Numero 103, 27 dicembre 2006

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L'ultimo numero dell'anno di The Economist è dedicato alla "Felicità (e come misurarla)". Sottotitolo: "Il capitalismo può rendere una società ricca e mantenerla libera, ma non chiedetegli di rendervi felici allo stesso modo". Uno dei principali organi del Capitale globale ci dice dunque che non c'è relazione fra ricchezza accumulata ed effettivo benessere degli uomini. E' proprio ciò che analizziamo nel numero monografico di "n+1" appena uscito, tutto sulla legge marxiana della miseria crescente.

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Dollaro in picchiata

Quando nacque la moneta europea, occorrevano 0,85 dollari per acquistare un euro. Oggi ne occorrono 1,32. Il destino della moneta americana appare dunque incerto: alle difficoltà interne degli USA si aggiungono le prese di posizione di vari paesi, specie quelli produttori di petrolio, che diversificano le proprie riserve valutarie. Il declino dei valori immobiliari americani (-24% in un anno) dà il colpo di grazia, dato che la massa delle costruzioni serve da garanzia per prestiti e mutui in un paese indebitatissimo. E questo peggiora le cose: con il dollaro svalutato, gli indebitati americani pagano già ben caro quello che importano, mentre gli europei riescono a pagare meno le forti importazioni di petrolio e gas. La Cina incomincia ad avere problemi a mantenere troppi dollari svalutati nelle proprie riserve, ma non può venderli per non provocare un terremoto monetario mondiale. Con la diversificazione delle monete di conto altrui a favore dell'Euro, i paesi europei non soffrono particolarmente per le loro esportazioni, ma sono certo tentati di disfarsi anch'essi delle riserve in dollari. Per evitare un possibile disastro monetario (cioè economico) mondiale c'è chi propone una moneta continentale americana da contrapporre all'Euro, basata sull'area di interscambio fra USA, Canada e Messico (NAFTA). Quali lezioni trarne? Il denaro serve a rappresentare il valore delle merci ed è trattato esso stesso in quanto merce con valore, ma un valore basato esclusivamente sulla fiducia: non può essere garantito da altro che dalla solvibilità del paese d'origine, dalla sua produzione , dalla sua politica economica e diplomatica, dal suo armamento. La crisi del dollaro non è nata adesso, ha una storia lunga, e non è altro che un aspetto della crisi dell'assetto imperialistico del mondo.

1968 : La teoria della moneta

Exit strategy

Il rapporto finale della commissione Baker-Hamilton sembra configurare per l'Iraq una exit strategy senza "vittoria", finora sempre negata ufficialmente e peraltro non ancora presa in considerazione da Bush e dal governo che presiede. In realtà il rapporto nel suo insieme è una critica serrata non solo alla guerra ma al fallimento della politica estera americana degli ultimi anni. Si tratta ovviamente di un gioco delle parti. Compiuto il "lavoro sporco", i neocons e lo staff bushita sono messi in riga dalla borghesia che conta. Con il piano Baker la strategia in Iraq solo apparentemente cambia corso: da almeno un anno vi sono incontri "riservati" ad Amman fra generali americani, esponenti del governo fantoccio iracheno (capeggiati dall'ex primo ministro Allawi) e capi guerriglieri delle varie parti, compresi i seguaci baathisti di Saddam Hussein. Di che cosa discutono? E' chiaro che ogni normalizzazione risulta impossibile senza il coinvolgimento della vera borghesia irachena, l'unica che, avendo governato per decenni, è in grado di far funzionare le infrastrutture e la burocrazia controllando le bande tribali che imperversano in mancanza di Stato. Da questo punto di vista anche l'accenno di guerra civile fra palestinesi sembra rispecchiare in piccolo la stessa mancanza di controllo statale borghese subentrata in Iraq. Persino all'interno di Israele, del Libano e dell'Iran vi sono ormai tensioni enormi dovute all'assenza di una conseguente e salda borghesia. S'indebolisce l'egemonia americana, ma non c'è nulla che possa sostituirla.

2001: La Guerra planetaria degli Stati Uniti d'America

L'industria dell'olocausto

La grottesca conferenza di Teheran sull'Olocausto ha provocato un'ondata di sdegno da parte delle borghesie occidentali che hanno fatto della Shoah uno dei propri manifesti propagandistici preferiti. Comunque nessuna conferenza borghese potrà mai spiegare i grandi massacri del XX secolo. L'antisemitismo fu un Grande Alibi per l'antifascismo, che peraltro non mosse un dito per salvare gli Ebrei e non fece la guerra per questo. C'era una Schindler list ma non s'è mai sentito parlare di una Roosevelt list. Lo sterminio di un popolo ha rappresentato un buon veicolo per propagandare la presunta antitesi tra il razzismo dei "sistemi totalitari" e la "bontà" della democrazia occidentale. Ma il razzismo e la xenofobia non sono un'aberrazione dello spirito, sono la reazione piccolo-borghese alla pressione del Capitale, che ovviamente la usa. L'odio anti-ebraico rappresentò la necessità di concentrare su un gruppo delimitato le responsabilità e gli effetti della catastrofe economica. E in Germania gli Ebrei erano il solo raggruppamento sufficientemente identificabile, sul quale fosse possibile incanalare la distruzione. In altri paesi altri gruppi e popoli furono massacrati per motivi analoghi, ma ai vincitori della Guerra Mondiale conviene focalizzare l'attenzione del target su un solo genere di consumo.

