Impulso e metodo

"Se vanno attribuite al partito volontà e coscienza, deve negarsi che esso si formi dal concorso di coscienza e volontà di individui d'un gruppo, e che tale gruppo possa minimamente considerarsi al di fuori delle determinanti fisiche, economiche e sociali in tutta l'estensione della classe" (Partito Comunista Internazionale, Teoria e azione, 1951).

Insegnamenti preziosi

Giungono rumori di crisi da diversi punti del milieu terzinternazionalista. Riceviamo corrispondenze con interrogativi al proposito, circolano documenti terrificanti, ci vengono a trovare ex militanti più che perplessi. Nello stesso tempo ci sono spinte a disperati embrassons-nous e tentativi di recuperare l'immenso patrimonio storico della Sinistra comunista "italiana". In quest'ultimo caso quasi sempre con risultati ibridi.

Il fatto che questo patrimonio sia imbastardito, frullato in indistinte ricette per tutti gli usi, letto attraverso innumerevoli correnti e sottocorrenti cui ha dato luogo, è certo anche il frutto di approcci da sprovveduti. Ma l'intreccio di sistemi interpretativi orientati, l'invenzione di ricette, il reclutamento di giovani leve in "partiti" formali gabellati come embrioni della rivoluzione futura, tutto ciò è opera di vecchie volpi opportuniste. Ed è una solfa che conosciamo fin troppo bene. Il patrimonio comunista è accumulo teorico di un secolo cruciale, di epoche e aree differenziate, di rivoluzione e controrivoluzione, è "un macigno non traducibile in pillola".

Noi rispondiamo ai giovani disorientati, di vecchi marpioni non ci curiamo. Allora, la Sinistra Comunista "italiana" è l'erede non degenerata della Terza Internazionale? O non è piuttosto una corrente a sé, comunista ma antiautoritaria, dato che è stata perseguitata dallo stalinismo?

C'è già molta confusione sotto il sole, e sarebbe buona cosa se si riuscisse ad evitarne di ulteriore. La Sinistra "italiana", a causa delle caratteristiche peculiari del suo lavoro rigoroso e della sua sconfitta storica che l'ha fatta poco conoscere, è stata relativamente esente da falsificazioni: chi l'ha tradita nettamente ha potuto imboccare le troppe strade già aperte da storiche revisioni del marxismo originario. Chi ha continuato a considerarla un riferimento pur non essendo riuscito a far propri i suoi insegnamenti non ha coinvolto che piccoli gruppi di individui. Ogni tanto qualcuno la "riscopre". Un tempo per via di una continuità fisica, tramite la conoscenza di vecchi militanti; oggi soprattutto attraverso il suo patrimonio scritto. Ultimamente stiamo assistendo ad una di queste riscoperte da parte soprattutto di giovani disgustati dal politicantismo corrente. L'impulso è comprensibile: in questa corrente si trovano risposte alla degenerazione stalinista, anzi si tocca con mano la validità di una lotta contro ogni degenerazione.

Ma non basta. Le due domande che abbiamo sopra sintetizzato scaturiscono dal bisogno di chiarezza, sono state poste nel tentativo di superare una realtà difficile da trangugiare, anche se denotano approcci differenti. Tuttavia non si può semplicemente partire né dall'una né dall'altra, occorrerebbe riformularle entrambe. Il motivo è semplice: esse risentono di un filtro pregiudiziale, dell'ottica di chi ha sempre visto la Sinistra e la sua battaglia attraverso ciò che le stava attorno. Per gli stalinisti, ad esempio, essa era trotskista o anarchista, per gli anarchisti essa era bolscevista, per gli attivisti era attendista, e così via.

Questa sfilza di pseudo-definizioni non si adatta alla Sinistra. Essa è stata l'unica corrente che fosse più proiettata verso il futuro che ancorata al passato, l'unica corrente che in sessant'anni di storia abbia combattuto più per l'affermazione di qualcosa che contro qualcos'altro. Certo, ha dovuto opporsi alle correnti opportunistiche, ma sempre per sgombrare il terreno dagli ostacoli che si frapponevano al raggiungimento della completezza nell'organizzazione e nella teoria rivoluzionaria. Solo degli ottusi hanno potuto affermare che per la difesa di un rigore dogmatico, contro i compromessi, contro il fascismo, contro lo stalinismo, essa ha perso l'occasione di rimanere a capo del partito che aveva fondato e quindi l'occasione di rimanere soggetto della rivoluzione in Europa. Costoro non capiranno mai che la lotta per la coerenza e il rigore era invece funzionale al mantenimento del partito proprio come soggetto della rivoluzione, mentre l'Internazionale rincorreva passivamente le situazioni contingenti adattando via via la tattica ad esse. Non ad altro rispondono per esempio le Tesi di Roma.

