La questione Trotzky

Il parossismo organizzativistico inteso come ricetta per guarire il movimento comunista mondiale dalle influenze controrivoluzionarie assunse forme grottesche. Nel 1925 l'Internazionale giunse a raccomandare dettagliatissimi 'modelli' organizzativi raccolti in unamspecie di catalogo dal titolo significativo: L'edificazione organizzativa dell'Internazionale Comunista. Pur senza giungere a quegli eccessi, era ovvio che nel Partito italiano, con la formazione di un apparato burocratico basato su un'articolazione strutturale abnorme di responsabilità formali, si perdeva gradualmente un vitale scambio osmotico fra centro e periferia. Invece della "doppia direzione" esaltata dalla Sinistra, vi era ora un flusso unico d'informazione dal vertice alla base secondo la classica piramide gerarchica tipica delle strutture borghesi. Certamente, le condizioni di semi-clandestinità in cui operava l'organizzazione avevano comportato gravi problemi pratici; sta di fatto però che il recentissimo passato aveva visto una selezione di strumenti organizzativi che si erano perfezionati sulla base di un lavoro e una lotta reali, mentre ora essi peggioravano in snellezza e qualità. La guerra aperta della borghesia contro il proletariato aveva indotto l'organizzazione di classe a prendere provvedimenti militari, e quindi la struttura del Partito doveva potenziare le forze che già sul campo avevano dato buoni risultati sconfiggendo nello scontro aperto le bande fasciste. Invece, con la nuova direzione, veniva potenziata la struttura utile a rispondere sul terreno della democrazia antifascista. I militanti, molti dei quali avevano partecipato agli scontri a fuoco, lo avvertivano, ma ora non potevano mettere in discussione nulla senza provocare dure reazioni formali. Questa situazione annichiliva la vitalità del partito congelando le relazioni fra compagni e alla fine impediva l'apporto politico positivo prodotto anche dalle differenze tra di essi. L'elaborazione dell'indirizzo politico diveniva competenza esclusiva dei vertici del partito, cosa che la Sinistra aveva sempre negato sostenendo caparbiamente la questione dell'organicità, legata a determinanti che pesavano sia nel rapporto con la classe sia all'interno del partito; determinanti i cui effetti andavano previsti con saldezza teorica e non seguiti ricorrendo a posteriori a espedienti volontaristici e organizzativistici. Veniva dunque a stabilirsi un rapporto unilaterale che, in ultima analisi, invece di rafforzare la catena gerarchica come avrebbero voluto i centristi, determinava una frattura fra il vertice, il suo "fedele" apparato e la base del partito. Venivano sostituite le determinanti del "carisma" dei pochi capi con le credenziali artificiose di chi era capo solo per essere allineato alla potente Internazionale. Di tutto ciò la vecchia guardia aveva una nausea sacrosanta. Ecco allora che, in un quadro di accentramento della vita interna dell'organismo partito, il problema della sua "compattezza" o "monoliticità" non poteva risolversi se non mediante il controllo, il "dominio dell'apparato" sul partito, una "disciplina ferrea" ma meccanica e, non potendo essere tollerata alcuna forma di dissenso o opposizione, una dura lotta politica e ideologica contro coloro che via via venivano bollati come pessimisti, inerti, dogmatici, piccolo-borghesi, settari, antileninisti.

Nel PCd'I, come in altre sezioni dell'Internazionale, il processo quotidiano di trasformazione organizzativa derivava dall'impostazione essenzialmente democratica dei centristi, ma costituì anche una potente leva nella lotta contro l'opposizione interna. Infatti nel corso di questa lotta l'apparato dei funzionari aveva un ruolo di primo piano. Tale apparato opera e si esprime ad un certo punto solo col linguaggio e i mezzi che derivano dalla sua natura, cioè proietta le sue caratteristiche burocratiche ed amministrative su tutto ciò che tocca, dato che il suo scopo principale è quello di far rispettare una specie di "produzione di partito", il raggiungimento di risultati stabiliti a tavolino nella migliore tradizione volontarista. Ecco perché ad un certo punto dev'essere garantita la cosiddetta unità del partito e si ha paura della discussione, che in altri frangenti non è affatto dannosa, anzi si dimostra addirittura utile per l'affinamento teorico e la preparazione dei militanti, gregari o capi che siano. La buona discussione rappresenta una buona didattica per il partito buono, cioè organico, perché non significa "discordia" ma preparazione collettiva. La discussione diventa invece un fattore di indebolimento del partito cattivo, cioè disorganico, perché è intesa come lotta fra tesi contrapposte, "discordia" interna che finisce per indebolire, se risaputa, l'influenza del partito verso l'esterno. Il fermento necessario al rafforzamento del partito viene trattato alla stregua dei panni sporchi che la lavandaia deve lavare in casa per non rovinarsi la piazza. In questo modo si finisce davvero per discutere fra tesi contrapposte, diventa essenziale la "verifica" della conta delle opinioni, rimonta nel partito la merda democratica con la rincorsa al numero "legale" ai congressi, si cade infine nell'andazzo di sostenere le varie tesi su organizzazione e tattica (che a questo punto sono opinioni di singoli e di gruppi o disposizioni dall'alto) con l'adattamento dei principii ad esse, e allora non c'è più altro rimedio che ricorrere alle autorità costituite, alle commissioni di controllo, alle istruttorie e ai processi. Dai documenti che presentiamo in questo libro si vede come ad un certo punto, seguendo questo processo, la direzione si autoproclami "infallibile", riconoscendo il "diritto" al "dissenso", ma pretendendo che questo non abbia nessuna conseguenza, pretendendo anzi che il dissenziente collabori convinto alla realizzazione di compiti su cui non è per nulla d'accordo. Tale aberrazione, che la Sinistra si è sempre rifiutata di criticare dal punto di vista moralistico, in tutte le epoche è tanto più triviale quanto più si ammanta di riferimenti alla grande teoria e ai grandi capi. Lenin era morto da poco che già serviva da concime per fertilizzare il peggior opportunismo.

