Quale rivoluzione in Iran? (1)
I comunisti e la soluzione rivoluzionaria dei problemi sociali arretrati

Prefazione

Il testo da cui questo opuscolo prende il titolo è nato in seguito ai contatti che abbiamo avuto con alcuni immigrati iraniani dal 1983 al 1985. Le diverse posizioni politiche esistenti tra di loro erano evidentemente fonte di discussione, e questa si riverberava sulle riunioni che si tenevano nella nostra sede e fuori. Tutti erano militanti combattivi e si dichiaravano rivoluzionari, ma pochi davano importanza alle differenze teoriche, come spesso succede fra esponenti di aree dove la miseria, la sofferenza e la violenza politica statale sono all'ordine del giorno, e dove la teoria è considerata un lusso che solo degli occidentali ben pasciuti possono concedersi.

Alcuni facevano riferimento ad un gruppo comunista "internazionalista" iraniano ed avevano posizioni gradualiste, cioè ritenevano necessario lottare prima per la realizzazione della repubblica democratica e poi per la rivoluzione comunista; altri erano legati agli schemi terzomondisti mutuati dalla politica tradizionale delle masse oppresse del Medio Oriente, specie dall'esperienza palestinese.

Pochissimi, infine, furono ricettivi verso l'esperienza della Sinistra Comunista e rimasero in contatto con noi per qualche anno, facendo un buon lavoro, non appariscente ma sistematico, comprendente la traduzione di alcuni brani di testi significativi dall'italiano alla lingua farsi. Queste pagine essenziali della Sinistra furono fatte conoscere tra l'emigrazione persiana in Europa e raggiunsero anche l'Iran. Furono questi ultimi elementi, critici verso tutti gli altri, a chiederci una demolizione della concezione democratica gradualista. Redigemmo insieme alcune pagine di appunti intitolandoli Quale rivoluzione in Iran?, con l'intenzione di svilupparli anche in base alle discussioni che ne sarebbbero scaturite. Ma non scaturì nulla e i pochi fogli rimasero nella originaria forma stringata. Ne circolarono versioni ulteriormente ridotte (cioè senza la parte storica) nella lingua persiana, in inglese e in francese, finché il testo fu ripreso, redatto in forma un po' meno "semilavorata" e pubblicato sul nostro Quaderno n. 2 nel 1986. Nonostante l'intervento redazionale di allora, l'articolo rivela abbondantemente il suo carattere di battaglia sul campo, ma, anche se oggi ci sarebbero più cose da dire e più precise, non abbiamo pensato che fosse necessario riscriverlo in una forma più completa: in fondo si tratta della documentazione di un'attività specifica ed è giusto che rimanga così.

Anche l'articolo che apre l'opuscolo (Fra il peso schiacciante del passato…) mostra i suoi anni rispetto alla nostra produzione attuale. Non che i contenuti siano da "rinnovare" ad ogni stagione, ma semplicemente perché oggi un po' di esperienza in più ci fa svolgere più accuratamente il lavoro redazionale. Per esempio oggi daremmo molto più spazio alla seconda parte sulle motivazioni teoriche del rifiuto comunista di far proprie le istanze democratiche, proprio perché l'esperienza dimostra che la richiesta proletaria a volte è soverchiante appunto sul tema della "libertà", e occorre ribadire la transitorietà di tali parole d'ordine. Inoltre, nelle aree in in cui la crisi compromette la convivenza di più nazionalità, anche tra il proletariato è sempre più nefasto il richiamo "etnico", che maschera il disagio economico e politico, utilizzato da borghesie meschine e asservite alle potenze imperialistiche; perciò occorre ribadire l'estraneità dei comunisti ai nazionalismi e il richiamo all'internazionalismo.Questo articolo fa parte di una serie che doveva essere pubblicata sull'organo del Partito Comunista Internazionale (Programma comunista) con lo scopo di affrontare l'argomento spinoso dei compiti della rivoluzione comunista nelle aree economicamente e socialmente arretrate, dove grandi masse umane non proletarie sono ancora soggette a tradizioni antiche, residui feudali, frammenti di produzione "asiatica" e fondamentalismi religiosi. Purtroppo gli avvenimenti di quegli anni, sfociati nella crisi dissolutiva del partito non permisero il compimento del lavoro. Furono pubblicati solo frammenti sulla Cina, sull'Egitto e sulla Palestina, non essendo stato possibile raccogliere il tutto in un insieme organico.

In appendice riproduciamo alcuni articoli pubblicati dall'organo di partito in quegli anni. Si trattava di dimostrare come anche la "lotta di popolo" fosse, nonostante il contesto democratico-borghese, segnata profondamente dalle esigenze del proletariato. I grandi scioperi e manifestazioni operaie si fermavano, per la mancanza di guida politica, alle rivendicazioni immediate e democratiche, ma il proletariato riusciva comunque a dare la propria impronta, con una tendenza ad andare oltre e rompere con tutte le altre classi, applicando meravigliosamente il concetto marxista di "rivoluzione in permanenza".

Abbiamo ovviamente operato una scelta perché all'epoca si faceva già sentire la pulsione attivistica e immediatista in vasti settori del partito. Nonostante la cernita, si noteranno alcune sfasature rispetto al nostro "stile" abituale, specie là dove il lessico dei redattori, immersi nel clima di revisione marxista-leninista in corso (vale a dire stalinista-terzomondista), indulge a troppi luoghi comuni tipici del politichese di sinistra. Volutamente non abbiamo cambiato nulla, in modo da permettere al lettore non solo di documentarsi su ciò che si diceva allora, ma anche su come lo si diceva e sulla differenza con il nostro lavoro di oggi.

Quaderni Internazionalisti, aprile 1999.

Note

[1] Per dare un'idea, peraltro molto limitata, dei problemi connessi ad una corretta valutazione delle fasi storiche e dei problemi della rivoluzione proletaria futura in certe aree, vedere l'articolo Facteurs économiques et sociaux de la révolution en Amérique Latine (in Programme communiste n. 75 del 1977) e la rimessa in riga effettuata con l'articolo Sur la révolution en Amérique Latine (in Programme communiste n. 77 del 1978). Più tardi, gli stessi autori della "correzione" furono coinvolti nella concezione guevarista o stalinista da loro criticata e ne furono i massimi fautori fino alla liquidazione del partito avvenuta nel 1982.

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