La Sinistra Comunista "italiana" è stata parte della Terza Internazionale ma è diventata "altro", superandola già nei primi anni, diciamo già nel '21. La sua concezione del partito, per esempio, non è differente da quella di Marx e neppure da quella di Lenin (tenendo conto che quest'ultimo agiva in una fase "militare" della rivoluzione), ma le sue rigorose precisazioni sulla natura organica del partito, indotte dallo sviluppo estremo del capitalismo, mancano ovviamente sia in Marx che in Lenin. La concezione della guerra imperialistica, altro esempio, è coerente con l'intero corpo programmatico della corrente storica che riferiamo a Marx, Lenin ecc., ma la Sinistra ha continuato il loro lavoro, ed esso è oggi rintracciabile, come corpo monolitico, non in un'origine immutabile come fosse creazione, ma in diversi momenti della storia rivoluzionaria. Questo succede per l'intera teoria. La Sinistra ha precisato che in primo luogo quando diciamo partito lo dobbiamo intendere nella più larga accezione storica del termine: dato che ormai è matura la base per la società nuova e gli "strumenti umani" della rivoluzione sorgono e lavorano in ogni campo, la società stessa, la sua dinamica, gli individui che apportano conoscenza nuova e le classi che si dispongono allo scontro finale, rappresentano tutti insieme l'anticipazione vivente del comunismo. Solo subordinatamente alle determinazioni materiali gli uomini che rappresentano già adesso questa realtà si raccoglieranno intorno ad un unico organismo politico. Non possono farlo in una situazione come quella di oggi, in cui manca quella polarizzazione sociale che rende possibili schieramenti precisi e la crescita del movimento sociale.

La Sinistra Comunista non è da noi "sposata" acriticamente ma studiata con molta attenzione a motivo della sua rigorosa impostazione teorica e della sua lotta conseguente durante 60 difficili anni, ma non è certo l'unico elemento di comunismo rintracciabile nella storia. Solo dalla Sinistra abbiamo però imparato concezioni sul partito, sulla tattica e sull'"intero universo" (Tesi di Lione) che la Terza Internazionale non aveva potuto far sue neppure nel suo periodo migliore. La Sinistra aderisce entusiasticamente all'Internazionale nel '19 identificando il suo proprio percorso con quello del bolscevismo, che era fenomeno internazionalistico, non russo; nel '20 già si rende conto che la rivoluzione russa incomincia a soffrire di contaminazioni da arretratezza sociale e quindi politica; nota molto presto che queste si ripercuotono in forma di manovre tattiche non solo sul partito russo ma soprattutto sulla neonata Internazionale; nel '21 si oppone alla politica suicida del fronte unico; nel '22 presenta le Tesi di Roma sulla tattica e sullo sviluppo del partito mondiale, tesi praticamente di rottura; nel '23 viene esautorata dalla direzione del partito in Italia. Teniamo conto che il PCd'I era un partito anomalo rispetto al panorama di allora, con il suo tentativo di funzionamento organico e che quindi era davvero incompatibile con gli altri partiti dell'IC. Il bilancio definitivo sul percorso delle tre Internazionali (la cui degenerazione diede vita a tre "ondate storiche di degenerazione opportunistica", come si dice nelle Tesi Caratteristiche del PCInt., 1951) è del 1960, anche se non è rimasto nessun testo sistematico sulla questione, a parte l'abbozzo di Origine e funzione della forma partito.

Giovani leve della rivoluzione

Ovviamente non si tratta affatto di "rinnegare" le tre Internazionali ma di trarre lezioni dal loro percorso e soprattutto dalla loro fine. Per esempio, i fatti succedutisi dopo l'11 settembre hanno prodotto per l'ennesima volta un rigurgito di luoghi comuni sull'imperialismo e sulle sue implicazioni sociali. In particolare sono emersi i due soliti, storici, opposti atteggiamenti politici: 1) la persistente propensione a valutare i fatti attraverso gli schemi e il linguaggio terzinternazionalista (vecchi compagni dal fiuto sicuro l'avevano chiamata marxismo-leninismo, dal lessico stalinista che prese piede dopo il IV Congresso del 1922); 2) la tendenza a negare gli innegabili insegnamenti della Rivoluzione d'Ottobre e della stessa Terza Internazionale (lucidamente compendiati nell'opera di Lenin) sulla base di nostalgie libertarie o di un istintivo rigetto delle categorie pseudo-comuniste introdotte dalla tremenda controrivoluzione staliniana. Entrambi gli atteggiamenti sono del tutto comprensibili, ma sarebbe necessario uno sforzo per andare oltre se ci si vuole avvicinare al comunismo, quindi se ci si vuole proiettare verso il futuro, seguendo un percorso coerente a partire da Marx.

Il primo caso, quello del "marxismo-leninismo", si spiega con la regressione in campo teoretico e tattico causata dalla sconfitta subìta dalla rivoluzione in Occidente, regressione rafforzata nel secondo dopoguerra dalla internazionalizzazione dello stalinismo col formarsi di movimenti di liberazione nazionale e di guerriglia anti-americana sotto tutela russa. Situazioni terribilmente arretrate contribuivano a contaminare la teoria rivoluzionaria della conoscenza e della prassi, facendo del "marxismo-leninismo" una brutta copia delle parole d'ordine borghesi del XVIII secolo. Il secondo caso si rivela, ad una analisi strutturale dei contenuti, come una corrente sostanzialmente democratica e anti-totalitaria, caratterizzata a volte da riferimenti alle correnti che si erano contrapposte allo stalinismo.