L'esigenza di un apparato accondiscendente che offrisse le garanzie necessarie per l'applicazione del nuovo indirizzo politico della Centrale e dell'IC, si fece sentire acutissima soprattutto all'indomani della Conferenza di Como, in cui i quadri del partito eletti dalla base (segretari federali) o nominati dal vertice (segretari interregionali) si schierarono a stragrande maggioranza con la Sinistra. I Congressi federali dell'autunno successivo avrebbero confermato il grande ascendente della Sinistra sul partito. Di conseguenza, anche se la Centrale aveva acquisito un po' più di consenso nella base grazie all'ingresso dei terzini e alla tregua ottenuta nel conflitto con l'Internazionale, nel breve periodo questi fattori dovevano rivelarsi insufficienti. Consapevole della propria estrema debolezza teorica e organizzativa, la Centrale, anche se sostenuta dall'IC, non avrebbe potuto in poco tempo venire a capo del controllo del partito. A partire dai primi mesi del 1925, la priorità assoluta venne data all'azione per il controllo del partito, a cominciare dai punti più deboli i quali potevano essere individuati proprio in virtù della buona conoscenza che la Sinistra aveva di tutta l'organizzazione, conoscenza che era stata registrata minuziosamente nella documentazione organizzativa e che ora era nelle mani della Centrale.

Uno strumento organizzativo più diretto ed immediato nella lotta contro la Sinistra fu quello delle già ricordate commissioni di controllo, ed in particolar modo di quella centrale, nella quale furono cooptati cinque elementi, ovviamente legati alla Centrale, in attesa dell'elezione diretta che doveva aver luogo al Congresso in preparazione. Si trattò di un provvedimento che affidava al Centro del partito la conoscenza, e quindi il controllo totale, dei movimenti dei responsabili di tutta la rete. In tal modo si potevano facilmente individuare e circoscrivere i punti nevralgici in cui la Sinistra era fortissima, mentre nei punti in cui invece era debole si sarebbero potuti inserire elementi fidati. Con ciò la ristrutturazione organizzativa del partito procedeva decisamente e coerentemente di pari passo al processo complessivo di bolscevizzazione. La trasformazione dei partiti era controllata dall'Ufficio di Organizzazione dell'IC, presieduto da Pjatnickij, che nel gennaio 1925 elaborò uno "Statuto-tipo", particolareggiato in modo maniacale, per i partiti aderenti al Comintern. Esso fu in seguito ratificato dalla Conferenza sull'organizzazione tenutasi nel marzo del 1925.

Anche se la trasformazione organizzativa costituiva una componente fondamentale della campagna per la bolscevizzazione, ad essa non si poteva non accompagnare una copertura teorica. Il processo di revisione raggiunse il suo apice in occasione del V Esecutivo Allargato (dal 21 marzo al 5 aprile 1925), durante i lavori del quale esplose internazionalmente la situazione del partito russo, che fino a quel momento si era cercato di circoscrivere come fatto interno. Dopo un periodo di relativa calma la lotta tra le frazioni, com'era inevitabile, era ripresa violentemente nell'autunno del 1924 in occasione della pubblicazione dell'articolo di Trotzky 1917, Lezioni dell'Ottobre, in cui era condotto un attacco piuttosto aperto contro Zinoviev e Kamenev. Il testo è particolarmente importante: in esso si ricorda che l'atteggiamento dei bolscevichi contrari a Lenin sulla questione dell'insurrezione era dovuto alla incomprensione del movimento materiale che invece la rendeva possibile; essi erano titubanti, impauriti dalla forza apparente dell'avversario, quindi erano portati a ripiegare verso il governo provvisorio, la democrazia di transizione, la continuazione della guerra. Siccome nel 1924 era in corso la discussione sui motivi della sconfitta della rivoluzione tedesca, e siccome tali motivi erano di ordine democratico-frontista, implicitamente si addebitavano a Zinoviev, responsabile delle direttive date al partito tedesco in quanto presidente dell'Internazionale, atteggiamenti della stessa natura di quelli di allora. E poiché anche Stalin era all'epoca contrario alle posizioni di Lenin, i riferimenti impliciti ed espliciti di Trotzky furono più che sufficienti a scatenare nuovamente la lotta politica. Come ormai d'uso, l'articolo in questione fu pubblicato sulla Pravda assieme ad una risposta ufficiale, redatta da Bucharin, intitolata Come non si deve scrivere la storia della Rivoluzione di Ottobre . La presa di posizione ufficiale rappresentò l'inizio di una vasta campagna internazionale contro Trotzky. Mediante la costruzione artificiosa di un "trozkismo" contrapposto al "leninismo", e divinizzato quest'ultimo alla stregua di Verbo rivelato, era evidente che tale campagna mirava a gettare discredito sul rispettato capo rivoluzionario per minarne la posizione e l'influenza all'interno del partito e dell'Internazionale. Nella battaglia finale contro il "trotzkismo" (Trotzky era ancora Commissario alla Guerra) la fragile alleanza della troika formata da Kamenev, Zinoviev e Stalin, che già nell'estate precedente aveva mostrato sintomi di frattura, si ricompattò temporaneamente e mosse al contrattacco. Stalin, che non era stato neanche menzionato apertamente da Trotzky, difese i suoi alleati impegnandosi in un tentativo di riscrivere la storia, sport nel quale riuscirà sempre meglio negli anni a venire. Con l'evidente proposito di sminuire il ruolo di Trotzky nella preparazione dell'insurrezione dell'Ottobre, egli s'inventò l'esistenza di un misterioso centro diretto da lui stesso, che nel 1917 avrebbe coordinato l'effettiva azione militare insurrezionale.

La battaglia all'interno del partito russo continuò sia attraverso polemiche dirette, sia attraverso altre pubblicazioni. Nel dicembre del 1924 Stalin scrisse un articolo in cui veniva espressa per la prima volta la tesi della costruzione del socialismo in un solo paese, contrapponendola alla teoria di Trotzky sulla "rivoluzione permanente". La tesi del socialismo in un solo paese venne ripresa qualche mese dopo anche da Bucharin, il quale tentò di darle dignità teorica marxista. Anche se nello scritto di Stalin la formula presentava ancora alcune incertezze ed era attenuata dalla affermazione che "per la vittoria completa del socialismo, perché esista una garanzia completa contro la restaurazione del vecchio regime, sono necessari gli sforzi concordi dei proletari di parecchi paesi", ce n'era abbastanza per sconvolgere sostanzialmente l'impostazione teorica della prospettiva delineata nei primi anni del Comintern, sia sul piano della politica interna dello Stato russo che sul piano della politica dell'Internazionale.

