The red terror doctor

"Non è possibile che il partito proletario di classe governi sé stesso nella buona direzione rivoluzionaria se non è totale il confronto del materiale di agitazione con le basi stabili e non evolventi della teoria. Le questioni di azione contingente e di programma futuro non sono che due lati dialettici dello stesso problema, come tanti interventi di Marx fino alla sua morte, e di Engels e di Lenin hanno dimostrato.

Quegli uomini non improvvisarono né rivelarono, ma brandirono la bussola della nostra azione, che è troppo facile smarrire." (da "Proprietà e Capitale")

Con gli ultimi atti del culturame internazionale si è conclusa, all'inizio di quest'anno, la lunga commemorazione marxiana nel centenario della morte.

Noi non abbiamo di che "commemorare". Il lavoro di Marx non richiede tavole rotonde e simposii di intellettuali: impone di essere continuato. Con quel lavoro è nato il partito cui si riferisce il lavoro nostro attuale; in quel partito noi militiamo come vi ha militato Marx, non da genio o da mostro, ma da appassionato combattente per il comunismo.

Non filosofo, non pensatore geniale, ma militante rivoluzionario.

Oggi che lo spettro non si aggira più soltanto per l'Europa, la santa battuta di caccia contro di esso si è ovviamente estesa su tutto il globo terracqueo.

I comunisti hanno contrapposto da tempo, "alla favola dello spettro del comunismo", il "manifesto del partito stesso". Con questo atto la guerra alle favole borghesi assumeva carattere scientifico. Essa durerà fino a che esisterà la borghesia con la sua classe complementare, il proletariato. Non può esistere l'una senza l'altra. Non può dominare l'una senza che l'altra sia dominata. Ma se l'attuale situazione si rovescia ecco che allora le classi spariranno dopo che il dominio proletario avrà eliminato i rapporti di proprietà borghesi. E' certo che la borghesia sarà dominata, il suo potere non sarà più, verrà sostituito da quello proletario, che i comunisti hanno da sempre chiamato senza falsi pudori: dittatura.

La rivoluzione industriale ha reso possibile una grande scoperta che alla metà del secolo scorso maturava tra l'industria inglese, la filosofia tedesca e la politica rivoluzionaria francese: ogni rivoluzione non è una questione di forma di organizzazione. Venivano spezzati d'un colpo i modelli utopistici della società futura: essa non è da costruire secondo un progetto, ma scaturisce dal divenire dei rapporti di produzione esistenti. Essa non matura in una evoluzione di questi in altri diversi, ma esplode con eventi catastrofici che distruggono il passato per consentire lo sviluppo di nuovi rapporti. La violenza è la levatrice della storia e con questa scoperta Marx rivelava alle classi il loro destino storico, il loro futuro percorso obbligato.

La borghesia non aveva aspettato la nuova dottrina per santificare la battuta di caccia al suo antagonista. La rivoluzione borghese stabilì subito che l'organizzazione proletaria era proibita. Con ciò dimostrava che prima vengono gli interessi di classe, poi la coscienza di essi e la sistemazione teorica e giuridica. Il "pensiero" era già nei fatti messo al suo posto prima che Marx lo scoprisse.

Marx morì alle tre meno un quarto del 14 marzo 1883.

Tre giorni dopo fu deposto nella tomba accanto alla sua Jenny, la cui morte aveva incominciato a spegnerne le capacità di resistenza. Nessuna cerimonia, pochissimi i presenti: i famigliari. Engels, Lafargue, Longuet, Liebknecht, due vecchi compagni del tempo della Lega, un chimico, uno zoologo a rappresentare il lavoro scientifico che Marx non aveva mai abbandonato un momento.