Il primo caso lo lasciamo perdere, tanto è fuori tempo e luogo, lontanissimo dalle esigenze della rivoluzione e ormai al di sotto di ogni critica. Il secondo caso ci interessa da vicino in quanto abbiamo ricevuto diverse lettere in cui è evidente lo sforzo di superare difficili problemi di sintonia con la dinamica che complessivamente chiamiamo comunismo. Sintetizzando: oltre che dall'Italia abbiamo ricevuto alcuni segnali di fermento "a sinistra" dall'Inghilterra, dalla Svezia, dalla Danimarca, dalla Francia, dagli Stati Uniti, dalla Svizzera e da altri paesi che i mittenti non hanno indicato nelle loro e-mail. Il mondo terzinternazionalista, compresa quella parte che si ricollega ancora alla Sinistra Comunista "italiana" pare essere in cattiva salute e avere qualche difficoltà di sopravvivenza. Mentre alcuni gruppi sono regrediti a forme farsesche di neo-bolscevizzazione, sembra invece che stia "succedendo qualcosa" – come abbiamo prima accennato – fra i giovani che vanno scoprendo quelle correnti che nella Terza Internazionale si opposero all'omologazione staliniana. Le scoprono nelle loro sopravvivenze attuali; ma subito alcuni di loro ne sono respinti, la loro esigenza di comunismo non ne è soddisfatta. E allora non gli resta altro che ricollegarsi alle origini. Obiettivo che prima o poi si dimostra essere l'unico possibile per non adagiarsi sull'esistente seguendo le lusinghe dell'ideologia borghese più o meno travestita da "progressiva", come ben esprime un giovane compagno:

"Penso [per esempio] a un anarchico che abbia un'impostazione classista e una propensione organizzativa, che necessiti di categorie analitiche, di un impianto concettuale, di una strumentazione critica; in breve che nel presente marasma guardi alla bussola, anzi, cerchi di procurarsela. Vista la povertà teorica del movimento, egli non potrà che interessarsi a Marx e alle correnti non ufficiali che a lui si sono rifatte.

"È anche un fatto generazionale, connaturato all’attuale modalità di comunicazione e alla possibilità di espressione del cervello sociale, [anche attraverso uno strumento] abbastanza nuovo come Internet. Esiste oggettivamente una curiosità intellettuale che si affina tra gli scaffali della biblioteca, nella discussione con i compagni con più esperienza, nella ricerca del libro usato sulla bancarella, nella conoscenza di correnti vituperate, misconosciute, nella conoscenza di compagni coraggiosi che hanno fatto una vita da cani, nell'affannoso tentativo di stabilire un legame tra generazioni di rivoluzionari. Una ricerca il cui fine per nulla secondario è anche trovare un senso di appartenenza.

"Abbiamo bisogno di soluzioni per l’agire di classe di fronte alla nuova struttura dello sfruttamento, questione teorica risolta e già affrontata brillantemente nella prassi in particolari contesti, [segue un commento sullo sciopero UPS]. D'altra parte sappiamo benissimo che vi sono ancora nodi da sbrogliare e, per farlo, noi nani non possiamo far altro che salire sulle spalle dei giganti, metodo più necessario che mai per vedere più lontano di loro [il riferimento è a un aforisma di Bernardo di Chartres ricordato anche da Newton]. Necessario come l'elaborazione ulteriore, senza la quale non vi è fusione con la memoria e la teoria rivoluzionaria.

"Per molti di noi l’esperienza dei compagni che negli anni cinquanta si sono dovuti scontrare con lo stalinismo, la sua pratica opportunista, il suo mito produttivista, la sua apologia della democrazia, il suo solido mito sociale nell’URSS, che hanno dovuto fare i conti con bussole impazzite e mille falsificazioni del passato, tutto ciò ci ha insegnato a stare in piedi. Penso che l’unico pericolo insito in questo amore ecumenico [tra le frange ribelli] sia l'eccessiva semplificazione e la riproposizione in chiave ideologica delle esperienze del passato, delle correnti politiche e degli individui che ne sono autori; tutto ciò costituirebbe una diluizione del patrimonio reale e una forzatura tutta costruita su esigenze [di gruppi chiusi].

"D'altra parte, chi getta merda senza troppe preoccupazioni su correnti rivoluzionarie che vanno studiate, comprese, metabolizzate, è un reazionario bello e buono perché di solito l’invettiva precede lo studio e più spesso ancora l’ingiuria non è affatto dimostrata. Cerchiamo di valorizzare l'attitudine alla ricerca, sapendo che senza curiosità teorica e politica non c’è ossigenazione cerebrale. È vero [ed è per i motivi sopra ricordati] che in Europa e negli Stati Uniti c’è un rinnovato interesse per le correnti schiacciate dalla vittoria della controrivoluzione staliniana".