Secondo le nuove tesi, che stiracchiavano il marxismo fino a fargli negare il legame storico e necessario fra la rivoluzione russa e la rivoluzione mondiale (la quale ultima necessitava a sua volta della rivoluzione nell'Occidente sviluppato), l'Unione Sovietica si sarebbe concentrata nello sforzo di giungere da sola al socialismo, e ciò puntando sull'alleanza fra proletariato e contadini. Alla stabilizzazione del capitalismo internazionale corrispondeva quindi una stabilizzazione del regime sovietico. Contestualmente si modificava anche il ruolo dei partiti aderenti all'Internazionale che diventavano poco a poco un'appendice di quello russo. Mentre da un lato l'IC deliberava una politica basata sui "tempi lunghi", che imponeva una parziale correzione di rotta rispetto alla "svolta a sinistra" del V Congresso, dall'altro si rafforzava il suo legame con l'Unione Sovietica in quanto Stato nazionale e si accentuava sempre più la difesa di quest'ultimo in quanto "primo baluardo del socialismo".

Dal punto di vista politico e anche operativo marxista non vi sarebbe stato nulla di strano nel difendere l'area del mondo dove si era instaurata per la prima volta la dittatura proletaria, e il PCd'I si era adoperato, fin dai suoi primi mesi di vita, in una campagna di solidarietà per la Russia colpita dalla carestia e spossata dalla guerra civile. Ora però la difesa dell'Unione Sovietica non era soltanto rivolta verso l'esterno, contro il mondo capitalistico che continuava ad accerchiare la rivoluzione, ma anche interna al movimento comunista internazionale, contro chi non accettava la politica ufficiale. In tal senso, l'emergere di dissensi e opposizioni in seno al partito russo veniva sempre più considerato come una minaccia alla sua unità e alla stabilità del nuovo ordine sovietico. Contro l'opposizione di volta in volta additata si faceva appello ad un pronunciamento di tutti i partiti, non più intesi, neanche in una finzione lessicale, come sezioni del partito mondiale unico, ma intesi come "partiti fratelli", figli della stessa madre (l'Internazionale), di padre incerto (programma marxista) e certamente separati nella loro identità e nella loro esistenza fisica.

Così il conflitto al vertice del partito russo, la infame campagna contro la persona, il passato e l'attività di Trotzky, dovevano ripercuotersi in seno al movimento internazionale nell'ambito di un processo di allineamento ideologico, politico ed organizzativo che ormai costituiva la componente principale se non unica della famigerata bolscevizzazione.

Era impossibile che un simile allineamento non avvenisse anche in Italia. Dalla seconda metà del novembre 1924 apparvero su L'Unità e Lo Stato Operaio numerosi scritti recanti le firma di Bucharin, Zinoviev, Stalin, Mersù, contro il "trotzkismo". La "questione Trotzky" fu quindi messa all'ordine del giorno in una riunione del Comitato Centrale che si tenne il 6 febbraio 1925. In tale riunione fu rilanciata anche la campagna contro Bordiga approfittando del fatto che l'occasione si prestava benissimo a prefabbricare un'uguaglianza bordighismo-trotzkismo. Si prestava benissimo dal punto di vista della lotta politica, non certo della coerenza marxista. L'abbinamento fu prefabbricato sulla base di uno di quei temi che nella lotta politica diventano punti chiave intorno ai quali si formano e delimitano gli schieramenti anche se apparentemente lontani dall'argomento di fondo. Infatti non si stava parlando di frazioni e bolscevizzazione, ma di un'affermazione di Trotzky secondo cui l'alleanza tra Stati Uniti e Inghilterra era nefasta per la rivoluzione in Europa in quanto avrebbe portato un predominio del capitale americano, quindi dell'imperialismo, in quest'area decisiva per il movimento rivoluzionario mondiale. Nella sua relazione introduttiva Gramsci affrontò in maniera abbastanza superficiale il contrasto sorto in seno al partito russo, girando intorno alle questioni senza centrare il problema di fondo; poi, siccome Bordiga aveva trattato il tema in riferimento alle tesi di Trotzky già su L'Unità del 15 ottobre 1924, partì con l'abbinamento: "Noi respingiamo queste previsioni (di Trotzky sul predominio del capitale USA in Europa), le quali, rinviando la rivoluzione a tempo indefinito sposterebbero tutta la tattica dell'Internazionale, che dovrebbe tornare all'azione di propaganda e di agitazione fra le masse. E sposterebbe pure la tattica dello Stato russo poiché, se si rimanda la rivoluzione europea per un'intera fase storica, la classe operaia russa non potrà per un lungo periodo contare sull'appoggio del proletariato di altri paesi, è evidente che la rivoluzione russa deve modificarsi". Qui Gramsci ripete pedestremente il tema ricorrente nel partito russo, tema che entrerà il mese successivo nella relazione ufficiale di Zinoviev al V Esecutivo Allargato, dove pure si opera un abbinamento ma questa volta assurdo: Kautsky-Trotzky contro Lenin.

Comunque sia, a parte la confusione nel riportare le posizioni di entrambi, Gramsci non spiega per nulla in qual senso "dovrebbe" modificarsi la rivoluzione russa; non apporta elementi più robusti a sostegno dell'abbinamento Bordiga-Trotzky, rimanendo nel vago; d'altra parte si concentra soprattutto sulle questioni interne lasciando completamente da parte i problemi internazionali, attenendosi in questo caso alla linea del Comintern. Quindi la sua conclusione non può che essere un appello generico per l'unità del partito, e il trotzkismo bordighiano si riduce all'effetto negativo indotto dalla discussione sul Partito: "Anche l'atteggiamento di Bordiga mantiene nel nostro partito una situazione frazionistica obiettiva. Sebbene Bordiga abbia formalmente ragione, politicamente ha torto. Il Partito comunista italiano ha bisogno di avere la sua omogeneità e che sia abolita questa situazione potenziale di frazione. L'atteggiamento di Bordiga, come fu quello di Trotzky, ha delle ripercussioni disastrose: quando un compagno che ha il valore di Bordiga si apparta, nasce negli operai una sfiducia nel partito, e quindi si produce del disfattismo".