Engels improvvisa due parole per l'amico e compagno di lotta: fa un parallelo tra la scoperta di Darwin nel campo della natura organica e quella di Marx nel campo delle leggi di sviluppo della storia umana. Marx - dice - scoprì che gli uomini devono innanzitutto mangiare, bere, avere un tetto e vestirsi prima di occuparsi di politica, di scienza, d'arte, di religione ecc. e che, per conseguenza, la produzione dei mezzi materiali immediati di esistenza e, con essa, il grado di sviluppo economico di un popolo e di un'epoca in ogni momento determinato costituiscono la base sulla quale si sviluppano le istituzioni statali, le concezioni giuridiche, l'arte e anche le idee religiose degli uomini, e partendo dalla quale esse devono venire spiegate, non inversamente, come si era fatto fino ad allora.

Engels dice esattamente queste parole che mal sopportano di essere virgolettate a mo' di dotta citazione. Niente roboanti discorsi da lasciare ai posteri. A questi veniva lasciato ben altro.

Engels continua: Marx era prima di tutto un rivoluzionario. Contribuire in un modo o nell'altro all'abbattimento della società capitalistica e delle istituzioni statali che essa ha creato, contribuire all'emancipazione del proletariato moderno al quale egli, per primo, aveva dato la coscienza delle condizioni della propria liberazione: questa era la sua reale vocazione. La lotta era il suo elemento. Ed ha combattuto con una passione, con una tenacia, con un successo come pochi hanno combattuto. Marx era perciò l'uomo più odiato e calunniato del suo tempo.

Tutto qui. Il fertile e cristallino Engels non aggiunge altro sul cadavere del compagno di lotta. Solo qualche accenno agli ultimi studi scientifici e al lavoro di stampa di tutta una vita. Ma c'è tutto in quelle poche parole. Sulla tomba nessun monumento. Le celebrazioni non si addicono alla rivoluzione che si prepara. Solo nel 1956 la tomba quasi ignorata di Highgate fu sormontata dal busto di ghisa.

La borghesia è la classe che ha potuto sviluppare meglio di tutte i suoi sistemi di dominio. Essa genera al suo interno le forme alternative che meglio si adattano alle situazioni storiche, democratiche o autoritarie, laiche o bigotte, liberistiche stataliste. Ha anche sviluppato al massimo grado le tecniche per la "santa battuta di caccia" contro gli avversari: ammazzandoli senza tanti complimenti o imbalsamandoli nei mausolei della "cultura". Con tutto l'armamentario occorrente di boia e professori, s'intende.

Oggi siamo in un periodo in cui le tavole rotonde prevalgono sui morti ammazzati, lo spettro è esorcizzato con le ricorrenze, e le celebrazioni sono affidate a noti imbalsamatori .

La borghesia ha mostrato questa abilità: si fabbrica delle opposizioni su misura e affida loro il compito di neutralizzare alla fonte il nemico. Fascismo e opportunismo democratico sono due facce di una medaglia ormai poliedrica.

Ma il comunismo non è un ectoplasma incorporeo esorcizzabile da nuovi e vecchi preti. Esso è il prodotto di contraddizioni reali, di interessi inconciliabili, di un movimento materiale della società attuale che già esprime le forme della propria negazione.

Non poteva un uomo solo, per quanto geniale, per quanto caparbiamente determinato a lottare per il rovesciamento degli attuali rapporti sociali, produrre un fenomeno come quello che è stato chiamato con il suo nome. Né lo poteva una setta o una organizzazione politica per quanto vasta e disciplinata.

Nessuna dottrina ha mai invaso così capillarmente il mondo obbligando a pronunciarsi su di essa o comunque a tenerne conto in qualche modo, nell'apologia come della denigrazione. Solo un cambiamento materiale che si prepara può tanto. E in molte aree del mondo è già stramaturo il tempo del passaggio alla società umana, quella che Marx chiamò la fine della preistoria.

Ecco, se si vuole la definizione, che cos'è il marxismo, nome dato dalla consuetudine alla dottrina del comunismo: spiegazione di come il movimento reale abolisce lo stato di cose presente, intendendo per movimento reale non soltanto la lotta organizzata del proletariato, ma l'accumulo incessante di contraddizioni del capitalismo verso la sua scomparsa catastrofica.