Astratti, schematici, rigidi e pure settari

Queste osservazioni rispondono al fenomeno che il nostro "detector" (come dicevano i vecchi compagni) ha rilevato in pieno nella dinamica che sta mandando in crisi le vecchie istanze terzinternazionaliste degenerate. Ci scrivono, soddisfatti della strada da noi percorsa da un paio di decenni, non solo compagni collegati al lavoro, ma anche lettori che non vi partecipano direttamente, elementi isolati che si occupano magari di letteratura, musica o scienza, ma che hanno incontrato i nostri scritti controcorrente e li hanno trovati coerenti nel contesto di una sana ribellione. Non la sapranno ancora definire con esattezza, ma è diretta comunque contro l'infame incrostazione opportunistica che tutto ha inquinato. E molti hanno inquadrato perfettamente il fatto che la critica ai "marxisti" si trova completa, perfetta, anticipata, già in Marx.

A questo proposito è significativo che ci sia una riscoperta dei testi di Rubel, un "marxologo" (non è ironia, si definiva così lui stesso) che ha dedicato buona parte dei suoi studi proprio a Marx critico del marxismo (così s'intitola un suo libro). Rubel non era certo un fesso, ma non sentendo quel senso di appartenenza al filone storico di cui parlava più sopra il giovane compagno, si era creato un Marx tutto suo, una specie di anarchico razionale. Ci ha dato insomma un esempio di interpretazione arbitraria.

Da parte nostra insistiamo nel dire che l'approccio "politico" alla questione è sbagliato: Marx va letto come si leggono Galileo, Newton, Darwin, Einstein, e tutti gli scienziati che hanno rivoluzionato la conoscenza e quindi la prassi. In tal modo, "dando spaccio" ai due schieramenti (destra e sinistra "marxista", fra virgolette, per carità), che sono in fondo la stessa cosa come dimostrato nei nostri Fondamenti, si schizza in un altro universo, che non ha niente a che fare, nel modo più assoluto, con questa società, anche se da essa rampolla. È in questo universo che ci si deve sentire a casa, tagliando i ponti col mondo borghese, affrontandolo con odio e distacco, come fanno tutti coloro – oggi inevitabilmente pochi – che si dedicano al lavoro comunista, "astratti, schematici, rigidi e pure settari". È appartenendo a questo universo che si possono leggere Bordiga, Rabelais, Marx, Einstein o Balzac, e la storia attuale senza scambiare i reali poteri dei soliti Amerikkkani (come ci è capitato di leggere recentemente in un volantino) con quelli di Voldemort. E senza trasformare l'impegno nella battaglia sociale in una ennesima versione del donchisciottismo.

Tutti i sinistri all'addavenì Baffone, gli antistalinisti complementari, i democratici del marxismo anarchicheggiante, giù giù fino agli scolari di Eco alla Wu Ming (ex Luther Blissett), appartengono alla stessa impotente famiglia proudhonista: chi critica l'attuale forma sociale senza darsi le armi adatte per superarla, non può che cadere nella sua ri-forma. Il movimento reale del comunismo è prettamente anti-formista, non ri-formista. Infatti, i citati allievi di Eco che si firmano adesso alla cinese, non essendo per niente "alternativi" nonostante le pretese, sanno affrontare assai bene i problemi della borghesia nascente e delle contraddizioni del suo mondo (nel romanzo storico Q), ma non sanno dire un accidente su quella che muore, mentre già si vede la società nuova, e s'intruppano nel solito affibbiare al futuro le magagne del presente, con gli amerikani cattivissimi, of course, e il linguaggio da centro sociale rifondazionista (cfr. il più recente Havana glam).

Sulla "libertà" e sulla "volontà", altri temi sollevati nelle discussioni, ammesso e non concesso che tutti s'intenda con questi termini la stessa cosa, ha detto bene Bush nel suo primo discorso dopo l'attacco dell'11 settembre: Guai a chi attenta al nostro modo di vivere. Solo che, lo capisce persino un Eco, l'american way of life è per pochi, e il drenaggio di valore che questo comporta è mancanza di libertà per altri, con tutti gli "effetti collaterali" elencati un po' da tutti, in un ventaglio che va dai gruppuscoli, ai no-global, fino agli scrittori che si sono scagliati (bisogna dire con più coerenza dei politici) contro la gigantesca espressione di "volontà" americana. Nonostante le loro differenze, insomma, hanno detto tutti: "Chi semina vento raccoglie tempesta" e hanno criticato la politica prevaricatrice degli Stati Uniti nei confronti del mondo. C'è da chiedersi invece se un tale potenza corrisponda realmente all'immagine corrente, quella di un imperialismo che, ubriaco di libero arbitrio e onnipotente, attacca tutto e tutti; oppure se per caso non vi sia anche qualche determinazione che la costringe a difendere con le unghie e con i denti la sua raggiunta posizione mondiale.

La politica estera americana non è certo finalizzata alla beneficenza; suo unico scopo è il perseguimento della salvezza nazionale di fronte a una crisi che abbiamo chiamato sistemica. Per questo diciamo che l'attacco è guerra e non terrorismo, nella migliore tradizione clausewitziana (e qui siamo di nuovo d'accordo con il burattino Bush, i cui fili sono mossi da forze impersonali anche ma non solo attraverso i petrolieri). L'errore è pensare che gli americani possano non fare gli americani. La loro unica alternativa sarebbe soccombere e hanno sempre preferito vincere, ovviamente; imponendo resa senza condizioni e pure processo al vinto con tribunali e leggi fatti ad hoc, in barba a millenari principii giuridici, vero e proprio terrorismo di Stato, com'è dimostrato sia dalle ben orchestrate notizie e immagini che provengono da Guantanamo che dalla politica estera super-attivistica seguita alla guerra afghana.

