe, e l'impegno messo nel lavoro diretto a questo scopo partecipando attivamente alle lotte e alle forme di vita associativa della classe, non solo propagandando il suo programma, che definisce come partito anche un piccolissimo numero di militanti, e che lo definì come tale fin da allora.

La stessa ricostruzione teorica non avvenne, d'altronde, seguendo gli schemi scolastici e nello spirito di un istituto superiore di filosofia teoretica e di fisica pura: si svolse sul filo e in base alle esigenze di uno scontro polemico con i fatti, le correnti, le teorizzazioni che via via si presentavano sulla scena sociale e politica e nella sovrastruttura culturale; fu una battaglia incessante con quell'"arma della critica" che è il preludio necessario della "critica delle armi" nei tempi sordi e ottusi in cui essa non è e non può essere all'ordine del giorno; fu uno sforzo costante di riannodare il "filo del tempo" dall'oggi allo ieri per orientarsi nel domani; non fu né volle mai essere speculazione gratuita, hobby, meno che mai arida scuoletta. Non si trattò di rifugiarsi dal presente nel regno delle Idee, ma di battersi contro il presente con le sole armi concesse dalla congiuntura storica, demolendo le "Idee" fermentate dal suo putrido terreno; e di farlo sulla base di una continuità non solo programmatica, ma fisica, all'interno di un organismo che proprio perché cementato dal vincolo di generazioni di militanti legati ad una tradizione non interrotta di battaglie era il solo in grado di trasmettere alle "giovani leve" la forza, non la forma vuota di contenuto, di un secolo di guerre di classe.

Nucleo, certamente, ma partito

"Nucleo di partito"? Certo, se lo riferiamo al partito "compatto e potente di domani"; ma partito, e destinato a crescere solo su proprie basi nello scontro e non nel "confronto" neppure con gli apparenti "affini", perché erede non di un "patrimonio culturale" ma di una milizia che è tale perché non cambia a seconda del vento né le sue armi, né la loro direzione, e procura, semmai, di affilare le prime e di rendere più netta e visibile la seconda alla dura scuola della storia - la storia delle rivoluzioni non meno che delle controrivoluzioni. Quando, nel 1949, allorché si era già cominciato a gettare le basi teoriche e programmatiche del Partito, si redasse l'Appello per la riorganizzazione internazionale del movimento rivoluzionario marxista , non si offrì ai piccoli e sparsi nuclei di operai rivoluzionari che in tutti i paesi mostravano, sia pure su scala microscopica, di reagire al corso rovinoso dell'opportunismo un emporio di mercanzie disparate fra le quali "scegliere" liberamente così come liberamente erano state allineate alla rinfusa, e costruire con esse, compensando coi pregi delle une i difetti delle altre, l'amorfo edificio della sempre rincorsa e mai raggiunta "unità delle forze rivoluzionarie": si offrì loro un terreno di lotta omogeneo perché basato sulla conferma, fornita insieme dalla "critica dottrinale" e da "una terribile esperienza storica", del- l'improponibilità delle soluzioni presentate da "gruppi influenzati sia pure parzialmente e indirettamente dalle suggestioni è dal conformismo filisteo delle propagande che infestano il mondo", e della necessità, per converso, di riprendere la secolare battaglia di classe su un'unica direttrice di marcia, nota ed esplicita a tutti, non confondibile con nessun'altra, non passibile d'essere rimessa in causa, appunto perché non tracciata da liberi arbitrii del pensiero, ma dal bilancio di un secolo di scontri fra le classi e, all'interno della classe operaia, fra marxismo rivoluzionario e revisionismi d'ogni sorta - scontri fisici e non di rado cruenti.

Certo, "si costruiva" un partito che si riconosceva non bell'e fatto ma "nascente"; ma il punto è che il Partito di classe si costruisce sempre, da quando è sorto a quando morirà in una società non più divisa in classi; e la sua esistenza non è provata dal fatto che sia bell'e costruito anziché "in costruzione", ma dal fatto che, come l'organismo si sviluppa sulla base delle cellule e articolazioni di cellule con le quali è nato, così esso cresca e si rafforzi coi mattoni delle sue fondamenta, le sue membrature teoriche e il suo scheletro organizzativo, essi e non altri, e solo a questa condizione possa aspirare ad essere la guida (nel senso reale, non metafisico, della parola) della classe: cresca e si rafforzi nell'urto con la realtà, da un lato, con i suoi stessi compiti di organizzatore del proletariato sulla via della rivoluzione e contro tutto ciò che, su questa via, tende ad oscurarne il lucido e coerente esercizio, dall'altro.