In tutto questo Marx può essere ricordato come scopritore del destino storico del proletariato, come esempio di grande militante rivoluzionario, di lottatore instancabile, non certo come padre di un nuovo credo. La filosofia si era preoccupata di interpretare il mondo, Marx disse molto presto che si trattava ora di cambiarlo.

Da questo punto di vista il marxismo mal sopporta le classificazioni "filosofiche", come ben nota il pur spregiudicato classificatore Bertrand Russel.

Non vi è più nulla da "costruire" in questa società, la borghesia è già una classe del passato, sa di morto. Per questo si aggrappa ad ogni appiglio per scongiurare l'esplodere del Terrore Rosso, sa bene che verrà ripagata con la sua stessa moneta, dialetticamente. Dominio contro dominio, Stato contro Stato, terrore contro terrore, per far scomparire dominio di classe, Stato e terrore. Fu in Inghilterra, patria della borghesia più matura e consapevole che fu coniato un soprannome estremamente significativo per Marx: The Red Terror Doctor. Sembra che il "Moro" ne andasse abbastanza fiero.

La situazione è cambiata?

Marx ha lavorato per il comunismo all'incirca 40 anni, fino al 1883, data della sua morte, mantenendo una coerenza assoluta nei suoi studi. Oggi, a un secolo di distanza, invariabilmente tutti gli organizzatori di tavole rotonde, specialmente quelli di "sinistra" convengono che cento anni passati rappresentano un salto di qualità per i rapporti economici e sociali, perciò Marx non è più "attuale". La società si è modificata, e così le classi al suo interno. I proletari non sono diventati più poveri e i capitalisti non sono stati vittime delle ineliminabili contraddizioni del loro si sterna; le crisi sono state superate e bene o male regna la democrazia, tranne dove si è cercato di "costruire" il modello "marxiano". Nuove classi sono apparse e nuove categorie sono presenti nella società. Lo Stato interviene nell' economia e la legge del valore non è più una legge generale. Marx era un utopista. Marx era un romantico. Marx era uno scienziato del suo tempo. Marx è un mito che ormai non può più dare risposte. Il pensiero di Marx è vivo. Il marxismo è dissolto. E ancora: Marx giornalista, Marx gramsciano, Marx ecologo, Marx freudiano, Marx sociologo, Marx cibernetico. Basta pescare nel mucchio dei ritagli di giornali e riviste che affrontano l'anniversario per trovare di tutto. Dato che non ci occuperemo di lor signori uno per uno, tireremo diritto considerandoli in blocco.

Per noi il lavoro di Marx ha una caratteristica ben definita: si occupa della critica della società capitalistica come società caduca, destinata a lasciare il posto a rapporti superiori di produzione. Se ne occupa in generale sulla base dei suoi meccanismi che vengono scoperti e sistematizzati. Se ne occupa in particolare sulla base delle dimostrazioni disponibili nel mondo della produzione, del mercato, delle sovrastrutture politiche e giuridiche. E' nel particolare che Marx ha dovuto superare le più grosse difficoltà, perché le realizzazioni del capitalismo sono ancora immature rispetto all'analisi teorica del suo funzionamento. Questo non impedisce affatto a Marx (e ad Engels) di definire perfettamente le caratteristiche del capitale monopolistico e del capitale impersonale con la relativa perdita del suo carattere privato. I libri incompiuti del "Capitale" sono come dei semilavorati che contengono tutte le risposte necessarie a descrivere e capire il capitalismo sviluppato. Lungi dall'essere superati, per noi dimostrano invece che sono ben più comprensibili alla luce del capitalismo attuale, nel suo esasperato sviluppo. Essi dimostrano che il marxismo aveva anticipato lo sviluppo capitalistico al punto da richiedere un lavoro titanico per la dimostrazione degli assunti teorici.

Per l'enorme accumulo di capitale azionario e la relativa circolazione dei titoli Marx ha come modello completo le ferrovie soltanto. Ed erano agli albori sia l'espandersi del credito che la trasformazione di una parte sempre maggiore di plusvalore in interesse e rendita.