1960: Auschwitz, ovvero il grande alibi

Gli schiavi del terzo millennio

Ogni anno 500 mila donne entrano nel mercato della prostituzione in Europa. Tre su quattro hanno meno di 25 anni, e molte sono minorenni. Nell'ultimo decennio nel solo Sud-Est asiatico il traffico avrebbe coinvolto 33 milioni di esseri umani, tra cui 1,1 milioni di bambine e bambini. Secondo alcuni studi, ognuno di questi bambini incontra in media duemila clienti all'anno. Il fatturato annuale della "industria della prostituzione" nel mondo è stimato sui 60 miliardi di euro (i dati sono del 2002). Questa analogia con lo sfruttamento nella sfera della produzione la fanno gli stessi borghesi e non è per nulla arbitraria: nel passaggio dalla prostituzione individuale a quella industriale abbiamo un capitalista che anticipa capitale, un passaggio attraverso l'applicazione di "lavoro sociale" e la ripartizione del valore totale fra lavoro necessario e pluslavoro o plusvalore.

1912: Socialismo e femminismo

Il Giappone vara una legge contro i suicidi

Il Giappone ha il tasso di suicidi più alto tra i Paesi industrializzati. Nel 2005, per l'ottavo anno consecutivo, vi sono stati più di 30mila casi, con un netto aumento tra i giovani. Le proporzioni del fenomeno hanno costretto il Parlamento ad approvare all'unanimità una legge che riconosce il suicidio come problema sociale e non prettamente individuale. Saranno quindi stanziati più fondi destinati a psicologi di sostegno ed enti locali per seguire da vicino i "casi a rischio". Tra l'altro il problema-suicidi si aggrava di pari passo con quello del cosiddetto bullismo scolastico. Il ministro dell'Istruzione giapponese riceve sempre più frequentemente lettere di studenti che annunciano di volersi togliere la vita per sfuggire agli angosciosi problemi che questa pone; che sono poi quelli tipici della vita da adulti e ai quali i ragazzini non sono ancora preparati: i soprusi, le umiliazioni, la richiesta di soldi da parte dei coetanei.

2005: Una vita senza senso

Il caso Welby

Da una parte si è scatenata quella frazione di "società civile" che definisce "difesa della vita" la tortura di un uomo che farebbe volentieri a meno di soffrire ulteriormente; dall'altra si è scatenata la frazione che difende il diritto alla proprietà privata del corpo, sancita da statuti e costituzioni, che risulterebbero violati. Sullo sfondo i "padroni" della vita altrui, cioè le corporazioni della medicina ufficiale, le multinazionali del farmaco e delle strutture tecniche, che guadagnano da 300 a 1.500 euro al giorno su ogni malato terminale, i giuristi, i legiferatori e la Chiesa cattolica che se ne frega del corpo pur di salvare l'anima (anzi, il dolore del corpo la prepara per un migliore aldilà). Paradossalmente, però, proprio la Chiesa cattolica, l'organismo più reazionario che ci sia, ha mantenuto una linea (un diktat per i credenti) meno infame del volgare schiamazzo dei modernissimi servi del Capitale: no all'omicidio del corpo per mano propria o altrui, no all'accanimento terapeutico che impedisce il decorso decente della vita-morte. Il comunismo è espressione di una società organica futura. Noi non siamo "padroni" del nostro corpo più di quanto lo sia un'altra qualsiasi forma vivente. Non dovremmo essere padroni neppure di avvelenarci con droghe varie (quelle vere e proprie sono le più innocue), figuriamoci se potremmo trattare il problema della vita-morte come una delle tante "questioni" da dibattere, per di più a livello giuridico-istituzionale. Veri padroni del corpo sono quelli che invece lo vogliono assoggettare all'industra e alla macchina (in questo veramente coerenti con la loro società-Matrix). Non è un caso che il diretto interessato, Welby, abbia espressamente richiesto di morire in "modo naturale", sospendendo la non-vita artificiale.

1961: A Janitzio la morte non fa paura

Dear Wendy

Il film (2005) di Vinterberg, scritto da Lars Von Trier. Descrive la passione che lega Wendy a un giovane minatore di periferia. Non si tratta però di una storia d'amore… Wendy infatti è una vecchia pistola abbandonata che il ragazzo trova per caso. Da quel momento i due diventano una coppia inseparabile ma la passione coinvolge a catena anche altri reietti del quartiere, ognuno dei quali troverà il suo "amore eterno" da consumare in una miniera dismessa al riparo dai pericoli esterni (sulla falsariga dei fight club di Fincher). Lì i singoli riusciranno a sviluppare le loro attitudini fino a diventare un corpo unico. Il loro "culto delle armi" rappresenta la chiave per non soccombere alla paura di vivere che affligge le altre "monadi isolate" del quartiere. Il film si dissocia dall'ideologia dominante, specie tra i giovani occidentali, del pacifismo e della non violenza. Ed il finale dimostrerà che il vero pericolo sta proprio nel volto "pacifico" delle istituzioni.

1921: I socialdemocratici e la violenza
1946: Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe

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