Il pieno e incondizionato appoggio della direzione del partito italiano al CC del partito russo si espresse in una mozione nella quale, affiancandosi alla critica ufficiale del "trozkismo", il CC italiano solidarizzava con le misure prese dal partito russo contro Trotzky.

Secondo la mozione, Trotzky avrebbe sviluppato una diagnosi "pessimistica dello sviluppo della Rivoluzione mondiale e una concezione del processo rivoluzionario che disconosce i giusti termini del rapporto tra operai e contadini". Gli si imputava di aver infranto la disciplina, ma soprattutto (questo è ovvio) di tendere "a una revisione dei principi fondamentali del leninismo" da una posizione di "destra" (questo è invece piuttosto fantasioso). Contro ogni deviazione la mozione proclamava la necessità di "una completa omogeneità di pensiero" sulla base del "leninismo" e di una "ferrea disciplina di consenso e di azione" (questo è di nuovo ovvio). Quanto a Bordiga, essa condannava il suo "frazionismo più o meno aperto" perché "la sua permanenza al di fuori degli organismi centrali ed il suo rifiuto di assumere anche semplici incarichi di lavoro i quali portino ad una collaborazione diretta con la Centrale, benché siano formalmente giustificati dal voto di una Commissione internazionale, sono fatti sostanzialmente inammissibili, ed hanno nella vita del Partito conseguenze le quali contraddicono in pieno i principii della organizzazione e della disciplina bolscevica. Soltanto dopo che questa questione sarà risolta, saranno poste le basi per una reale bolscevizzazione del Partito Comunista d'Italia".

Nella mozione si opponeva un secco rifiuto alla Sinistra che chiedeva di iniziare una discussione sulla "questione Trotzky" perché, dopo le decisioni del partito russo, era ormai considerata "chiusa". Si proponeva, invece, di "aprire una campagna di propaganda dei principii che dalla Centrale russa sono stati solidamente riconfermati". E si concludeva con il seguente ammonimento: "È evidente infine che deve essere considerato come controrivoluzionario ogni atteggiamento che tenda a diffondere nel Partito una generica sfiducia negli organismi dirigenti della Internazionale e del partito russo, sia travisando a questo scopo la quistione Trotzky, sia ritornando sopra questioni definite dal V Congresso".

Piccoli episodi spaventavano nel frattempo la Centrale, assolutamente incapace di capire l'atteggiamento della Sinistra, e quindi propensa a vedere in ogni piccola manifestazione la possibilità reale di una saldatura effettiva tra Bordiga e Trotzky in una forte corrente internazionale. Aumentava quindi nei centristi l'esigenza di una campagna ideologica che si accompagnasse a quella della "bolscevizzazione", cosa che non era esclusa, anzi era auspicata dall'Internazionale. Siccome la Sinistra rispondeva puntualmente e teneva riunioni in cui le questioni erano affrontate a livello politico e teorico, per i centristi associare il "trotzkismo" al "bordighismo" avrebbe almeno permesso di dare un tono politico alla discussione, avrebbe consentito di uscire dalla solita solfa del frazionismo e dell'unità del partito, della fedeltà al leninismo e della disciplina, stereotipi dei quali i militanti di base erano stufi. La campagna si fece urgente agli occhi dei centristi quando dalla federazione di Foggia (la Puglia era sempre stata una roccaforte della Sinistra anche all'epoca della frazione nel PSI) pervenne una lettera polemica del suo responsabile Mangano nella quale si richiedeva in maniera perentoria la pubblicazione degli articoli di Trotzky. Togliatti definì "pericoloso" l'atteggiamento di Mangano "perché parte dalla sfiducia verso gli organi dirigenti la Internazionale e il partito comunista russo" e riferì della decisione di inviare una lettera alla Federazione per contrastarvi le posizioni espresse da Mangano: "La lettera sarà letta nel corso di una Conferenza, convocata appositamente, da un membro della Centrale che avrà il mandato di prendere immediatamente i provvedimenti del caso a seconda dell'attitudine della Conferenza stessa... Il CE ritiene che si possa giungere anche allo scioglimento della Federazione se essa sarà solidale con le posizioni di Mangano".

Della lettera di Mangano si occupò anche il CC di febbraio. In quell'occasione Terracini, non ancora incarognito come Togliatti, riassunse in questo modo il contenuto della lettera: "Occorre che sia data conoscenza degli scritti e delle opinioni del compagno Trotzky per sapere se si tratta di un controrivoluzionario giudicato da rivoluzionari, o di un rivoluzionario condannato da controrivoluzionari". Contro i tentativi gratuiti di denigrazione nei confronti di Mangano egli aggiunse: "È un ottimo compagno, e che ha svolto un grande e buon lavoro nella sua Federazione". Simili riconoscimenti furono però ben presto abbandonati nelle riunioni della direzione del partito e i militanti della Sinistra vennero sottoposti ad un vero e proprio linciaggio personale. Per il suo carisma e per il timore che ancora suscitava, solo la figura di Bordiga resistette più a lungo all'insulto.

Se piccoli episodi furono motivi di allarme per la Centrale, l'8 febbraio 1925 Bordiga inviò alla redazione de L'Unità un articolo, La quistione Trotzky, che tramutò l'allarme in scompiglio se non in panico. Il proposito di sollevare il livello della lotta politica dal piano della disciplina al piano "ideologico" come indicato anche dal Presidium, era stato ben accetto dalla Sinistra. In questo caso non altrettanto dai centristi, poco avvezzi a confrontarsi sul piano teorico: la direzione del giornale e la direzione del partito furono concordi nel non pubblicare l'articolo fino al 4 luglio, cioè fino a quando, come vedremo, non furono certi di poter manovrare con quei margini di sicurezza che in febbraio non sapevano ancora di avere.