Si può dire che in un certo senso il lavoro di Marx spiega meglio la società di oggi che quella di allora, essendo nel secolo scorso ben più presenti i residui della vecchia società e delle forma non sviluppate della produzione. Questa anticipazione del capitalismo sviluppato dimostra che il marxismo ha tutte le caratteristiche in regola per essere definito scienza. Ogni risultato scientifico scaturisce dalle mature condizioni materiali che ne richiedono la presenza e l'utilizzo. Il marxismo è il prodotto della rivoluzione industriale, dei rapporti di produzione borghesi, distruttori della vecchia società e per questo è anche l'anticipazione dei nuovi rapporti già visibili nella negazione di quelli attuali.

Altro che pensiero superato! Ci spieghino i signori delle tavole rotonde perché mai la borghesia, che non manca certo di cervelli, non riesce a capire un'acca intorno ai meccanismi del suo stesso modo di produzione. Ci spieghino perché non ne azzecca una sulle previsioni a qualunque termine, perché non può e non sa affrontare recessioni e crisi.

Il marxismo sarebbe superato, ma a tutto questo ha dato spiegazione e non a posteriori, ricercando le cause di avvenimenti successi, ma in anticipo, basandosi sulle tendenze inevitabili dell'accumulazione capitalistica.

Ma qual'è questa grande differenza tra il capitale del secolo scorso e quello odierno? Ma il Monopolio, l'impresa multinazionale, l'intervento dello Stato nell'economia, ci si risponde. Questi intellettuali superpagati o sono dei superficiali che non leggono o sono delle carogne coscienti.

Marx è molto più drastico nel delineare la società odierna di quanto non lo siano tutti gli assertori di nuovi capitalismi. Costoro, di fronte a reali, enormi dimostrazioni di potenzialità per l'erompere di un nuovo modo di produzione, si bloccano e si soffermano su caratteristiche del tutto esteriori. del capitalismo moderno, come l'automazione, l'informatica, la burocrazia, i tecnici, il terziario, il capitale "pubblico" ecc. Marx più di un secolo fa va diritto alla radice delle tendenze capitalistiche per dimostrare la necessità storica di una società più evoluta e descrive un capitalismo che allora non era certo evidente agli occhi di tutti. Le grandi aziende azionarie che si sviluppano con lo sviluppo del credito portano alla separazione tra la proprietà del capitale e lavoro di amministrazione dello stesso. Il capitalista come personaggio tende a sparire. La borghesia nel suo insieme come classe diventa una classe storicamente inutile. Questo concetto sarà ripreso da Engels nell'Antidühring e troverà dimostrazioni ripetute nel Capitale. Non sono piccole frasi, sprazzi intuitivi di uno sviluppo appena visibile. Sono già poderosi appunti che maturano nei Grundrisse e trovano una sistemazione nel terzo libro del Capitale, anche se non portati a termine per il sopravvento della morte di Marx. C'è nel Capitale già la spiegazione di ciò che i nostri contemporanei professori non riescono a digerire, cioè del capitalismo in URSS, dove si amministra capitale senza che vi sia per questo la classe dei proprietari del capitale stesso.

Il marxismo ha anticipato la spiegazione del "capitalismo odierno"