Nessun anti-imperialista di maniera ha ancora provato a descrivere razionalmente quale tipo di forza sarebbe necessario mettere in campo per applicare le roboanti parole d'ordine, per sconfiggere la strapotenza americana (cioè del Capitale mondiale), e come si possa applicare "volontà" sufficiente per mettere insieme le centomila correnti che si autoproclamano rivoluzionarie e che vanno ognuna per conto proprio. Ma è proprio il culto della volontà che conduce direttamente ad una svalutazione idealistica dei fatti reali, cosa che ha sempre avuto conseguenze nefaste.

La situazione generale non è rosea, tuttavia non siamo affatto pessimisti. È un sano determinismo che rafforza la nostra convinzione secondo cui la rivoluzione non potrà che essere grande e universale, non qualche aborto di rivolta locale. Guardiamo a ciò che è successo: viviamo in un impero che non ha più limites che tengano in là Goti, Daci, Sarmati, ecc., salta quindi la strategia da gioco di guerra classico, alla Luttwak, e diventa sempre più difficile non tanto dislocare le legioni quanto trovare per esse un compito operativo. La guerra si è fatta spaziale, si combatte dall'aria e dalle consolle delle sale operative, si è staccata dall'uomo: ebbene, proprio l'uomo la fotterà, e con essa tutti i suoi fautori (cfr. Guerre spaziali e fantaccini terrestri).

Condizioni per l'estensione del lavoro organico

Se pure la questione non fosse già risolta a livello teorico, l'esperienza empirica sarebbe sufficiente per dimostrare che l'aggregazione di forze rivoluzionarie non potrà avvenire sulla base di impossibili omologazioni più o meno forzate (per quanto volontarie), né d'altra parte potrà avvenire sulla base di assurde "convergenze parallele" (ossimoro inventato giustamente da un democristiano) tra diversi. L'organicità del lavoro non solo prevede, ma pretende, l'integrazione fra cellule che offrano il loro apporto diversificato al funzionamento del tutto. La grande questione è comunque già risolta nelle Tesi di Roma del PCd'I, compilate dalla Sinistra Comunista; qui si tratta soprattutto di ribadire alcuni aspetti contingenti che vengono in luce quando qualcuno si mette in contatto con noi.

Il concetto di partito che distribuisce le sue tessere d'iscrizione per contarle ai periodici congressi non ci appartiene. Né ci apparterebbe il concetto di partito "organico" se con questo attributo si desse semplicemente un nome diverso a vecchie e assolutamente disorganiche strutture gerarchiche, piramidali e persino caporalesche. D'altra parte , la caparbia rivendicazione della natura organica del partito, la concezione anti-caporalesca e anti-piramidale del medesimo, non vanno confuse con una specie di anarchismo evoluto. Diciamo sempre che non siamo un partito, siamo un lavoro: lavoriamo con metodo di partito, nel senso che teniamo presente ciò che servirebbe al futuro organo della classe rivoluzionaria. Siccome a volte ci càpita di ascoltare compagni che militano altrove, non troppo soddisfatti di come vanno le cose all'interno delle varie organizzazioni in cui si collocano, riportiamo le critiche, che ci sembrano particolarmente azzeccate, di due di loro, fondendole in un testo solo:

"Nell'organizzazione a centralismo tradizionale, la base si stacca dal centro e viceversa, perché si è assimilato completamente il principio borghese della divisione del lavoro; perciò il centro pensa, ordina, e la base obbedisce, tenendo riunioni ripetitive e distribuendo giornali o volantini. Riproducendo una situazione ben collaudata nella società borghese, base e centro si trovano così in posizione complementare, in una situazione indistruttibile e tendenzialmente eterna, perché ogni componente esprime al meglio la sua natura, si adagia sul compito più facile non avendo nessuna intenzione di rovesciare la prassi nemmeno dove e quando la volontà ha senso effettivo. Così il centro vive nella critica continua della base che non fa abbastanza per essere presente nella società in modo da allargare l'influenza del partito, mentre la base vive nella critica continua al centro perché rompe le scatole senza rendersi conto che così facendo disgrega la tanto vantata monoliticità. Ma base e centro sono ammalati della stessa malattia, che prima o poi li distrugge, a meno che non si adeguino completamente alla società borghese, rinunciando completamente anche al programma".

Due organizzazioni uguali ma fieramente nemiche, due critiche provenienti dal loro interno e che è stato possibile mettere insieme con facilità estrema dato che combaciano. È una battaglia che noi abbiamo già combattuto e non ci ritorneremo sopra, rimandando il lettore alle nostre quaranta Lettere ai compagni e al lavoro sistematico intorno alla rivista, al sito Internet, ai testi storici, ecc.