Con l'articolo Bordiga entrò nella disputa come una macchina da combattimento. Egli si riallacciava, con una violenza e un rigore teorico dirompenti, all'articolo di Trotzky 1917, Lezioni dell'Ottobre: senza tergiversare e senza preoccuparsi delle reazioni dei chierici bolscevizzati, saliva direttamente sulla piattaforma rappresentata da un articolo ufficialmente demonizzato, considerato l'origine stessa del "Male". E da quella piattaforma svolgeva una critica ancora più profonda di quanto avesse fatto Trotzky, perché quest'ultimo sul frontismo non poteva parlare, dato che era frontista contro Bordiga. La difesa della sostanza di 1917 era comunque netta e senza condizioni. Nel riesporre i termini del contrasto che si era prodotto nel partito bolscevico alla vigilia dell'Ottobre, Bordiga dimostrava come Trotzky avesse, sin dall'inizio del 1917, abbandonato la sua teoria della "rivoluzione permanente" per spostarsi sul terreno programmatico delle Tesi di Aprile di Lenin, altezza a cui i suoi detrattori non avevano saputo giungere. L'opposizione di Zinoviev e Kamenev all'insurrezione in ottobre dimostrava che le indecisioni della destra non rappresentavano solo un errore di valutazione delle forze in campo e del momento propizio, ma erano il risultato di "una vera incomprensione di principio del processo storico rivoluzionario". Se così era, si capiva bene che lo stesso difetto stava alla base degli errori tattici anche nel caso della sconfitta in Germania: "Se Lenin fosse restato in minoranza nel CC e l'insurrezione fosse fallita per la sfiducia gettata preventivamente su di essa da una parte dei suoi capi, questi avrebbero parlato nei termini in cui parlarono i compagni responsabili della direzione del partito tedesco durante la crisi dell'ottobre '23. Ciò che Lenin scongiurò in Russia, non ha potuto l'Internazionale scongiurare in Germania". Durante i mesi che precedettero la rivoluzione Lenin aveva provato che nel corso dell'azione rivoluzionaria non bisognava "legarsi le mani" con nessuno. Certamente, nella preparazione di una rivoluzione e anche durante il corso di essa bisogna saper manovrare, e Lenin in questo era un maestro, ma la sua manovra era sempre finalizzata all'obiettivo finale, mentre per altri diventava fine a sé stessa, escludendo così ogni possibilità per la rivoluzione di convertirla in forza positiva.

Riassumendo i punti del dissidio che contrapponeva Trotzky alla maggioranza del CC del partito russo, Bordiga metteva in evidenza l'artificiosità e gli aspetti strumentali della campagna ideologica intentata contro di lui. Eludendo i problemi sollevati in 1917, Lezioni dell'Ottobre, si creava del tutto arbitrariamente una pretesa continuità fra il "trozkismo" prima maniera tartassato da Lenin e le posizioni attuali di Trotzky. Bordiga passava poi a dimostrare come in nessuno degli articoli scritti da Trotzky dopo la sua adesione al partito bolscevico si rivendicassero le vecchie posizioni, anzi, come in essi vi fossero riconosciute errate. A differenza di molti altri, Trotzky non fa nessuna autocritica ipocrita, ma dimostra con gli scritti e con le azioni di essere sulla linea di Lenin ("incontestabilmente dinanzi alla storia è il secondo dei bolscevichi"). Se vi potesse essere un qualcosa da chiamare trotzkismo, esso non sarebbe certo di destra ma di sinistra, quindi accanto a Lenin. La tesi era nettamente contrapposta a quella ufficiale che strumentalmente vedeva nel trozkismo una deviazione destrorsa e opportunistica. Il suo aperto sostegno sarà la prova definitiva, la confessione che l'equazione infamante Bordiga-Trotzky era "giusta".

Come se prevedesse lo svolgersi futuro della discussione, Bordiga terminava l'articolo con un appassionato richiamo ad abbandonare la polemica sulla persona e analizzare i problemi reali da questa sollevati. Le difficoltà non si esorcizzano, si risolvono. E non si possono risolvere nascondendo la verità dietro giaculatorie disciplinari o creando santini marxisti-leninisti su cui far giurare fedeltà alla Centrale: "La polemica contro Trotzky ha lasciato nei lavoratori un senso di pena e recato sulle labbra dei nemici un sorriso di trionfo. Ora noi vogliamo certo che amici e nemici sappiano che anche senza e contro Trotzky il partito proletario saprebbe vivere e vincere. Ma fino a che le risultanze sono quelle a cui oggi conduce il dibattito, Trotzky non è un uomo da abbandonare al nemico. Nelle sue dichiarazioni egli non ha cancellato un rigo di quello che ha scritto, e ciò non è contro la disciplina bolscevica, ma ha anche dichiarato di non aver voluto formarsi una base politica personale e frazionista, e di essere più che mai ligio al partito. Non si poteva aspettare altro da un uomo, che è tra i più degni di stare alla testa del partito rivoluzionario. Ma anche al di là della sensazionale quistione della sua personalità, i problemi da lui sollevati restano: e non devono essere elusi ma affrontati".

È evidente il riferimento alla situazione creatasi nel partito in Italia. Con questo articolo Bordiga usciva dal proprio silenzio sulle questioni russe schierandosi apertamente dalla parte di Trotzky. In un momento in cui la campagna internazionale antitrotzkista raggiungeva il proprio apice ciò rappresentava una sfida e lo scritto contribuì certamente ad alimentare le apprensioni della Centrale italiana riguardo alla situazione interna del partito. Togliatti, proiettando sulla Sinistra l'atteggiamento della vera frazione cui apparteneva, scrisse all'Internazionale intorno all'esistenza "nel nostro Partito di una corrente di simpatia per Trotzky e il trotzkismo", asserendo che "non si può escludere che la sua formazione sia stata provocata da Bordiga stesso". Naturalmente non esisteva nessuna corrente specifica e se c'erano simpatie per Trotzky queste non erano certo fomentate a bella posta da Bordiga. Il Comintern, nella sua risposta, approvò la decisione della Centrale di non pubblicare l'articolo e chiese con insistenza che Bordiga si recasse a Mosca per partecipare alla riunione del V Esecutivo Allargato dove, si diceva, avrebbe potuto esporre le proprie tesi ed ottenere maggiori ragguagli sulla questione. Gennari si recò espressamente a Napoli per convincerlo a partire ma, nonostante le pressioni della direzione del PCd'I e dell'Internazionale, Bordiga rifiutò di mettersi in viaggio adducendo motivi di carattere personale e di opportunità politica. In una dichiarazione non pubblicata egli diceva: "Nelle circostanze dell'ultimo Esecutivo Allargato non ho giudicato, e nessuno potrà giudicare, proporzionato il sacrificio al compito che mi attendeva, di partecipare ad una riunione consultiva e non ad una battaglia col nemico comune". D'altra parte, rilevava, la Centrale non aveva voluto che qualcun altro vi andasse in vece sua, mentre "a Mosca si ammise all'Esecutivo l'ultimo viaggiatore di passaggio e si erano invitati perfino rappresentanti di organizzazioni locali di varie sezioni: tanto per vedere ancora una volta quale disuniformità di criteri si faccia passare per 'ferreo centralismo'".