Ecco come Marx affronta la questione della separazione tra capitale e capitalista: "A questo riguardo avviene ciò che accadde per le funzioni giudiziarie e amministrative che, sotto il regime feudale, competevano ai proprietari fondiari, mentre poi lo sviluppo borghese le ha separate. Oggi da una parte il semplice proprietario (titolare) del capitale, il capitalista finanziario, trova dinanzi a sé il capitalista in funzione (funzionale); poi con lo sviluppo del credito lo stesso capitale denaro riveste un carattere sociale, si concentra nelle banche e non è nemmeno più anticipato dal suo immediato proprietario; d'altra parte il semplice direttore che non possiede capitale a nessun titolo, è incaricato di tutte le effettive funzioni che competono al capitalista funzionale: sopravvive dunque soltanto il funzionario, e il capitalista, divenuto ormai un personaggio superfluo, sparisce dal processo di produzione". D'altra parte non solo capitale e capitalista sono separati, ma nel capitalismo moderno il capitale perde il suo carattere privato perché nel sistema del credito diventa utilizzabile una quota di capitale che non ha più un rapporto diretto col suo possessore e questo diventa più evidente con il crescere e lo svilupparsi a dismisura del sistema del credito bancario, cioè è più evidente oggi che al tempo di Marx: "Il profitto medio dei capitale particolare è determinato, come abbiamo visto, non dal sopralavoro che questo capitale si appropria di prima mano, ma dalla somma di sopralavoro che si appropria il capitale totale, contentandosi ciascun capitale particolare, parte aliquota di un tutto, di ritirare un certo dividendo. Questo carattere sociale del capitale non è completamente realizzato che col pieno sviluppo del sistema di credito e di banca. Il capitalista industriale o commerciale può disporre di tutto il capitale reale o potenziale che resta libero nella società, cosicché sia chi lo presta e chi lo impiega non ne sono né proprietari né produttori. Il sistema di credito e di banca toglie dunque al capitale il suo carattere privato e racchiude in sé, ma solo in teoria, la soppressione del capitale. E' certo infine che il sistema del credito sarà una leva potente durante il periodo transitorio, il processo di passaggio dal modo di produzione capitalista al modo di produzione del lavoro associato, ma solo in connessione con grandi sconvolgimenti del modo di produzione".

Il sistema del credito, che nel secolo scorso iniziava appena i primi passi su larga scala, oggi è tanto sviluppato da condizionare tutta la produzione industriale; l'industria è praticamente in mano alle banche, uniche ormai a possedere capitale sufficiente per nuovi investimenti. La trasformazione del capitale privato (individuale) in capitale di proprietà sociale, rende evidenti le potenzialità di trapasso a un superiore modo di produzione. Queste non erano osservazioni particolari sul capitale ottocentesco, ma ancora una volta vere e proprie anticipazioni sullo svolgimento futuro dell'accumulazione, dedotte dai germi di sviluppo dovuti al modo di essere del capitale, che è unico e invariabile una volta superata l'accumulazione primitiva. Ecco ancora come lo spiega Marx nel Capitale: "Se il credito appare come la leva principale della sovraproduzione e della spinta all'estremo del processo di riproduzione del capitale, è perché una gran parte del capitale sociale è impiegata dai non proprietari che trascurano le precauzioni del proprietario singolo. La messa in valore del capitale; fondato sul carattere antagonista della produzione capitalista, non permette il libero sviluppo che fino ad un certo punto e dunque costituisce in realtà un intralcio immanente, una barriera della produzione, barriera che il credito di continuo rovescia. Il credito accelera per conseguenza il materiale sviluppo delle forze produttive e la creazione di un mercato mondiale, che il modo di produzione capitalista ha la missione storica di stabilire, fino ad un certo punto, come fondamento materiale della nuova forma di produzione: esso nello stesso tempo accelera le violente eruzioni di tali opposizioni, ossia le crisi e, per conseguenza, la dissoluzione dell'antico modo di produzione. Dunque, il credito ha un carattere immanente: esso spinge da una parte la produzione capitalista a fare dell'arricchimento mediante lo sfruttamento di valore altrui un sistema enorme di speculazione e di gioco, limitando sempre più il numero di quelli che sfruttano la ricchezza sociale; e permette d'altra parte l'avvento di un nuovo modo di produzione".

Abbiamo appositamente selezionato questi passi perché rappresentano l'estremo limite cui Marx giunge nello studio del capitale, limite che il capitalismo dimostra di portare alle ultime conseguenze solo adesso con la sua massima espansione. Ci vuole una bella faccia tosta per dichiarare "superato" il marxismo.

Ma vi sono infiniti altri argomenti da utilizzare contro i servitori prezzolati della classe dominante.

Uno dei loro cavalli di battaglia è l'errata previsione sull'impoverimento della classe operaia. Oggi gli operai sarebbero meno sfruttati e meno poveri dei loro predecessori.