Non è una crescita né facile né lineare, come cercheremo di svolgere in un successivo articolo; ma il cui presupposto non sarà mai quello - di cui può offrire l'esempio più illuminante (perché sintetizzatore nella forma più franca ed aperta della ... prassi comune a tutta la cosiddetta area extraparlamentare) la tendenza riunita intorno alla rivista "Praxis" (n. 14-15/1977) - del "confronto serio, senza preoccupazioni di bandiera e senza diplomatismi, su una serie di temi politico-culturali e ideologici", fra i "contributi seri e qualificati" di compagni di diversa collocazione, "come terreno fondamentale per costruire, a poco a poco, una reale unità della sinistra rivoluzionaria". Su questa via ogni "unità" è possibile come sempre lo è stata, ma non nascerà né si svilupperà mai il partito, che non è un aggregato di "opinioni" né nella sua base teorica né nella sua trama organizzativa, e che si seleziona nel corso della sua perenne "costruzione" non al vaglio di un collegio giudicante di intellettuali in cerca di un mai raggiunto ubi consistam, ma al banco di prova inesorabile dell'esecuzione dei suoi compiti "statutari", teorici, programmatici, tattici, pratici, nel vivo delle lotte di classe.

(3 - continua)

Note

[1] Da La invarianza storica del marxismo, sett. 1952. ora in Per l'organica sistemazione dei principi comunisti. cit.. p. 22.

[2] Da Teoria e azione, dic. 1952. nel testo citato, pp. 28-29.

[3] Tesi caratteristiche del partito (o, come si disse allora. Basi di adesione al partito), dic. 1951. in In difesa della continuità del programma comunista. Ediz. il Programma comunista. 1970. p. 148.

[4] Considerazioni sull'organica attività del partito, ecc.. cit.. ivi. p. 166.

[5] Ancora dalle Tesi caratteristiche, p. 148.

[6] Errata, quindi, la tesi secondo cui -in una situazione storica in cui gli operai sono sottomessi ai fattori ideologici borghesi [campa cavallo: ciò avverrà dopo la rivoluzione e neppure cosi presto!] la forma di organizzazione - dei rivoluzionari è piegata alla necessità di fare una ricerca teorica e di formazione del programma rivoluzionario - noi chiamiamo queste organizzazioni "frazioni": in una situazione storica in cui gli operai sono lanciati nella lotta sotto la spinta di fattori storici, appare la necessità di una nuova forma di organizzazione che. disponendo del programma rivoluzionario, dirige tali lotte- (Avant-projet de déclaration de principe du bureau international de la Gauche Comm. Internat.). Lo scambio, qui. è 1) fra l'esigenza, posta dalle stesse lotte, di una loro direzione. quindi del Partito, e resistenza preventiva del Partito stesso che quelle lotte anticipa e si prepara a dirigerle - preesistenza senza la quale ci si aggirerà senza scampo nel vicolo cieco di una situazione rivoluzionaria che non è tale senza il partito, e di un partito che è tale solo in una situazione rivoluzionaria: 2) fra costituzione del Partito e suo potenziamento. sua influenza sulla classe: influenza che l'inarrivabile "Révolution internationale - (che va in brodo di giuggiole per simili formule) dovrebbe farci il favore di spiegarci come potrà mai essere conquistata materialmente da un Partito che non esiste, se non come - portatore del programma" nei cieli della soprastoria! La Frazione all'Estero, d'altronde, non si è puramente dedicata alla "ricerca teorica", ma ha condotto un'aspra battaglia pratica: caso mai, è stato l'insufficiente sviluppo della prima, che ne ha fatto soltanto il preludio del Partito, non ancora il Partito.

[7] Tesi Caratteristiche, cit.. p. 163.

[8] Ripubblicato nel nr. 18/1957 di -Il programma comunista- e l'anno dopo in opuscolo a ciclostile.

ERRATA CORRIGE

Nel nr. scorso, nell'articolo "Sulla via del 'Partito compatto e potente' di domani", sono sfuggiti almeno quattro svarioni, tutti a pagina 3.

Nella 1a colonna, riga 21-22: si legga "non può mai trarre", invece di "non può non trarre".

Nella 3a colonna, 1° capoverso, riga 2-3: si legga "il cerchio soggettivo della controrivoluzione", invece di "cerchio soggettivo della rivoluzione".

Sempre nella 3a colonna, sestultima riga: si legga "rapporti partito-proletariato" Invece di "rapporti partito-proletario".

Nella 4a colonna, riga 40: si legga "perché la priva", invece di "perché è priva".

Da "il programma comunista" n. 20, 29 ottobre 1977.

Indice de Il programma comunista - 1977