Al V Esecutivo Allargato vari oratori dei partiti occidentali si cimentarono nell'assimilare le "deviazioni" sorte all'interno dei loro partiti, di "destra" o di "ultrasinistra" che fossero, al "trotzkismo". Questa rassegna di allineamenti più per disciplina e opportunismo che per convinzione dottrinale, fu una dimostrazione di bolscevizzazione pratica. Se la bolscevizzazione era la bandiera della lealtà al Comintern, il trotzkismo era l'essenza della slealtà, il distillato di ogni opposizione (di destra? di sinistra?). Se il marxismo-leninismo era la panacea universale, il trotzkismo era altrettanto universale nel rappresentare le malattie dell'Internazionale.

In questa logica fu incastrata a forza l'opposizione della Sinistra italiana, specialmente dopo l'articolo di Bordiga che fu subito definito "bomba". Il ritornello fu affidato a Zinoviev, il quale sostenne con tutta tranquillità, con un attacco verminoso, che Bordiga era passato alla "destra". Anche Bucharin non si sottrasse e prese posizione contro la Sinistra. Ma l'onore di dare una sistemazione complessiva al parallelo con il trotzkismo fu lasciato ad un rappresentante del partito italiano.

Scoccimarro affrontò l'argomento in due discorsi. La premessa dalla quale partì era che l'Internazionale non doveva "essere un insieme di tendenze diverse", ma un "blocco omogeneo, particolarmente dal punto di vista ideologico". Coloro che perseveravano nei loro "errori di opportunismo" non avevano il "diritto di restare nella Internazionale" e dovevano essere espulsi. Lo svolgimento dell'intervento fu un esercizio alquanto rozzo di critica al "bordighismo", il cui metodo era antitetico a quello "leninista" perché si basava su di una "logica formale" che "lo inchioda in una eccessiva rigidità, che è sorgente di errori politici, perché si stacca dalla realtà, dimentica le fasi di transizione restando sospeso nel vuoto per tutto il periodo del loro sviluppo". Naturalmente la deviazione ideologica di Bordiga si rifletteva nella concezione "antileninista" del Partito, del rapporto partito-masse ed infine della tattica, la quale ultima, derivando "quasi esclusivamente dai principii della dottrina e del programma generale", si traduceva, a giudizio dell'oratore, in una "sottovalutazione della influenza della situazione oggettiva come elemento determinante della tattica".

Le critiche di Scoccimarro parevano in parte riecheggiare le obiezioni che l'Internazionale aveva già mosso alla Sinistra nel 1922, al tempo delle Tesi di Roma, e anche prima. Tuttavia se ne distanziavano perché, a differenza di allora e a poca distanza di tempo, contrapponevano al "rigido dottrinarismo" di Bordiga una concezione altrettanto rigida e dottrinaria basata su quella codificazione mistica del "leninismo" che invece era un'invenzione recente, rappresentando l'aspetto ideologico del processo di bolscevizzazione voluto dal Comintern. Tale tendenza si manifestava particolarmente nella concezione "monolitica" del partito che traspariva dalla violenta arringa nella parte finale dell'intervento contro l'atteggiamento di Bordiga, e dalla equazione che egli intese ribadire internazionalmente fra il capo della Sinistra e Trotzky.

Scoccimarro sottolineò che l'atteggiamento di Bordiga era oggettivamente frazionistico anche se egli negava di volere una frazione e, in quanto tale, costituiva un pericolo e un danno per l'Internazionale. Le frazioni avevano avuto una loro ragione di essere nei partiti della II Internazionale, ma non potevano essere tollerate nel Comintern. Le accuse di Bordiga, riguardo alla "disciplina meccanica e soffocante" erano fuori luogo, ed egli doveva rendersi conto che la sua condotta non poteva "essere ammessa per lungo tempo in un Partito Comunista".

Il parallelo con Trotzky, abbozzato nel primo discorso, fu invece al centro del secondo intervento, in cui Scoccimarro si sforzò di mettere in evidenza varie "affinità ideologiche" fra Bordiga e Trotzky, soprattutto, capisca chi può, nella "concezione meccanica della dialettica". Per rilevare la matrice antileninista e opportunista di Bordiga egli tentò di confutare alcune delle tesi contenute nell'articolo su Trotzky e concluse infine con quello che era ormai diventato il cliché senza argomenti della lotta politica: "Il trotzkismo anche nella nuova forma in cui si esprime, significa tutto un metodo rivoluzionario contrastante al metodo rivoluzionario leninista. Il fatto che il trotzkismo abbia potuto divenire il punto di orientamento in Italia delle deviazioni ideologiche di Bordiga, in Francia delle deviazioni opportuniste nella cui ideologia fermentano i germi di un sindacalismo rinascente, significa che nei paesi occidentali, attraverso il trotzkismo si manifestano tutte le deviazioni antibolsceviche, antileniniste. Esse trovano nel trotzkismo il loro punto di concentramento e di cristallizzazione. Combattere il trotzkismo nei nostri partiti significa combattere questa deviazione in difesa del leninismo. È questo il dovere che ci impone la bolscevizzazione dell'Internazionale Comunista".

La risoluzione sulla "questione italiana" che definiva l'"ideologia di Bordiga un sottoprodotto della seconda Internazionale", nel ribadire il parallelo con Trotzky, giunse ad accusarlo di essersi spostato non solo a "destra" ma specificamente sulla piattaforma della destra dell'Internazionale o addirittura dell'Avanti!.