Un compagno francese ci è venuto a trovare, come del resto hanno fatto altri prima di lui, dopo essere stato in corrispondenza stretta con noi. Ci ha anch'egli raccontato le sue disavventure politiche nell'ambiente gauchiste, dove sembra che imperi sempre più il formalismo senza connessioni con le necessità reali, dove ci sono più organismi interni che militanti, dove impazzano "centri" e "vertici" che fingono di essere Stati Maggiori di eserciti immani. Schiacciato dall'esperienza di tanta organizzazione vissuta, il compagno al suo ritorno in patria ci ha scritto chiedendo, logicamente, con cautela: "Pensate che [dal punto di vista pratico] sia prematuro un contatto e una collaborazione più stretti con voi?". La domanda ha un retroterra ovvio: nelle organizzazioni, anche in alcune di quelle che si autodefiniscono "organiche", ci sono i capi, i militanti, i simpatizzanti, i contatti, ecc. in uno scimmiottamento di quella follia organizzativa che fu l'organigramma della Terza Internazionale, la quale ben presto divenne un guazzabuglio di uffici che anche un ben attrezzato storico ha difficoltà a seguire. Ovviamente la risposta non può essere evasiva o comportare espedienti formalistici, che sono classici del gauchisme di cui sopra. Essa deve rispondere anche alla richiesta implicita che è: sono sicuro di non ricadere in una esperienza simile a quella che ho lasciato?

L'impulso provoca la decisione, il metodo la indirizza verso un fine. Nulla impedisce un lavoro comune quando vi siano le basi oggettive e soggettive su cui impostarlo; basi che non consistono in un combaciare perfetto di vedute, ma nel condividere gli stessi fini, quindi lo stesso lavoro da svolgere ancorati allo stesso metodo. L'incontro con altri compagni per un lavoro comune non è mai "prematuro", il problema è che la maggior parte di essi ha tremende difficoltà a lavorare in comune su qualsiasi base.

Probabilmente dovrà passare ancora del tempo e dovrà essere definitivamente sconfitta la concezione centralista democratica che si fonda sulla finzione dell'omogeneità perfetta e che pretende di assoggettare la feconda diversità degli individui a questa inesistente categoria mentale, un'uguaglianza per di più rapportata a un programma che viene sempre presentato come il migliore, come se lo si fosse "scelto" al mercato pagandolo bene. Ci vuol poco a capire che ci troviamo di fronte a un'altra versione dell'uguaglianza di fronte a Dio; o di fronte alla democrazia capitalistica, quella che nasce dall'eguaglianza di valore, dall'equivalente-generale-denaro. La teoria del comunismo è totalizzante come la scienza, è infatti scienza. Non possono convivere programmi migliori o peggiori da confrontare; se non sono all'altezza devono elidersi a vicenda, fino a quando non si formi e sviluppi un organismo che contenga, con giovamento e non in modo distruttivo, le parti differenziate in grado di alimentare quel tutto che abbiamo chiamato partito.

I gruppi umani che hanno dato vita ai partiti delle rivoluzioni passate rispondevano a criteri completamente diversi rispetto all'omologazione adottata dalla Terza Internazionale nel periodo della mostruosa "bolscevizzazione". Relativamente a questo problema, basterebbe leggere per esteso il passo di Marx che abbiamo citato in altro articolo di questo stesso numero, quello sull'apporto dei lavori differenziati fra uomo e uomo (appunti su Stuart Mill, 1843), e poi ridere di certe concezioni del partito degne dei templari o dei gesuiti. L'approccio marxista alla conoscenza e alla sua condivisione organizzata è di altro tipo.

Sta di fatto che, nonostante si lavori per periodi a volte notevoli in modo armonico, càpita ogni tanto che qualcuno senta le sollecitazioni della società e quindi la nostalgia dell'individualismo più retrivo, finendo per rompere con il lavoro comune. È una realtà che abbiamo ormai recepito. Anche per questo non abbiamo fondato un "partito" o un "gruppo politico" (che sarebbe stata la stessa cosa), ma ci siamo semplicemente accinti a fare un lavoro. Com'è scritto nelle Tesi di Napoli (Partito Comunista Internazionale, 1965), solo dalla coerenza in questo lavoro ci aspettiamo l'allargarsi degli effettivi e della loro vita organizzata. Lasciamo ad altri i tentativi di assemblaggi politici, fronti, coordinamenti, ecc.: ogni esperimento di aggregazione formale, cui si giunga attraverso espedienti, senza la possibilità di un lavoro organico comune, non può che essere effimero e fallire. Naturalmente lavoriamo in modo organizzato e centralizzato, ma questo non è un principio "di partito": così sono state costruite anche le piramidi d'Egitto e così funziona qualunque fabbrica.

Il comunismo non è una religione

L'adesione a programmi e ad organizzazioni intesa in un'accezione quasi religiosa è assai diffusa. Vivente materiale prodotto dalla storia della rivoluzione comunista viene sterilizzato, sottoposto a revisione e imprimatur, ridotto a livello di deteriore catechismo e rinchiuso in parrocchia. Per quanto riguarda il campo specifico della Sinistra comunista "italiana", la situazione non è migliore, anzi. Si vorrebbe far credere che essa esiste ancora in carne ed ossa e, quel che è peggio, ogni gruppo se ne dichiara unico rappresentante legittimo. Ma il vero insegnamento della nostra corrente fu quello di rifiutare, nella sua storia attraverso epoche diverse, ogni meccanica figliazione dalle situazioni precedenti: il PCd'I non era più la Frazione Comunista Astensionista; la diaspora della Sinistra all'estero non era un PCd'I in esilio; il partito del '45 non era la riunificazione della diaspora e quello del '52 non era il semplice risultato di una scissione. Nella concezione che ci ha insegnato proprio la Sinistra, nel continuum del partito storico è possibile individuare delle fasi, quelle della tendenza al partito formale, esattamente come nella storia sociale individuiamo uno "spazio delle fasi" e tracciamo il nostro notissimo diagramma delle cuspidi.

