Da un documento centrale del Partito comunista internazionale (Programma comunista)

Ciclostilato inviato a tutte le sezioni, 19 aprile 1979. Estratti.

[...] Anche di recente abbiamo difeso con estrema decisione la validità della nostra costituzione in partito in una situazione in cui lo stesso compito preminente di difesa dei principii di valore dottrinale si svolgeva tuttavia, "purtroppo", in mancanza "dello sfondo favorevole in cui Lenin la compì dopo il disastro della prima guerra".

[...] "In questa fase", dice uno dei nostri testi di base, era "un incidente storico" scontato che potessero "sembrare troppi i compagni dediti alla teoria e alla storia del movimento, e pochi quelli già pronti all'azione". Non ci stupiva né scandalizzava, come non ci stupisce e non ci scandalizza ora, il fatto d'essere − come tuttora siamo quanto ad influenza reale − un partito allo "stato embrionale": quello che ci definiva come partito era l'essere non un "gruppo d'opinione" ma una "milizia", sia pure infinitesima, organizzata e disciplinata intorno alla teoria e al programma infine restaurati ed alla loro difesa; una milizia tesa, d'altra parte, a penetrare attraverso le fratture e gli spiragli via via apertisi in un settore anche minimo della classe. Compito decisamente preminente era la restaurazione della teoria, ma nello stesso tempo era "l'anticipazione di situazioni future, seppur lontane, a cui bisognava prepararsi maturamente fin da allora per evitare la dispersione e lo smarrimento che segue nelle file delle classi proletarie, come cento esempi storici ci avvertono, quando i loro partiti oppongono alle svolte della situazione mondiale incomposte e inattese reazioni dell'ultima ora" . L'anticipazione, in particolare, del riaprirsi di un ciclo di "nuovi contrasti e nuove crisi, di urti tra le classi sociali e, nel seno della sfera dittatoriale borghese, di urti imperialistici tra i grandi colossi statali" , certo a scadenza non breve, ma ineluttabilmente.

Nello stesso tempo, in anni meno recenti, abbiamo affermato che stavamo entrando in una fase diversa e, dal punto di vista della ragion d'essere della nostra organizzazione, non al metro di un'astratta valutazione di qualità, in una fase superiore. La preoccupazione dei compagni di [...] e di [...] è che l'insistenza su una nuova fase e, in correlazione ad essa, su nuovi problemi soprattutto tattici e organizzativi, possa precludere (non dicono che necessariamente precluda) a "innovazioni" teoriche e programmatiche, o a deviazioni in campo tattico e organizzativo destinate a riflettersi in deviazioni teoriche e programmatiche. Lo stesso termine "fase" ha suscitato qualche allarme. La nostra risposta è categorica.

[...] I compiti variano e con essi variano la struttura interna e l'aspetto "esterno" del partito. Abbiamo spesso rilevato nei nostri testi di base che i compiti della difesa della teoria, della sua propaganda, del proselitismo, dell'agitazione e dell'intervento nelle lotte operaie devono sempre essere svolti dal partito, ma è inevitabile che ciò avvenga in proporzioni diverse a seconda dei periodi. Il rapporto però non è soltanto quantitativo: è qualitativo.

[...] Il passo dalla dottrina all'azione non è automatico, ma dialettico. È ovvio, che passando al campo dell'azione tattica "diretta" (altra fase!) il compito assume aspetti ancor più decisivi: le tesi di Roma parlano allora, a proposito degli obiettivi parziali da fissare in tale quadro, e degli scopi e termini dell'azione per raggiungersi, di un "delicato e tremendo problema".

[...] Sul piano economico, la crisi mondiale, lungi dal riassorbirsi, si prolunga scuotendo soprattutto i giovani e coinvolgendo le donne; il partito stesso allarga il suo raggio, è chiamato anche solo a diffondere la teoria e il programma marxisti in aree che non li hanno mai conosciuti o li hanno conosciuti in forme distorte, e fra strati proletari, specie giovanili, di fronte ai quali si apre una prospettiva di assimilazione in tempi forzatamente brevi. Non siamo alla vigilia della rivoluzione, ma siamo sulla strada che porta ad essa. È un'altra fase? Comporta una serie di altri problemi? Noi diciamo di sì. Comporta anche il problema di affrontare le nuove (ma tutt'altro che impreviste) situazioni in modo da non spezzare il filo della nostra continuità teorica e programmatica? Ancora sì. Ma l'imperativo è di superare un ritardo che può esserci fatale nel capire che il secondo problema deve illuminare lo sforzo di risolvere il primo, non incoraggiare in noi un senso di falsa sicurezza e, in definitiva, di pigrizia mentale collettiva fino a cullarci nel dolce torpore di chi è convinto di sapere tutto, di possedere tutto, di essere preparato a tutto, di non poter mai essere sorpreso da nulla, e non si accorge di aver cessato appunto perciò di essere materialista.

