Vecchi ingredienti per nuove ricette

Ci risiamo: "la patria è in pericolo; i barbari sono alle porte; è imminente l'attacco islamista; i comunisti remano contro". Monta la voglia interna di regime e di riflesso il piagnucolìo dei sinistri. Antifascista, s'intende. Si accoda la partigianeria gauchista. Bella ciao… no pasaran… el pueblo unido… ce n'est qu'un début…

La reazione d'Europa si rafforza. Nel gran calderone conservatore c'è di tutto: intellettuali passatisti, politici pagliacceschi, ragazzotti svasticati, leader liberisti e laburisti, parvenu che imbastiscono regimi dal nulla, sindacati corporativi.

Fascismo? Quello dei Mussolini e degli Hitler non c'è più. L'antifascismo democratoide che fu un suo sottoprodotto invece rimane. Tenace, chiama fascismo ogni suo complemento politico. Anche un governo Berlusconi. Capi che dovrebbero pilotare la vita di milioni di uomini non sanno cosa sia una fabbrica e che rapporto vi sia col valore. S'inchinano al PIL ma non saprebbero dire da dove arrivi il reddito di una drogheria. Figuriamoci se tutti insieme sanno cos'è veramente il fascismo. Ovvio che per noi non è l'orbace, la svastica, la rune, simboli come altri fra i molti esposti al supermercato dell'ideologia. Quel che c'interessa è la natura del fascismo. Che è la necessità di disciplinare centralmente il fatto economico e sociale, diventato troppo complesso. Il fascismo ha perso la guerra sul campo ma ha permeato la società. Per questo i burattini della politica si muovono al ritmo di musiche interclassiste, corporativiste, patriottarde, siano essi di "destra" o di "sinistra". Fazioni borghesi inesorabilmente evolute verso l'unicità genetica. Quando sono al governo sfornano leggi identiche: è la prova migliore che obbediscono ad un unico padrone, il Capitale. L'America insegna: chi governa da sempre è il partito unico della borghesia, diviso in due segmenti rigorosamente intercambiabili.

Osserviamo i segmenti nostrani. Quello destrorso è costituito da sedicenti liberisti, ma anche da ex fascisti che liberisti non dovrebbero essere. Fascisti, quindi nemici per la pelle delle "demoplutocrazie" anglosassoni, poi diventati un pilastro dell'atlantismo anticomunista per convenienza elettorale. Un tempo dirigisti economici e centralisti a oltranza, oggi indifferentemente alleati col mondo mellifluo della soap finance berlusconiana e con l'anticentralismo leghista. Quello sinistrorso, del tutto speculare, si proclama difensore delle istanze degli oppressi, ma è quello che ha varato il più vasto programma europeo di supersfruttamento della forza-lavoro, non solo rendendone flessibile la vendita, ma reintroducendo forme larvate di schiavitù, specialmente per i giovani. Veramente "progressista".

Questo segmento, che ha perso le elezioni, medita una rivincita. Somigliando troppo al suo avversario, ha qualche problema d'identità e manifesta sintomi di schizofrenia, ma ha in gestazione una sorpresa. L'Italietta sembra incinta di uno dei suoi storici esperimenti politici. Staremo a vedere se partorisce o abortisce. L'unico organismo che sia allo stesso tempo antifascista, responsabile, corporativo, consociativo, patriottico e in grado di mobilitare milioni di proletari, è il sindacato. Esso sta assumendo una funzione più che mai politica. Sta già dettando le sue condizioni e convoca i partiti, che balbettano, impotenti, di fronte a questo processo inusitato. Una parte della borghesia guarda a Cofferati che muove le masse più di Padre Pio. Si prospetta un bel pattone del lavoro, roba seria, alla Di Vittorio '45 o Trentin '93. Altro che articolo 18 e pattucoli 2002 con pseudo-sindacatini di disturbo.

Rivista n. 8