Meglio di così non si poteva preparare il terreno per l'offensiva finale. Nella primavera del 1925 la Centrale italiana, fiancheggiata dall'Internazionale, si accinse a condurre fino in fondo, senza più remore di nessun tipo, la battaglia interna contro la Sinistra. L'introduzione dell'equazione bordighismo-trotzkismo aveva offerto la rozza base ideologica allo sviluppo di un attacco che ormai si alimentava solo più di simboli e di frasi fatte, lontanissima dalle battaglie teoriche e pratiche appassionate che avevano portato alla costituzione del PCd'I in armonia con il movimento mondiale genuinamente rivoluzionario. In tale contesto scattò l'episodio (o l'incidente come alcuni lo chiamano ancora) del Comitato d'Intesa. Sembrava l'anello mancante per chiudere la catena di pretesti di cui aveva bisogno la Centrale e sembrò che la Sinistra lo fornisse su di un piatto d'argento. Ma è vero questo? E se sì, perché dei compagni che avevano saputo formare e condurre fermamente il partito in condizioni difficilissime, ora mettevano in mano all'IC e alla Centrale l'unica arma su cui la bolscevizzazione poteva contare per far leva su una base giustamente preoccupata per la compattezza di un partito fino a quel momento considerato un monolitico organismo?

Note

1) Der organisatorische Aufbau der Kommunistischen Internationale Carl Hoym Verlag, Hamburg, 1925.

2) Cfr. la "Relazione del PCd'I al IV Congresso dell'Internazionale Comunista sulla situazione italiana", 1922.

3) La questione del rapporto fra il partito e la classe, inteso dalla Sinistra come risultato di determinanti materiali e storiche, può essere assimilato ai rapporti interni di partito. Ben prima della bolscevizzazione Bordiga scriveva: "Nella situazione reale del complesso riflettersi sulle disposizioni delle masse dei vari fattori continuamente mutevoli dell'ambiente sociale, il partito comunista [...] non cessa di essere un effetto di quello sviluppo, non può non subire quelle alternative e, pur agendo costantemente come fattore di accelerazione rivoluzionaria, non può, a mezzo di qualsiasi raffinatezza di metodo, forzare o capovolgere l'essenza fondamentale delle situazioni [...]. I criteri che devono servire di base nel giudicare della efficienza dei partiti comunisti devono essere ben diversi da un controllo numerico 'a posteriori' sulle loro forze in rapporto a quelle degli altri partiti che si richiamano al proletariato. Quei criteri non possono consistere che nel definire esattamente le basi teoriche del programma del partito e la rigida disciplina interna di tutte le sue organizzazioni e dei suoi membri, che assicuri la utilizzazione del lavoro di tutti per il miglior successo della causa rivoluzionaria. Ogni altra forma di intervento nella composizione dei partiti [...] non conduce che a risultati illusori, e toglie al partito la sua più grande forza rivoluzionaria, che sta appunto nella continuità dottrinale ed organizzativa di tutta la sua predicazione e della sua opera, nell'aver saputo 'dire prima' come si sarebbe presentato il processo della finale lotta tra le classi, nell'essersi dato quel tipo di organizzazione che ben corrisponde alle esigenze del periodo decisivo". Da Partito e azione di classe, in Rassegna Comunista n. 4 del 31 maggio 1921, ora in Partito e Classe cit.

4) Oltretutto la parola d'ordine della "centralizzazione", che nell'Internazionale venne un po' ovunque intesa come una specie di principio mistico, ma applicata in modo a dir poco "federativo", si scontrava con una effettiva, rigorosa, disciplinata centralizzazione già esistente, frutto dell'impostazione generale politica e non derivata da regolette interne. Le argomentazioni sul centralismo erano dedotte malamente da un Lenin che era invece stato chiarissimo in proposito. Come quando per esempio spiega alla Luxemburg, molto critica nei confronti dell'ultracentralismo esposto nello scritto Un passo avanti, due indietro, che non si tratta di difendere un'organizzazione di partito contro un'altra: "Nel corso di tutto il libro, dalla prima all'ultima pagina, io difendo le tesi elementari di qualsiasi sistema di qualsiasi organizzazione di partito pensabile". La questione dell'organizzazione, dice Lenin, va vista nel contesto della storia del partito, perché un conto è l'organismo rivoluzionario cui si applicano i "principii del partito", sempre, un conto sono gli elementi introdotti dalla lotta politica deteriore, che porta allo stiracchiamento delle questioni organizzative (e spesso anche teoriche) a favore di una corrente o dell'altra.

5) Lo "statuto-tipo" è riprodotto in A. Agosti, La Terza Internazionale cit., pagg. 254-264, e in Jane Degras Storia dell'Internazionale Comunista attraverso i documenti ufficiali, Tomo II, pag. 197-209 (estratti).

6) L. Trotzky, Gli insegnamenti di Ottobre, Materiale per la preparazione congressuale n. 3 (con altri articoli), edizione interna del PCd'I, Milano 1925. Col titolo 1917 − Insegnamenti dell'Ottobre in una edizione de Il programma comunista, 1971.

7) L'articolo è in appendice all'opuscolo precongressuale del PCd'I citato. In essa vi è pure la nota lettera a M. S. Olminski che questi fece pubblicare sulla Pravda e che servì per "dimostrare" come Trotzky pretendesse di aver fatto di Lenin un "trotzkista". In essa Trotzky rivendica tutti i propri articoli riguardanti "l'analisi delle forze interne e delle prospettive della rivoluzione [...] perché essi concordano interamente con la posizione del nostro partito dopo il 1917", mentre afferma che quelli dedicati all'analisi delle frazioni russe "sono sbagliati in modo manifesto". Alla lettera segue una velenosa postilla di Kamenev con l'accusa che diventerà il leitmotiv della lotta interna al partito russo: si vuole sostituire il leninismo col trotzkismo.

8) Oltre che nell'articolo di Bordiga qui pubblicato ("La questione Trotzky" titolo in questa pubblicazione), che affronta i problemi politici connessi alle argomentazioni di Trotzky, un resoconto degli avvenimenti è in Carr, Il socialismo in un solo paese, 1924-1926, I, La politica interna, Torino, Einaudi, 1968, pag. 509.