Vediamo. Per Marx la legge della miseria crescente non significava affatto discesa del salario né reale né nominale, ma aumento della estorsione di plusvalore accompagnato dall'allargamento delle file proletarie causato dall'espansione della produzione con relativo esproprio di classi che un tempo avevano proprietà e riserve.

Questo continua ad avvenire, anzi, la miseria crescente è un fenomeno che nei periodi di crisi non è solo relativo ma assoluto, se si tiene conto della media tra occupati e disoccupati, tra proletari del mondo sviluppato e masse sfruttate ed affamate dei paesi sfruttati ex coloniali. L'aumento della produttività del lavoro significa sproporzione crescente tra salario e massa di profitto prodotto dal lavoro che questo salario va a pagare. Questa è miseria crescente: sempre meno valore della forza-lavoro produce sempre più plusvalore che va in profitto, interesse e rendita.

Questo fenomeno è un fenomeno moderno e "attuale" fin che si vuole, basti osservare il livello della produttività, dell'introduzione di macchine e del perfezionamento dei cicli di lavorazione.

Nei primi dieci anni del dopoguerra in Italia i salari aumentarono del 280 per cento mentre il costo della vita aumentava "soltanto" del 180 per cento e la produttività del 250 per cento. Posto a 100 l'indice di partenza, abbiamo che l'operaio con salario 380 doveva comprare 280 con un miglioramento del potere d'acquisto del 35 per cento. Ciò significa che l'operaio, incrementando la sua produzione di tre volte e mezzo, ricevette in più solo una volta e un terzo. Se non è immiserimento questo... E potremmo continuare con la caduta del saggio generale del profitto, la crisi di sovrapproduzione, la questione agraria, tutti temi che il giornalismo borghese definirebbe "di attualità scottante".

Il concetto difficile da digerire: dittatura proletaria

Ci siamo, ecco l'argomento lacrimogeno preferito: siamo nel campo della violazione dei Diritti dell'Uomo. Con le maiuscole, s'intende.

Marx e il marxismo sono la base necessaria del "Socialismo Reale" con i suoi Gulag, i suoi manicomi, il suo totalitarismo. Lenin è la premessa di Stalin e Marx è quella di Lenin. Per il fariseo tutto è chiaro: si tratta di lesa democrazia.

Marx non avrebbe sviluppato una sua teoria dello Stato. O meglio, secondo un noto professore che insiste da trent'anni su questo tema, si sarebbe disinteressato di inserire nella sua teoria un capitolo sullo Stato di Diritto. Secondo costui Marx rivolse soltanto uno sguardo distratto alle istituzioni del diritto pubblico moderno. Dice proprio così. E ciò perché Marx considerava lo Stato una sovrastruttura. Così Marx non ebbe occasione di fare differenza tra uno Stato costituzionale e uno Stato arbitrario dato che era un vero indifferentista, considerando ogni forma di Stato una dittatura.

Si capisce che procedendo di questo passo si possono imputare a Marx anche le esecrate gesta del nazionalsocialismo tedesco o qualsiasi altra cosa.

Non è pensabile che il professore in questione non abbia letto il 18 Brumaio o gli scritti sulla Comune, per esempio, o diversi scritti contro gli anarchici. Marx, Engels, Lenin, tutti i comunisti hanno avuto le idee chiare sullo Stato, una posizione ben precisa. Consideravano appunto lo Stato una sovrastruttura la cui forma dipende dai rapporti di produzione esistenti e la cui funzione è quella di dare corpo alla dittatura della classe dominante. Tutto questo non c'entra con il cosiddetto Socialismo Reale. Allo stesso titolo vi sono altre dittature in tutti gli Stati esistenti, cambia solo la forma. Quando vi è Stato vi è sempre dittatura.

Questa della dittatura a Marx non la perdonano proprio.

