Riconoscere il comunismo

Tre "relazioni collegate" esposte alle riunioni generali del Partito Comunista Internazionale, 1958-59. Ediz. Quaderni Internazionalisti, pagg. 126, lire 12.000

Identificare, distinguere, comprendere, accettare, insomma riconoscere il comunismo è al contempo difenderlo da tutte le mistificazioni e travisamenti che nella storia si sono stratificati. Se ci trovassimo di fronte alla semplice definizione di un modello sociale, essa sarebbe rimasta memorizzata nei libri come le altre utopie, ma in origine è stato chiamato comunismo l'intero processo del divenire umano, ed è per questo che il termine continua ad essere parte delle vicende della nostra specie, con falsificazioni e oblii, ma soprattutto con possenti verifiche.

Nel testo che qui proponiamo tutto ciò viene messo in evidenza attraverso la sottintesa teoria organica del partito. Nei titoli della lunga serie da cui sono stati tratti gli articoli di questa raccolta tutto il lavoro viene ricondotto al partito e al suo programma: "Teoria della funzione primaria del partito politico", "Contenuto originale del programma comunista", "Cardini del programma comunista", "Tavole immutabili della teoria comunista di partito". Nonostante ciò, il lettore non troverà una specifica trattazione sullo strumento "partito" in quanto tale; il tema è affrontato in una visione così ampia che la teoria del partito si confonde con quella del divenire della società umana. Il comunismo come divenire comporta necessariamente il divenire del partito, sono la stessa cosa. Ed è partito della specie, non altro. Se il lettore, influenzato dai luoghi comuni sul partito rivoluzionario, si aspettasse da queste pagine dettami organizzativi, norme statutarie, ricette per "costruirlo" in quanto organizzazione, rimarrebbe assai deluso. Il partito non è un'organizzazione, anche se ha bisogno di una sua organizzazione.

Marx sottolinea nei Manoscritti del 1844 che il risultato del divenire della specie è infine la coincidenza fra essere umano ed essere sociale, risultato negato nelle società divise in classi e basate sull'appropriazione del surplus. Questa coincidenza sarà il punto di arrivo dell'intero percorso che l'umanità avrà compiuto, dalla sua nascita in quanto comunità sociale primigenia fino alla sua affermazione come comunità sociale sviluppata, padrona della forza produttiva. Sarà l'ultimo dei passaggi che essa dovrà percorrere per arrivare alla soluzione degli antagonismi tra le classi, estinguendole, e tra uomo e natura, riunificandoli. Sulla stessa traccia, le pagine di questo libro sono dedicate a tratteggiare la società futura come punto di arrivo della storia, quindi come fine della storia e di tutte le categorie che essa ha prodotto. Come per esempio la filosofia, che l'uomo ha generato dalla sua primitiva unità con la natura e poi ha adoperato, criticato e infine negato con il sorgere della corrente rivoluzionaria moderna. La stessa società borghese, con le sue realizzazioni materiali, ha già in gran parte sostituito la filosofia con la scienza. Si tratta ora di portare anche questa a conoscenza unificata dell'umanità.

Quindi, riconoscere il comunismo anche nei suoi effetti politici, come disegno determinato del possibile, un futuro che disegna già oggi elementi materiali della sua propria realizzazione. Elementi che si possono definire, prendendo a prestito un buon termine deterministico della fisica, "potenziali anticipati". Si parla infatti del partito descrivendo la società futura, la quale descrive sé stessa attraverso le sue realizzazioni in quella presente: il comunismo aborre creazioni idealistiche di nuovi mondi. Il partito storico dunque è un potente anticipatore del futuro, e la sua presenza va riconosciuta così come quella del comunismo, né più né meno. Solo alla realtà del partito storico si può innestare il processo di formazione e sviluppo di quello formale, fatto di uomini, relazioni con le classi, organizzazioni (è Lenin che usa non a caso il plurale). Anticipazione, ma anche conservazione della linea del futuro della specie.

La parola partito è ormai frusta, dato che descrive le organizzazioni di tutte le classi. L'aggettivo comunista non risolve nulla, dato che è anch'esso definitivamente rubato. Dobbiamo perciò riconoscere, distinguere per differenze sostanziali. Nei partiti e gruppi "rinnegati" l'organizzazione e la disciplina vengono decretate per statuto dimenticando che queste non sono un punto di partenza ma una meta da raggiungere a seconda dei fini. Certo, per combattere, l'uomo ricorre anche all'organizzazione militare, l'unica adatta per vincere un'altra forza armata e di per sé la meno organica che ci sia; ma persino in questo caso essa può essere ricondotta all'intera attività di specie, quando questa sia tesa verso una società di livello superiore, divenendo uno strumento come un altro in mano a un movimento organico.

La soluzione che la specie si è già data, fin da quando esiste, è l'armonizzazione dell'individuo col tutto. La storia ha conosciuto anche forme aberranti di negazione dell'egoismo, per esempio il monachesimo militare, ma originariamente essa è legata all'armonico partecipare degli uomini, ognuno con le sue caratteristiche differenziate, alla vita comune. Ciò implica il rifiuto sia della corsa all'affermazione del proprio Io che della supina accettazione dell’Io altrui, poiché in un organismo non dittano le sue cellule, grandi o piccole, complesse o elementari, intelligenti o solo forzute, ditta il programma cui ognuna è sottoposta, come le cellule di una forma vivente obbediscono al DNA. Rifiuto dell'Ego-ismo che è stato il primo dio della società capitalistica e che oggi è la peculiarità più mostruosa nell'epoca della sua agonia. L'adesione al programma comporta un'auto-selezione continua del materiale vivo, degli umani che rappresentano lo strumento della rivoluzione, è passione che si esprime nel lavoro anonimo, sistematico, nell'ambiente ostile, saturo di mille sollecitazioni devianti.