9) L'articolo di Trotzky e quello di Stalin sono riprodotti in La "rivoluzione permanente" e il socialismo in un paese solo, a cura di G. Procacci, Roma, Editori Riuniti, 1973. Da notare in questo titolo il significativo modo di virgolettare solo la teoria di Trotzky e non quella di Stalin: evidentemente la lingua stalinista batte dove il dente duole.

10) Dall'articolo di Stalin, La rivoluzione d'Ottobre e la tattica dei comunisti russi, ivi, p. 192.

11) Il contrasto nel partito russo in quegli anni verteva principalmente sulle questioni di politica economica. Si contrapponevano frontalmente due programmi di sviluppo, anche se le tesi sostenute dai principali partecipanti alla disputa non erano in realtà così distanti fra di loro ed avrebbero potuto integrarsi a vicenda. Bucharin, anche sulla scorta degli ultimi scritti di Lenin, affermava la necessità primaria di una accumulazione nelle campagne da realizzarsi mediante concessioni ai contadini medi e agiati; Trotzky, e ancor più Preobrazenskij, insistevano particolarmente sul tema dell'industrializzazione che, nella formulazione di Preobrazenskij diventava "Accumulazione socialista primitiva" (cfr. La NEP e i nostri compiti, in Bucharin-Preobrazenskij, L'accumulazione socialista, Roma, Editori Riuniti, 1969).

12) Cfr. Manifesti ed altri documenti politici, opuscolo del 1921 in reprint Feltrinelli.

13) Gramsci, La costruzione del Partito Comunista 1923-1926, Einaudi, pag. 474.

14) Ibid.

15) Cfr. Corvisieri, Trotzky e il... cit., pagg. 185-191. Per un raffronto fra le posizioni di Gramsci, Bordiga e Trotzky in questo periodo, cfr. il saggio di Somai Sul rapporto tra Trotzky, Gramsci e Bordiga, in Storia Contemporanea, febbraio 1982.

16) La mozione si riferisce all'invito rivolto a Bordiga di occuparsi della sezione industriale del partito.

17) APC 309/28-30 e 31-33.

18) APC 296/1-15.

19) L'originale si trova in APC 340/7-13 (in questa pubblicazione "La questione Trotzky"), ed è stato pubblicato da L'Unità il 4 luglio 1925. Vedere anche S. Corvisieri Trotzky e il... cit. pag. 192.

20) "La questione Trotzky" cit. Notare come il parallelo fra l'atteggiamento di Zinoviev nel 1917 e nel 1923 fosse contenuto in forma implicita nell'articolo di Trotzky, mentre diviene esplicito in quello di Bordiga.

21) Relazione di Togliatti al Comintern, 15 febbraio 1925, APC 309/31-33.

22) Cfr. "Dichiarazione di Bordiga sulla campagna di falsificazione della Centrale".

23) Ecco le parole di Zinoviev: "Certi comunisti, che non hanno mai avuto alcuna nozione del bolscevismo, credevano che la rivoluzione si dovesse fare in due o tre anni e che se essa non fosse andata così in fretta, sarebbe stato meglio passare ai socialdemocratici. Questi eroi ci diranno adesso: vedete, noi avevamo ragione. Gli ultrasinistri cominciano a passare armi e bagagli alla destra, come ha già fatto Bordiga. La storia di Bordiga è una edificante illustrazione di ciò che voglio dire. Leggete, compagni, cosa scrive adesso Bordiga, approfondite le sue concezioni, riflettete bene sulla provenienza del cambiamento che osserviamo in lui. La fonte è nell'incomprensione del ruolo del Partito Comunista nel periodo del rallentamento della rivoluzione; nell'incapacità di comprendere il bisogno giornaliero e minuzioso ma bolscevista; nel rifiuto di collegare la tattica del fronte unico e le rivendicazioni parziali a tutta la nostra attività diretta allo scopo finale. Di qui la sua piroetta passeggera (oso sperare che egli possa ritornare alle posizioni dell'Internazionale) dall'estrema sinistra alla destra". Dal volumetto Executif élargi de l'Internationale Communiste. Compte rendu analytique de la session du 21 mars au 6 avril 1925, edito dal PCF, Librairie de L'Humanité, 1925.

24) "Due interventi di Scoccimarro contro la Sinistra al V Esecutivo allargato". La risoluzione definitiva sulla questione italiana fu presentata da Humbert-Droz ("Rapporto della commissione italiana al V Esecutivo allargato"). I documenti sono in Executif élargi de l'Internationale Communiste... cit.

25) Il secondo intervento è riprodotto anche in Corvisieri, Trotzky e il..., op. cit., pagg. 205-214.

26) La risoluzione, oltre che nell'opuscolo citato, è anche in Agosti, La Terza..., op. cit., pagg. 310-314. Durante i lavori del V Esecutivo Allargato Grieco si convertì alle posizioni della Centrale del PCd'I e dell'Internazionale, ma non si spinse ancora fino a condividere e sottoscrivere la risoluzione sulla questione italiana.

27) Il monolitismo del Partito è giusta aspirazione ma non è ottenibile per decreto: "Noi ci possiamo prospettare un tipo ideale di partito rivoluzionario, come il limite che ci prefiggiamo di raggiungere, e cercare di tracciarne la costruzione interna e la regola di vita. Giungeremo così facilmente alla conclusione che in un tale partito non possano essere ammissibili competizioni di frazioni e dissensi di organi periferici dalle direttive dell'organo centrale. Applicando sic et simpliciter queste conclusioni alla vita dei nostri partiti e della nostra Internazionale, noi però non avremo risolto nulla: non certo perché una tale applicazione integrale non sia per tutti noi altamente desiderabile, ma proprio perché nella pratica a tale applicazione non ci avviciniamo affatto. Più che la eccezione i fatti ci conducono a ravvisare la regola nella divisione dei partiti comunisti in frazioni, e nei dissensi che talvolta divengono conflitti tra questi partiti e l'Internazionale. Disgraziatamente la soluzione non è così facile. Occorre considerare che l'Internazionale non funziona ancora come un partito comunista mondiale unico" (Amadeo Bordiga, Organizzazione e disciplina comunista, Prometeo n. 5, maggio 1924).

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