Già Kautsky aveva provato maldestramente a falsificarlo e democratizzarlo. Ma dopo che Lenin gli dette la robusta strigliata non fu più possibile scantonare. Marx ha parlato per più di quarant'anni del compito proletario di spezzare la macchina statale borghese, forse non sempre usando quella che Kautsky chiama la "parolina" della dittatura, ma sempre in termini inequivocabili. Per il resto, dopo la fase transitoria del socialismo, lo Stato dovrà estinguersi. Qui i lamenti dei marxiani non marxisti si fanno più acuti. Lo Stato non solo non si è estinto ma schiaccia lo stesso proletariato. Chiamano "socialismo" il capitalismo e poi si lamentano della contraddizione. Che farci? Essi parlano, come dice Lenin di Kautsky "con l'erudizione di un dottissimo imbecille da tavolino o con il candore di una bambina di dieci anni". Vorrebbero il famoso "Stato popolare libero" e non capiscono che fino a quando il proletariato ha bisogno delle Stato ne ha bisogno per assoggettare i propri avversari e "quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere".

Lo Stato di classe è una macchina immensa, centralizzata e funzionante secondo gli schemi consolidati dalla dittatura di chi è al potere da tempo. Lo stato di classe è centralizzato, ha a sua disposizione tre elementi di terrore classista potentissimi: la polizia, la magistratura e l'esercito. Nel momento di passaggio la magistratura non serve, non si possono istruire processi. Restano la polizia e l'esercito, la forza armata.

Nessuna rivolta superficiale scalfisce questa forza, ma la rivoluzione distrugge dall'interno la compattezza di essa. La Comune di Parigi, l'Ottobre Rosso dovettero distruggere l'apparato statale antico, farne sorgere uno nuovo. Qui si sovrappone la prassi alla dottrina perché la lezione è già tratta: macchina armata contro macchina armata, lotta senza possibilità di compromesso, che sarebbe sicura sconfitta della rivoluzione. Quindi anche Terrore, mancanza di libertà, violenza. Forse che in Place de la Concorde (come si chiama adesso) la "vedova" dava spettacoli edificanti e libertari? Eppure l'esimio professore di oggi è lautamente pagato dalla classe che salì al potere con quei mezzi e che è prontissima a riutilizzarli a scala infinitamente più vasta per mantenerlo. No, la Comune di Parigi, primo esempio di dittatura proletaria, può essere criticata non per essere stata troppo feroce, ma per non esserlo stata abbastanza. La rivoluzione d'ottobre fu addirittura magnanima nell'iniziale esplosione e pagò a caro prezzo questo disorientamento iniziale. "La rivoluzione non ha il diritto di avanzare a mani pulite": lo Stato che serve ad essa non può essere meno potente e centralizzato di quello che serve alla classe dominante.

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Marx è morto da cento anni e potremmo dire, accostandoci alla retorica, corrente, che la sua opera "vive". Non è da marxisti trattare a questo modo la materia: non sopravvive il lavoro di un uomo, ma la condizione che ha suscitato quel lavoro. Marx ha potuto tirare le somme e mettere in chiaro, cioè fare scienza di un movimento reale che portava al comunismo. Quel movimento è inesaurito, per questo la borghesia cerca di esorcizzare i fantasmi che la sua apprensione di classe mantiene ben presenti.

Marx stesso fece di tutto per sottolineare che il prodotto del suo lavoro era determinato da un movimento materiale: "... Per quello che mi riguarda, non spetta a me né il merito di avere scoperto l'esistenza delle classi nella società moderna, né quello di aver scoperto la lotta tra di esse. Già molto tempo prima di me, degli storici borghesi avevano esposto lo svolgimento storico di questa lotta delle classi, e degli economisti borghesi avevano esposto l'anatomia economica delle classi. Quello che io ho fatto di nuovo è stato di dimostrare: 1) che l'esistenza delle classi è soltanto legata a determinate fasi dello sviluppo storico della produzione; 2) che la lotta delle classi necessariamente conduce alla dittatura del proletariato; 3) che questa dittatura stessa costituisce soltanto il passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi ..."

Ciò che vive non è la barba del Moro, ma il partito storico della rivoluzione.

Opuscolo del 28 aprile 1984, Partito Comunista Internazionale Via Calandra 8/L - Torino

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