La Sinistra Comunista "italiana", grandiosa corrente purtroppo sconfitta, fisicamente non esiste più, e niente l'ha sostituita, tanto meno gli ectoplasmi sopravvissuti, sedicenti partiti formali. I gruppetti attuali non possono né aggregarsi né trasformarsi: sono destinati a sparire, a essere spazzati via da qualcosa di nuovo e che possiamo già vedere "nell'aria", più o meno come diceva Marx a Freiligrath nel 1860 a proposito della Lega.

Oggi, nonostante la situazione sfavorevole, è possibile svolgere una gran quantità di lavoro, prima di tutto in difesa del patrimonio esistente, sul quale sono possibili non solo studi, ma anche collegamenti, elaborazioni, approfondimenti, in base alla dinamica dello sviluppo della forza produttiva sociale. Nessuna novità. In tale contesto non ci sembra mai "prematuro" l'incontro organizzato con quei lettori che si sentono più in sintonia con noi, in Francia o altrove.

Nonostante la difficoltà della lingua, chi è davvero alla ricerca di una strada diversa rispetto al "luogocomunismo" ci ha sempre trovato; il guaio è che la stragrande maggioranza non cerca affatto qualcosa che sia proiettato nel futuro, ma qualcosa che corrisponda a quel che ha già nella testa, al proprio bagaglio storico già formato e che nessuna forza sociale al momento è in grado di fargli abbandonare. In genere sono proiezioni del passato, e in questo caso non c'è niente da fare.

Molti ci hanno raccontato frammenti di esperienze deludenti e quindi ognuno dovrebbe conoscere abbastanza bene il mondo con cui abbiamo a che fare. Siamo, è ovvio, contenti che vi siano compagni intenzionati a far conoscere i testi della Sinistra e il lavoro che stiamo conducendo a partire da essi. Ma crediamo che spesso il ritrovato entusiasmo vada almeno ricondotto entro i limiti di una realtà che non è per nulla rosea. Sarebbe bello riprendere il lavoro all'estero "come una volta", e qualche segnale ci arriva, ma è ancora molto poco. Chi sia a contatto con un ambiente nel quale pensa sia possibile discutere gli argomenti che si trovano sulla rivista, non deve far altro che gettare il detector e vedere i risultati. Noi possiamo fornire tutto il materiale che c'è, tratto dalla nostra esperienza diretta e da quella della nostra corrente.

Qualità e quantità

Siamo costretti a concentrare le forze su pochi e chiari obiettivi; certamente gli incontri giovano alla chiarezza, ma più di tutto – sarà un nostro chiodo fisso – contano le determinazioni materiali che portano a porsi domande diverse dal solito, a chiedersi il significato di un lavoro come il nostro. Noi non possiamo assolutamente "convincere" (non è un nostro obiettivo) chi non sia in grado di "rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l'anagrafe di questa società in putrefazione ecc. ecc." (Considerazioni, 1965). Se c'è qualcuno che, come sembra sia successo a qualche compagno sparso, può avere dei dubbi sulla condizione cui è giunto il movimento chiamato genericamente comunista, crediamo non gli resti altro da fare che abbandonare vecchie strade fallimentari e chiedersi come ci si può aprire ad un mondo reale che non ha mai perduto un passo rispetto alla rivoluzione.

Alcuni compagni ci chiedono con quale criterio distribuiamo la nostra stampa e se non varrebbe la pena di portarla alla festa x, al raduno y o alla fiera z. In linea di principio non abbiamo niente in contrario a diffondere la nostre pubblicazioni e i testi della Sinistra ovunque e in ogni occasione, così come li abbiamo presentati nelle librerie commerciali e alla Fiera del Libro che si tiene a Torino ogni anno (vedere sul nostro sito i link alle librerie e alle biblioteche). Ma bisogna tenere presente che la diffusione dei testi prodotti dalla rivoluzione comunista non comporta automaticamente la comprensione di ciò che c'è scritto. Nessuno che abbia reali problemi di ricerca nella direzione marxista sopra ricordata avrà difficoltà a dirigersi verso ciò cui aspira. Noi cerchiamo compagni che abbiano completamente tagliato i ponti con ogni categoria di questa società.