[...] Non si può obiettare all'appello per il fronte unico lanciato [da noi] nel 1974-75 l'eco scarsa o nulla che esso poteva suscitare fra i proletari, a meno di rivolgere la stessa obiezione ad ogni manifestazione della nostra attività sindacale oggi. [...] Che il fronte unito proletario non fosse immediatamente realizzabile su vasta scala per l'assenza delle forze che potevano realizzarlo e, in particolare, di "un partito rivoluzionario ben impiantato nella classe proletaria" , lo dicemmo del resto senza mezzi termini [...] senza che ciò contraddicesse alla possibilità adombrata in precedenza di raggruppare "dei nuclei di operai combattivi" intorno alle rivendicazioni e ai metodi di lotta da noi propugnati nell'interesse generale della difesa operaia contro il fronte avversario. Che una direttiva del genere non potesse in alcun modo essere scambiata per una riedizione dei "fantomatici fronti politici" [...] è ripetuto ad ogni pié sospinto [...]. Ciò non doveva impedirci, e infatti non ci impedì, di valutare attentamente in una circolare il grado maggiore o minore di disponibilità ad azioni comuni di difesa proletaria offerte non solo dai militanti dei diversi raggruppamenti di "estrema sinistra" ma dei loro gruppi e sezioni sindacali, così come il partito del '21 poteva farsi promotore di convegni delle "sinistre sindacali" sulla base di un analogo giudizio differenziato senza che ciò sconfinasse, o si potesse sospettare che sconfinasse, in intese interpartiti o in combinazioni di bassa cucina politicantesca. Singoli elementi a [...] e a [...] hanno potuto credere possibile nel 1974 un simile sconfinamento e lavorare più o meno sott'acqua per realizzarlo; il Centro può essere stato lento ad accorgersene, l'episodio si è comunque concluso come solo si poteva concludere, e il fatto che si sia potuto verificare non prova nulla contro la validità delle direttive impartite.

[Segue un passo in cui si spiega la partecipazione ai due referendum sul divorzio in Italia e sui lavoratori stranieri in Svizzera; l'indicazione di andare a votare era stata data perché essi erano caratterizzati dal fatto:] 1) di vertere intorno al mantenimento o all'abrogazione di misure relative a rivendicazioni per le quali la classe operaia non prova né può manifestare indifferenza, come dimostra il fatto che esse sono sempre state incluse nelle piattaforme di lotta in difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari; e 2) di avvicinarsi, come tali, piuttosto alle consultazioni "sindacali" che a quelle politiche o comunali [...].

I compagni di [...] che hanno lanciato l'allarme sui pericoli di innovazioni organizzative tuttavia indispensabili, non hanno fatto che ribadire un concetto generale valido per qualunque forma, compresa quella che il partito aveva ed era giusto che avesse venti o venticinque anni fa: nessuna è teorizzabile; tutte sono, al loro tempo, necessarie e... pericolose. In questo lavoro di adattamento delle forme alle esigenze mutevoli della storia, benché sempre nel quadro segnato dal programma, il Centro si attende dal partito (o accetta dal partito) ogni sorta di rilievi, critiche, suggerimenti, a condizione che sia chiaro a tutti che indietro non si torna per la semplice ragione che indietro non si può tornare. Il partito che ha visto chiaro nelle prospettive di un ciclo storico che ci ha dato la crisi economica mondiale e sta preparando un terzo conflitto imperialistico non ha il diritto di credere che fedeltà ai principii e coerenza con la tradizione significhino considerare chiusa la propria "storia organizzativa" con le tesi di Napoli e Milano. Su quella base si costruisce; in essa non si esauriscono i compiti della milizia rivoluzionaria.

Note

[1] Almeno uno, però, di questi elementi, faceva parte del Centro stesso.

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