Ma com'è possibile, ci si chiede nel testo, che l'individuo o una collettività di individui raggiungano la coscienza della realtà avvenire se oggi domina l'ideologia della classe borghese, se tutta la società ne è permeata e non è dato ai proletari e neppure alla loro classe di volere il partito, a maggior ragione nel senso organico del termine? Finché la classe vive e opera nella società capitalistica non può ogni suo singolo elemento avere una visione cosciente ed esaustiva della trasformazione dal presente alla società futura; non è dato neppure alla classe intesa come somma di individui. Pensare che il singolo proletario, soltanto perché è tale, possa giungere per suo interesse personale alla comprensione del comunismo come divenire, è ancora cadere nel materialismo volgare. Neppure un capo geniale, per quanto determinato, avrà questa possibilità, a meno che non convergano su di lui le forze del cambiamento storico e lo trasformino in uno strumento adeguato. Dunque siamo di fronte a una contraddizione grave: l'individuo non può giungere alla conoscenza completa del divenire; la classe come somma di individui neppure; se tutto si limitasse a questo saremmo ridotti "alla impotenza eterna non solo di volere il futuro, ma di prevederlo". Ci troviamo di fronte ad un classico paradosso logico apparentemente senza soluzione: il proletariato è l'unica classe che può rappresentare la forza della rivoluzione ma non può essere rivoluzionario perché gli manca "la luce che alla specie umana risplenderà dopo la morte delle classi".

La dialettica soluzione c'è, e sta appunto nel partito come organo del futuro della specie. E' quest'ultima che esprime il partito attraverso la contrapposizione delle due classi fondamentali; che fornisce il materiale umano, gli individui che ad un certo punto negano la loro appartenenza di classe e si sentono legati unicamente al futuro dell'umanità, quindi al comunismo. Tutto il sistema sociale si indirizza verso quel risultato, il proletariato supera la sua condizione di massa amorfa e riconosce il suo partito, diventa classe per sé, si erge a classe dominante per abolire tutte le classi, anche sé stessa.

Questo paradosso logico che solo la dialettica può spezzare ha un suo riflesso nel linguaggio utilizzato in tutti i testi della Sinistra Comunista "italiana". Come tutto il patrimonio teorico della nostra corrente, anche gli articoli qui presentati erano dei "semilavorati" in continua elaborazione, espressione di "lavori in corso" che non possono finire mai perché elementi di una continuità teorica e continuazione di lavoro precedente, premessa per quello futuro, che i militanti di oggi ereditano. Il linguaggio con cui furono scritti, a volte fonte di perplessità quando non addirittura di spregio, è della massima importanza. Esso varia nel tempo e, se da una parte risente della guerra pluridecennale contro la degenerazione dell'Internazionale in difesa del programma, dall'altra è già indicazione potente della sua trasformazione in strumento più adatto ai compiti futuri, arte della comunicazione, che è anche la cartina di tornasole che smaschera chi l'ha rigettato, non riconoscendone, appunto, l’essenza comunista. E preferisce la lingua morta delle rivoluzioni passate, il comodo luogocomunismo che non dà pensieri.

Spingendo sul linguaggio, una parola uccisa dalla storia come "comunismo" diventa di nuovo viva in mille relazioni che abbattono stratificazioni tremende. La passione rivoluzionaria scrive allora pagine di poesia. Via gli aggettivi: non c'è più comunismo italiano, democratico, dal volto umano, dittatoriale, operaio, ecc. E via anche le mal sopportate aggettivazioni. Spariscano se possibile anche teoria comunista, prassi comunista, tattica comunista, società comunista e, si scandalizzi chi vuole, persino partito comunista. L'abitudine è talmente radicata e certo lessico è talmente comodo per la nostra pigrizia mentale che troppo spesso non riusciamo ad evitare l'uso improprio di un termine che vorrebbe essere lasciato in pace, a significare quello che in origine significava. Provate a dire senza ironia "matematica dal volto umano" oppure fisica "operaia". E se provate con "teoria matematica" ve la cavate ancora aggrappandovi al contesto, ma con "tattica" o "partito matematico" dal ridicolo non vi salva più nessuno.

Purtroppo non è solo pigrizia mentale. Il linguaggio non si può inventare. Se da una parte esso è il risultato del modo di produzione con annessi e connessi, nel nostro caso è il prodotto di decenni di battaglia contro ogni degenerazione con desinenza in "ismo". Anche noi ovviamente lo utilizziamo, meglio, lo subiamo. Riusciamo a eliminare categoricamente frasi come "comunismo di sinistra" , ma non ce la facciamo ad eliminare del tutto, come si dovrebbe, "società, partito, tattica, comunista". Ci chiamiamo per esempio "comunisti", anche se a rigore l'uomo comunista verrà solo con la società comunista.

Nel titolo del Manifesto Marx aggiunge: del partito comunista; però scrive nel capitolo più importante: il nostro partito non è un partito fra altri. Ora, l'aggettivo è l'attributo del nome, serve appunto per distinguere fra due cose che altrimenti sarebbero uguali. Non è uno sfizio da letterati, ci sono un sacco di problemi semantici che nessuno potrà risolvere finché la lingua non cambierà. E noi dobbiamo attribuire molta importanza al fatto che essa abbia già incominciato a mutare.

Rivista n. 5