È vero che sarebbe necessario far conoscere di più il nostro lavoro, specialmente in altre lingue. Di certo con Internet il problema dell'inglese si sta facendo pressante. Pochi ormai hanno conosciuto la vecchia organizzazione, ma i testi principali della Sinistra sono stati tradotti e li mettiamo a disposizione di chi li chiede. Ciò che manca è una nuova generazione dalla mente sgombra che sulla base di quei testi intenda continuare il lavoro e si adoperi per farlo conoscere nei vari paesi. D'altra parte constatiamo che, quando si riprendono i temi classici della Sinistra traendone le conseguenze in ambito di capitalismo sempre più maturo, è piuttosto esiguo il numero di coloro che le accettano fino in fondo: troppo forte è ancora il legame con tutte le categorie ideologiche di questa società, anche se in campo pratico la stessa borghesia ha demolito più barriere della conoscenza di quante presumano di abbatterne i "rivoluzionari" odierni.

A volte succede che venga alle nostre riunioni qualcuno che pretende di sapere già tutto sul comunismo, sulla rivoluzione russa, sulla degenerazione opportunista, su tutte le correnti del marxismo e persino sugli argomenti specifici che noi con grande fatica studiamo da trent'anni. Costoro non cercano, sentenziano. È chiaro che sono persi a ogni sviluppo futuro, non diciamo del lavoro ma anche della semplice discussione e comprensione. Sono lontani mille miglia dal capire quali e quante difficoltà s'incontrano nell'affrontare il ritorno alla scientificità del processo marxista della conoscenza. Diverso è il discorso per coloro che stanno cercando proprio un ambiente del genere, cosa non impossibile ma assai rara. Allora il riscontro è immediato, la comunicazione forte. Ma per ora sembrano trionfare vari tipi di fondamentalismo, tutto è facile, tutto è scritto, tutto è capito.

Non essendo un "partito" e quindi non cercando "iscrizioni" alla nostra organizzazione, il nostro lavoro assume caratteri diversi da quelli comunemente conosciuti. Si tratta – lo ribadiamo – di vedere se prende piede una corrente, una scuola, una community come dicono gli americani, un insieme di individui che incominciano a muoversi non più in quanto tali ma in quanto appartenenti a un tutto organico sulla base di presupposti comuni e soprattutto in grado di riprodurre localmente il lavoro senza scostarsi dalle linee generali. Siamo ovviamente consapevoli che non si possono forzare le determinazioni, tutto il resto è derivato. D'altra parte chi teorizza atteggiamenti diversi, come ci ha detto francamente un operaio ex militante di una organizzazione super-partitista, super-leninista e super-attivista, all'atto pratico non ha raccolto più di noi in termini di effettiva presenza sociale.

Tutta la nostra energia è indirizzata a far conoscere alle nuove generazioni sia la Sinistra Comunista "italiana" che il lavoro da noi intrapreso sulla base del patrimonio teorico ereditato. Per questo lavoro ogni orizzonte non è mai troppo distante e, come abbiamo detto prima, la traduzione del materiale non è solo importante, ma essenziale. Succede che lettori sconosciuti ci inviino dall'estero testi, non solo nostri e della nostra corrente, su cui hanno lavorato e che hanno dovuto tradurre. Si reperiscono materiali, si confrontano programmi, si torna alle origini, si pubblica, si polemizza, si critica. Allora è vero che c'è un lavoro spontaneo indotto dal comunismo come effetto reale della dinamica sociale, è vero che c'è una spinta materiale al superamento dell'impasse in cui si trova il "movimento" che continua ad autodefinirsi, nonostante tutto, comunista.

Un compagno ci ha scritto: "Si tratta di salvaguardare a scala internazionale una collettività di lavoro che giungerà semplicemente ad ampliare il suo campo d'azione"; è esattamente ciò che intendono le citate Tesi di Napoli, anche questo già detto: è dal lavoro coerente di elaborazione, cioè dalla sua qualità, che ci aspettiamo variazioni significative sul terreno della quantità di militi che specialmente fra i giovani la rivoluzione recluta, prepara e scaglia nella lotta.

Letture consigliate

  • Partito Comunista Internazionale, Teoria e azione nella teoria marxista, 1951; ora in Partito e Classe, nella nostra collana "Quaderni Internazionalisti".
  • Partito Comunista d'Italia, Tesi sulla tattica presentate al II Congresso, 1922 (Tesi di Roma); Progetto di tesi per il III Congresso, 1926 (Tesi di Lione); Tesi caratteristiche del partito, 1951; Considerazioni sull'organica attività di partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole, 1965; ora tutte in In difesa della continuità del programma comunista, ediz. "Il programma comunista", 1970.
  • Partito Comunista Internazionale, Origine e funzione della forma partito, ora nel volume dallo stesso titolo nella nostra collana "Quaderni Internazionalisti".
  • Partito Comunista Internazionale, I fondamenti del comunismo rivoluzionario, ora nel volume Tracciato d'impostazione, nella nostra collana "Quaderni Internazionalisti".
  • Lettera ai compagni n. 34, Astratti, schematici, rigidi e pure settari, con l'intervista ad Amadeo Bordiga del 1970, una introduzione e una nota sul metodo.
  • Guerre spaziali e fantaccini terrestri, ed. Quaderni Internazionalisti, 1983.
  • Maximilien Rubel, Marx critico del marxismo, Cappelli, 1981.
  • Luther Blissett, Q, Einaudi, 1999.
  • Wu Ming, Havana glam, Fanucci, 2001.

Rivista n. 8